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Capitolo trenta



«È invasione della privacy. Potrei denunciarti per questo!» Si infervorò Camila, additandola con fare colpevole.

Lauren non rispondeva. Mascella serrata, sguardo cupo e turpe, labbra unite in una linea rigida. Aspettava che Camila terminasse il suo sproloquio -o turpiloquio, dipende dalle prospettive- per prender parola.

«Il telefono della mia migliore amica! La mia migliore...» La cubana si interruppe quando in un attimo di lucidità visualizzò l'espressione di Lauren e comprese che stava sbraitando al vento.

Inspirò profondamente, portò le braccia conserte e si ammutolì, sostenendo a stento lo sguardo incandescente della donna. Non l'aveva mai vista così arrabbiata. Anche se pur sempre ingessata nella sua formalità, sprizzava collera da tutti i pori.

Dopo qualche istante di punitivo o mediatico silenzio, non seppe discernerlo, Lauren ribadì la domanda che aveva già intavolato elioni di volte.

«Che cosa vuol dire questo?» Scandì ogni parola con algida neutralità, sollevando il telefono dal tavolo.

Camila alzò appena il mento, per darsi un tono, giusto per non soccombere all'alterigia decorosa della corvina, ma ben presto si rese conto che malgrado l'indecenza di Lauren e la sua sfacciataggine, non poteva alzare la cresta. Anche se la corvina Si era macchiata di erroneità ingenuamente, era Camila dalla parte del torto.

Sospirò «Stavo solo cercando di capire.» Ammise onestamente, senza corazzarsi dietro frondosi espedienti.

«Cercando di capire, cosa?» Compitò nuovamente la corvina, non contenta della risposta.

La cubana distolse lo sguardo verso il soffitto, ondeggiò la testa e puntellò un canino sulla lingua, soprappensiero «Cercando di capire se fossi tu la stessa persona della festa.» Svuotò il sacco la cubana, senza perturbare nemmeno un po' l'inespressiva maschera di Lauren, che era calata nuovamente.

«Sei una bambina.» Sputò velenosamente la corvina, ma senza intaccare la sua flemma.

«Stavo solo cercando...»

«Sei venuta a letto con me solo per scoprire se fossi un'altra persona.» Le fece lo sgambetto Lauren, censurando il discorso difensivo che stava per stilare la cubana.

«No!» Protestò vivacemente Camila «No, questo no.» Si oppose fermamente.

«Sei venuta a letto con me scoprire se fossi un'altra persona.» Ripeté Lauren, stavolta più lentamente e nitidamente.

Camila scosse energicamente la testa.

«No, Lauren. Questo non é...» Si prodigò Camila per accreditare la sua credibilità, ma venne bruscamente troncata da un raptus di Lauren.

«Si, invece!» Eruppe, sbattendo il pugno contro il tavolo, cogliendo Camila alla sprovvista che trasalì.

Lauren inspirò a fondo, riempì i polmoni d'aria e di nuovo il sipario calò sul suo viso emotivo, rendendolo apatico. Un rossore ancora le accalorava le guance, al che la corvina si girò, dando le spalle alla cubana, afferrò la testa in una mano, parlò sommessamente fra se e se, ed infine artigliò il cappotto, indossandolo con innata disinvoltura.

«Dove stai andando?» Chiese Camila, chiaramente ignorata dalla donna «Lauren, non puoi andartene.» Si trovò alle prese la cubana, che non aveva idea di come farsi ascoltare dalla testardaggine della corvina.

«Lauren!» Gridò, ma anche stavolta non venne presa in considerazione.

La donna si stava avviando verso la porta, senza degnarla di uno sguardo. Camila non poteva permettere che se ne andasse senza che l'avesse dato diritto di replica, così fece quello che le suggerì l'incosciente istinto.

Balzò nella sua traiettoria, parandosi davanti alla porta, bloccandole l'uscita. Lauren arrestò il passo a qualche centimetro da lei, serrò pugni e mascella, poi digrignò i denti «Fammi passare.»

«No, tu, tu devi ascoltarmi.» Si affannò Camila, esagitata «Sono entrata nel tuo ufficio per scoprire se fossi la donna misteriosa, ma sono venuta a letto con te scoprire se fossi lei. È andata a finire così perché ho dimenticato che fossi lì per quello. Devi credermi.» Disse tutto d'un fiato, caracollandosi dietro ogni parola così come le baluginavano in mente.

Lauren aspettò qualche secondo. Prese un altro respiro e di nuovo «Fammi passare.»

Camila, indispettita dall'atteggiamento prepotente di Lauren, si fece da parte sì, ma le inflisse letteralmente una coltellata alle spalle
«E comunque non capisco il motivo di tanta indignazione. Tu sei venuta a letto con me per sfogare le tue frustrazioni.»

Lauren si paralizzò sulla soglia. In qualche modo aveva sentito la lama sbranarle la carne, conficcarsi dentro la cassa toracica. Si voltò lentamente, incenerendo la cubana con un'occhiata sommamente gelida.

«Io non sono venuta a letto con te per quello.» Sibilò a denti stretti, puntandole un dito contro.

Camila deglutì, il suo cuore perse un battito «E perché allora?» Sussurrò con l'ultimo filo di voce che le era rimasto.

Lauren rimase impassibile a fissarla, leggendole negli occhi l'indecisione e la perplessità, la velata speranza di recuperare qualcosa che aveva deciso di perdere. Ritrasse il braccio e strattonò il bavero, rassettando le pieghe attorno al colletto. Le diede nuovamente le spalle e senza dire una parola si chiuse l'uscio alle sue spalle.

Camila rimase inerme, inebetita da quanto era appena successo. Rimase a fissare la porta come se potesse trarne qualche ignota ragione, o semplicemente realizzare che non fosse un brutto scherzo onirico. Era sveglia.

Fu il trillo del telefono a destarla dalla stasi. Non era il suo smartphone, ma quello di Dinah.

La cubana si mosse meccanicamente verso l'oggetto, non lesse nemmeno il nome sullo schermo e si limitò semplicemente a rispondere.

«Lauren, cazzo! Ho dimenticato il telefono nel tuo ufficio. Passo a prenderlo fra poco. Tu...»

«Normani.» L'anticipò Camila, con un tono quasi afono.

«Camila? Come.. Perché hai il telefono di Dinah?» Suonò confusa e interdetta Normani.

«Ci penso io a renderglielo, tranquilla. Ci vediamo in ufficio.» E attaccò, senza nemmeno darle il tempo materiale di proferir parola.

Cazzo.

*****

Le settimane successive, Ally rimase a dormire dalla cubana più spesso, dato che i proprietari del sexy shop avevano fatto le valigie, prenotato un aereo low-cost per le Hawaii, e affisso il cartello "Chiuso per ferie. Buone vacanze a tutti" sulla serranda. La bionda aveva ricevuto un cospicuo assegno come premio anticipato sulla tredicesima, o come regalo sotto l'albero. Doveva ancora capirlo. Comunque non stava certo lì a lambiccarsi. Aveva sfruttato metà dei soldi per rimpolpare il guardaroba e l'altra metà la stava mettendo da parte per essere la prossima a imbarcarsi su un aereo e volare il più lontano possibile.

Dinah era risultata entusiasta della presenza dell'amica nell'appartamento, così che compensasse il muso lungo della cubana e il suo alone di amarezza. Aveva anche avuto un'ottima compagna per giocare a Risiko nelle serate in cui Normani era impegnata o con il lavoro o con le sue amanti. Lei, al contrario di Ally, doveva sgobbare però. Durante le festività, o poco prima, i ristoranti richiedevano sempre un'alta disponibilità di personale. Dinah si candidava ogni volta, accettando di buongrado l'incarico. Era stanca morta quando faceva il doppio turno. Era stanca e preoccupata. Preoccupata per Camila.

La cubana si era categoricamente rifiutata di rimettere piede in azienda, almeno per un po'. Non era sicura se a manovrarla fosse l'astio per l'arroganza di Lauren o la vergogna della smentita delle sue bugie. Che poi non erano propriamente bugie. Ammoniva sempre il suo subconscio, rammentando che una bugia era una modifica sulla realtà, mentre la notte con Lauren era stata una modifica alla sua realtà. Era ben diverso. Comunque, quest'attitudine fiacca e il morale sotto i piedi non erano una buona ricetta per incoraggiarla a rimontare in sella e tornare a cavalcare. Camila aveva appeso gli scarpini al chiodo, ed era questa la preoccupazione maggiore della polinesiana.

Aveva aspettato una, due, tre settimane... Adesso, a distanza di dieci giorni dalla chiusura dell'azienda e solamente 15 al Natale, Dinah decise di contribuire fattivamente al rivitalizzo dell'umore della cubana.

«Ally, mettiti una sciarpa e porta le ginocchiere in borsa.» Ingiunse autoritaria, con lo stesso tono che avrebbe usato un maresciallo.

La bionda scattò in piedi e mimò il saluto militare, prima di sgattaiolare nella stanza degli ospiti e rimpinguare lo zaino.

Dinah irruppe nella camera privata di Camila. La cubana era avvolta nelle coperte fin sopra la testa, solo gli occhi erano visibili. Stava guardando una serie tv, anche se sembrava assorta da tutt'altro.

«Vestiti che usciamo. Nessuna replica. Vestiti o stacco la corrente.» La minacciò maternamente la polinesiana, richiudendo l'uscio per darle il tempo di eseguire gli ordini.

Camila sbuffò sonoramente. Era freddo, era stanca e svogliata. Non aveva intenzione di acconciarsi per andare fuori, ma conosceva bene la tenacia di Dinah, e sapeva che avrebbe caparbiamente insistito finché non avesse riscosso quello che desiderava. La cubana indossò una tuta da ginnastica, avvolse la sciarpa all'altezza del naso (per coprire il volto struccato), indossò un giubbotto che la fece somigliare ad un pinguino, e uscì dalla stanza.

«Perfetto ciurma!» Sorrise frizzante Dinah, facendo segno di seguirla.

Camila non aveva idea di dove stessero andando, solo quando una pista di pattinaggio sul ghiaccio si palesò davanti ai suoi occhi ed Ally spartì le ginocchiere capì cosa l'attendeva.

Non se la cavava male come pattinatrice, in più era uno sport che la rilassava molto, dato che si spendevano diverse energie e ciò acquietava il nervosismo, in genere. L'idea impulsiva di Dinah si rivelò tutt'altro che pessima.

Camila si divertì un sacco, anche quando cadde per scansare un bambino o scivolò tentando di cimentarsi in acrobazie più sopraffini. Le piaceva allargare le braccia per darsi la spinta e alzare lo sguardo verso il cielo, che pareva volteggiare come una trottola. Il tempo era scandito dalle sue piroette. Si sentiva come in una clessidra: lei era un granello di sabbia che rotolava attraverso la fessura e giaceva sul cumulo. Era rilassante.

Dinah ed Ally, invece, un po' impacciate e un po' inesperte, si stancarono circa un'ora dopo. Era faticoso dover arzigogolare ogni movimento per evitare di abbattere un bambino o l'altro, che incuranti scivolavano per tutta la pista. In più, era stancante spingere su gambe e braccia il peso per prendere velocità, che poi un chilometro in più le faceva rovinare penosamente al suolo. Tolsero i pattini dopo un'ora e mezzo, e aspettarono un'altra ora che Camila avesse finito di fare altre ventitré giri dell'intera pista.

La cubana si fermò solo perché il suo telefono aziendale squillò. Era Normani che l'avvertiva di dover correre in ufficio per una riunione indetta all'ultimo momento. Camila aveva inventato una scusa e improvvisato un raffreddore, ma Normani aveva sbraito "È Urgente!" Così Camila non si era potuta sottrarre ai suoi doveri.

Dinah era fiera del suo operato. Probabilmente la scarica di adrenalina aveva anche debellato una quantità non indifferente di stress. Questo avrebbe fertilizzato l'intervento di Camila durante la riunione.

La cubana si cambiò velocemente, agghindandosi con un completo più formale e adatto alla situazione. Ally e Dinah si rosicchiavano le unghie nell'attesa, credendo che la notizia avesse sconfortato l'amica. Invece, quando questa uscì dalla camera, sembrava in forma smagliante. Non che confezionasse sorrisi regalo, ma almeno si era sciacquata l'afflizione della faccia.

Prenotò un taxi, ma si annotò anche di comprare un'auto. Ormai gli spostamenti in città si erano infittiti e risultava conveniente possedere un mezzo.

Raggiunse l'azienda in poco tempo, stranamente. E cosa ancora più inconsueta, fu trovare Normani nella hall, in anticipo.

«È il miracolo del Natale.» Salmodiò Normani, ironica, strappando uno dei primi veri sorrisi a Camila.

L'ascensore era scevro di avventori, il che era il terzo fattore insolito nel giro di pochi minuti. Normani le raccontò che aveva mangiato i tortellini più buoni di sempre ad una trattoria, con una delle sue fiamme, in centro. Camila non ascoltò più quando la lancetta segnalò di aver oltrepassato il 60esimo piano.

«...Quindi ho preferito i tortellini al sesso.» Fu l'unica frase che comprese quando le porte ermetiche si spalancarono sul corridoio.

«Sempre meglio che niente.» Si limitò a commentare, ringraziando di potercela cavare con poco.

Si accomodarono in sala riunioni e aspettarono pazientemente che arrivasse Lauren. Nel frattempo Chelsea avvicinò le due, parlò del più o del meno e infine la bionda le invitò alla festa del suo compleanno, che si sarebbe celebrava fra una settimana nell'attico del Grand Hotel.

«Certo che vengo. Poi ti consiglio un buon posto dove ordinare i tortellini. Spaziali.» Confermò Normani, imitando un bacio che sottolineava l'eccellenza del piatto.

«Ehm.. grazie. E tu Camila?» Chiese sorridente, passando una mano sulla spalla della ragazza.

«Non so... Dipende anche dal lavoro.» Temporeggiò la cubana, per niente allettata all'idea di un'altra festa, visto cosa aveva combinato l'ultima.

«Oh, andiamo! Una sera. Per me.» La pregò con espressione da cucciolo Chelsea, persuadendola solo perché la sua massima istituita era l'educazione.

«Va bene.» Assentì, cedendo.

«Forte! Vi aspetto allora.» Ammiccò goliardica la bionda, sempre pronta a far baldoria.

Quando le due rimasero da sole, Normani scrutò circospetta la cubana. Fiutava un'anomalia da cento chilometri. Fece per proferir parola, ma venne preceduta dall'ingresso di Lauren che recintò la sua parlantina.

La corvina era decisamente più scostante del solito, malgrado L'insondabile volto che la contraddistingueva costantemente.

«Mark, voglio quei grafici entro domani mattina. Chelsea non ho più né voglia né tempo di aspettare, quindi muovi le pedine rapidamente. Lennon, per favore, cambia lavoro.» Tagliò la testa al toro, spiazzando i presenti che non rifiatarono.

«Ho indetto questa riunione perché la Ford ha accettato l'accordo e vogliono celebrare con una festa di benvenuto. Stavolta niente telecamere internazionali, meglio evitare.» Fece una pausa per bere un sorso d'acqua, sempre che fosse "acqua" «Normani tu prepara le valigie, e in assenza di Lucy occupati dei nominativi per i biglietti aerei, lo sai quant'è fiscale il nostro pilota. Partiamo domani pomeriggio per Lancaster. Grazie a tutti.» Radunò le sue cose e fugò dalla stanza, senza rivolgere nemmeno uno sguardo verso il tavolo e portando con se il bicchiere. Non era decisamente acqua.

Camila sospirò. Sapeva che il malcelato scontento della corvina era opera sua. Non che fosse presuntuosa o quant'altro, ma non individuava altri motivi plausibili. Certo, non sapeva nemmeno molto della vita personale della corvina, ma la coincidenza temporale era alquanto analoga.

«Bene, vado a fare i biglietti.» Salutò Camila e uscì.

La cubana si affrettò a lasciare l'edificio, sentendosi improvvisamente oppressa dall'imbarazzo. Non vedeva l'ora di tornare a casa a vedere Narcos.

*****

Circa un'ora dopo Normani approdò nell'ufficio di Lauren, dove la trovò a compilare quasi compulsiva pratiche burocratiche anche arretrate di mesi. Lavoro del tutto inutile, visto che solitamente era un'incombenza affidati ad altri.

«Ehi, scusami, volevo soltanto avvertiti che c'è stato un problema con i nominativi.» Informò Normani, destando l'attenzione della corvina solo per un nano secondo prima che la penna filasse nuovamente sul foglio febbrilmente «Io ho provato a modificarli, ma non c'è stato verso. A quanto pare era ancora inserito quello di Camila e in automatico il pc ha preso quello. Ormai il pilota ha avvisato l'aeroporto e confermato, mi spiace.»

Lauren fece scattare la testa, sbarrando gli occhi «Stai scherzando?!»

«Ho detto che mi dispiace!» Ribadì Normani, con voce acuta «Ci vediamo quando tornate. Scappo che ho un appuntamento. Buon viaggio!» Richiuse l'uscio in un tonfo sordo, sorridendo fra se e se.

Oooppss.

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