Capitolo tredici
La mattina seguente, Camila si svegliò con le occhiaie che le circondavano gli occhi, le palpebre cenciose e due dispettose rughe attorno agli angoli della bocca.
Aveva dormito si e no quattro ore, a causa della tempesta che aveva soggiogato Miami per tutta la notte. Lo sferzare violento dei vetri, il battito stillante della pioggia, l'ululato macabro del vento e infine il chiarore dei fulmine che avevano crepato il cielo erano stati una perfetta combinazione per l'insonnia.
Amava le tempeste, ma ne aveva paura. Sì, era un paradosso, forse uno dei pochi che aveva... O forse uno dei tanti. Doveva ancora capirlo.
Comunque, abbisognava di una dose di caffeina ingente. Almeno tre caraffe, solo per affrontare le prime dodici ore. Ma dato che la festa si sarebbe prorogata minimo fino alle quattro, e che la visita in programma a sua madre e sua sorella le avrebbe tolto energie, forse il numero di caraffe era da moltiplicare.
Adesso il cielo sembrava rischiarato, ma il mare era in rivolta. Non sembrava finita la rivoluzione del cielo, ma appena cominciata.
La cubana si vestì, si truccò, si lavò i denti e uscì dalla stanza. Alla maniglia di Lauren era affissa ancora la targhetta "Do not disturb." Camila ipotizzò che la corvina non fosse riuscita a prendere sonno, sempre a causa del ribaltamento degli emisferi, e che fosse rimasta a vegliare tutta la notte. Non la disturbò, così come richiesto. Tanto non avevano niente schedulato in agenda, non per la mattinata. L'unico evento prefissato era quello serale: l'apposizione della famigerata firma! Ma per il resto, Camila aveva qualche ora d'aria. O, meglio, d'uragano.
Si rifornì al bar, facendo una scorpacciata di fette biscottate e marmellata, fette biscottate e nutella, caffellatte e succo di pesca. Dopo aver saziato la prima fame, la cubana lasciò detto alla reception di avvertire Lauren che non sarebbe stata in albergo fino alle 16. Se avesse avuto bisogno di lei, poteva contattarla oppure trovarla all'indirizzo trascritto sul foglio. In largo anticipo, come piaceva alla corvina, per azzimarsi per la messa televisiva.
Chiamò un taxi e si fece scortare fin sotto casa. Le strade erano un disastro, circolare era un'impresa. Solo pochi avventurieri si addentravano fra le "macerie" della città. Alberi caduti che intralciavano la strada, alcuni tetti scoperchiati, cassonetti rovesciati e oggetti vari che sventagliavano ancora impigliati fra le chiome delle palme, o sventolavano fra le rotte incongrui del vento. Sembrava una città fantasma.
Il tassista fu costretto a lasciarla a qualche metro dall'indirizzo indicato, perché la strada era bloccata da un tronco. Camila lo ringraziò e gli lasciò la mancia.
Il vento soffiava impetuoso. L'ululato le assordava i timpani, il freddo le pungeva ogni arto e, in più, era difficile muoversi in quel turbine impietoso. Un alito di vento spostava agilmente la figura gracile della cubana, che doveva opporre tutte le sue forze per non essere spazzata via come un ramoscello.
Sopraggiunse sul patio in una manciata di minuti. Nessuno avrebbe udito bussare, visto il frastuono che si stava scatenando. La cubana si munì di mazzo di chiavi e aprì la porta, sperando che non avessero cambiato la serratura. Fortunatamente era ancora quella. Girò nella toppa e si infilò nell'ingresso, richiudendo con il chiavistello l'uscio.
«Mamma!» Chiamò a gran voce, sperando di essere udita. Nessuna risposta.
Probabilmente il suo richiamo si era perso nella risacca egocentrica del vento.
Percorse tutto il corridoio, riscaldandosi al tepore della sua accogliente dimora. Era strano essere di nuovo lì, ma ne era felice. Adocchiò la cucina, ma le luci erano tutte spente. Allora si voltò verso il salotto e vide una luce soffusa illuminare l'ambiente. Si approssimò ad essa, ed ecco che sul divano compresero due teste. La televisione aveva ripreso a mandare in onda i cartoni solo poche ore prima, quindi Sofia stava recuperando le lacune del giorno antecedente con una maratona degna di medaglia.
«Mamma.» La richiamò nuovamente la cubana, stavolta con meno enfasi.
La donna si voltò di scatto, un po' impaurita un po' sorpresa. Quando i loro occhi si incrociarono, Sinu quasi non scoppiò a piangere. Dopo la morte del marito era diventata molto più sensibile.
«Oh, mi hija!» Sorrise con voce rotta, andando ad abbracciare la figlia.
Intanto Sofia non si smuoveva di un millimetro dal divano.
«È così bello rivederti.» La voce piena di commozione, la stretta ferrea sulle spalle della cubana, come se avesse paura di cedere e quello fosse l'unico appiglio sicuro.
«Lo è anche per me.» Si strinsero nuovamente in un abbraccio.
Avevano un legame speciale, molto forte. Sinu c'era sempre stata per Camila, e Camila per Sinu. Prima di essere madre e figlia, erano amiche, compagne di vita, confidenti. Lo stesso rapporto si stava instaurando con Sofi, ma la sorella minore era sempre stata più attaccata al padre.
«Ehi, brutta peste.» La salutò amorevolmente Camila, scompigliandole i capelli «Non saluti tua sorella?» Si risentì la cubana.
«Sto guardando, Shh!» Ordinò perentoria la bambina, senza distogliere di un centimetro l'attenzione dello schermo.
Sinu scosse la testa. Solitamente le avrebbe fatto la ramanzina, ma negli ultimi tempi era più clemente perché gli equilibri di Sofia erano molto precari. Anzi, ancora non si potevano nemmeno definire equilibri.
Si spostarono in cucina. Sinu le offrì una tazza di tè al sedano. Camila tentò di declinare, ma la madre insistette. E dato che anche gli equilibri di Sinu non si potevano denominare equilibri, alla fine la cubana accettò.
Si sederono su uno sgabello, l'una di fronte all'altra, con le rispettive tazze in mano e l'infuso di sedano che aromatizzava l'acqua calda. Per quanto la cubana non gradisse quel gusto, doveva ammettere che era un buon balsamo contro il freddo.
«Come vanno le cose a New York?» Si informò sorridente Sinu, chiaramente inorgoglita dai traguardi della figlia.
«Bene. Non è facile conciliare tutto, ma sto bene.» Annuì la cubana, sorseggiando il suo tè.
«Come ti trovi a lavoro? È una bella azienda?» L'entusiasmo della madre era tangibile.
«Molto, si.» Assentì, mentre era impegnata a inzuppare la bustina di tè nell'acqua. Più per gioco che per altro.
«Molto bene se ti offrono anche viaggi gratis per tornare a casa.» Scherzò Sinu, ma nel suo tono risuonò una nota malinconica che non sfuggì a Camila.
«Mamma, non succederà troppo spesso. Non vorrei che tu...» La mano di Sinu l'anticipò, interrompendola.
«No, lo so. Ma sono felice di vederti.» Le carezzò un ginocchio, dedicandole quello sguardo adorante e colmo d'amore che le zampillava negli occhi da sempre.
«Anche io, molto.» La cubana portò una mano sopra quella di sua madre, scuotendola appena.
Sinu si sbarazzò delle tazze, riponendole nell'acquaio. Sbirciò attraverso le fessure delle tapparelle, notando che il cielo si stava rabbuiando di nuovo. C'era clima di tempesta in arrivo.
«Come sei arrivata qui?» Domandò ancora indaffarata a scrutare la valle dei cieli.
«In taxi.»
«Mh.. Tra poco si scatenerà di nuovo un temporale. Forse dovresti andare prima di rimanere intrappolata qui.» Consigliò a malincuore Sinu, essendo al corrente dei progetti della figlia.
«Seriamente?» La cubana sbuffò, arrabbiata con le condizioni meteorologiche avverse.
«Per me puoi restare anche una settimana, ma non so se sia...» Udirono un rumore sordo provenire dall'ingresso.
Entrambe si immobilizzarono, pensando che l'ira del cielo stesse già infuriando. Di nuovo lo stesso rumore. Forse Sofi stava combinando qualcosa...
«Mamma!» Eccola, appunto «Bussano!» Urlò indispettita, dato che già era un'impresa sentire i cartoni animati con quel fracasso, figuriamoci poi con ulteriori rumori sommati.
«Ohhh.» Realizzò la madre, asciugandosi le mani ad un panno e affrettandosi verso la porta.
Camila nel frattempo controllò i messaggi, sperando di non essere... Oh cazzo!! Lauren l'aveva chiamata cinque volte e le aveva inoltrato qualche messaggio. La cubana fece in tempo a scorrerne alcuni, quando poi Sinu tornò in cucina, dimessa e imbarazzata.
«Mi sa che sono visite per te.» Annunciò, riassettandosi al meglio.
La sagoma imponente di Lauren sbucò da dietro l'angolo. Camila scattò in piedi, farfugliando qualcosa.
«Ti stavo cercando. Alla reception mi hanno fornito quest'indirizzo.» Furono le sue parole.
«Si, stavo... Mamma, questa è Lauren, il mio datore di lavoro.» Si schiarì la voce la cubana, tentando di smorzare l'aria.
Lauren tese cordialmente la mano alla donna, che la strinse riluttante. Non era abituata a ricevere ospiti internazionali nella sua cucina, durante un temporale tropicale.
«Scusa l'interruzione, Camila. Prevedono una tempesta fra qualche ora, quindi hanno anticipato il ricevimento.» Motivò la sua risposta la corvina, scrollando il freddo dalle spalle.
«Oh! Certo.» La cubana radunò le sue cose, si coprì bene e salutò sua madre con un abbraccio.
«Mi raccomando. Lo sai che puoi chiamarmi quando vuoi, ok? Non riguardarti.» Le baciò la fronte, infondendole un po' di coraggio con delle rapide carezze sulle braccia.
«Si, si...» Annuì Sinu, pizzicandole la guancia. Era già triste per la partenza della figlia.
«Camila, se devi salutare anche tuo padre, ti aspetto in macchina. Non è un problema.» Si intromise Lauren, che in qualche modo non voleva altro che agevolare la cubana, ma invece la cucina piombò in un silenzio agghiacciante.
Camila inspirò profondamente «No, veramente mio padre non c'è più.» Confessò, suscitando un'espressione interdetta di Lauren che chiaramente non seppe che dire.
«Ciao piccolo mostro!» Salutò Camila la sorella, ancora ipnotizzata davanti a Due Fantagenitori.
«Shhhh!» L'ammonì nuovamente la sorella, provocandole una risatina.
Lauren e Camila vennero assalite dall'aggressivo vento. Entrambe si coprirono il volto, schermandosi come potevano dalle raffiche che erano come frustate.
L'autista di Lauren era parcheggiato poco lontano. La corvina entrò per prima e Camila subito dietro. Partirono velocemente, una corsa contro il tempo... Sia fisico, che meteorologico.
«Andiamo direttamente alla cerimonia. Il tuo vestito è nel bagagliaio, potrai metterlo in camerino.» Comunicò Lauren, senza poggiare lo sguardo sulla cubana.
«D'accordo, grazie mille.» Gliene fu grata la cubana, che sentiva per la prima volta di essere stata negligente verso il suo impiego.
Trascorsero minuti di silenzio che la cubana era abituata a sopportare, ma stavolta fu diverso. Il silenzio di Lauren non era voluto, tanto che era la corvina a sentirsi scomoda in quello statico abitacolo.
«Mi spiace per tuo padre.» Sputò fuori tutto d'un fiato Lauren, sorprendendo la cubana.
Camila virò la testa, inceppandosi nelle sue stesse parole.
«Grazie.» Disse infine, non trovando miglior risposta.
Per il resto del viaggio non scambiarono altre parole.
Pervennero in circa mezz'ora. L'autista parcheggiò al coperto. Lauren aveva spedito una partecipazione anche lui, cosicché trascorresse quelle ore in pace e al caldo. Salirono tutti e tre al piano terra.
Le porte si aprirono su un corridoio largo, ma tetro. Una guardia delle sicurezza prese i loro nominativi e diede il suo beneplacito. Emersero in uno spazio vasto, frenetico. Una moltitudine di persone era in fermento, scorrazzavano da una parte all'altra con vestiti in mano, copioni, pettini, lacche, gel... Chi più ne ha più ne metta!
Un'addetta a trucco e parrucco andò in contro alla combriccola. «Lauren, il vostro camerino è in fondo a sinistra. Il 101.» Poi sfrecciò via, verso altri ospiti appena giunti.
«Ok. Paul, puoi andare in sala, se vuoi.» Disse la corvina e l'autista annuì, dirigendosi verso l'androne già brulicante.
La corvina guidò la cubana attraverso la ressa stipata in quello spazio. Scansarono addette in preda al panico, stand di vestiti parcheggiati un po' dappertutto, personaggi famosi in via di manutenzione. Il camerino era posizionato a poca distanza da loro. Lauren lo aprì con la chiave che le avevano dato in dotazione. Era vuoto.
«Ok, adesso ti cambi. Io aspetto qui.» La corvina le consegnò il vestito, incelofanato in un'apposita copertura.
Camila obbedì diligentemente. Chiuse l'uscio e iniziò a spogliarsi sul tappeto, depositando il vestito, ancora occulto dietro il fagotto, sul sofà scamosciato. Scalciò via gli indumenti comodi, incurante di dove sedimentassero. Adesso, un po' titubante, aprì la cerniera, rivelando l'abito che Lauren aveva scelto per lei.
Era un vestito lungo, nero. Una gamba era completamente esposta, mentre l'altra coperta da uno strascico. Una gala tagliava orizzontalmente addome e torace, terminando sullo spallino destro. Lo scollo a V era abbastanza vertiginoso, ma affatto volgare.
La cubana lo indossò, ma l'errore, forse nella fretta, fu di sottovalutare il reggiseno. La stoffa si incagliò nel gancio, incastrandosi.
Oh, merda. Non adesso, andiamo! Frignò la cubana, tirando il tessuto con cautela.
«Hai fatto?» Una voce rauca dall'altra parte apparve abbastanza impaziente.
«Ehm... C'è un problema.» Si grattò imbarazzata la fronte, osservando la sua espressione preoccupata nello specchio.
«Non ti sta?» Domandò la corvina.
«No, cioè.. si... Ma... è impigliato.» Trattenne il respiro, strizzando gli occhi per la vergogna.
Passarono dei secondi di silenzio, silenzio in cui entrambe ponderavano come risolvere il problema. O forse, ponderavano soltanto se la soluzione più lampante fosse attendibile.
«Posso entrare?» Chiese Lauren, ma dall'urgenza che avevano quella era più una chiave di risoluzione che una domanda.
«Va bene.» Le accordò Camila.
La corvina sgusciò all'interno del camerino, richiudendo la porta alle spalle.
Camila era voltata verso di lei. Il vestito era tirato su fino a sotto il seno, il reggipetto di pizzo nero era ben visibile, come le sue clavicole, le sue spalle e il suo collo. Lauren alzò appena il mento, avanzò un passo solo qualche attimo dopo.
«Girati.» Le disse, e Camila eseguì.
Lauren notò che la stoffa era incastrata a fondo, ma per comprendere il meccanismo di sblocco doveva o usare una lente d'ingrandimento, o avvicinarsi.
Poggiò le mani sui fianchi della cubana, la quale trasalì, ma camuffò il suono in un sospiro. La corvina osservò l'inghippo, capendo che più fili di intersecavano in diversi punti del reggiseno. La pelle di Camila emanava un buon odore, senza essere stata aspersa di alcun profumo specifico. Il colore caramellato dava l'idea di un'abbronzatura lieve e perenne. Lauren si perse nel firmamento di nei che le costellavano le scapole.
Camila occhieggiò la scena attraverso lo specchio posto di lato. Il corpo di Lauren era arcuato, flesso in una curvatura che ricordava quella di uno strumento musicale. Le sue forme erano sinuose, armoniche, elevatamente sensuali. I capelli raccolti su un'unica spalla che spiovevano a cascata. Era focalizzata sull'impiccio, il suo volto teso per la concentrazione.
«Ok, trovato.» Proferì, destando Camila dalla sua trance.
La cubana si sentì quasi colta in fallo, tanto che fece scattare la testa verso il muro davanti a se.
La corvina tornò in posizione eretta, mentre con le dita armeggiava sul gancio.
Camila percepiva il respiro della donna frangersi sulla sua nuca, mentre parlava fra se e se sommessamente. La cubana improvvisamente sentì scottare la zona dei fianchi dove Lauren aveva posato la mano. Era come se un fuoco prendesse vita sotto al palmo della corvina e le infiammasse il bacino. Camila fu costretta ad alzare lo sguardo al cielo e a mordersi il labbro, reprimendo quella sensazione tumultuosa che si stava espandendo fino allo stomaco e giù al basso ventre.
«Camila...» La voce arrochita della donna ad un centimetro dalla sua palle nuda, non fu un toccasana!
«Mh?» Si sforzò di rispondere, mentre le punte dei sui piedi si arricciavano.
«Com'è vivere senza padre?» Lauren era rinomata per la sua proverbiale virtù di saper spiazzare chiunque nei momenti meno aspettati. Ora Camila capiva perché.
«Io... Ecco...» Dovette ricomporsi prima e fare mente locale, per poter articolare una frase di senso compiuto «È difficile, ma soprattutto triste. Volevo bene a mio padre, senza di lui manca qualcosa.» Si aprì inaspettatamente la cubana, che fino a quel momento non aveva ancora parlato con nessuno della morte di suo padre. Con nessuno.
«Ti manca?» Incalzò Lauren, ma in tono gentile e accorto.
«Indubbiamente, sì. Ma ti dirò una cosa. Anche andandosene mi ha insegnato qualcosa, e ogni giorno, con la sua assenza, mi insegna qualcosa. È sempre qui.» Testimoniò a cuore aperto Camila, sospirando e ricacciando le lacrime.
Lauren annuì, taciturna.
«Perché me lo domandi?» Si sentì chiedere la cubana, accorgendosi troppo tardi di aver osato eccessivamente.
«Niente, me lo chiedevo e basta. Okay, sei libera. Ti aspetto di là.» Lauren fuggì velocemente dall'angusta stanza, richiudendo la porta alle sue spalle.
Camila si voltò corrucciata verso l'uscio, più perplessa che mai. Restò a fissare la porta, come se da essa potesse trarre delle risposte, poi scosse il capo e tornò a vestirsi.
Continua...
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