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Capitolo sei



Camila non aveva dormito molto bene negli ultimi giorni. Durante le ore di sole restava chiusa in casa a redarre pagine su pagine riguardanti definizioni aziendali che aveva sentito nominare sì e no poco più di una manciata di volte in vita sua. La maggior parte a cena con suo padre, le altre al telegiornale.

Dinah migrava dall'appartamento di Ally, a quello di Shawn, a quello di Camila. Senza mai passare dal suo. La cubana la ragguagliava sugli eventi, la teneva aggiornata sull'agenda che si programmava automaticamente. Le era stato detto che Venerdì avrebbe avuto un'altra riunione. Voleva prepararsi adeguatamente per affrontare la seduta comune, non solo per orientarsi nei discorsi sollevati, ma anche per familiarizzare con il gergo e possibilmente intervenire.

Dinah la stava aiutando enormemente. Passava a comprare qualcosa da mangiare, lo riscaldava e si fermava a pranzo con lei. Dopodiché le risentiva tutto quello che aveva imparato durante la notte. Tornava a dormire di rado, molto spesso si infiltrava a casa di Shawn, dove sperava sempre di pizzicare Siope.

Camila era oberata di siti dove spigolava e collezionava parole e significati, ma anche di testi di prova dove aveva tentato di ottemperare le richieste mosse da Lucy nella scorsa edizione.

Era molto nervosa, comunque, soprattutto per Lauren. Sperava di non inciampare in lei, ma adesso le sembrava quasi impossibile. Era sicura che la donna si sarebbe in qualche modo presa la sua rivincita. Non pareva il tipo che chiudeva un occhio o si accontentava di un pareggio.

Era giovedì mattina, la cubana stava beneficiando dell'effetto rinvigorente del caffè quando il suo telefono trillò.

Numero sconosciuto.

Stava per attaccare quando si ricordò che l'ultima volta che aveva declinato un numero sconosciuto, era morto suo padre. Il cuore le saltò in gola. La mano tremava quando spinse il tasto verde.

«Pro-pronto?» Fafugliò, strizzando gli occhi.

«Hola chica!» Una voce pimpante vibrò attraverso la comunicazione.

Camila si tranquillizzò. Il timbro non era sconosciuto, ma non riusciva ad associarlo.

«Te acuerdas de mi?» Domandò dilettantesca la voce.

«Ehm... Sinceramente no, mi spiace. Ha sbagliato numero?» Si grattò la nuca Camila, confusa.

«Mi ritengo offesa.» Sospirò la donna «Sono Normani, ciao, la tua meravigliosa collega. Lo so, lo so, ciao.» Si introdusse modestamente la ragazza.

Camila balzò in piedi, ricomponendosi nervosamente, come se Normani potesse vederla con il pigiama, la coda di cavallo, gli antiscivolo e la faccia struccata.

«Scusami, non avevo collegato.» Si giustificò la cubana.

«Strano. Di solito cadono tutti ai miei piedi dopo il primo "ciao".» Scherzò la donna, disgelando la teleferica.

Camila ridacchiò, ancora un po' agitata.

«Tu non mi hai chiamata, quindi ho preso la situazione in mano!» Esclamò briosamente.

«Oh.. giusto, scusami. Sono stata impegnata con... il lavoro.» Disse una mezza verità la cubana, che ora guardava i fogli spaesata, in preda ad un blackout.

«Capisco. Ci fanno sgobbare, lo so. Ecco perché esisto io!» Si classificò come una pseudo eroina, strappando un'altra risatina alla cubana che ogni tanto mostrava ilarità solo per compiacerla. «Stavo pensando che potremmo fare aperitivo fuori, discutere di qualche pratica lavorativa. Che ne pensi, chica

Camila avrebbe voluto soltanto ricusare l'offerta e tornare a ficcare il naso nel malloppo di pagine che la fissavano ammonitrici, ma il sudore le aveva imperlato il collo e le mani erano già madide: paura di risultare scortese.

«Ah... beh, mi sembra... si, cioè, mi sembra un'ottima idea. Perché no.» Farneticò, già pentita della sua risposta.

«Ah-ah! Vedi che è stato fin troppo facile. Ammettilo, hai fatto finta di scordarti chi ero solo per darti qualche aria. Eh, ma io lo so di essere irresistibile.» Si pavoneggiò Normani, sempre investita di quell'ironia che sotto sotto poteva anche essere scambiata per insicurezza.

«Cosa? No! Non, non lo farei mai...» Tartagliando.

«Sto scherzando, chica. Ti aspetto da Bezzy, è il mio pub preferito. Puntuale! Adios.» Si raccomandò.

«Aspetta, non mi hai detto l'orari..» Niente, aveva già attaccato.

Camila guardò lo schermo, poi il risma che aveva stilato fino ad ora e bramì frustrata, avviandosi poi verso la camera.

Non sapeva come vestirsi, dal momento che non era un'uscita formale, ma nemmeno informale. Optò per una via di mezzo: pantaloni neri a sigaretta, camicia bianca, giacca nera e scarpe da ginnastica. Un mix perfetto.

Il pub si trovava a qualche isolato. A piedi avrebbe impiegato circa mezz'ora, ma dato che Normani le aveva categoricamente ordinato di essere puntuale -anche se non aveva specificato puntuale per quale ora-, Camila decise di chiamare un taxi.

Sopraggiunse in circa quattro minuti. Il tassista pensò sicuramente che era una scansafatiche.

La cubana entrò nel pub quatta quatta. Vi erano una dozzina di avventori, un quantitativo relativamente scarso per l'ampio spazio che disponevano. C'era un clima festoso, le luci che coloravano le pareti roteando anche sul soffitto, ma senza l'accompagnamento della musica. Camila perlustrò ogni tavolo, ma di Normani non vi era traccia.

Si accomodò su una sgabello e ordinò una coca-cola per ingannare l'attesa. Mentre era sola, pensava alle parole che stava studiando, sperando di ricordare il significato almeno della metà di queste. E fu quando stava ripassando la definizione di PIL che una pacca affondò sulla sua gracile spalla.

«Compañera, Que haces?» La salutò frizzante Normani, ordinando al cameriere una birra.

«Stavo... stavo. In realtà non stavo facendo niente.» Camila doveva ancora capire perché la gentilezza la metteva in soggezione.

«Eres bonita.» Si complimentò Normani, ammiccando.

«Està.» La corresse Camila.

«L'ho sempre sospettato che i tutor online fossero una truffa. Che cazzo. Vabbè, fa lo stesso.» Si bagnò le labbra con il liquido ai tre luppoli, gradendo il sapore che le impastava la bocca.

Quando ebbe finito di trangugiare metà birra, depose il boccale e rivolse l'attenzione alla cubana, ancora indaffarata a sorseggiare la coca-cola.

«Allora, che ne pensi della politica aziendale?» Intavolò Normani, disinvolta.

Porca troia. Tossì Camila, colta in contropiede.

«Ehm.. Beh, si.. Molto... molto pragmatica.» Adesso anche lei aveva bisogno di una birra.

«Pragmatica. Uhm, mi piace il tuo glossario.» Annuì Normani, mentre terminava l'ultima frazione di birra.

Camila si rivolse gentilmente al barman e anche lei scelse una birra, ma non quella in bottiglia, una loro specialità.

«E degli investitori, ti sei fatta un'idea?» Sondò il terreno Normani, ma, a detta di Camila, stava tergiversando.

«No, direi di no. Li ho appena visti, non ho parlato con nessuno di loro.» Spiegò la cubana, finalmente in possesso della sua birra.

La portò alle labbra e iniziò a bere.

«Capisco..» Abbassò lo sguardo Normani, disegnando il contorno del boccale con l'indice.

«E di Lauren cosa pensi?» Sganciò la bomba, rendendosi colpevole quasi di omicidio.

Camila tossì energicamente. La birra le era andata di traverso. Impiegò qualche minuto per riprendersi.

«Ho detto qualcosa di sbagliato?» Pretese ingenuità Normani, che aveva già fiutato qualcosa dal colloquio riservato con Lauren.

«No, no...» Giù un altro sostanzioso sorso di birra. Aveva decisamente toccato un punto dolente. «È solo che, non la conosco molto... Non ci siamo nemmeno presentate, si può dire così.» Innalzò un angolo della bocca, visibilmente a disagio.

Normani deteneva due primati: quello di donne che si era portata a letto, e quello di donne che aveva fatto cantare senza nemmeno sforzarsi. Sapeva che c'era fuoco sotto la cenere, ed era pronta ad aizzarlo. Non perché volesse mettere i bastoni fra le ruote di Camila, tutt'altro! Perché vedeva in lei una risorsa. E anche perché era curiosa.

«Lauren non è un tipo facile, soprattutto se ti prende in antipatia...» Gettò il sasso Normani, osservando che reazione avrebbe innescato.

Camila incordò le spalle e strinse con più forza il manico del boccale, sbiancando le nocche.

«Perché..» Si schiarì la voce, leggermente acutizzata «Perché dici così?»

«Perché mi stai simpatica e voglio avvertirti, tutto qui.» Sorrise affabilmente, leccandosi le labbra intrise di birra.

Camila inspirò profondamente e tutto d'un fiato le raccontò quello che era successo in sala riunioni. Parlava talmente veloce che Normani si chiese se le fosse rimasto un filo di respiro quando ebbe concluso.

«Quindi l'hai chiamata Guapa e le hai dato della bambina?» Strabuzzò gli occhi Normani, attendendo conferma.

Camila temporeggiò, poi, sconsolata, annuì.

Normani scoppiò in una risata fragorosa che attirò l'attenzione degli astanti. Probabilmente tacciarono la birra per la ridarella compulsiva.

«È tanto grave?» Socchiuse gli occhi la cubana, sempre più amareggiata.

«Diamine si!» E continuò a ridere a crepapelle, premendo le mani sulla pancia che dallo sforzo le doleva.

Camila poggiò i gomiti sul bancone e sprofondò  nella conca delle mani, senza speranza.

«No, ehi.» Normani si rassettò, ricacciando l'ilarità per investirsi di una certa autorità «Sta tranquilla. Non devi abbatterti. Non starò qui a dirti che Lauren ti renderà la vita facile, ma sono sicura che sotto sotto apprezzi chi sa tenerle testa.» La galvanizzò, dandole un effimero pugno sulla spalla per infonderle un po' di fiducia e coraggio.

«Spero tu abbia ragione.» Sospirò angosciata la cubana, bevendo l'ultimo sorso del fondale.

«Ripetimi come le hai detto.» La supplicò Normani, ancora basita ed estasiata dalla narrazione.

«Guapa.» Sussurrò la cubana, venendo poi travolta dalla risata di Normani.

«Beh, però, Guapa è Guapa.» Notificò la ragazza, tentando di allentare i sensi di colpa della cubana.

«Le ho anche detto che non sapevo chi fosse.» Soggiunse Camila.

E stavolta Normani non finì di ridere per dieci minuti interi.

                                     *****

Venerdì mattina, Camila iniziò a preparasi per la riunione attorno alle nove. Aveva preso un largo anticipo perché sentiva il fiato sul collo, come se il tempo non fosse abbastanza. Eppure vantava un record di puntualità invidiabile. Figurarsi, era riuscita ad arrivare in orario anche con Normani che un orario non glielo aveva dato proprio!
Però, dopo l'increscioso incidente con Lauren, l'ultima cosa che voleva era aggravare la situazione.

Indossò uno dei suoi acerrimi nemici: il tailleur. Adorava lo stile e come le calzava, però era convinta di sfoggiarlo ridicolmente. Dinah la convinse del contrario, e ci tenne anche a specificare che se non avesse indossato quel completo, l'avrebbe legata e costretta a metterlo. Camila scelse l'opzione meno violenta possibile, dato che a Dinah sapeva di non potersi ribellare.

L'accompagnò all'auto e le augurò in bocca al lupo, ma sopratutto le ricordò di fare meditazione e allenare il respiro, cosa che le sarebbe tornata utile per un eventuale sfortunato incontro.

La cubana seguì il suo consiglio e per tutto il viaggio non ascoltò altro che le lezioni del telefono, dialogando solo con la sua respirazione. Quando raggiunse il parcheggio sotterraneo era decisamente più rilassata.

Come la volta precedente mostrò il suo lasciapassare, ma non si registrò nella hall essendo già inserita nell'archivio. Proseguì verso i tornelli e salì al 102esimo piano. Quando le porte dell'ascensore si aprirono suol corridoio spazioso, tutte le lezioni di meditazioni andarono a farsi benedire.

Il suo respiro si era imbizzarrito, domarlo era pressoché impossibile. Per quanto la cubana tentasse di ripescare gli apprendimenti e metterli in pratica, le prega che l'ossigeno arrivasse ridotto ai polinomi e uscisse il doppio di quello che avrebbe dovuto trattenere.

La prima persona che riconobbe fu Chelsea. Essendo un nome abbastanza originale, l'aveva memorizzato facilmente.

La bionda la salutò gioviale, le chiese anche come stesse e se si fosse un po' ambientata. La cubana rispose a monosillabi, perché ancora guardinga e sgomenta. Fortunatamente arrivò Normani a salvarla.

«Chelsea, non pensare di portartela a letto.» L'avvisò Normani, celiando.

«Sempre la stessa.» Scosse la testa la bionda, arresa oramai.

Normani cinse le spalle della cubana e la guidò verso la sala riunioni. Le chiese se sentisse pronta e Camila parlottò barbugliando, ammettendo di essere molto spaventata di inceppare in Lauren. Già, Normani aveva omesso un piccolissimo dettaglio. Che sarebbe stata proprio Lauren a presenziare la riunione.

«Tu respira e basta, ok?» Le sorrise mentre si stavano sedendo al tavolo.

Ci sto provando. Espirò sonoramente la cubana.

Dopo circa dieci minuti la stanza si colmò. Ormai Lucy sarebbe entrata da un momento all'altro, ma invece, quando la porta si aprì, scattarono tutti in piedi. Normani toccò il gomito della cubana, sobillandola ad emularla. Camila corrugò la fronte, perplessa.

«Buongiorno.» Una familiare voce rauca riecheggiò fra le file.

Tutti si sedettero. Quello doveva essere il segnale di relax.

Camila non aveva il coraggio di alzare gli occhi e osservare la punta del tavolo, perché già sapeva. Normani le titillò il fianco, come per spronarla. «È maleducazione tenere gli occhi bassi.» Mormorò.

Camila ingoiò a vuoto, avendo la bocca ormai prosciugata. Quando alzò lo sguardo e lo indirizzò verso il congiungimento della stanza, incontrò una figura conosciuta che le mozzicò il respiro.

Cazzo, cazzo, cazzo...

«Bene.» Disse quando ebbe finito di sistemare i documenti. I suoi grandi occhi sorvolarono su tutta la stanza e si soffermarono su Camila. Un fievole sorriso perverso le lambì le labbra.
«Iniziamo.»

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