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Capitolo quattro




Dinah e Camila avevano vagabondato tutta la mattina per negozi. Non per volontà della cubana, anzi! Era stata trascinata dall'amica che era più elettrizzata di lei all'idea che avrebbe speso un intero pomeriggio ai piani alti. Camila aveva tentato anche di farle vivere quell'emozione in prima persona, dato che a lei non importava niente. Ma Dinah, anche se tentata di lasciarsi irretire, aveva declinato l'offerta, citando Ally in una delle sue più celebri orazioni "Non si interferisce con il volere di Dio". E secondo Dinah quello era tutto un piano divino che lei doveva solo guidare senza intralciare.

«Devi passare meno tempo con Ally.» Aveva commentato Camila prima che la polinesiana le chiudesse la tenda del camerino in faccia.

Aveva provato e riprovato più marche e stili di abito, senza però convincere il senso critico di Dinah che perpetuava il calvario. "Troppo stretto, troppo largo. Che brutte maniche! Oh, ti prego, quell'orlo è orrendo. No, non ci siamo. E questo da dove esce? Il prossimo! Andiamo, blu e nero insieme? Seriamente? Prova l'altro, dai, veloce!"

Camila era sfinita, non sentiva più i piedi -si, in concomitanza con lo sfoggio dei vestiti era stata sottoposta anche alla prova dei tacchi-, era affamata e non vedeva l'ora di dormire.

«L'ultimo sforzo e poi andiamo a casa.» La lesse nel pensiero Dinah, o forse la tenda non era abbastanza spessa da insonorizzare i suoi sospiri annoiati.

Camila uscì dal camerino. Stavolta nessuna smorfia imbruttì il viso della polinesiana, nessun commento acido declassò il vestito, nessun cambiamento che avrebbe adoperato aleggiò nell'aria. Solo un battito di ciglia e un sorriso compiaciuto.

«Ohh, si.» Annuì maliziosa la polinesiana.

Camila raggiunse faticosamente il cartellino, notando il prezzo da capogiro.

«Dinah, non posso permetterlo.» Sibilò, facendo attenzione a non essere udita dalla commessa che deambulava per il negozio.

«Ehm, pronto? Hai un conto da 5... pardon. Da 2 milioni di dollari. Diamine, potresti comprarti questo bugigattolo se volessi!» Esclamò un po' troppo ditirambica, intascando un'occhiata truce dalla commessa che scodinzolò via con fare impettito e offeso.

Comprarono il vestito. Un abito nero, non troppo lungo, all'altezza del ginocchio, con uno spacco raffinato e sensuale sulla coscia che serpeggiava fino a poco sotto l'anca. Avrebbe indossato un cappotto nero, lungo, sopra di esso, con i tacchi che avevano acquistato nello stesso negozio.

Dopo le compere, Dinah le chiese di mangiare qualcosa al ristorante cinese che faceva angolo. Camila accettò, sapendo bene quanto raramente succedesse che la polinesiana accontentasse uno dei suoi più grandi vizi: la passione per il cibo.

Parlarono del più e del meno. Dinah le confidò che Shawn ci stava provando spudoratamente con lei, ma che la sua attenzione era rivolta al fratello di quest'ultimo, Siope. Era più grande di loro qualche di anno, quindi era difficile che fosse in casa quando c'erano anche loro, visto che usciva con un'altra comitiva. Però era avvolto in quell'alone di mistero che tanto stregava, con quegli occhi profondi e neri che ti catturavano al primo sguardo maldestro e speravi tanto che ti riguardassero ancora.

«Non puoi innamorarti di un po' di mistero e due occhi profondi.» La schernì bonariamente la cubana, intingendo un raviolo al vapore nella salsa agrodolce.

«Mi spiace per te se non hai ancora incontrato qualcuno di così magnetico, ma ti assicuro che esiste!» Puntualizzò inalberata la polinesiana, mordendo l'involtino primavera.

«Ok, ok.» Alzò le mani in aria Camila, ancora non convinta però della sua affermazione «Se lo dici tu.»

Dopo aver consumato il pranzo, si diressero a casa di Ally, dove guardarono tutte assieme un film uscito in prima visione da poco. "Siamo troppo povere per permetterci il cinema", "Concordo", "Eh già", "No, tu, taci!!". Giocavano molto sull'eredità della cubana, avendo ormai confezionato la storia come pacchetto di amichevole scherno.

Nei giorni seguenti Camila studiò economia, a spizzichi e bocconi, dilettandosi ad evidenziare qua e là. Amava gli evidenziatori, qualsiasi cosa concernete la cartoleria era come una dipendenza per lei. Cartolainomane. Esisteva? Ora si. Non si scollò un minuto dal computer, o dai libri che aveva raccattato in biblioteca. Rimase sveglia fino alle quattro di notte, con una dose di caffeina come fosse una flebo, e le chiacchiere instancabili di Dinah che avrebbe prorogato i suoi racconti anche per altre tre settimane insonni. La notte del venerdì sera collassò alle otto, senza nemmeno aver cenato, e si svegliò alle sette della mattina dopo.
Era il momento di mettere in atto i suoi apprendimenti.

Dinah era in fermento già di prima mattina, il che poteva essere considerata una preziosa novità. Le aveva preparato il caffè e un termos da portare con se. Aveva contatto il proprietario dell'auto a nolo che avevano affittato per quel giorno, dato che Camila si era rifiutata indiscutibilmente di comprare un'auto che avrebbe usato si e no tre volte l'anno. Le aveva stirato il vestito e attaccato l'arriccia capelli. Poi aveva bevuto anche lei una tazza di caffè come ricompensa personale.

Camila aveva seguito alla lettera tutte le istruzioni impartite dall'amica e dopo un'ora e mezza era vestita, acconciata, truccata e pronta a partire.

«Ti ricordi come si guida, vero?» Si era accertata la polinesiana, contando che erano più di 4 anni che Camila non toccava un volante o un cambio manuale.

«Vedrò di arrivare integra.» La canzonò leggermente, beccandosi un pugno sul braccio.

Prima di scendere per la tromba delle scale e avventurarsi in questa inverosimile faccenda, Camila abbracciò la polinesiana come se fosse l'altra ad aver bisogno di forza e non lei.

«Fatti valere.» Fu l'ultimo incoraggiamento da parte dell'amica.

Camila inspirò profondamente quando rimase sola fra il caos di New York e il caos dentro di lei. Fra l'incudine e il martello. La macchina era stata gentilmente scortata sotto casa, così ritirò le chiavi dal ragazzo che si era incaricato di guidarla fin lì, e si immise nell'imbottigliamento newyorkese.

Frizione, cambio, accelera... Puoi farcela. Respirò.

Inserì la destinazione sul gps. Avrebbe impiegato circa un'ora per arrivare, così fece partire la radio e si rilassò al sound di qualche vecchio pezzo che trasmettevano.

Si sentiva combattuta. Era felice da una parte di esperire quella nuova esperienza, ma ne era anche intimidita. Non era arrivata lì grazie ad anni di studi o sacrifici, forse suo padre sarebbe potuto arrivare lì grazie al suo sodo impegno, ma lei no! Lei era lì grazie proprio all'impegno di suo padre. Era una specie di raccomandata o cosa!? Rallentò.

Non poteva certo irrompere in un azienda multinazionale in preda ad una crisi nevrotica. Dinah aveva pensato anche a quello e le aveva previdentemente scaricato un'applicazione di meditazione che lavorava sul respiro. Camila l'aprì e imitò la figura tridimensionale sullo schermo. Inspira, trattieni, trattieni, espira. Focalizza i tuoi pensieri negativi e spazzali via, lasciando spazio solo al respiro. Inspira, trattieni... Beh, doveva dire che la stava aiutando davvero.

Quando il navigatore con il quale aveva socializzato per tutto il tragitto smise di parlare, capì di essere arrivata. Si sporse dal finestrino del passeggero e... Cazzo.

Un edificio imponente e maestoso si ergeva sulla sua destra. Minimo era composto da più di cento piani, massiccio. Svettava nel cielo sgombrando dalle nuvole, sembrava essere tutt'uno con la volta celeste. Una grande scritta "TOWERS" torreggiava in cima, nera, bordate da luci che di giorni creavano un effetto bianco a contrasto, ma di notte si illuminavano dando risalto al nome.

«Wow.» Camila lasciò andare un sospiro estatico, poi dovette per forza spostarsi perché gli automobilisti dietro di lei strombazzarono impazienti i clacson.

Posteggiò nell'apposito parcheggio riservato al personale. Aveva ricevuto il badge a casa, ma prima di scovarlo e mostrarlo alla guardia all'entrata impiegò diversi minuti, ancora esagitata com'era.

L'ascensore la portò direttamente nella hall. Uno spiazzo grande quanto un paese si allargò davanti ai suoi occhi. Uomini in giacca e cravatta trasportavano le ventiquattr'ore con passo spedito, mentre le donne spiccavano di più per colore e suono, accompagnate da uno charme per niente naturale e i tacchi all'ultimo grido. Camila si stirò il vestito, sentendosi in soggezione. Era un'outsider, lì dentro. Era più che evidente.

Si fece coraggio, rammentando le lezioni di meditazione appena imparate, e poi si incamminò verso la lunga e semi rotonda scrivania bianca che presidiava l'ingresso, smaltendo i visitatori qua e là.

Le venne chiesto il badge e poi, dopo averla registrata nell'archivio online, le venne accordato il permesso per salire.

«Ultimo piano, prego. Avanti il prossimo.»

Ultim... Ok. Camila si avviò verso l'ascensore dove aver superato ulteriori controlli e quei fastidiosi "girelli" nei quali aveva sempre il timore di rimanere incagliata.

Ultimo piano, ultimo piano... Cosa?!?!! Numero 102.

Camila non era un'amante degli spazi angusti, specialmente se erano colonizzati da più persone e da più varietà di profumi. Impiegò circa cinque minuti per arrivare in cima, e fu ben felice di ossigenarsi.

Entrò attraverso delle porte a vetri in un ampio corridoio, tempestato di quadri e riconoscimenti vari. Quattro segretarie erano gli avamposti per surclassare il confine. Camila venne riconosciuta tramite il profilo creato precedentemente nella hall e fatta accomodare in una sala riunioni gargantuesca.

Era uno spazio finito ma infinito. Una stanza rettangolare che comprendeva un tavolo di almeno venticinque persone, con uno schermo enorme e un video proiettore, dotata delle tecnologia più all'avanguardia. Sembrava infinito perché le finestre erano dei mastodontici vetri che spiovevano su New York, offrendo una visuale pulita e quasi tangibile della città sottostante. Camila dovette compassarsi per non sospirare ammaliata e stupefatta.

«Attenda pure con gli altri.» Le sorrise la segretaria che l'aveva accompagna, trotterellando poi verso la sua postazione.

Alcuni investitori erano già presenti al tavolo. La maggior parte erano uomini, ma Camila intravide anche una decina di donne. Una di loro era già seduta e, a pelle, le sembrava la più simpatica, così si avvicinò e domandò timorosamente «Posso sedermi qui?»

La donna aveva un bellissimo viso, ma ancora di più un sorriso abbagliante «Ma certo, prego.» L'aiutò con la borsa e il computer, indicandole dove potesse ricaricarlo e come potesse accedere al sito comune che sfruttavano per collegarsi con i contenuti multimediali trasmessi contemporaneamente sul proiettore.

«Tu devi essere quella nuova.» Insinuò la donna, sorridendo sotto i baffi.

«Si.» Annuì la cubana, rassettando ancora il vestito.

«Sono Normani, piacere.» Le tese la mano.

La cubana la strinse con poca forza «Camila.»

«Bel nome.» Le sorrise cordiale la donna di colore, che ogni minuto diventava più affascinante.

«Grazie.» Si ricompose la cubana, mascherando il rossore che solitamente l'avvampava quando me veniva posto un complimento.

«Sai in cosa consiste la riunione?» Domandò Normani, ma non c'era dileggio nelle sue parole, solo una gentilezza innata e una naturale predisposizione a mettere a loro agio gli altri.

«Onestamente, non so molto.» Fu sincera Camila, sperando che lei potesse aiutarla. Ma soprattutto che si stesse fidando della persona giusta. Era facile commettere uno sbaglio e finire nelle mani di qualche doppiogiochista.

«Guarda, a grandi linee, discutiamo dei progetti che abbiamo, dei fondi che disponiamo, della percentuale che vorremo ricavare, di come far fruttare un'idea magari che un'altra, di quali aziende ci preoccupano e quali invece vorremo farci amiche. Non sono cose difficili. Come te la cavi con la matematica?» Chiese la donna, magnanima.

Bene, avevo 4. Alla grande. Pensò la cubana, ma non lo menzionò.

«Ah... discretamente.» Millantò.

«Allora sei a cavallo.» La rassicurò Normani che, date le domande mirate che aveva posto, forse aveva fatto qualche ricerca su di lei... Ma Camila non voleva essere paranoica.

Una donna dall'andatura frettolosa e il taglio di capelli sbarazzino entrò nella stanza. Cadde il silenzio. Camila sentiva solo il suo cuore, e ricorse anche stavolta alle tecniche di meditazione. Inspira, trattieni, trattieni, espira. Via il negativo. Respira...

«Buongiorno a tutti, oggi non abbiamo molto tempo perché la sala è prenotata per un incontro importante fra un'ora, quindi iniziamo. William, che ci dici? Dammi buone notizie, per favore.» Usò il fianco come stampella, sospirando.

Un uomo basso e tarchiato con un accento birignao prese la parole «I sondaggi vanno bene, le quote continuano a crescere. Attualmente siamo in testa, ma la Erkerson ci sta con il fiato sul collo.» Alzò le dita incrociate, come segno di fortuna.

Lucy, così aveva appreso si chiamasse la donna che stava presenziando, si sedette. «Accidenti a loro e al motore ecologico del cazzo... Va bene. Chelsea, sul versante indice di gradimento?»

«Le nostre auto sono sempre le prime a comparire in film, giornali, riviste e ad essere acquistate da grandi nomi del cinema, ma... Alcuni si sono lamentati dei sedili.» Ragguagliò Chelsea, una donna con un caschetto biondo brioso e l'intercalare britannico.

«Bene. Normani, novità?» Adesso gli occhi della donna guizzarono verso il loro fronte.

A Camila non sfuggì l'occhiata interdetta che le lanciò.

«Non ancora. Ho contattato la Tyser per sapere se volessero collaborare, ma il costo è un po' alto e penso di doverlo valutare con Lauren prima di prendere una decisione.» Unì le mani davanti a se, scrollando le spalle.

Lucy serrò la mascella «Ovviamente.»

Dagli sguardi sinistri che si scagliavano non  sembrava scorrere buon sangue fra le due.

«Bene, allora. Anche io ho delle novità. Lauren sta per lanciare un'altra proposta sul mercato. Mancano gli ultimi iter burocratici e saremo a cavallo. Voglio che tutti voi lavoriate sul brand, sulla pubblicizzazione del prodotto, che teniate d'occhio lo spread e il gradimento. Tutto chiaro? Bene, siete liberi di andare. Ciao, ciao.» Incettò i suoi documenti e galoppò via, indaffarata come non mai.

Prima di chiudere la porta a vetri alle sue spalle, lanciò un'ultima furtiva occhiata verso Camila. Ma non così furtiva come credette, dato che la cubana la colse eccome.

Normani sorrise alla collega «Beh, hai capito qualcosa?»

«Ehm? Oh! Certo, certo. Come no.» Annuì energicamente la cubana, anche stavolta sprovvista di erudimenti necessari.

«Senti, se vuoi impratichirti, possiamo lavorare  insieme. Ti lascio il mio numero, d'accordo? Buona giornata, Camila.» Le passò un'affabile carezza sul braccio e lasciò celere la stanza.

La cubana arrabattò i suoi beni personali, sbrigandosi a lasciare la stanza. Non voleva essere l'ultima ad uscire. Imbracciò la borsa e si diresse verso l'uscita, intraprendendo il tragitto a ritroso.

Fu quando stava uscendo che si rese conto di non avere le chiavi dell'auto con se. Il panico l'assalì seduta stante. Se non riconsegnava le chiavi, le toccava pagare la bellezza di 500 dollari. Ok, per lei non erano niente, ma si trattava di un fatto di integrità e poi l'imbarazzo, oh mio Dio, che vergogna.

«Mi scusi.» Prenotò cordialmente l'attenzione della segretaria china sul computer «Credo di aver dimenticato una cosa in sala riunioni, posso andare a controllare?»

«Ma certo.» Sorrise la donna.

Camila sgambettò velocemente verso la stanza. Ormai era completamente vuota. La cubana controllò la sua postazione, non scovando niente fuori posto. Si accovacciò per controllare a terra e... Eccole là! In fondo! Gattonò sulla moquette, protendendo il braccio fino a lambire la chiave.

«Andiamo, brutta stronza.» Mormorò chiaramente, sfiorandola ma senza agguantarla.

«Presa!» Esultò.

«Ehm-ehm. Posso aiutarla?» Qualcuno si schiarì la voce, cogliendola in flagrante. Camila perse un battito.

Presa alla sprovvista, si alzò, ricordandosi troppo tardi di essere incastrata sotto al tavolo. Sbatté la testa contro la superficie, producendo un rumore sordo.

«Cazzo.» Mormorò, massaggiando la zona lesa.

Retrocesse lentamente, alzandosi poi sulle sue gambe.

Davanti a lei, a pochi metri da lei a dire il vero, c'era una donna. Alta, sinuosa, profumo talmente spiccato e buono che le inebriò le narici persino da quella distanza. Capelli folti e ricci, corvini. Occhi. Macché occhi, quelli erano smeraldi.

«No, ho dimenticato le chiavi.» Le fece dondolare sulla punta dell'indice, per poi rinchiuderle nel palmo.

«Ha dimenticato le chiavi sotto al tavolo?» Arcuò un sopracciglio la donna, scettica e sarcastica.

Oh, questa mi sta già sulle palle. Ponderò Camila, innervosita.

«Mi sono scivolate.» Si obbligò a rispondere, forzando un sorriso.

«Lei sarebbe?» La donna portò le braccia conserte, studiando scrupolosamente la cubana.

Camila si sentiva a disagio sotto quello sguardo di natura felino e avverso. Valutando il contesto in cui si trovava avrebbe dovuto abbassare la cresta e rispondere, ma non era nel suo dna essere remissiva.

«E lei sarebbe?» Replicò a sua volta, sfacciata.

I bellissimi lineamenti della donna -perché oggettivamente riconosceva fosse una bella donna- si contrassero poco dopo in un sorriso che progredì in un riso.

Ma ride? Di me? Questa è matta. Scosse la testa Camila, alzando gli occhi al cielo.

«Ma hai almeno diciotto anni?» Si informò la corvina.

«Compiuti certamente prima di te.» Replicò caustica Camila, altamente infastidita, che non contenta aggiunse...

«E comunque, se proprio ci tieni a saperlo, io sono un investitore. Quindi... sta' attenta, guapa.» Pessima uscita. Avrebbe voluto tubare più altezzosa, ma invece uscì fuori sotto forma di irrisorio scherno.

«Ah si?» Domandò ancora sorridente la donna, avanzando qualche passo. Il suo profumo si fece sempre più soave, era veramente buonissimo.

Adesso era più vicina a Camila di quanto volesse. Per un secondo la cubana Si dimenticò dell'alterco, annebbiata dal viso sensuale e quasi artistico della donna.

«Grazie per l'informazione.» Sibilò con un sorrisetto perverso.

«Grazie a te.» Rispose risentita la cubana, tirando giù la gonna del vestito e camminando tronfia fuori dalla stanza.

Sentì lo sguardo della donna bruciare sulla sua schiena finché non svoltò l'angolo.

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