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Capitolo quattordici



Camila terminò di acconciarsi venti minuti dopo. Dopo essersi vestita, passò dalla postazione trucco. Poi venne trasferita in mano dei parrucchieri, che lei era solita soprannominare Mani di forbici, traendo ispirazione dall'omonimo film Edward mani di forbici. Infine fu pronta per fare il suo ingresso in sala.

Entrò attraverso una tenda di velluto rossa, sbucando in un androne immenso. Lo spazio era completamente adibito per tavoli pomposi che ospitavano nomi importanti, molti dei quali amici di Malek. Le pareti erano state rivestite interamente di rosso, mentre il pavimento era lucido, di marmo. Alcuni camerieri transitavano compostamente fra i tavoli, servendo i bicchieri vuoti o riempiendo quelli a metà.

Lauren era seduta sotto al palco, ad un tavolo rotondo assieme a Malek e altri due signori che Camila non conosceva. Lì raggiunse, inspirando ed espirando profondamente.

«Buonasera.» Si presentò spontaneamente, prendendo posto accanto a Lauren.

Malek le baciò la mano con la stessa concupiscenza della scorsa volta. Gli altri due signori, più attempati e meno maliziosi, si presentarono con una semplice stretta professionale. Ronald Gamble, il signore con il pizzetto bianco e il cilindro in testa, fu il primo a introdursi. Gestiva un'azienda di motori che avevano spopolato nel mondo delle auto d'epoca. Mentre il secondo, quello con la carnagione cadaverica e i baffi arricciati, fu il secondo. Si chiamava Arnold Zurieg, ed era prioritario di una scuderia di macchine da corsa, in competizione spesso con Lauren, ma solo sul circuito, nella vita erano buoni amici.

I due disquisirono riguardo motori, sedili, marketing, verniciature, pneumatici, volanti e quant'altro, catechizzando la cubana a quella fede religiosa. Le telecamere si accesero verso le nove e mezzo, quando i primi a salire sul palco furono i fondatori delle aziende più antiquate, e quindi vetuste, che ricevettero il plauso del pubblico e tennero un discorso commemorativo. Poi si passò alla categoria motocicli, dove anche qui vennero premiate associazioni famose e non.

Era una bella cerimonia, pensata nei minimi dettagli. Solitamente i personaggi che tenevano concione erano nobilitati da una diapositiva alle loro spalle che riassumeva la loro carriera, elencando i punti più importanti, con allegata una foto. Camila immaginava sua mamma, Normani, Dinah e altri milioni di persone davanti alla tv. Pochi mesi fa anche lei era inclusa in quella manica di persone, ora si trovava fra i fortunati che sedevano direttamente "dentro la tv". Era incredibile quanto tutto potesse cambiare.

L'unica certezza che è abbiamo è che tutto cambierà.

Malek venne convocato sul palco, al che abbottonò la giacca, si assicurò la cravatta fosse al posto giusto, e sguainò il suo sorriso migliore. Salutò il pubblico, sia fisico che virtuale, con composta simpatia, mantenendo fede alla reputazione da "Principe del popolo".

«Buonasera a tutti, grazie per avermi ospitato qui stasera! Wow, siete davvero tanti visti da quassù. No Richard, è troppo tardi per nascondere quella brutta cravatta. L'ho già vista.» Ammiccò amichevole, scaturendo una risata da parte di tutto il pubblico, che accoglieva sempre di buon grado la parlantina spigliata e per niente arrogante di Malek.

«Beh, che dire. Quando mio padre instituì questa società, operava nello scantinato con mio zio Albert. La connessione Wi-Fi era pessima, e l'umidità irrespirabile. Poi, quasi trent'anni dopo, io mi sono ritrovato alla scrivania di un edificio succursale che pendeva su Miami. Ne hanno fatti di progressi. Stasera ritiro io questo premio, ma è mio padre il vero vincitore. Grazie!» Issò vittorioso la statuetta in aria, brandendola con la fierezza di chi ha dato la vita per quel progetto.

Un assistente di occupò di ritirare il premio placcato in oro, ma rimase protagonista indiscusso del palcoscenico.

«Scusate se rubo altro tempo con la mia brutta faccia, che non sarà mai brutta come quella cravatta, Riccie.» Derise nuovamente un personaggio fra la platea, guadagnando applauso e risata simultanei.

«Vorrei prendere l'occasione non solo per annunciare una delle figure emergenti più quotate di tutto il Mondo, ma anche per ringraziarla per aver dato fiducia alla Tyser per una futura e concreta collaborazione. Fate un bell'applauso per la regina indiscussa dei motori. Lauren Jauregui.» Malek si calò in un inchino reverenziale, mentre Lauren saliva le scalinate di legno, seguita dal riflettore e là standing-ovation dell'intero pubblico.

Ritirò il premio e sorrise alla telecamera. Quello era il primo sorriso che la cubana le vedeva sfoderare. Le si illuminava il volto, le guance erano lambite da delle fossette appena accentuate, e gli occhi si rischiaravano in una scintilla. Era davvero bella.

«Grazie a tutti, grazie. Sicuramente, qualche anno fa, quando ho preso il comando dell'azienda, non avrei mai pensato che sarei riuscita a tener testa al duro lavoro di mio padre. Ancora oggi, qui, ora, devo realizzare che sia vero. La vera forza di questa ditta è l'affiatamento intestino che si consolida ogni giorno fra discussioni, diverbi, idee, progetti. Quindi questo premio è prima di tutte le persone che ci hanno aiutato a crescere, dentro e fuori l'azienda, e poi di mio padre. Grazie.» Lauren fece un cenno con la testa, scuotendo con più modestia la statuetta che venne poi ritirata da un'assistente.

Rimasero solo Malek e Lauren sul palco, assieme al contrario poggiato sul leggio in legno. Si strinsero la mano davanti allo scrocio delle telecamere e dei flash, poi firmarono il foglio, e di nuovo una stretta di mano significativa.

Mentre stavano immortalando il momento epocale, improvvisamente nessuno scattò più foto, perché tutti gli sguardi erano puntati sullo schermo dietro i protagonisti.

Prima vi era affissato il manifesto che incensava Lauren e le sue innumerevoli imprese, ora svettava una locandina che denunciava la stessa Lauren come ladra. Una scritta rossa sotto imputava la sua colpa "Appropriazione indebita". Una foto della donna venne photoshoppata e messa dietro le sbarre, a scherno.

Malek fece spola fra Lauren e lo schermo, sconcertato. Adesso le fotocamere ripresero a scattare e le domande a fioccare. Malek ebbe la prontezza di afferrare Lauren e portarla dietro le quinte, guidandola poi attraverso il dedalo. Camila venne presa a braccetto da Paul, che in caso d'emergenza sapeva come muoversi. Seguì le direttive, spingendola attraverso un'uscita secondaria che li condusse direttamente al parcheggio. Lauren era già lì. Malek con lei.

«Che cazzo vuol dire questo?!» Esplose l'uomo, incollerito.

«Non ne so niente! Ma ti assicuro che non è vero!» Si difese la corvina, ancora più imbufalita.

«Cazzo! Avrei dovuto controllare, avrei dovuto controllare la tua fottuta azienda da soldi del Monopoli!» Sbraitò Malek, puntando il dito contro la corvina, ad una distanza esageratamente ravvicinata.

«Non ti azzardare a chiamare così un progetto onesto. Non ho fatto niente, ti conviene tacere prima di essere incluso nella lista di persone che diffamerò per calunnia.» Lo minacciò pacatamente Lauren, sprizzando rabbia dallo sguardo.

Con un passo Malek azzerò le distanze, agguantando la corvina per il colletto e sbattendola contro la portiera dell'auto «Non osare minacciarmi.» Digrignò i denti.

Lauren non si era scomposta, non sembrava nemmeno impaurita, ma qualcuno lo era al posto suo: Camila.

La cubana accelerò il passo, trasformandolo quasi in una corsa. Artigliò Malek per la manica della giacca e con un gesto netto lo allontanò da Lauren, meravigliandosi lei stessa della forza che incanalò nel polso.

«Adesso ci diamo tutti una bella calmata, eh.» Suggerì perentoria Camila, frapponendosi fra i due.

Malek si passò una mano sulla barba rada che gli costeggiava il mento. Diede le spalle alle due e fece qualche passo, schiarendosi le idee.

Lauren scansò Camila dalla sua visuale e di nuovo si espose al pericolo «Risolverò questo dilemma.»

«Presto, Lauren. Risolvilo presto.» Ordinò con la schiuma alla bocca Malek, voltandosi solo parzialmente, per poi incamminarsi verso l'ascensore ed essere risucchiato dalle porte.

Una volta assicurato che la minaccia fosse sventata, Paul entrò in macchina e aspettò che le due fossero pronte a raggiungerlo.

Camila provò ad aprire bocca, ma Lauren non gliene diede modo. Circumnavigò la macchina e si sedette sul sedile posteriore, sprofondando in un silenzio solitario e apatico. La cubana non disse niente finché non tornarono all'hotel.

Quando furono nella hall, le occhiate di sottecchi che la clientela, ma anche il personale, scoccava nella loro direzione, erano l'indizio imprescindibile che tutti quella sera fossero stati sintonizzati sulla gloriosa serata di Lauren, che tutto fu fuorché gloriosa.

Una volta che si furono trincerate in ascensore, Lauren trasse un sospiro. Sfilò lo smartphone dalla tasca del giubbotto e digitò il suo nome online. Centinaia di articoli scandalo riassumevano i punti salienti della serata, descrivendo meticolosamente ciò che era accaduto una volta che Lauren aveva dominato la scena. Sbuffò, proseguendo l'accanita ricerca. Anche quando le porte si aprirono lei era ancora lunata sul suo telefono.

E poi... Buio.

Il temporale si era scatenato davvero alla fine, e ogni minuto la sua forza pompava sempre di più. Le luci si spensero per pochi secondi, il tempo occorrente per originare un grosso danno.

Connessioni internet e ricezione teleferica k.o. Erano isolati.

«Fantastico.» Mormorò Lauren, rinfoderando lo smartphone «Meglio così.» E si chiuse nella sua stanza, mentre la cubana stava ancora cercando le parole giuste da dire.

Idiota. Imprecò dentro di se, mordendosi la guancia interna.

Non le restò che accamparsi anche a lei nella sua camera. Si lasciò cadere sul letto, a peso morto, e così resto per un tempo indefinito, a fissare il soffitto e architettare possibili scenari che chiarissero quella trappola mediatica.

Ebbe l'istinto di chiamare Dinah, ma si ricordò troppo tardi che il suo telefono era fuori gioco.

Sbuffò, carica di nervosismo e stress. Solo una cosa poteva allentare quella morsa: l'alcol.

Non si spogliò nemmeno, scese al piano bar cosi com'era. Il piano era deserto. Il barman stava pulendo i bicchieri, mentre il piano era chiuso e le sedie capovolte e riposte sopra i tavoli. La cubana di avvicinò al bar dalla forma a conchiglia e ordinò un drink a base di tequila. Mentre il giovane apprendista miscelava le sostanze, Camila navigò con lo sguardo oltre la curvatura che assumeva il bancone, stanando dall'altra parte una figura familiare.

La cubana indicò al barista la sua posizione, e quatta quatta si accostò.

«Posso?» Domandò una volta vicina.

Lauren alzò di scatto lo sguardo, intercettando quello solidale della cubana. Annuì, prendendo un sorso di «Whisky, immagino.»

«Chapeau.» Rispose sarcastica la corvina, sciabordando il liquore nel bicchiere.

Il barman consegnò alla cubana il suo ordine, tornando poi dall'altra parte del bar, a espletare le sue mansioni.

«Io non ci credo, a quello che è successo. Non c'ho creduto per un istante.» Ammise la cubana, ma la corvina continuò a bere imperterrita, per niente toccata dalle affermazioni dell'altra.

«Se poi sia vero, non mi interessa. Non ci credo e basta.» Concluse la cubana, tracannando un sorso corposo del suo drink. Il coraggio liquido, il migliore che conoscesse.

«Si, è vero. Questo è whiskey.» Replicò dopo svariati minuti di silenzio Lauren «E no, non è vero. Non sono una ladra.» Sostenne, ingollando un alto sorso.

«Bene, allora troveremo il modo per dimostrarlo.» Sentenziò energica e agguerrita la cubana, non riscontrando lo stesso piglio.

«No, non faremo niente.» Scosse la testa in segno di diniego Lauren, proibendone di agire.

«Ma, ma non capisco... Lei è innocente, dovrà difendersi... Perché...»

«Perché no!» Sbottò la corvina, producendo un eco grottesco in tutta la sala.

La cubana deglutì, intimidita. Aveva sempre paura di sbagliare o essere sbagliata, e in quel momento ebbe l'impressione di aver commesso entrambi.

Terminò il drink e si alzò dallo sgabello, pronta a rincasare e a lasciare Lauren ai suoi pensieri, ma la mano della corvina l'arrestò prima che potesse allontanarsi.

Non le chiese di restare, ma glielo fece intuire.

Camila fece un bel respiro, tolse il cappotto e riprese posizione.

Lauren teneva la testa china sul bicchiere, stava per parlare.

«Ti sei mai chiesta perché proprio 3 punti di sospensione?» Iniziò Lauren, spiazzando Camila che tutto quello che riuscì a fare fu scuotere la testa.

«Il primo è ciò che gli altri dicono. Il secondo ciò che tu recepisci. Il terzo ciò che vuol dire davvero. Silenzio, tutta la verità sta nel silenzio. Che poi, guarda caso, si chiamano proprio "punti di sospensione". Capisci? Punti di sospensione. Sospendere ciò che dovrebbe o vorrebbe essere detto, non essere frainteso. Perché la verità sta sempre in ciò che non viene detto. Fra numeri primi esistono milionesimi di altre varianti, chi ti dice che fra un punto e l'altro non ci siano milioni di parole?» Aveva uno strano eco nelle parole, e una luce nuova negli occhi. Camila non avrebbe mai dimenticato quel momento di intimità mentale che le riservò.

«Quei soldi sono spariti davvero, e li ho fatti sparire io.» Confessò Lauren infine. Camila prese un battito «Durante un affare, tre aziende si ritirarono, mentre l'altra no. Decidemmo di far saltare tutto, ma l'acconto era già stato versato. Non l'hanno mai richiesto, e non era mio dovere restituirlo, così ho investito quei soldi, ventimila dollari per l'esattezza, in altro.» Trangugiò il whisky. Forse quella era stata la parte facile.

«Nessuno si è mai chiesto perché mio padre mi abbia lasciato l'azienda così presto. Perché nessuno dei miei due fratelli abbia avuto il coraggio di assumersi questa responsabilità.» Aveva un tono basso, dignitoso, ma intriso di dolore latente «Hanno scoperto un cancro a mio padre, inoperabile. In poche parole, morirà. Ho investito anonimamente quei soldi nell'associazione benefica contro il cancro dove mio padre passa qualche ora ogni tanto. I conti potrebbero dimostrarlo, ma non posso renderli pubblici. Significherebbe permettere alla stampa di investigare, trovare del "marcio". Mio padre vuole trascorrere gli ultimi mesi in pace, non posso fargli questo.» Scolò gli ultimi gocci di whisky, inspirando a fondo per rinvigorirsi.

«Non lo sa nessuno?» Domandò la cubana, attonita dalla notizia.

«Normani, la mi famiglia e te.» Lauren per la prima volta la guardò, forse un po' spaventata.

«Non lo dirò a nessuno, promesso.» Giurò la cubana.

Lauren annuì, convinta della sua buonafede.

«È meglio che vada a letto, prima di bere il quarto.» Lauren raccolse le sue cose e si incamminò verso l'uscita «Buonanotte Camila.»

«Buonanotte.»

La seguì con lo sguardo, mentre lasciava pesantemente, ma stesso tempo leggiadramente, l'androne.

Era un bel problema, ma lei era intenzionata a... A trasformare tre punti in uno solo.

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