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Capitolo quarantotto




«Pensi che questo vestito sia troppo osé?» La cubana costeggiò con i palmi la stoffa blusante che le ricadeva sui fianchi, osservandosi meticolosamente allo specchio.

«Per la centesima volta, no, Camila, non è troppo osé.» Replicò Dinah, intenta anch'essa a provare un abito per la grande serata. Lauren aveva spedito un invito extra anche alla polinesiana. La sua espressione da stoccafisso avrebbe meritato una foto.

«Non so...» Storse le labbra Camila, incerta sui dettagli cesellati e ricamati con sguardo accattivante. «È una serata importante, non voglio apparire volgare.»

«Ma ti prego! Sei più "volgare" quando vai in ufficio.» La canzonò amichevolmente Dinah, che ultimamente incalzava sui motteggi inerenti l'outfit elegante e allo stesso tempo provocatori che Camila sfoggiava per catturare l'attenzione di Lauren. Che poi, non doveva nemmeno sforzarsi troppo. Voglio dire, Lauren l'avrebbe guardata con gli stessi occhi anche se avesse indossati un paio di jeans e una semplice camicetta.

«Sta' zitta.» Ridacchiò la cubana, sferrandole un pugno sul braccio e registrando l'espressione allibita e oltraggiata dell'amica attraverso il gioco di specchi che si originava attraverso il corridoio foderato di vetri.

Alla fine la genuinità e la spontaneità di Dinah che riflettevano ogni sfumatura quotidiana sotto un'ottica liberarle ma anche imparziale, convinsero la cubana che quel vestito, con quello strappo un po' più azzardato e lo scollo leggermente più affilato, fosse quello adatto per la festa a cui dovevano entrambe partecipare quella stessa sera.

Avrebbero assistito all'annuncio lanciato online insieme a Roberto e ai suoi collaboratori. Lauren aveva invitato l'intera azienda, un numero da capogiro. Più gli ospiti della Ford e le relative famiglie. Sarebbe stata una festa in pompa magna, ecco perché Lauren e Roberto erano d'accordo per dividere equamente le spese e non far pesare alcun supplemento sugli avventori. Camila non era molto concorde con questa presa decisione, ma non poteva neanche esercitare troppe pressioni su una direttiva alle dipendenze del suo... capo.

Avevano comunque mantenuto i ruoli, senza contaminare il posto di lavoro con i propri sentimenti. Era fondamentale scindere la professionalità dal romanticismo, dato che l'uno o l'altra avrebbero presto o tardi leso ad una delle sfere comuni. Camila non voleva certo diventare disoccupata solo perché Lauren si lamentava che di notte le rubasse le coperte, come non ci teneva che la loro storia finisse a causa di una pratica inevasa. Era come per un funambolo bilanciare il peso in modo che l'asta vertesse da ambo le parti in egual misura.
Diciamo solo che Camila non amava la precarietà e Lauren soffriva di vertigini.

A volte erompevano discussioni "casalinghe" o scaramucce sul lavoro, ma era un po' il limite imposto dalla loro personalità: imporsi prima di essere schiacciati. Solo che nessuna delle due stava cercando di schiacciare l'altra, ma questo dovevano ancora impararlo alla lettera. Purtroppo la vita o ti insegna a incassare i colpi, o ti insegna a tirarli per primo. In entrambe i casi, ti insegna a difenderti, dipende solo come.

Camila, Dinah e Normani si radunarono nell'appartamento della cubana, adibendo salotto, bagno e camera a toilette da trucco. Comunicavano con strepitii acuti perché nessuna delle tre poteva abbandonare la cipria, il blush o l'ombretto. Camila era quella più taciturna, mentre le altre due profondevano consigli e risate attraverso il corridoio desolato. La cubana non stava neanche ascoltando, non perché fosse troppo impegnata a spalmare omogeneamente il mascara o perché la pienezza del rossetto fosse discutibile. Non stava ascoltando solo perché aveva altro che le ronzava per la testa.

Era una serata veramente importante, per l'azienda e per Lauren. Soprattutto per Lauren.  Camila, forse per la forte empatia sviluppata nel corso di quei mesi e potenziata proprio in correlazione con la corvina, non riusciva a tenere a bada i nervi. Era tesa come una corda di violino. Auspicava soltanto il meglio per quella serata; se avesse potuto avrebbe pagato pegno pur di assicurarsi un corso florido degli eventi, ma purtroppo non rientrava nelle sue facoltà.

«Ehi, hai visto il correttore?» Fece capolino Dinah, squadrando la figura filiforme della cubana, ed emettendo un fischio d'appezzamento che fece sfarfallare di perplessità le ciglia allungate della cubana.

«Come siamo chic.» La canzonò maliziosa, condendo il complimento con un po' di sarcasmo solo non guastava mai.

«È solo un vestito.» Minimizzò Camila, cercando di non arrossire, anche se il blush mimetizzava bene lo scarlatto.

Normani sopraggiunse sulla soglia, anche lei a caccia di utensili per ridefinire il trucco. Trovando le due allacciate da sguardi amichevoli e maliziosi, si rivolse istintivamente alla polinesiana, rintracciando nella sua espressione un vettore naturale improntato a malizia in direzione dell'altra. A quel punto non poté che seguirne l'esempio. A braccia conserte e con procace sguardo, si unì al dileggio fraterno.

«Beh, beh, beh.» Schioccò la lingua contro il palato, ottenendo per l'ennesima volta l'attenzione -o disattenzione- della cubana che arrestò a mezz'aria il braccio instradato verso le sopracciglia.

«Vi siete messe d'accordo?» Portò la mano sul fianco Camila, investigando lontanamente stizzita le due disturbatrici.

«Noi siamo sempre d'accordo, chica.» Sentenziò Normani, alzando la mano verso Dinah che senza nemmeno bisogno di guardarla le stampò un perfetto cinque.

Camila alzò gli occhi al cielo e represse un sorriso per tornare al più presto al suo maquillage. Dinah e Normani si stazionarono sulla soglia giusto qualche secondo di troppo, dopodiché entrambe vennero assorbite dal tempo, che stringeva sempre di più, e lasciarono perdere commenti maliziosi per dedicarsi totalmente all'ultimazione della loro preparazione.

All'incirca verso le nove uscirono di casa, pronte e spigliate. Il nervosismo aveva un effetto "adrenalizzante" sulla cubana, che ogni qualvolta si trovasse coinvolta in situazioni più ansiose, somatizzava con nerbo quello pseudo-patogeno.

Normani si era proposta di guidare, avendo una passione smaccata per il volante, che anche in occasioni ansiolitiche non scemava.
Riuscirono a comprimere un po' di quell'angoscia cantando a squarciagola Beyoncé e Rihanna.

«Non suoniamo così male. Magari potremmo pensare di mettere su una band musicale.» Sciorinò Dinah, facendo spola fra le espressioni immobili delle altre sue che solo dopo qualche secondo scoppiarono in una risata fragorosa.

«Non se ne parla. Le luci da palcoscenico sono terribili sulla mia pelle.» Recriminò Normani, tamponando delicatamente le sue amate guance.

«E io non sono troppo fotogenica. Meglio dal vivo.» Ammiccò Dinah, che invece di carezzare la sua epidermide dedicò le sue cure alla pelliccia sintetica che le adornava le spalle.

«Io invece credo che nessuno mi ascolterebbe. Meglio limitare i concerti al tempo sotto la doccia.» Constatò Camila, ridendo ancora per l'idea strampalata. A volte si chiedeva se Dinah ci rimuginasse la notte, oppure se avesse un'inventiva illimitata.

In questo clima spiritoso -un po' appesantito dal traffico estenuante di New York che quella sera non si risparmiò colpi di clacson e scudisciate di improperi-, pervennero alla lussuosa villa che Lauren aveva affittato per quella che si prospettava una serata faraonica.

«Siamo nel posto giusto?» Domandò sbalordita Dinah, che oltre le feste ginnasiali e i compleanni di sua nonna non aveva preso parte a nessun altro evento mondano epocale.

«A quanto pare.» Sorrise Normani, scambiando stavolta un'occhiata d'intesa con Camila, ormai assuefatta allo sfarzo cerimoniale.

Posteggiarono l'auto in un parcheggio ghiaioso. Camminare fu po' complicato, dato che tutte e tre affondavano nel mantello grumoso di sassolini a causa dei tacchi. Riuscirono a cavarsela abilmente e a raggiungere il selciato, decisamente più agibile. Normani si appuntò ad alta voce di riferire a Lauren di optare per un posteggio asfaltato, la prossima volta.

La fila per entrare era abbastanza corposa, ma a quanto pare i bodyguard erano informati della loro presenza perché uno di loro fece segno alle ragazze di avvicinarsi e senza ulteriori indugi slacciò il cordone di velluto rosso, permettendo l'ingresso.

«I vantaggi di essere amiche della fidanzata del capo.» Mormorò Dinah -non proprio sottovoce- all'orecchio di Normani.

«Ti ho sentita.» L'ammonì Camila, che però non riuscì a impedire il decollo di un'occhiata salace fra le due.

L'ingresso era già di per se colossale. Oltre le statue di marmo che fiancheggiavano la sala, anche i cameriere assumevano una posizione analoga ad esse, scivolando come automi diligenti e decorosi fra la folla un po' meno diligente e decorosa. Per carità, tutti uomini e donne di alto rango, ma decisamente più sciolti rispetto alle vesti che professavano solitamente.

I lampadari illuminavano l'atmosfera rendendola quasi accecante, ma alla fin fine non era un effetto smodatamente irritante. Ci si abituava. Due arcate di scale laterali, leggermente curvate e ornate con un tappeto rosso, salivano verso una terrazza altrettanto generosa, prospiciente sulla sala d'ingresso e su un altro androne, dal quale però vi si accedeva solo tramite un'arco a volta situato proprio di fronte a Camila. Lì si svolgevano le danze, ed era lì che era stato allestito il palcoscenico e imbandito il banchetto.

«Io vado a cercare Lauren.» Decretò la cubana.

«Io vado a cercare un bagno.» Sorrise Dinah.

«Io vado a cercare alcol.» Annuì Normani.

E ognuna prese la propria strada, abbandonando quella maestra.

La cubana salì al piano superiore, notando che l'affluenza verso l'unico sbocco sulla sala era nettamente copiosa. Dall'alto avrebbe avuto una visuale a grandangolo, così da vagliare l'intero androne con un solo sguardo.

Sollevò i lembi del vestito e saltabeccò sui gradini, tentando di tenersi in equilibrio sui tacchi. L'illuminazione era più soffusa a quel piano, cosa che aumentò il respiro della cubana, già preoccupata di non riuscir a stabilizzarsi sulle gambe alla luce, figuriamoci nella semioscurità. Grazie ad allenamento antecedente, non avvenne alcun tracollo.

Raggiunse la ringhiera che affacciava sulla sala. Il formicaio di avventori prosperava ogni attimo di più, rendendo lo sciame eterogeneo. I glitter erano quelli che andavano per la maggiore, ma anche spacchi e scollature vertiginose so avvicendavano come vetrine sui gioielli preziosi che sfilavano alle estremità delle signore. In un battito di ciglia la cubana ispezionò l'intera sala, impostando l'algoritmo in modo funzionale: Trovare Lauren.

E non fu troppo difficile trovarla.

Per quante bellezze esotiche si alternassero in quell'architettonico salone di stile prevalentemente classicista, nessuna era paragonabile a quello sguardo penetrante. Neanche tutti gli spacchi e i luccichi del mondo potevano sostituire quegli occhi. La corvina stava porgendo saluti e convenevoli a tutti, anche se le sue pupille si agitavano sotto lo strato apparente di calma, alla ricerca di qualcuno che Camila ebbe la presunzione essere lei stessa. E proprio quando si intercettarono l'un l'altra, entrambi i frulli di palpebre si placarono.

La corvina indossava un vestito nero, attillato, suadente. Aveva i capelli cotonati e arricciati, un filo di mascara che impreziosiva il suo sguardo già di per se ammaliante. Camila inquadrò interamente la sua sagoma, traendo un sospiro greve. Era davvero bella.

Anche Lauren indagò a lungo sulla figura della cubana, stagliata abbastanza lontana, ma non troppo da sfuggire alla sua supervisione.

Mentre si apprestava a salutare e ringraziare un investitore accompagnato dalla principesca moglie, Camila ebbe un momento per indugiare indisturbata sulle sinuosità della corvina.

Improvvisamente qualcosa le saltò all'occhio. Non riusciva a mettere a fuoco cosa la stesse scombussolando, ma c'era decisamente un particolare che l'aveva... Sgranò gli occhi.

Non poteva essere una coincidenza.

Lauren indossava lo stesso abito della donna misteriosa, lo stesso che aveva sfoggiato quella sera fatidica.

Inizialmente la cubana prese un battito, dopodiché rilassò l'irrigidimento muscolare e accennò ad un sorriso tenue e malizioso.

Lauren aveva qualcosa in serbo.

Continua...

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