Capitolo quarantanove
Ciao a tutti.
Ho terminato da poco il capitolo e ho deciso di pubblicarlo perché tengo tanto a questa parte e non vedevo l'ora di pubblicarlo.
Domani non assicuro aggiornamenti, ma ci proverò! Ci vediamo infondo al capitolo.
Buona lettura!
Intercettare qualcuno nella sala cerimoniale, era come ritrovare un ago nel pagliaio. Essendo l'androne il fulcro della festa, il fasto si annidava principalmente lì. Lo spazio era talmente grande da non dover soffrire "l'effetto sardina" che generalmente si ingenerava alle feste ad alto tasso partecipativo. Lauren aveva fatto le cose in grande, come piaceva a lei. O meglio: come piaceva ai suoi ospiti.
Camila si faceva spazio gentilmente fra gli invitati, seguendo il filo di coloro che si incanalavano verso una direzione più in voga. Facendo due più due si intuiva che fosse il sentiero per arrivare a Lauren. Camila si accodò dietro una coppia di logorroici affetti da disturbo ossessivo-compulsivo: il marito non la smetteva di spolverare il braccio della moglie e la moglie continuava a rassettare il nodo della cravatta del marito. Camila attese pazientemente, perdendosi nelle chiacchiere entusiaste e nervose della coppia, indubbiamente ansiosi di stringere la mano a Lauren.
La mano di Lauren ingolosisce molti. Rifletté la cubana, che solo per decenza non si schiaffò una mano in faccia per i suoi pensieri promiscui.
Dopo circa dieci minuti, finalmente giunse il suo turno. Lauren era oberata di chiacchiere e convenevoli, tanto che quando la cubana le si avvicinò la inquadrò solo una volta che il suo sguardo tornò in prima posizione.
La cubana le sorrise flebilmente, abbassando lo sguardo quando quello dell'altra la passò alla moviola con malcelato piglio malizioso.
«Ciao.» La salutò Camila, notando come l'affettata disinvoltura che caratterizzava ogni stretta di mano si fosse disciolta in un'attitudine nettamente più naturale.
«Ciao, Camila.» Anche il suo timbro era più spontaneo. La cubana non poteva non dirsene contenta e lusingata.
«Mi piace il tuo rossetto.» Azzardò Lauren, rasentando un linguaggio in codice che non sfuggì alla cubana.
Camila fissò dritta negli occhi Lauren e senza esitare replicò, «Anche a me piace il tuo vestito.»
Lauren incassò il complimento con compassata cordialità, annuendo fievolmente. Solo i loro sguardi conoscevano il segreto dietro gli angoli incurvati delle loro labbra dipinte.
Lauren non poteva intrattenersi più di tanto, ma approfittò del momento del saluto formale per stringere la mano di Camila e sporsi verso le sue guance, ricamando un momento di "intimità". L'altro palmo finì sul fianco della cubana, provocando una scarica di brividi che le rotolarono lungo braccia e schiena.
«Dopo il discorso, ti verrò a cercare.» Riuscì soltanto a dirle, anche se pizzicavano sulla punta della lingua fiotti di parole.
Presto. Gliele avrebbe dette presto.
Camila fece un breve cenno col capo e si congedò, lasciando che la fila scorresse. Quando si fu discostata abbastanza, lasciò che i brividi si trasformassero in un respiro grave. Era sempre più difficile ascoltarsi, lasciarsi permeare dal freddo che ancora avvertiva sui polpastrelli e nello sterno, ma che duellava sfrontatamente con quel calore che inevitabilmente le arroventava gambe e ventre.
«Tieni, mi sa che ne hai bisogno.» Normani si materializzò alle sue spalle, corriere di due calici di champagne.
Camila lo afferrò con riconoscenza, tracannando avida le bollicine effervescenti.
Normani l'osservava di sottecchi.
«È sparita Dinah?» Si domandò Camila, guardandosi attorno.
«L'ho incontrata prima di entrare in sala.» Prese un sorso Normani prima di proseguire. Un sorso bello lungo. «Ha avuto una discussione con Siope, per telefono.»
«Ah.» Si corrugò Camila, dispiaciuta.
Normani fece spallucce, e continuò a guardare davanti a se, senza batter ciglio. Diventava marmorea quando voleva nascondere qualcosa. Camila non investigò oltre, sapendo bene quanto poco apprezzate fossero le suddette "risposte obbligate".
«Lauren è ancora tartassata dai ospiti?» Usò come diversivo Normani.
«A quanto pare.» Assentì Camila, lanciando un'occhiata alle sue spalle, che però non si rivelò fruttuosa a causa della bolgia che si stipava in prossimità della donna.
Fortunatamente è controllata a vista. Si rallegrò Camila, per la prima volta grata per la presenza dei non così sempre graditi bodyguard.
«Ne vuoi un altro?» Si informò Normani, indicando il calice ormai vuoto della cubana.
«Grazie.» Rispose simpaticamente quest'ultima, porgendoglielo.
Normani le fece L'occhiolino, quindi si allontanò verso la rosa di alcolici che debuttava sul versante destro dell'androne, stranamente ininfluente al momento, data la compresenza di Lauren e Roberto (sopraggiunto con qualche minuto di ritardo).
Camila profittò di quel momento relativamente brullo per perlustrare visivamente l'ambiente. Era veramente mastodontico, forse un po' troppo (cosa che non avrebbe più creduto dopo che il groviglio di avventori si riversò a cascata nella sala, che divenne quasi stretta). Gli altoparlanti erano disseminati un po' dovunque, ma erano opportunamente abbelliti e nascosti sotto ornamenti quali manifesti o cartapesta. Alla cubana non sfuggirono neppure gli addetti alla sicurezza, sparpagliati su più piani, chiamati a servire zelantemente l'ordine della serata. Camila trasse un sospiro. Sperava davvero che tutto filasse liscio.
Sul palcoscenico era posizionato un seggio e un discorso scritto che Lauren non avrebbe minimamente adocchiato: era abituata a memorizzare a mente i suoi monologhi. Credeva di creare più coesione con l'audience mantenendo un contatto diretto. Sicuramente Camila non poteva obiettare su ciò.
La sua ispezione terminò quando Dinah irruppe impetuosa. Era scura di rabbia, più rossa del blush color ciliegia che vivacizzava le sue gote. Sintetizzò la disavventura alla cubana, sorvolando sui dettagli e intessendo invece la trama principale. La cubana le dedicò le giuste attenzioni finché Normani non si aggregò alla comitiva, rendendo così quasi impossibile il compito della cubana, che di lì in poi si impegnò a bilanciare la conversazione su toni informali e placidi.
Fortunatamente la folla si accalcò presto di fronte al palco. Lauren era sparita dalla platea, il che significava che era stata "rapita" dai bodyguard per esser traghettata sul palcoscenico, dove avrebbe presenziato il suo discorso. Le chiacchiere ciarliere si diradarono e solo sommessi brusii aleggiavano nella sala.
Fu Roberto ad aprire le danze.
«Buonasera a tutti.» E vi fu il primo scroscio di applausi. La platea era estatica e festante. Si avvertiva nell'aria.
«Grazie per essere qui stasera. È sempre bello poter condividere un momento importante con qualcuno che ha contribuito ad avverare questo momento. Ognuno di voi ha lavorato sodo per la mia ditta, ma anche per quella della donna che ho il piacere, nonché l'onore, di presentare. Spero che tutti voi sappiate quanto orgogliosi entrambi siamo di poter parlare questa sera su questo palco, e di poterlo fare insieme.» Si aggiustò il bavero, un sorriso rifulgente di fierezza gli affiorò sulle labbra. «Signori e signore, date il vostro caloroso benvenuto a Lauren Jauregui.»
Roberto si mise da parte, lasciando che la platea plaudesse enfatica ed euforica l'ingresso in scena della corvina. Lauren calcò la scena con grazia e imponenza, il solito dualismo capriccioso che duettava fra notte di rigorosità e assoli di umiltà. Lauren sopraggiunse con passo sicuro e determinato il seggio, ringraziando del torrenziale applauso con un sorriso splendente e autentico.
«Buonasera.» Iniziò, propagando il suo timbro arrochito in tutta la sala grazie all'effetto stereofonico.
Adesso l'inondazione di battimani si allentò, permettendo alla corvina di parlare limpidamente e senza interruzioni.
«Sono davvero felice che stasera ognuno di voi sia qui. Sottolineo la parola "felice" perché è molto diversa da "contenta". Contentezza è uno stato d'animo temporaneo, sicuramente appagante ma fuggevole. Felicità è invece un tocco magico che ci rimane dentro, che anche ne tempo riusciamo a raggiungere, pur dopo aver perduto il sentimento ma non il momento. E questo è uno di quei momenti felici.» Ci fu una pausa di applausi, poi la corvina proseguì.
«Fra di voi non ci sono solo investitori, broker, analizzatori, web-designer, no. Ci sono anche padri, madri, amici e familiari. Fra di voi non ci sono solo connessioni industriali, astratte, monetarie. Fra di voi ci sono legami affettivi, amichevoli...» Stavolta lo sguardo della corvina cadde su Camila che la stava rimirando abbagliata e assorta, enormemente orgogliosa. «...amorosi.» Continuò. «Ci sono persone che, come contentezza e felicità, non rimarranno in eterno, altre, invece, sì. Ed è per questo che siamo qui, per tutti quelli che sono arrivati fin qui con questa certezza incrollabile. Grazie. E grazie a loro.» Fece un breve inchino con la testa e di nuovo l'architettura classicista assistette ad un giubilo commosso ed entusiasta.
Camila, furtivamente, si permise di soffiarle un bacio. Il sorriso di Lauren non era mai stato così smagliante. Aveva un lucore negli occhi che risaltava la lucentezza delle guance.
Dopo i discorsi commemorativi, Roberto raggiunse Lauren al centro del palco e con un'energica stretta di mano sancirono sottovoce un patto che sarebbe perdurato nel tempo. Insieme accesero gli schermi e fecero il countdown, assistendo alla messa in onda dell'annuncio vero e proprio, e così anche alla vendita dell'auto. Miracolosamente nessun attacco hacker funestò la serata, anzi, procedette tutto senza intoppi, e fu assolutamente impeccabile.
Ci fu un brindisi generale che riscosse gli invitati di quella patina nostalgica, catapultandoli in uno stato più inebriante. Da quel momento in poi le libagioni profusero abbondanti, le risate si fecero più caloroso e fragranti, ma anche il clima diventò più conviviale che mai.
Dinah e Normani accreditarono il loro istinto gregario, unendosi ad un manipolo di investitori disinibiti e sovreccitati.
Camila andò alla ricerca di Lauren.
Dopo la sua apparizione pubblica, sembrava essersi volatilizzata. Erano tutto troppo ebbri per potersi rendere conto che la magnate e protagonista della serata non era presente.
La cubana setacciò l'ambiente da capo a fondo, ma Lauren sembrava davvero esser stata inghiottita da un buco nero. Si informò in giro, ma nessuno aveva notizie sulla corvina, così la cubana rimase la sola sobria della sala nel vano tentativo di cercarla.
Tornò nell'atrio principale, dove vi era appiedata dopo aver posteggiato. Decise di battere anche il secondo piano, così da avere non solo una visuale a 360º, ma anche per sincerarsi che Lauren non vi si fosse ritirata in solitudine.
La cubana si voltò verso il terrazzo soprastante, ma prima di poter imboccare le scalinate, intravide una figura stagliata in alto che la indusse a scagliare un secondo sguardo.
La cubana schiuse le labbra, reagendo attonita e stranita, ma solo su un primo momento.
La sagoma ormai inequivocabile della corvina era in rilievo nella penombra. Il vestito si confondeva con la dimensione del buio, ma non solo. Indossava una maschera. Quella maschera. Camila ne riconobbe le rifiniture e il taglio anche in lontananza. Gli smeraldi emergevano attraverso le fessure, rilucenti e altezzosi. Lauren osservò dall'alto l'espressione stupita della cubana. Entrambe rimasero ad osservarsi a lungo. Camila intontita e indecisa, Lauren decisamente più accattivante e risoluta. Alzò il dito indice e lentamente invitò la cubana a raggiungerla, mentre lei si lasciava risucchiare nella fodera scura alle sue terga, scomparendo alla vista. Camila rimase ad osservare i movimenti della donna, finché questi non si affievolirono a ondulate movenze della stessa parete d'oscurità.
La cubana fece scivolare la mano sul corrimano e si sveltì a raggiungere l'altra. I passi della cubana risuonavano nelle orecchie della stessa, fin quando pervenne nel luogo esatto dove sostava Lauren in precedenza.
La mano sdrucciolò sul legno laccato, laddove le mani della corvina vi si erano tese dapprima. La cubana percorse quel segmento mestamente, finché un brivido le percorse la spina dorsale e allora si rammentò della dipartita prematura della corvina. Si girò di scatto e lentamente abbandonò la posizione di vedetta, lasciando che l'oscurità amalgamasse anche la sua sagoma.
Nel buio puoi essere ciò che vuoi, non devi render conto a nessuno, soprattutto a te stesso. Sei l'ultimo dei tuoi problemi, ed è questo che attrae della notte: poter esser ciò che di giorno non si potrebbe mai concretizzare, senza doversi razionalizzare. Libertà.
Camila scivolò all'interno di quella sensazione con un senso di leggerezza e con un sospiro trepidante e un po' spaesato.
La terrazza abbracciava interamente la sala, ma la cubana si tenne rasente al muro, così da non dover essere inglobata dalla luce fatua. Buio. Solo buio.
Una porta di fronte a lei era aperta e Lauren stazionava dietro di essa. Appena Camila fece un passo avanti, Lauren svoltò l'angolo e scomparve. La cubana ingranò una marcia in più, dirigendosi più spedita verso il punto oscuro.
Dietro l'uscio vi era una scala d'uscita d'emergenza: una rampa si inerpicava verso l'alto, mentre l'altra di prostrava verso il basso.
Camila notò una luce rischiarare il pianerottolo sopra il suo naso, così optò per la prima alternativa. Anche stavolta sollevò il lembo del vestito mentre saliva le gradinate. I passi si intensificarono quando anche i suoi risuonarono nella tromba delle scale. Erano metallici, proprio come gli scalini, ed erano veloci, proprio come il suo cuore. Lanciò uno sguardo verso l'alto, aggettandosi per scorgere qualcosa. Colse soltanto il movimento del velo del vestito, e la schiena della donna che proseguiva l'arrampicata con maestosa regalità.
Deja-vu.
Accelerò il passo.
Ad un certo punto, mentre la cubana solcava le orme della donna, registrò lo scatto di una serratura aprirsi e richiudersi. Si arrestò ad ascoltare. Nessun rumore, oltre il suo respiro, dominava la scala interna. Il suo sguardo ancora arcuato all'insù non catturò alcuna variabile. Riprese a salire con maggior vigore, intervallando alcuni passi con salti a due a due che abbreviarono il tragitto.
Al suo cospetto si stagliò una porta d'emergenza. La cubana rallentò il passo quando notò che oltre l'adesivo apposito che raffigurava la figura classica di fuga, dalla maniglia penzolava una maschera in raso nera, ricamata con arabeschi dorati che la prima volta non aveva notato.
Camila si avvicinò lentamente, titubante. Gli occhi vuoti e i ricami immobili avrebbero dovuto metterle soggezione, ma in realtà erano innocui e simbolicamente pregnanti. La cubana fece scivolare cautamente la mano sulla maschera. Disciolse il nodo raffazzonato, percependo il raso nero lambirle i polpastrelli. Girò prudentemente il volto vuoto che si ritrovava in mano e osservò con un tuffo al cuore la fattura del tessuto, dei particolari, della fodera che le sgusciava sotto le dita.
Alzò gli occhi sulla porta di fronte a lei, stringendo ancora fra le mani la maschera. La rimirò un'ultima volta prima di abbassare la maniglia ed essere investita da una folata di vento tiepido. Si coprì il volto con una mano mentre lasciava che l'uscio dietro di lei si chiudesse alle sue spalle.
I suoi occhi erano caduti sulla maschera stretta nella sua mano, ma quando rialzò lo sguardo incrociò due smeraldi inconfondibili.
Il vestito era lo stesso, ma stavolta non c'erano maschere di mezzo.
«Ciao.» Sorrise la corvina.
Camila lanciò un'occhiata furtiva allo scenario circostante. Erano sul tetto. Sul tetto della villa. Non era così alta, contando che si trovavano massimo al quarto piano e Camila aveva pranzato al centotreesimo.
«Hai perso questa.» Mostrò la maschera la cubana, sorridendo timidamente.
«Ah, si.. Quella.» Lauren fece un gesto lesto con la mano, stringendosi nelle spalle. «Non è mia. Non più.» Sentenziò, stavolta trafiggendo la cubana con i suoi occhi lincei.
«No?» Domandò Camila, abbassando la maschera all'altezza del suo fianco, lontana dai loro rinnovati sguardi.
«No, Camila. Non c'è più nessuna maschera che tenga. Nessun filtro che ci specchi. Nessun muro che ci separi. Non ho più bisogno di maschere, di fronte a te ho solo bisogno di me.» Un refolo di vento le scompigliò i capelli, lo stesso che giocò con gli orecchini pendenti della cubana.
«Qualsiasi segreto ci abbia divise, è dietro quella maschera. E ci rimarrà.» Sentenziò con determinazione Lauren, con uno sguardo più reciso.
Camila osservò l'oggetto nella sua mano, lo lasciò cadere a terra e con uno slancio che nemmeno lei credeva le appartenesse, si lanciò verso Lauren, trattenendo i lembi della stoffa mentre camminava rapidamente verso la corvina. Il velo del vestito che svolazzava, i capelli inanellati che ondeggiavano sulle spalle momentaneamente esposte. Anche Lauren si era avviata verso di lei con veemenza. Tratteneva il velo con una mano, scoprendo la gamba che lavorava assidua e celere.
Il vento era un fattore imprescindibile, ma niente poteva intromettersi nella trepidazione dei loro sguardi, allacciati da un senso comune di desiderio e inarrivabile attesa.
Alla fine furono abbastanza vicine per protendere le braccia e stringersi il viso l'un l'altra, imprimendo un bacio passionale sulle labbra dell'altra al sapore di libertà. C'era più libertà in quel bacio che in tutto il buio del mondo.
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Spazio autrice:
Ciao a tutti!
Credo che questo capitolo sia simbolico per due motivi importanti. Il primo, Lauren si libera di tutte le maschere, il che significa che presto dirà la verità a Camila, o perlomeno pronostica di farlo. Il secondo, ci sarà una svolta importante nella storia che determinerà un nuovo risvolto.
Spero il capitolo vi sia piaciuto!
Grazie mille.
A presto.
Sara.
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