Capitolo diciassette
Camila prese l'abitudine di frequentare la palestra saltuariamente: Lunedì, Mercoledì, Venerdì e raramente anche la Domenica. Aveva memorizzato gli orari abitudinari di Lucy, e ora riusciva a scansarla quasi sempre.
Le sfortunate volte in cui capitavano assieme, Camila inforcava gli auricolari e si dissociava da lei con un sorriso abbozzato e un cenno della mano che era il minimo dell'educazione.
Per il resto non faceva altro che correre, sollevare pesi, pedalare, correre. Le piaceva correre sul tapis-roulant, senza insetti che le si incollavano alle labbra, vento freddo che le aggricciava la pelle o passanti che giudicavano la sua andatura sbilenca come fossero giudici professionisti inguainati nelle loro sciarpe di lana.
In palestra questi problemi non sussistevano.
Intervallava defatiganti maratone di lavoro, a tour occasionali in palestra. Era un metodo efficace ed efficiente per scaricare stress e quant'altro affastellato durante la settimana.
Quella mattina aveva appena terminato una lezione di pilates, si stava sgranchendo il collo prima di salire sulla ciclette, ma venne tempestivamente interrotta da una visita indesiderata.
«Buongiorno Camila.» Lucy slargò un sorriso smagliante, mostrando tutta l'arcata.
«Buongiorno Lucy.» Reciprocò Camila, sforzandosi di sorridere, anche se un fastidioso tic le contraeva la bocca.
«Ormai sei un abituè.» Sghignazzò, ticchettando le unghie smaltate sulla ciclette.
«Diciamo che più che un abituè, mi abituo.» Scherzò la cubana, scaturendo una risata chioccia dalla mora che risuonò indiscutibilmente falsa.
«Sei simpatica, Camila. Spero che porterai quest'ironia sabato sera, alla festa.» Ecco che assunse un tono del tutto diverso, il suo sguardo si ingraziò.
Sabato sera? Che festa? Meditò stordita la cubana, avvedendosi che era esattamente quello l'effetto che voleva sortire Lucy.
Non si scompose.
«Oh, la tua presenza basterà.» Cazzo! Si rese conto troppo tardi che probabilmente le sue parole potevano essere fraintese.
Le ho appena detto che è una barzelletta vivente, o sbaglio? Paventò la cubana, ma la reazione mansueta di Lucy la rasserenò.
«Indubbiamente sarò presente. Mi ha invitata Lauren in persona.» Ammiccò la mora, vantandosi.
Camila annuì, sorridendo, ancora una volta minacciata dallo spasmo della guancia che voleva seppellire quell'increspatura auto-condotta.
«Ti lascio ai tuoi esercizi.» Lucy salutò la cubana con un movimento fluido delle dita, facendo danzare il rosso fluo sulle unghie.
Camila allungò il ciclo sulla ciclette, adducendo dei minuti supplementari anche al tapis-roulant. Perché non sapeva niente della festa? Ma poi, che festa? Non si lasciò angariare troppo dai dubbi. Compose il numero di Normani.
Il telefono impiegò circa tre squilli prima di trasmettere la voce arzilla della collega.
«Hai appena interrotto la scappatella mattutina, dammi un buon motivo, Cabello.» Grugnì Normani, ammutolendo dolcemente qualcuno al suo fianco.
«C'è una festa?» Domandò schiettamente la cubana.
«Dovrai essere più specifica, sono troppo sbronza ed eccitata per collegare i puntini e cazzate varie.» Un rantolo permeò la comunicazione, probabilmente si stava scendendo sul letto.
«Una festa organizzata dall'azienda? Sai, l'azienda in cui lavoriamo? Quella dove andiamo tutte le mattine? O quasi... Quella...»
«Si, ho presente.» Interruppe il cantilenare Normani, sbadigliando «C'è una festa in maschera, come ogni anno, perché?» Si informò, parlottando sottovoce con una terza persona.
«Non ne sapevo niente.» Disse con voce afona, piatta.
«Beh, gli inviti arrivano sempre per posta o email, mi sembra strano che... ahia!! Non mordermi il collo, Sasha, per favore.» Un attimo per ricomporsi e riprese a parlare «Comunque non preoccuparti, arriverà. In caso contrario, lo invierò io in persona.» La rassicurò Normani, ma la cubana non si consolò affatto.
«D'accordo, grazie. Buona... scappatella.» Arrabattò Camila, corrugando le sopracciglia.
«Sasha ti ringrazia. Adios.» Agganciò, lasciando Camila in un bagno di sudore e con più grinze sul viso.
Quella festa le era rimasta indigesta. Sfogò il nervosismo di una serie di plank, flessioni e salti con la corda. Poi, giusto per non farsi mancare nulla, addusse anche qualche addominale, dei sollevamenti con i pesi e ciliegina sulla torta anche le trazioni.
Quando arrivò nello spogliatoio era trafelata e imperlata di sudore su ogni parte visibile e non del corpo. Alcune ragazze, con le quali aveva scambiato si e no due parole e che conosceva così, di vista, le fecero i complimenti per la resistenza. Avevano più o meno tutte la stessa scheda, a parte qualche veterana della palestra che aveva un programma più intenso, e fu così che quasi tutte rimasero sbalordite dall'allenamento estenuante che improvvisò la cubana.
Stava rimettendo le sue cose nella borsa, pronta per correre a casa a farsi una doccia, ma venne intralciata da una tutina fucsia e un paio di occhi celesti «Lo sai, quando ti ho vista la prima volta ho pensato che non avresti sollevato nemmeno due chili, invece mi sbagliavo.»
Camila ridacchiò, rendendosi conto che non poteva accusarla di superficialità o cattiveria, era ben consapevole della corporatura gracile che rivestiva, e non aveva problemi se qualcuno ci scherzava su, tanto lei era sempre pronta a dimostrare il contrario.
«Lo prenderò come un complimento.» Replicò spiritosamente la cubana.
«Perché lo era.» Scrollò le spalle le altre.
Camila le lanciò un'occhiata fugace, sincerandosi dei suoi lineamenti esotici, della pelle leggermente più caramellata della sua, dei muscoli decisamente più definiti dei suoi e delle treccine voluminose che le solcavano la testa. Aveva intravisto quella donna esercitarsi qualche volta, fra un esercizio e l'altro. Beh, era indiscutibilmente una persona avvenente, o meglio, era il tipo di incerta bellezza che a Camila attraeva molto. Un giorno, mentre si stava cimentando con un attrezzo, le era parso di cogliere, dallo specchio di fronte a lei, un occhiolino da parte della donna. Non aveva contraccambiato perché la sua accennata miopia forse le aveva giocato un brutto tiro, ma anche perché era troppo timida per azzardare tanto.
«Comunque, tanto per la cronaca, ho alzato quindici chili oggi.» Si pavoneggiò scherzosamente Camila, chiedendosi perché stesse dando adito alla conversazione.
«Ma che brava.» Rise sotto i baffi la donna, avvicinandosi di un passo a lei «Tanto per la cronaca, io ne ho alzo circa quaranta.» Il tono vellutato e salace prosciugò la salivazione di Camila che, senza rendersene conto, si stava già mordendo il labbro.
«Ottimo.» Emise in un sussurro, tentando di ricomporsi e di non lasciar trapelare nessuna emozione.
Dell'espressione maliziosa e trionfante della donna, intuì di non aver propriamente mascherato tutti i rossori.
«Beh, spero di rivederti presto, ehm...»
«Camila.» La imbeccò la cubana, fornendole il suo nome.
«Spero di rivederti presto, Camila.» La salutò con un gesto rapido delle dita, guizzando involontariamente il muscolo sulla spalla mentre riassestava la borsa.
Diamine, troppo fertilizzante per i miei ormoni. Pensò la cubana, passando le dita sulle labbra ormai screpolate dal suo stesso fervore.
Una volta uscita dalla palestra, si diresse a casa per immergersi sotto l'acqua fredda, dopodiché consumò un pranzo svelto, indossò una divisa da lavoro e si incamminò verso il reticolo di viuzze del centro per scovare un abito adatto alla serata in maschera.
Aveva un appuntamento con l'azienda tedesca di cui Lauren le aveva parlato. Anche se la corvina le aveva detto che si sarebbe accontenta del 50%, Camila era decisa a concedergli solamente il 40%. Voleva fare bella figura, perché ci teneva al suo incarico, e voleva anche dimostrare di essere abbastanza in gamba da potersi guadagnare la fiducia di Lauren. Inoltre, era anche un metodo per confutare se stessa, che ogni tanto le ricordava che se era arrivata lì era solo merito dell'eredità di suo padre. Sapeva che non era vero, o almeno non lo era del tutto, però continuava ad angustiarsi imperterrita.
Dopo aver girovagato per tre negozi, in una boutique a qualche passo dal centro, stanò un vestito che l'ammaliò fin da subito. Lungo fino alle caviglie, con uno spacco che arrivava a metà coscia, così da creare un effetto vedo-non vedo. Era quasi interamente rivestito in pizzo, e il particolare che più le piaceva era lo scollo, a cuore, orlato con una ricamatura delicata ma al contempo più spessa rispetto alle altre minuzie. Lo abbinò ad un paio di scarpe nere in camoscio.
Dopo aver strisciato la carta di carta, uscì entusiasta dal negozio. Ora le mancava solo una maschera, ma a quella avrebbe pensato dopo.
Fornì le coordinate al tassista, e si diresse verso l'appuntamento lavorativo. Durante l'escursione fra le dune di macchine, Camila ponderò il discorso che avrebbe intavolato per convincere la controparte, ma ogni volta c'era qualcosa che non le suonava. Era troppo saccente, ora troppo remissiva. Esageratamente baldanzosa, penosamente intimorita. Doveva riuscire a bilanciare i due caratteri, ma non era semplice.
Quando l'auto si fermò davanti ad un edificio abbastanza imponente, ma niente a che vedere con i grattacieli ai quali si era ormai assuefatta, respirò profondamente, pagò la mancia al tassista, ed uscì.
Non era sicura di come si sarebbe comportata, e il fatto di non avere un copione la turbava. Però, rammentando i giorni a Miami, si tranquillizzò. Non era poi andata così male in quell'occasione, e nessuno le aveva dettato le battute. Adesso era da sola, ma forse era tutta una questione di sapersi sentire sempre soli e avere comunque la forza di agire come per due.
Varcò la soglia dell'edificio, chiese di Olga, la donna a capo dell'azienda, e venne indirizzata verso un ufficio in fondo al corridoio.
Certo che hanno tutti la mania di posizionare l'ufficio il più lontano possibile. Rifletté la cubana su quel dato matematico, sorridendo dentro di se.
Bussò energicamente alla porta, rimproverandosi già di aver peccato di autostima. Una voce baritonale e un accento non del tutto americano la invitarono ad entrare.
Olga era una donna sulla cinquantina, sfoggiava una chioma bionda e lucente, aveva la pelle chiarissima e gli occhi quasi trasparenti. Il tipico ritratto di una tedesca. Era una bella donna, con sani principi e un solido matrimonio alle spalle. Aveva lottato tutta la vita per diffondere il messaggio che essere mamma ed essere una donna in carriera erano due fattori che potevano benissimo essere accomunati.
La fece accomodare e iniziarono a parlare di tutt'altro che lavoro. Forse era una strategia per dissuaderla, o per tentare di ammorbidire le pretese, ma Camila rimase perennemente concentrata sul suo obiettivo, e non si fece distrarre nemmeno per un secondo, anche se continuò a dare spago alla conversazione per non dare nell'occhio.
«Adesso capisco perché Lauren abbia mandato te.» Dichiarò improvvisamente Olga, con un sorriso furbo che la cubana non seppe come tradurre.
«Perché?» Si corrucciò, inclinando appena la testa.
«Perché sai essere poliedrica, anzi! Il termine che più ti si abbina è proteiforme: puoi cambiare in ogni modo, e per questo adattarti alla situazione. Ecco perché quando avrò finito di parlare della vittoria sul campo da tennis di mio figlio o dei dolci fatti in casa di mia madre, dopo tutti i tuoi sorrisi, mi sferrerai senza pietà una stilettata.» La donna non sembrava affatto delusa o infastidita, anzi! Sembrava quasi stesse soppesando l'idea di firmare un contratto e offrirle un posto di lavoro. Era strano, quel mondo, era davvero strano.
«Sto solo facendo il mio lavoro.» Si difese umilmente la cubana, peccando di modestia.
«Stai facendo molto di più, e quando ti accorgerai delle tue armi, sono sicura che non le metterai così in mostra.» Ammiccò la donna, estraendo un contratto dal cassetto.
No, non era quello immaginario per Camila, ma bensì l'atto redatto da Lauren e da Olga per una collaborazione con una delle sue prossime auto.
«Non dovrebbe sorprendermi che Lauren abbia mandato te. È perfettamente nel suo stile.» Sorrise la donna, rileggendo le clausole.
«In che senso?» Forse Camila suonò un po' troppo interessata, e comprese che cosa aveva voluto dirle Olga con il discorso di saper "nascondere".
Un sorriso sfacciato campeggiò sul suo volto. Forse le aveva appena lanciato un'esca, e lei aveva abboccato ridicolmente «Nel senso che è sempre stato nel suo stile..» Pausa «.. Mandare i miglior piloti in pista.» Ammiccò di nuovo, apponendo la firma in fondo al contratto.
«Ah no, aspetti... Sono qui anche per...»
«Chiedermi di abbassare la percentuale. Già fatto.» Olga fece scivolare il contratto sotto al naso della cubana. Camila ci mise un po' a rintracciare la cifra, ma ecco che un bel 45% svettava accanto al nome della compagnia.
«Avevo fatto stilare due contratti. Il primo con il 70%, e lo avrei firmato solo se mi fossi ritrovata davanti un'incapace. Il secondo, con vedi, del 45%. Questo, invece, lo avrei conservato se Lauren mi avesse ritenuta abbastanza degna di un incontro con una delle sue migliori "cavallerizze".» Olga rimase in silenzio, osservando la reazione della cubana. Stava imparando che quel mondo era abituato a muoversi in davvero troppe evoluzioni, e che avrebbe dovuto affinarsi in ogni campo.
«Magari ti aspettavi qualcosa di meglio, ma direi che ti puoi accontentare del 25% meno, che dici?»
Si strinsero la mano e si salutarono,
Olga con un sorriso quasi materno. Camila era entusiasta. Forse non aveva ottenuto la percentuale che sperava, ma il suo lavoro era stato svolto bene senza che lei lo sapesse davvero. Questo era ciò che davvero importava, in più aveva incassato una percentuale inferiore rispetto a quella che si prospettava Lauren, quindi poteva comunque gioirne.
Adesso, prima di portare il contratto sulla scrivania della corvina, doveva comprare una maschera. Niente era meglio che celare le proprie armi sotto una maschera.
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