Capitolo diciannove
«Non sai cosa ti perdi. Queste sale private sono il massimo.» Tentò di sobillarla Normani, ma Camila era troppo stordita per poter contestare.
Quelle mani le sentiva ancora su di lei, un tocco parimenti ossidrico ai suoi occhi, che l'avevano seguita per tutto il perimetro. E quel corpo, quelle curve, quel viaggiare di sinuosità e di respiri. Avrebbe voluto tanto baciarla, anzi... avrebbe voluto che fossi lei a baciarla.
«Che poi, non è così scandaloso. È uno scambio di culture, prendilo così.» La incoraggiò palesemente Normani, ridacchiando sotto i baffi.
«Camila? Ma ci sei? Camila!» Normani schioccò le dita davanti alla cubana, destandola dalla sua trance.
La cubana fece frullare le sopracciglia, tornando con i piedi per terra.
«Ah? Si, scusa. Si.» Si stropicciò le tempie, sospirando.
«Ahia, l'alcol avanza.» Commentò sarcastica la collega, sorseggiando pacificamente il drink azzurrognolo fra le sue mani.
La folla si stava man mano radunando al centro, spintonando e sgomitando, anche se con creanza. Camila domandò a Normani che cosa fosse tutta quella agitazione, e la donna le rispose «Lauren sta per tenere il discorso annuale.»
Anche loro si avvicinarono al palco, ma si tennero in disparte per non essere compresse nell'entusiasmo corale.
La corvina si fece attendere qualche minuto, prima di calcare il palco a suon di tacchi. Uno scroscio ipertrofico riecheggiò nella sala, mentre la donna raggiungeva ad eleganti falcate il leggio.
Indossava un abito completamente bianco, con uno strascico lungo. Due spacchi laterali lasciavano interamente scoperte le gambe, mentre il fisico tonico era accarezzato dalla stoffa tenue.
Camila dovette richiudere la bocca con un goccio d'alcol per non far entrare le mosche.
Lauren si posizionò sul leggio con disinvoltura disarmante. Sembrava nata per quel ruolo.
«Buonasera a tutti e grazie per essere qui.» Iniziò, sorridendo per l'omaggio elogiativo che le era stato tributato «Inutile nascondere che questo sia stato un anno travagliato, che ancora non sia finito e che le sorprese spaventino un po' tutti noi. Però, siamo ancora in piedi e molto più forti di prima. So che sembrerà un cliché, ma è così. Nemmeno durante le prove più ardue ci siamo piegati, ma anzi, è stato consolante vedere come ci siamo uniti per superare la sconfitta. Ciò che facciamo non è industriale, ma bensì familiare, ed è per questo che siamo l'azienda più quotata attualmente. Non sarà sempre così, sappiatelo. Ma è proprio questo l'importante, che un giorno ci guarderemo indietro e sapremo che è stato grandioso, supremo, proprio perché era destinato a finire. Non dovrà essere un rimpianto, ma solo un bel ricordo. Grazie.» Lauren allungò le braccia platea, dedicando quindi l'applauso collettivo a tutti gli astanti.
Uscì di scena con la medesima eleganza e ammirazione, ma stavolta si amalgamò alla folla, salutando qualche cliente, stringendo la mano a qualche collaboratore, sgridando qualche stagista, sorridendo ai flash -e che sorriso-, finendo poi per ringraziare tutti i partecipanti.
«Mi precipito al banco alcolici prima che finisca tutto.» Comunicò Normani, scolando tutto d'un fiato il liquido che aveva in mano per poter rinsanguare il bicchiere.
Camila rimase inerte, a fare spola con lo sguardo fra Lauren e Normani. Alla fine si caricò di coraggio, o forse prese l'iniziativa senza nemmeno rifletterci, agendo solo impulsivamente. Si avviò verso il centro della sala, dove Lauren stava tenendo concione con una falange di persone. Camila aspettò pazientemente che la sfila si sfoltisse, infine si ritrovò davanti alla corvina.
Lauren era disinibita e morigerata come sempre, mentre Camila passava dal nervosismo ad un irrigidimento fisico. Eppure quella donna non l'aveva messa in agitazione il primo giorno, non aveva avuto problemi a risponderle tagliente nemmeno in quelli successivi. Si, le aveva sempre incusso un po' di soggezione, ma quella sera non riusciva quasi a spiccicare parola, il che era strano, per lei soprattutto.
«Complimenti, bel discorso.» Almeno non farfugliò.
«Grazie, Camila.» Replicò la corvina, facendo sfoggio di una illimitata compostezza.
La cubana annuì e, dopo qualche attimo di prezioso silenzio, disse «Volevo sapere se ti fosse arrivata l'email.»
«Del contratto? Si, bel lavoro.» Disse striminzita la donna, abbattendo l'umore alle stelle della cubana per quel successo inaspettato.
«Ottimo.» Si limitò a dire, per poi congedarsi con un miserevole «Buona serata.»
«Anche a te.» Sorrise Lauren, ma prima che la cubana si allontanasse... «Camila!» La richiamò, come se fosse una cosa di precipua rilevanza. Camila si voltò rapida, pronta ad un riscatto.
Lauren avanzò di pochi centimetri, accostando la bocca a lei, ma mantenendo un divario abbastanza distaccato da guardarla dritta negli occhi «Bel succhiotto.» Il suo afflato le sfiorò le labbra, ma furono i suoi occhi ad arroventarla davvero.
«Ah.. grazie.» Rispose estatica la cubana, senza avere il coraggio o la libertà di poter muovere un muscolo.
Lauren rimase a quella distanza per qualche secondo di troppo, dopodiché si distanziò e tornò a prestare attenzione altrove.
La cubana impiegò più tempo per riprendersi e riuscire a voltare le spalle alla donna. Si incamminò verso il corridoio dove la calca scemava. Si appoggiò ad una colonna e istintivamente si toccò il collo. Doveva trovare un bagno, subito!
Non sapendosi orientare, domandò ad un cameriere che passava di lì dove si trovasse la toilette. Lui rispose che al piano superiore vi erano i servizi igienici. La cubana ringraziò cordialmente e si diresse verso quella meta, temendo incrollabile la mano sul collo.
Raggiunse la toilette con qualche passo falso, ma riuscì a chiudersi all'interno. Inspirò profondamente prima di scollarsi dalla porta e pararsi davanti allo specchio.
Si guardò fissa negli occhi, come per infondersi coraggio, quindi fece scattare il braccio verso il lavandino e il collo rimase scoperto alla luce dei neon.
«Oh merda!!» Esclamò la cubana, rendendosi conto della gravità.
Adesso avrebbe voluto seguire Normani al banco alcolici.
Un'aurea violacea e rossastra marchiava la sua pelle. Era un succhiotto abbastanza grande, per niente indifferente agli occhi altrui. Qualcuno aveva voluto marcare il territorio.
Camila ripensò alla donna della sala privata, ai suoi respiri ai suoi baci sul collo... Non ricordava di aver sentito pressione o di aver precipito quel tiepido dolore che solitamente le rosicava la pelle. Eppure eccolo lì, consistente e ingombrante.
Camila riuscì a coprirlo spostando i capelli tutti su una spalla, ma le possibilità che il succhiotto saltasse in vista erano alte. Pregò che non accadesse, almeno non più.
Prima di uscire dal bagno, si risistemò il vestito, poi fu pronta a riemergere in sala.
Sbucò sulla terrazza, che adesso era praticamente brulla, visto che la musica si era leggermente alzata e le libagioni decisamente raddoppiate, tutti gli invitati si ammassavano al piano inferiore.
Camila sospirò e si avviò verso le scale, continuando a toccare i capelli per accertarsi che non si fossero smossi di un millimetro.
Quando imboccò il primo gradino, alzò lo sguardo solo un attimo e, prima che lo riabbassasse del tutto, aveva già captato qualcosa.
Scagliò lo sguardo nella direzione in cui aveva registrato l'atipicità. Quella zona, come l'intera terrazza, era illuminata solo soffusamente. La luce si sprigionava debole dai faretti, creando atmosfera -anche se Camila era quasi certa che avessero economizzato sulle luci del piano superiore perché inutilizzato.
La donna misteriosa era lì. Si affacciava dalla terrazza, mantenendo una postura eretta irreprensibile. La sua sagoma spiccava anche nella penombra, le sue spalle erano rischiarate dal fatuo chiarore, così come la pelle esposta che il vestito consentiva di ammirare.
Camila deglutì. Il suo respiro si era già smorzato. Si sentiva davvero stupida. Chissà chi si nascondeva sotto quella maschera... Forse qualcuno che non avrebbe rivisto più, o forse un'importante figura del mondo automobilistico, forse addirittura una sua collega! Qualsiasi opzione non era favorevole, per una serie di ragioni. Avrebbe dovuto lasciar perdere, avrebbe dovuto soltanto smetterla di giocare al gatto e al topo, ma era più forte di lei. Una forza irresistibile le conduceva i passi verso quella donna.
La cubana ritrasse il piede e invece di scendere si incamminò verso la donna. Quella rimase impassibile per un po', ma quando Camila fu abbastanza vicina, riprese lo "scontro" antecedente.
La donna si spostò sull'altro lato della terrazza e la cubana, come ipnotizzata, la seguì, tenendo i lembi del vestito alzati per non inciampare.
La donna camminava dandole le spalle, camuffandosi nel buio a causa del colore del vestito, ma riaffiorando subito dopo sotto la luce fievole. Camila ricalcava le sue impronte, serpeggiando fra coni di luci e oggetti decorativi depositati lì.
La donna si voltò quando sopraggiunse sulla soglia di una porta scardinata. Osservò Camila solo per qualche istante, sorridendole maliziosa. Le fece intuire che doveva seguirla, se avesse voluto prenderla. E poi scomparve dietro l'angolo, lasciando la scia del velo dell'abito a svolazzarle dietro.
Camila non si arrese. Proseguì nella sua caccia.
Dietro la porta vi erano delle scale che sfociavano su un'uscita di servizio. La porta si richiuse giusto appunto quando la cubana imboccò il primo gradino. Si affrettò a ridiscendere la rampa, immettendosi nel pertugio.
Sbirciò l'ambiente, sempre più trepidante e angosciata. Un mix di emozioni che non lasciavano indifferente il suo cuore palpitante.
L'uscio si richiuse alle sue spalle. Adesso la musica arrivava attutita, quasi inaudibile. Si erano decisamente allontanate.
Davanti a lei si diramavano due varchi. Erano due corridoi illuminati solamente dalla luce lunare che filtrava attraverso due o tre finestre disseminate sulla parete. La cubana non carpiva traccia della donna, così seguì il suo istinto. Sinistra.
Le gambe iniziavano a farle a male, ma soprattutto i piedi, che stavano subendo uno sforzo immane a sostenere quel ritmo affannoso. Appoggiò una mano contro il muro, attestandosi. Anche mentre si sfilava i tacchi non perse di vista nemmeno per un secondo la strada. Moquette. I piedi atterrarono su una soffice moquette. Dato che la festa era tenuta dentro una reggia vera e propria, ipotizzò che fosse sconfinata nell'ala casalinga.
Adesso riprese a incedere più serenamente, arrivando alla fine del corridoio. I due varchi che prima si biforcavano, adesso si erano riuniti ed entrambi confluivano in un unico corridoio ampio.
La cubana si incamminò in quella direzione, l'unica opzione possibile. La luce diafana e celeste che scoloriva i colori e si proiettava allungata sulle pareti, era l'unica bussola che possedeva. Un incolonnamento di porte si snodava alla sua sinistra. Camila avrebbe voluto curiosare, ma era troppo impegnata con la caccia al tesoro per perdersi in inezie.
L'ultima porta era l'unica socchiusa. Volutamente socchiusa. Camila accelerò il passo e si introdusse all'interno. Venne sospinta su un corridoio diverso stavolta. Il pavimento era in marmo lucido e le pareti erano tappezzate da dipinti di qualche nobile che alloggiava, o aveva alloggiato, nella reggia.
La cubana fu costretta a indossare nuovamente i tacchi. Guardò a destra, ma non vi era nessun indizio che la inducesse a proseguire per di là. Uno sguardo a sinistra e... Lei era lì.
Era appoggiata contro una colonna svettante, l'unica accesa da una lama di luce che fendeva dalla finestra.
Camila riempì i polmoni d'aria e a passo cadenzato nuotò fra luce ed ombra, arrivando alla colonna, che però ora era solitaria.
Camila si guardò le spalle stavolta, ma le mani della sconosciuta l'afferrarono da davanti, per i fianchi. La guidò dietro la colonna, dove regnava l'ombra.
Anche stavolta la intrappolò in una gabbia umana, e Camila avvinghiò le braccia al suo collo, senza però baciarla.
La mano della donna scivolava sulla sua vita, lambendo la schiena, carezzandole le sinuosità. Camila si lasciava trasportare da quelle vivide sensazioni, senza chiedersi se fossero giuste o sbagliate, peccaminose o purificatrici, speciose o reali. Erano solo uno cosa, e a lei bastava: vere.
Il respiro della donna le solleticava il collo, mentre il suo, di respiro, si era fatto corto.
La mano raggiunse le sue natiche, gentilmente, raccogliendole in una carezza pudica. Quando però raggiunse l'altezza della sua coscia, l'artigliò risoluta e la portò al suo bacino, strappando a Camila un gemito. Un sorriso si fece spazio sulle labbra della sconosciuta, disegnandosi sul collo della cubana.
Adesso i loro sguardi erano l'uno dentro l'altro, le loro fronti coincidevano e le loro bocche erano già schiuse.
La donna si morse il labbro inferiore, mentre Camila fremeva per poter essere lei a farlo al posto suo.
«Dio, sei così bella.» Sussurrò la donna, ma la voce venne catturata un po' dai geni alticci della cubana e l'altra parte si dissolse nella conca della maschera.
Fu quando la cubana spinse il bacino verso di lei, incitandola a fare qualcosa, che la donna le lasciò andare alla gamba per immergere le mani nella sua chioma voluminosa e baciarla.
Le loro labbra erano già tumide, i loro respiri ancora di più. Camila tentò di raggiungere nuovamente l'elastico della maschera, ma stavolta invece trovò solamente un fermaglio. Sicura che avrebbe finalmente rivelato l'identità della donna, lo tirò via, ma invece di farle cadere la copertura, dilagò solamente i suoi capelli.
Al buio non riuscì a distinguerne il colore, ma le ciocche erano abbastanza lunghe da pizzicarle le spalle, morbide, leggermente arricciate. La cubana si accontentò di quel profumo di vaniglia e lavanda che le inebriò le narici. Sprofondò le dita nel vuoi capelluto della donna, mentre l'altra la tratteneva per la nuca in un bacio appassionato.
Poi, tutto ad un tratto, com'era successo la prima volta, la donna retrocedette senza preavviso e il respiro ansimante della cubana si disperse nel nulla.
La donna Scosse la testa e si incamminò verso una porta di servizio alla loro destra.
«Aspetta.» La cubana raggiunse il suo polso e miracolosamente riuscì ad abbrancarlo «Come faccio a trovarti?» Chiese ansiosa.
La donna abbassò lo sguardo sulla presa che la legava alla cubana, inspirò e duramente disse «Non mi trovi.»
Solo perché il tono era ovattato dalla maschera Camila non riuscì a discernerlo, ma era già sicura di averlo sentito da qualche parte.
Mentre era impegnata ad identificare la sconosciuta, quest'ultima si divincolò dalla presa e a passo svelto se ne andò.
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Spazio autrice:
Ciao a tutti!
Allora, se volevate sapere se Lauren era la donna o meno, non lo saprete oggi. Okay, avrete molte ipotesi e io sarò contenta, se vorrete, di commentarle con voi. Per adesso devo lasciarvi nel dubbio.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
A presto.
Sara.
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