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Capitolo cinquantadue



Ciao a tutti!

Ragazzi, sono davvero contenta di poter condividere questo capitolo. Risulterà un po' intricato, assolutamente si. Fin troppo. Mi piaceva impostarlo così.

Leggete bene perché la verità è arrivata🤭.

Buona lettura!




Sentiva la testa pulsare. Il cuore batterle forte nel petto. Troppo forte.

«Camila!!» Risuonò la voce nelle sue orecchie.

«Shine, like a day on the sea. Shine, why don't you try?»

«Ho visto tutto. E puoi farlo anche tu.» Aveva dei grandi occhi neri, profondi come pozzi. Camila si sentiva annegare dentro.

«Fermati!!» Cammina.

«Shine, like a melody. Shine, like a blow in the wind. Shine, like a man set free. Shine...»

«Non hai mai sospettato niente?» Sospettare? Sospettare cosa? Come?

La sua mano si avvolse attorno al polso. Non sentiva più niente.

«And I know you'll Shine, in the coldest time. You'll Shine.»

No, non aveva mai sospettato niente.

«Mi dispiace. Ti prego. Aggiusterò tutto.»

«And if you don't Shine, i'll Be there. It'll altight. Shine.»

Apri gli occhi dopo un sogno, ed è tutto svanito. Aprì gli occhi dopo un incubo, e ti ci si senti ancora dentro.

«Camila... Shine... È tutto vero... It'll Be alright... Non te ne andare.. Shine... È tempo di fare ciò che andava già fatto... It'll Be altight, til you'll Shine.»

Camila chiuse gli occhi. Aveva bisogno di respirare.

                                  *****

Un anno prima...

«Lauren! Sposta la tua macchina del cazzo dal vialetto!» Gridò spazientito Chris.

«Porca puttana.» Sbottò la corvina, aprendo con impeto la porta della sua stanza. «Vengo a casa per una settimana, e rompete subito le palle.» Gli assestò una spallata mentre lo superava, abbarcando il mazzo di chiavi che sostava sul tavolo di vetro.

«Ragazzi, potete evitare di litigare? Almeno per vostro padre, Dio mio.» Si affacciò Clara sala cucina, con le mani infarinate e il grembiule sporco di pomodoro.

Chris sbuffò e Lauren lo emulò. Erano fratelli, in fin dei conti. La corvina uscì sul selciato, si introdusse nell'abitacolo della sua amata Porche e mise in retromarcia, accostando l'auto alla colonna per permettere a Chris di uscire con la sua dal garage.

Tornò in casa annoiata, ma evitò di piazzare frecciatine per la quiete di suo padre. Ultimamente sembrava peggiorava nettamente. Era quasi certa che la malattia progredisse inarrestabile. E lei non poteva farci niente.

«Alleluia.» Sbuffò il ragazzo, sistemando la giacca di pelle sulle spalle. No, lui non comprendeva la situazione.

«Chris,» lo afferrò per la manica prima che potesse svignarsela, «so che sia difficile anche per te.» Tentò la strada della comprensione, sapendo bene che il fratello non era mai stato così irriguardoso, ma la convalescenza cronica del padre rattristava tutti.

«Sto benissimo.» Si divincolò dalla presa, immusonito. Stava bene. Cazzo.

Uscì sbattendo la porta, incollerendo ancor di più la sorella, paladina della requie nei riguardi di Mike. Taylor, anche lei rincasata per l'anniversario di matrimonio dei genitori, era sempre chiusa nella sua stanza. Non faceva parola poche ed essenziali. Due modi diversi di reagire al dolore. Anzi... Tre.

Lauren soffriva molto per la situazione, ma lei era sempre stata la più equilibrata. Non si faceva prendere dalle emozioni, proprio come suo padre. Anche nelle situazioni critiche manteneva il sangue freddo e proseguiva a testa alta, senza mai guardarsi indietro. Se c'era da fare qualcosa, andava fatta. Fine della storia.

«Lauren, puoi aiutarmi qui?» Fece capolino Clara, modulando il tono.

La corvina annuì, aggregandosi alla madre. Stava cucinando delle empanadas, le più buone che Lauren avesse mai assaggiato. Clara le aveva trasmesso l'amore per la cucina, anche se ultimamente non aveva molto tempo dedicarsi all'arte culinaria. Le redini dell'azienda erano da poco passate sotto il suo controllo. Stava amministrando il tutto sul filo del rasoio. Purtroppo sapeva bene che un passo falso avrebbe distrutto anni e anni di carriera di suo padre. Non poteva permetterselo. Ma le magagne erano innumerevoli, e più di una volta aveva pensato di gettare la spugna, senza mai arrivare al dunque però.

«Come ti senti?» Spezzò il silenzio Clara, tagliando un pomodoro con destrezza.

«Bene. Sono stanca perché lavoro e studio fin a tardi, ma sto bene.» Annuì, rassicurando sua madre. Quattro. Quattro sofferenze. Clara forse la più eminente.

«Tuo padre è fiero di te. Me lo dici spesso.» Sorrise dolcemente la donna. Aveva l'odore di saliva appiccicato addosso.

«Già.» Assentì mestamente Lauren, abbassando lo sguardo sugli ortaggi. Ne sorteggiò uno a caso -cetriolo- e prese a tagliarlo. 

Clara imbandì una tavola pomposa per ospiti e familiari. A casa Jauregui le feste di facevano in grande. Aveva preparato più antipasti, primi contorni, secondi e dolci. Sembrava un ricevimento di matrimonio in pieno regola, invece che la commemorazione di esso. Un sacco di facce familiari si erano riversate nel giardino e nella casa, inondando l'atmosfera di gioia e leggerezza. Ciò di cui più abbisognava la famiglia Jauregui.

Taylor era uscita con degli amici, mentre Chris era sparito come al solito. Solo Lauren era presente alla cerimonia, ma nessuno sembrava farci caso. Erano tutti impegnati a spettegolare su qualche vicino o a narrare le trame di qualche rocambolesco episodio di gioventù. La serata non poteva essere migliore. Il clima era tiepido e refrigerante. Le lucciole sfidavano le stelle, ma erano le luci di cartapesta appese girotondo su l'area del giardino a prevalere davvero. Il cibo era squisito, gli invitati sublimi. I ricordi effervescenti e briosi più delle bollicine nei bicchieri di carta. Era tutto perfetto. Anche la presenza di Mike, un po' affaticato e vacuo, ma costantemente presente.

Lauren inoltrò un messaggio ad entrambi i fratelli, piena di disappunto per il loro comportamento increscioso. Era la sorella maggiore e sapeva come farsi valere, ma a volte certe scelte non dipendevano dalla sua volontà, e questo doveva ancora accettarlo.

La festa proseguì incalzando. Mike fece addirittura ballare Clara, seppur con movenze gottose e intermittenti, ma con la strenua di chi non smette di danzare fino all'ultima nota.

Il telefono di Lauren squillò. Era Taylor. Stava tornando insieme ad un amico, si era fermata al centro commerciale a comprare un regalo per mamma e papà. Lauren Sorrise. Non era poi così irragionevole come credeva. Taylor si stava convertendo in una donna savia e coscienziosa. Era orgogliosa di lei. Qualche scorreria ci stava. Era pur sempre in età adolescenziale. E anche lei, in quel periodo, ne aveva combinate di tutti i colori... Ma meglio sorvolare.

Chris non accennava a dare risposta. Lauren era quasi certa che sarebbe dovuta andare lei stessa a prenderlo per le orecchie e dargli una strigliata. Provò a chiamarlo di nuovo, ma niente. Staccato.

«Mi permetti questo ballo?» Mike, accompagnato solo dalla forza delle sue braccia e quella ancora più imperitura della sua volontà, tese la mano alla figlia.

Ovviamente Lauren Sorrise e la strinse, calandosi in pista in un lento che le ricordò l'avvento dei suoi diciotto anni. Mike la portava con più grazia e disinvoltura a quei tempi, ma la forma delle sue mani era la stessa, la sicurezza del suo abbraccio pure.

«Lauren, sono commosso per la donna che sei diventata.» Le sussurrò suo padre all'orecchio. «Sappi che siamo nelle tue mani. Non solo l'azienda, ma l'intera famiglia.»

La corvina avvertì il peso di quell'affermazione sedimentare sulle sue spalle. Dimorare come mai prima d'ora. Sentiva qualcosa dentro di lei cambiare, prendere forma e carattere. Si, non era più una ragazzina, e presto tante responsabilità avrebbero fatto capo a lei.

«Lo so, papà. Lo so.» Gli stampò un bacio sulla guancia prima di allontanarsi e lasciare che Mike riposasse un po', prima di ballare di nuovo con Clara.

Taylor arrivò a casa giusto in tempo per il taglio della torta. Clara aveva sicuramente notato la sua assenza fino A quel momento, ma non lo diede a vedere. Lauren si rammentò allora del fratello fuggiasco. Controllò il telefono. Ancora niente.

La testa si prorogò fino a sera tardi. Nessuno sembrava aver voglia di interrompere quella nottata magica, ma purtroppo Mike iniziò ad accusare la stanchezza e presto non poté far altro che pochi passi fra il tavolo e l'amaca. Era tempo di rincasare. Gli ospiti salutarono calorosamente la coppia, con sguardi compassionevoli rivolti verso entrambi che stavamo antipatici ad entrambi, ma che ormai avevano imparato a maneggiare.

Taylor e Lauren implementarono arnesi quali granata e sacchetti della spazzatura per rimettere a nuovo giardino e veranda. Clara le aiutò a tirare a lucido la casa fino all'ultima decorazione. Terminarono non prima delle due e mezzo di notte, dopodiché Taylor e Clara sprofondarono nelle loro rispettive stanze, esauste.

Anche Lauren si asserragliò nella sua camera, e infilò degli abiti più comodi e confortevoli per approntarsi alla notte. Fu quando aveva già indossato camicetta e pantaloncini di cotone che finalmente l'iPhone vibrò.

«Chris, dove diamine sei? Lo sai che c'è stata la festa? Lo sai che i tuoi genitori oggi hanno commemorato un giorno importante? Lo sai che potrebbe essere l'ultimo per papà?» Gli fece la ramanzina la corvina, su tutte le furie.

Chris non rispose.

«Chris? Maledizione, dì qualcosa!» Si infervorò ancora di più.

«Lauren...» La corvina registrò immediatamente la voce rotta del fratello. «Lauren, è successo un casino.»

La corvina Si guardò alle spalle. Chiuse del tutto la porta e si avviò verso il centro della stanza. «Che succede, Chris?»

«Lauren io... non lo so come è successo. Ho... ho bevuto... C'è stato un incidente... Non l'ho visto, Lauren... Io non l'ho visto... Non dovevo guidare. Non dovevo guidare.» Sembrava sbigottito, una voce proveniente quasi dall'oltretomba, tanto era vitrea.

«Sei ferito? Dove sei? Dimmi dove sei, vengo a prenderti.»

«Sono a Miami.»

Lauren si sedette sulla sponda del tutto «A Miami?» Ripeté incredula.

«È successo un casino, Lauren... Io credo che sia morto.»

Il cuore della corvina sprofondò nel suo petto. Non ebbe il coraggio di chiedersi se stesse vaneggiando o meno.

«Chris, ascoltami bene.» Prese in mano la situazione, immaginando il peggior scenario. Doveva prima pensare all'incolumità di suo fratello, anzi... Dell'azienda. «Sali in macchina e dormi da qualche parte. Non in hotel. Dormi in un parcheggio, magari. Il più vicino che trovi. Domani mattina torna a casa subito, chiaro? Adesso vattene di lì, subito.»

Chris eseguì alla lettera gli ordini. Se la diede a gambe levate, passò la notte in un posteggio lì vicino, senza dormire granché. L'unica regola che infranse fu recarsi ad un ospedale per farsi visitare il braccio. Gli faceva troppo male.  Il giorno dopo riuscì a rincasare tutto intero, ma il suo avversario no. La notizia dell'incidente si diffuse su tutti i giornali, ovviamente nessuno aveva visto nulla. Il che era un bene. Lauren aveva già un piano in mente, ma aveva bisogno di Normani.

Con la scusa di qualche pratica si congedò dai suoi genitori e tornò immediatamente a New York. Convocò Normani nel suo ufficio e le riassunse dettagliatamente la situazione.

«Gli hai detto di scappare? E se fosse stato vivo, Invece? Cazzo, Lauren. Poteva salvarlo.» Imprecò Normani, scattando in piedi.

«Questo non lo sappiamo.» Rimbeccò con voce ferma e asciutta, per niente incrinata.

«Cazzo.»

«Ascoltami, Normani, quel che è fatto è fatto. Non c'è tempo di guardarsi indietro. Ora dobbiamo insabbiare tutto.» Dichiarò indolente Lauren, fissando dritta negli occhi l'amica.

«Certo che dobbiamo insabbiare tutto, e anche velocemente.» Sibilò a denti stretti Normani.

«Porteremo l'auto di Chris nella mia officina. Lì, la smonteremo, pezzo per pezzo. Nessuno ne saprà più niente. Si è fermato in ospedale, ma è superfluo. Ha detto di aver bevuto e di esser scivolato. Nessuno può contestare ciò.»

«Che cosa faremo con la famiglia della vittima?» Azzardò Normani tristemente. 

«Ho già pensato a tutto io. Ho versato venti milioni sul conto corrente del notaio. Quindici alla famiglia e cinque per la discrezione. Mi sono spacciata per una vecchia amica di famiglia. Staranno bene.» Decretò la corvina, avvertendo un senso di vana onnipotenza.

«Staranno bene, certo.» Ribadì Normani, per niente convinta.

«Ho bisogno che tu mi faccia un piacere, Normani. So che hai degli amici, amici che possono tornarci utili. Ho bisogno che contatti uno di loro e che gli faccia prelevare l'auto in totale discrezione, e la faccia portare al mio autodromo. Puoi farlo?» Si informò Lauren.

Normani esitò un attimo. Si sentiva impotente e dannatamente disorientata. Era un gran casino.

«Ci penso io.» Disse infine.

«Grazie, Normani.»

                                    *****

Sette mesi prima...

Normani entrò nell'ufficio con volto attonito e pesto. Sembrava aver visto un fantasma. E un po' era così.

«Che succede?» Chiese Lauren, scrutandola a lungo.

Normani non rispose, ma decelerò il passo e il respiro. Mise sotto gli occhi della corvina un giornale, risalente a sei mesi prima. Parlava dell'incidente, ma non come avevano trattato le grandi testate. Era un giornale locale. Aveva un tono intimo e addolorato. Ma soprattutto elargiva dettagli a cui nessuna delle due aveva pensato prima di allora.

«Lauren, la vittima di quella sera si chiamava Alejandro Cabello, ed era il padre di Camila.»
  
La corvina alzò lo guardo su Normani, allarmata. Non l'aveva mai vista così sgomenta.

                                   *****

Cinque mesi prima...

«Ti sei bevuta il cervello! Porca puttana, Lauren, sei fuori di testa!» Sbraitò Normani, consolata dall'ampiezza della casa della corvina e dalla sua intimità, nettamente superiore all'ufficio.

«Non sa che sono io.» La rassicurò Lauren, sorseggiando del whisky.

«Lo saprà, maledizione! Guarda queste cazzo di foto!» Con un gesto violento e indignato Normani scaraventò le immagini sul tavolo, spargendo ricordi della serata.

«Si vede il tatuaggio, idiota! Quanti pensi che impiegherà Camila a capire che sei la donna misteriosa? Non puoi permettertelo, Lauren. Se Camila scoprisse la verità su tutto...»

«Non lo farà. Mi terrò lontana da lei. È stato solo un momento.» Scrollò le spalle Lauren, ma ancora non aveva guardato Normani negli occhi.

                                   *****

Due mesi prima...

«Lauren, avevamo deciso che è meglio dir la verità, o sbaglio?» Pausa «Tu e Camila siete felici, no? Non potete basare tutto su una bugia. Una bugia così grossa.»

«Che cosa penserebbe, Normani, eh?! Ho lasciato morire suo padre, ho insabbiato il tutto per coprire l'azienda, perché uno scandalo di quelle proporzioni ci avrebbe affondato. Ho lasciato morire suo padre per la mia azienda.» Sospirò Lauren, così esausta di trattenere quel segreto, ma al con tempo priva di scelta.

«Lauren, non possiamo andare avanti così. Non me la sento. Camila è importante per entrambe, non possiamo mentirle ancora.» Scosse la testa Normani, contrita.

«Pensi non lo sappia? Lo so.» Svitò la bottiglia di whisky «Lo so.»

                                   *****

«Camila!»

«Fermati!»

La sua mano si avvolse attorno al polso della cubana. Non l'aveva mai vista così. Le era crollato addosso tutto, di fronte a lei si era sgretolato ogni cosa. E lei era fredda come una pietra.

«Mi dispiace. Ti prego. Aggiusterò tutto.» La supplicò Lauren.

«Vuoi riportare in vita mio padre?» Inarcò un sopracciglio la cubana, reclinando lentamente la testa. «Puoi farlo?»

«Camila... io...» Si trovò alle prese Lauren, farneticando qualcosa di incomprensibile.

«Appunto.» La cubana Si liberò dalla sua presa e continuò a camminare.

Lauren con un balzò l'affiancò di nuovo. Non poteva cancellare ciò che era stato. Non poteva ovviare ciò che non era più.

«Camila, Camila, aspetta.» Mormorò, afferrandole nuovamente la mano. Tremava. Camila no. Camila era imperturbabile.

«Mi dispiace, avrei dovuto dirtelo, ma avevo paura di perderti, avevo paura di rovinare tutto. Io e te siamo state così bene in questi mesi. Te lo avrei detto, devi credermi.» Giurò solennemente Lauren, portando la mano della cubana sul cuore. Quello di Camila era di marmo.

«È troppo tardi.» La cubana Si svincolò nuovamente dalla sua morsa. Non aveva intenzione di restare lì.

«Camila, no. Camila!» La corvina l'abbracciò da dietro prima che la cubana potesse salire in auto, ma questa Si dimenò belluinamente.

Per la prima volta in quella sera tetra e buia, ebbe un raptus. Allontanò bruscamente Lauren, si voltò di scatto. Gli occhi sgranati e labbra schiumose.

«Sai qual'è il tuo fottuto problema? Che le cazzate che ti racconti, le fai credere anche agli altri.» Digrignò i denti, additandola.

«Non è così. Non erano cazzate le nostre.» Si impose fermamente, scuotendo energicamente la testa.

«Ah no? Avevi detto che tolta la maschera non ci sarebbero stati più segreti, e invece eccoci qua.» Accennò ad un riso sarcastico la cubana.

«Camila, te lo avrei detto...»

«Scommetto che non è nemmeno l'unico, vero Lauren? Ci sono altri segreti, non è così? Dimmi di no, se hai il coraggio.» Lanciò il guanto la cubana.

No, Non aveva il coraggio di continuare a mentire. Abbassò lo sguardo e quello fu abbastanza.

«Non ci posso credere. Ancora?!» Alzò il volume la cubana. «Ancora segreti, cazzo. Vivi solo di segreti, di sotterfugi, di manipolazioni.»

«Non manipolo nessuno, Camila.» Si difese blandamente.

«Invece si, e tutto per questa cazzo di azienda.» Allargò le braccia, indicando il parcheggio ancora una volta vuoto.

«È l'unica cosa che mi resterà di mio padre, Camila.» Sussurrò in un filo di voce la corvina, Aggravando la situazione.

«E a me cosa resta, Lauren, eh? Cinque milioni di dollari? Mi restano quello di mio padre?»

«Lo so che non ripagherà mai la...»

«Potevi salvarlo! Tu potevi salvarlo!» Sbraitò la cubana, dando uno spintone alla corvina che incassò inerte.

«Shine, like a melody. Shine, like a blow in the wind. Shine, like a man set free. Shine...»

La voce di Alejandro si propagava nelle orecchie della cubana

«Non possiamo saperlo.» Bisbigliò fra se e se, ma non abbastanza sottovoce.

«Shine, like a day on the sea. Shine, why don't you try?»

«E non lo sapremo mai, perché lui è morto. È morto, cazzo!» La colpì con un altro spintone, dopodiché un'espressione addolorata le screziò il viso. Tutte le sue emozioni le stavano comprimendo il petto, ecco perché bisognava tornare allo stato restitutivo. Pietra, rigidità, silenzio.

Passò una mano fra i capelli e le diede le spalle, arrivando all'auto in men che non si dica. La reazione di Lauren non si fece attendere.

«Resta qui, Camila. Non scomparire di nuovo, ti prego.» La implorò Lauren, lanciandosi sulla portiera aperta, avvertendo ogni fibra del suo corpo svaporare.

«And I know you'll Shine, in the coldest time. You'll Shine.»

La cubana si girò verso di lei. Aveva uno sguardo freddo, disamorato.

«Io non ti perdonerò mai, Lauren.» Sentenziò senza alcuna emozione nella voce, facendo forza per entrare in auto anche contro le vivide proteste della corvina che a niente servirono.

Ora sapeva la verità.

Quasi tutta.

«Shine, like a melody. Shine, like a blow in the wind. Shine, like a man set free. Shine...»

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Spazio autrice:

Ciao a tutti.

Anzitutto ci siamo. Adesso anche voi sapete la verità. Quasi tutta. Ovviamente questo era il fulcro, le altre menzogne che Lauren sta nascondendo a Camila sono minori, direi, ma comunque importanti. Sono contenta che alcuni ci siano andati vicino, ma nessuno abbia capito del tutto la dinamica dell'incidente. Spero che di avervi un po' sorpreso!

Nel prossimo capitolo vi svelerò chi era l'uomo alla porta di Camila, anche se forse può essere intuitivo.

Non sono sicura se continuerò qui o scriverò Towers 2, devo ancora capirlo, ma comunque sia... allacciatevi le cinture! 😉

Grazie mille a tutti. Spero che vi sia stia piacendo la storia.

A presto.

Sara.

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