The world is yours
Credo, per la prima volta sul serio da quando scrivo un pensiero, che questo sappia per bene dove voglio che vada a finire.
È stato come se, in questa settimana, la mia vita avesse preso la piega che io stentavo così tanto a farle assumere. Ne tenevo i lembi con forza tra le dita senza accorgermi di aver perso tutte le unghie. Senza accorgermi di quanto, questo, mi stesse facendo sanguinare e soffrire.
Non so che è successo ma, per la prima volta, mi sono detta di essere stanca: dell'ozio, dell'abitudine e, anche per la prima volta, sto facendo qualcosa perché questo cambi.
Perché, mi lamento, vivo in prospettiva di Dio solo sa che cosa ma, alla fine, non faccio assolutamente nulla. Fino, a questa settimana dove, in qualche modo, dei tasselli che ero troppo spaventata per poter vedere, hanno iniziato a prendere forma davanti ai miei occhi.
Ma partiamo dall'inizio.
Parte tutto da me, che ho diciannove anni. Che ho appena iniziato a lavorare e mi sono diplomata da più o meno tre giorni. Parte da me che, a lavoro, mi sono trovata talmente bene e sono talmente brava che quasi mi dimentico di iscrivermi all'università. Parte da me che non ho abbastanza soldi per poter finalmente uscire dal buco di merda nel quale mi trovo e decido di rinunciare a qualsiasi cosa: a chiedere borse di studio od un aiuto alla famiglia e rimango qui, inchiodata in un posto che non mi piace, perché è la cosa che più conviene.
La nostra storia, continua con me che vado all'università e mi rendo conto che, a parte qualche sporadico momento, terminato (l'anno scorso) con le lezioni del primo semestre, io sono annoiata. Non ho stimoli.
Ho degli amici splendidi, una vita sociale costellata di persone che mi danno molto più di quanto credano ma, comunque, c'era qualcosa che mancava.
Era un po' quella tendenza all'infinito leopardiano. Il cercare di innalzarsi verso qualcosa che mi sembrava non potessi mai raggiungere e, proprio questa consapevolezza, mi fa continuare le mie solite cose, avvolta da un pesante strato di inerzia.
Andiamo avanti con me che torno a lavorare nello stesso albergo della prima volta. Sono brava e salgo anche di livello ma qualcosa manca anche qui.
Non ho più voglia di crescere. Ho la testa da un'altra parte ed entro in forte competizione con la mia collega. Mi rendo conto di tentare di dare di più in funzione di quanto dava lei, in funzione di quanto rendeva lei ma non in funzione di quanto, invece, rendessi io. Non era più una sfida con me stessa per poter essere la versione di me migliore del giorno prima, era una sfida contro qualcun altro nella speranza di poter essere sempre la migliore.
Quella crescita genuina, mi ha portato a mal sopportare la mia collega quando stavamo assieme. A soffrirla ed a sentirmi in colpa per quello che provavo nei confronti di una ragazza d'oro.
Quando finisce la stagione, torno all'università ed inizio letteratura inglese. Inizio letteratura inglese e mi sembra che il puzzle disordinato della mia vita torni lentamente al suo posto. Volo tra le parole, tra le righe, tra i versi e, in quell'ora e mezza di lezione, io mi dimentico anche di chi sono.
Sono concentrata su Shakespeare, Robinson e, al di fuori di loro, esiste solo il mio amore verso le storie che mi raccontano.
Finisce anche letteratura inglese. Finiscono le lezioni ed io torno in quella fase di familiare stallo dove passo le giornate dal non fare un cazzo a letto, a non fare un cazzo sul divano. Do qualche esame, mi riescono ed aspetto che inizino le lezioni tra un'uscita e l'altra con i miei amici.
A fine gennaio, mi chiama il mio capo.
Sono riconfermata.
Sorrido. Mi va bene. Altri soldi per la magistrale. Devo uscire da qui.
Muoviti, cazzo, ad uscire da questo buco di merda. Muoviti, muoviti muoviti.
E poi, in una mattina di sabato, arriva la bomba. Vado a trovare il mio capo e:"io non volevo riconfermarti quest'anno. È tanto che sei con noi, devi imparare a camminare da sola".
Ed arriva anche la bomba che ho chiamato "sparatore abusivo di sperma". Arriva la sua bomba. Arriva il dolore, la rabbia e l'odio che lui si porta dietro e che, inesorabilmente, un po' a fondo con loro mi trascina.
Ma arriva anche Roma. Roma con la mia migliore amica. Roma alla quale ho lasciato una parte di me per sempre.
Una settimana dopo, riprendono le lezioni e, la mia vita ritorna ad oscillare tra le lezioni di cinese ed il ripasso che, ancora non ho portato a termine. Tra il ripasso che, ancora non ho portato a termine e le uscite con i miei amici, i pranzi da nonna ed il mio cagnolino.
E poi, inaspettatamente, arriva il mio Supertrapper.
Non vi dirò il suo nome. Lo chiamerò Supertrapper e, comunque, ai fini della storia, quello non è importante.
Supertrapper è uno dei miei amici che, dopo il diploma, ha preso i piedi e si è trasferito a Londra.
Supertrapper è un artista ma di quelli fighi. Che fa canzoni altrettanto fighe e che crede talmente tanto in quello che fa che, quando lo vedi nel suo elemento, non riusciresti ad immaginartelo da nessun'altra parte.
Supertrapper è partito a Londra per seguire il suo sogno, senza mai dimenticarsi di chi è. È uno degli amici al quale sarò per sempre più legata. Lui, i suoi ricci, la sua risata contagiosa e quella testa che sarà sempre la parte che preferirò di lui.
Supertrapper è una persona talmente tanto eccezionale che io la augurerei a tutti.
Io augurerei a chiunque una persona come lui. Tanto bella, tanto pura, tanto positiva.
Che poi, Supertrapper sembra anche un montato perché mette le collanine d'oro, è pieno di tatuaggi e poi fa trap. I trapper devono per forza fare i fighi. È il personaggio che si creano attorno e che, nelle loro canzoni, esaltano come chissà quale sciupafemmine riccone.
Adesso, anche il mio supertrapper scrive alcune canzoni del genere ma è sveglio al punto tale da metterci la frase giusta al momento opportuno. Quel "tic" che, se ascoltato nel modo giusto, ti fa rendere conto di aver sempre sbagliato nei suoi confronti.
Supertrapper è stato mio compagno di scuola per cinque anni. Seduto in prima fila, furbo abbastanza per non studiare e farcela. Ruffiano al punto tale da farsi volere bene da tutti. Così meravigliosamente genuino da far sì che quel bene sia reale.
Seduti in un pub della città (uno dei pochi posti decenti, con le pareti graffittate, due biliardini ed un biliardo), io gli ho raccontato come mi sentissi. Dell'ozio, della noia, della perenne insoddisfazione.
E gli ho chiesto come facesse. A viversi la giornata, a Londra, in nome di un sogno. A vivere con l'unico piano di sfondare nella musica senza alcun salvagente, senza pensare al futuro prossimo ma vivendosi giorno per giorno le opportunità che cerca di costruirsi.
E Supertrapper è talmente bello, talmente positivo che te la trasmette. È l'influenza migliore che potrebbe mai avere una persona. È la botta di positività e fiducia che io auguro a chiunque almeno una volta nella vita. Perché, quando parlo con lui, mi rendo conto della prospettiva diversa con cui guardi ciò che lo circonda. La luce dorata che vede attorno a quello che gli succede e che cerca di sfruttare perché venga sempre a suo favore.
Una volta mi ha anche detto:"devi essere acqua" e, qualche giorno fa, mi ha detto di essere "curiosa". Che, come cosa può essere banale ma per una persona come me, che vive di ansie, nella paura di commettere l'errore più grande della sua vita, non era così scontato.
Mi ha detto che, secondo lui, è la curiosità che salva le persone, che le spinge a volere sempre di più da quello che li circonda e da loro stessi.
Ed io, come al solito quando lui parla, sono rimasta ad ascoltarlo col cuore che si alleggeriva di più. Perché Supertrapper ha questa capacità di prendere le persone e girarle esattamente a suo piacimento e lo fa con una dolcezza e con una delicatezza che, dentro di te, quello che fa lui equivale ad una carezza.
Ed io stavo proprio aspettando di parlarne con lui. Di dirgli come mi sentissi. Di quanto, a vent'anni, non fossi soddisfatta della mia vita quando invece lui, alla mia stessa età, sta spaccando il mondo.
Perché noi viviamo in una città piccola e lui fa rap da quando avevamo tredici anni, passando poi alla trap nello stesso in modo in cui si è evoluto il mercato. Quando fai rap in una città piccola come la mia, i giudizi degli invidiosi saranno sempre il tuo nemico peggiore. E quando quegli invidiosi te li vedi sull'autobus, a smorfiare le tue canzoni o a scriverti che meriti qualsiasi cosa brutta e lo faranno loro che abitano a dieci minuti da casa tua, non è facile.
Nessuno ci ha mai veramente creduto in Supertrapper ed i suoi amici. Nessuno ha mai creduto alla possibilità che potessero fare qualcosa. Certo, noi amici l'abbiamo fatto ma nessuno ci ha creduto intensamente quanto l'hanno fatto loro.
Supertrapper ha creduto in lui abbastanza da far uscire più di un album e l'ultimo caricato (meno di un mese fa) ha fatto 6k su Spotify.
E Supertrapper crede in ciò che fa al punto tale da voler cambiare non solo se stesso ma anche la città in cui è cresciuto. Vuole cambiarla in nome del ragazzino che era, che si è dovuto fare strada con un cappellino della volcom in testa, con tanti sogni ed un mondo contro che ha sempre provato a distruggerglieli.
Vuole cambiarla in nome di chi, come lui, ha un sogno. Qualcosa in cui crede ma che non ha il suo stesso coraggio.
"Tutti ascoltano la trap ma nei locali non la passano mai". Ed è per questo che lui ha organizzato un live in un locale nel centro storico della nostra città, dove è venuto i n mucchio di persone e dove, tutti, TUTTI, cantavano le sue canzoni a squarciagola.
E quel momento, quello del concerto, è solo il momento che mi ha fatto dire che quello che voglio io, quello in cui credo, vale qualcosa se lo fa per me. Che io devo essere curiosa e, se voglio una cosa, vado e me la prendo.
Quello che succede, dopo la chiacchierata con Supertrapper e prima del suo live, è la riapertura di un bando di tirocinio della mia università. L'hanno riaperto perché ci sono due sedi nuove e le due sedi nuove sono le uniche due nelle quali vorrei andare io.
Quindi, mentre leggevo il mio bando, seduta sul letto con una vecchia tutta addosso, ho pensato alle coincidenze: il mio capo che riteneva dovessi camminare da sola, Supertrapper che mi dice di essere curiosa, la riapertura di un bando per due sedi nuove (mai proposte negli anni passate) che, più di tutte, sembrano includere qualcosa che potrebbe piacermi veramente.
Erano troppe coincidenze. Troppi segnali che io ero solo spaventata a cogliere ma che, davanti ai miei occhi, hanno assunto la forma di quel treno che dicono passi una volta nella vita.
È per questo che, dopo il live, ho abbracciato Supertrapper.
Supertrapper è più alto di me e, in quel momento era anche un po' sudaticcio ed euforico per com'era andata la serata.
C'erano le persone che gli scrivevano su Instagram, che gli dicevano fosse d'ispirazione. Persone che non pensava credessero in lui ma che, invece, cantando le sue canzoni e saltando con un pugno in aria, l'hanno fatto eccome.
Ho abbracciato Supertrapper, gli ho dato un bacio sulla guancia. "Ti voglio bene, ****lino. Sei nato per fare questo".
E, con lui che ero riuscito a rubare tra uno scatto e l'altro che gli chiedevano le persone, prima che fuggisse via per fumare e parlare con chissà quale altro fan, ho capito ciò che intendeva Supertrapper e quello mi ha colpito con forza al petto.
Ciò che lui rappresenta mi ha preso e dato uno scossone.
Era tutto il pomeriggio che ci pensavo, che piangevo, parlavo con le persone nel tentativo di capire cosa fosse più corretto fare.
Ma poi ho visto lui, a petto nudo che cantava, avvolto nel suo elemento al punto da tale da non distinguere più dove iniziasse lui e finisse la musica . Ho visto lui che ballava con le persone che cantavano a squarciagola le sue canzoni. Ho visto lui che era un vero Supertrapper, così a suo agio mentre realizza il suo sogno che mi sono detta di smetterla.
Che mi sono detta di smetterla di essere una piccola stella senza cielo. Di smetterla di essere triste. Di cullarmi nei miei momenti di gioia per credere che la mia comfort zone mi vada bene.
Se non hai un cielo, rimboccati le maniche e createne uno.
Supertrapper ha un tatuaggio sul petto, "il mondo è tuo".
Ed ha ragione. Il mondo è mio ma devo prendermelo e questo, perché succeda, parte e partirà sempre e solo da da me.
Quindi, rubato tra uno scatto e l'altro, gli ho preso il volto tra le mani, "comunque ho deciso, mollo il lavoro e vado in Inghilterra".
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