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Marzo 1988
Sono terribilmente stanca. Otto ore di riposo, tutte filate, sono diventate solo un lontano ricordo per me.
Approfitto dei lunghi viaggi come questo, quando ci spostiamo da una città all'altra e il tempo sembra non passare più, per starmene sola e guardarmi un po' dentro. Solo in questi momenti mi rendo conto di quanto sia effettivamente esausta e come non riesca ad accorgermene durante le sessioni di lavoro.
In effetti quello che sto vivendo mi sta impedendo di ascoltare il mio corpo e qualsiasi altro fattore esterno ad esso, ma non posso biasimarmi per questo. Fare parte di un team che sta girando il mondo per realizzare un tour musicale è qualcosa che non possono sperimentare tutti, è qualcosa di talmente assurdo da farti dimenticare tutto il resto, eccetto le cose più importanti e che restano la mia preminenza nonostante tutto.
Sono due mesi che non vedo mio figlio Eric. Penso al suo viso paffuto e dolce, alla sua buffa abitudine di volere mettere le scarpe al contrario per farmi ridere, ma dopo mi rattristo. Sarà cresciuto in questi sessanta giorni? Avrà scoperto o imparato cose nuove senza di me?
Rammento che mia madre ha promesso che questo fine settimana, in occasione delle due date a Indianapolis, sarebbe venuta a trovarmi insieme a lui e papà da Nashville, così inizio a fremere al pensiero di rivederli e improvvisamente non mi sento più così tanto stanca.
Durante i viaggi siedo sempre accanto a Tommy Simms, il parrucchiere, e questa volta non è diverso. Durante i primi spostamenti parlavamo per quasi tutto il tempo, ma quando abbiamo scoperto di avere poche cose in comune e, sopratutto, dopo avere passato per due mesi di fila ventiquattro ore al giorno insieme, adesso ci rivolgiamo a malapena la parola come a volerci disintossicare l'uno dall'altra. Di solito lui legge riviste di parrucchieri, come se non volesse mai staccare dal proprio lavoro, mentre io in questi momenti non ne voglio sapere del mio. Preferisco fare un cruciverba o semplicemente dormire, per quanto possa riuscirci.
Da parte a Tommy siedono i tre costumisti: Bill, Louis e Dennis che chiacchierano animosamente di moda e forse ogni tanto di altro. Mentre Frank Di Leo, il manager di Michael, siede davanti a me e la cosa mi irrita dal momento che fuma ogni due minuti e il suo tabacco m'impregna le narici facendomi tossire in continuazione. Da ex fumatrice quale sono detesto il fumo semplicemente perché mi attrae e non voglio ricominciare a farlo, specie ora che c'è il mio bambino. Anche se qualche ricaduta c'è stata, sopratutto da quando ho iniziato questo tour. Frank me lo ricorda ogni volta con i suoi sigari spessi come dita gonfie.
Michael siede da parte a lui e non so come faccia a stargli vicino. Una volta mi ha confessato di non sopportare nemmeno lui tutto quel fumo, ma avere accanto Di Leo gli dà sicurezza. Ed è alquanto singolare vedere la nostra star, il nostro frontman, quello che sul palco tira fuori gli artigli di una tigre instancabile, si senta vulnerabile quando è fuori dal palcoscenico e abbia bisogno di stare accanto ad un uomo panciuto che è soltanto un grande oratore e niente di più. Ma questo è solo un mio modesto parere.
Ora mi chiama. "Rita", dice.
Inizialmente non lo sento, stavo riposando, e lui ha la voce così flebile. Ma poi Tommy mi dà un colpetto sul gomito.
"Ti sta chiamando", mi bisbiglia senza neanche togliere gli occhi dal giornaletto.
Allora balzo in piedi e mi avvicino a Michael, sebbene una turbolenza mi faccia un attimo barcollare. Mi afferro allo schienale facendomi vedere da lui.
"Sono qui, Michael", rispondo.
Lui solleva appena il mento e io capisco. Mi avvicino a lui, infilandomi tra i sedili, e noto che ha il viso imperlato di sudore, cosa che potrebbe fare sciogliere il fondotinta che gli ho applicato la mattina stessa. Devo intervenire subito.
Afferro prontamente il pennello a lingua di gatto che tengo nel grembiule e picchietto sulle sue guance per fare amalgamare i residui di fondotinta depositati sulle sue setole. Un'altra turbolenza mi sballottola, cogliendomi di sorpresa, e così finisco con le mani sulle sue spalle per non andargli completamente addosso. Rimango sorpresa da quanto sia massiccio sebbene il corpo esile.
"Perdonami", gli dico.
Lui mi afferra le braccia e mi aiuta a risollevarmi.
"Tranquilla", mi rassicura accennando un sorriso.
Di Leo guarda tutta la scena e come da prognostici mi riserva un'occhiata di sufficienza. Da un po' di tempo è chiaro a tutti che non ci stiamo simpatici.
Mi chino di nuovo e accarezzo il volto di Michael con il pennello, appena sopra le cicatrici dell'acne che ha sulle guance. Mi sforzo di stare in equilibrio, d'istinto appoggio il ginocchio contro il suo sedile per sostenermi. Sono abbastanza concentrata a non muovermi più di tanto, malgrado l'instabilità del momento. Dopo prendo un altro pennello e apro il barattolo della cipria, sperando che un'altra turbolenza non faccia straboccare il suo contenuto polveroso. Intingo il pennello e glielo tampono sulle zone che sono andata a tamponare inizialmente. Alla fine ripongo tutto, osservo attentamente il suo viso e passo delicatamente l'indice sul suo naso per fargli svolazzare gli ultimi residui di polvere bianca.
"Grazie", mi mormora. "Hai coperto..."
So a cosa si riferisce. Non lo faccio finire e annuisco.
Lui abbassa gli occhi.
"Posso andare ora?" Chiedo.
"Certo."
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