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Capitolo 8

L'imponente villa verso cui erano diretti si trovava giusto in fondo alla via, dove un grande cancello bloccava l'accesso ad un lungo viale in ghiaia. Accanto a loro sfrecciarono veloci alcuni camion rossi dei pompieri, a sirene accese, mentre con il loro stridulo avviso coloravano i dintorni alternativamente di rosso e di blu. Oltre a loro, la strada era deserta. Il vento era calato fino a non sentirsi quasi più e le nuvole coprivano il cielo. L'aria poteva ormai dirsi intrisa di pioggia, di cui però non era ancora riuscita a liberarsi se non per qualche goccia fuggitiva che ogni tanto cadeva delle alte nubi. James e sua madre camminavano sul marciapiede a passo spedito, abbassando la testa ogni tanto per schivare i rami più bassi degli alberi piantati nelle aiuole che costeggiavano su entrambi i lati quella scura distesa di asfalto. Grace li seguiva, arrancando e tirando fuori dalla tasca, ogni circa trenta metri, un enorme fazzolettone ricamato con cui si asciugava il sudore dal volto. Tra i molti pensieri che affollavano la testa del ragazzo fece capolino anche il dubbio di come facesse sua zia a sudare con quel freddo, stringendo istintivamente la giacca a sé e rabbrividendo. Marie parve accorgersene e gli mise un braccio attorno alle spalle, avvicinandolo a lei. James alzò lo sguardo, incontrando quello della madre: sicuro, forte, deciso. Non avrebbe lasciato andare il ragazzo con tanta facilità, non ora che lo aveva riaccolto nel suo cuore. A lui però quella situazione stava un po' stretta. Non aveva mai amato gli abbracci, e non ne aveva mai ricevuti molti da sua madre. In quel momento però si lasciò andare a quel piccolo gesto, continuando a camminare con il braccio di lei sulle spalle e un piccolo sorriso in viso.

Molti passi e molte asciugate di sudore dopo, i tre giunsero di fronte all'ampio cancello, sul quale erano applicate due enormi lettere, leggermente intersecate, in metallo dorato: una "C" e una "W". Marie si avvicinò a un piccolo pannello, posto sulla colonna in cemento di sinistra, che si illuminò appena lei gli fu vicina. La donna si sollevò la manica e passò il braccio davanti allo schermo, che si colorò di verde. Dopo essersi nuovamente sistemata la maglia, Marie si voltò verso gli altri due, incrociando lo sguardo perplesso del figlio.

-Oh, giusto. James, questo è un sistema di controllo delle Dinastie. Questa qui è la dimora dell'ultima famiglia rimasta con il compito di aiutare e proteggere la Dinastia dei Guardiani, ed essendo io sposata con un membro di quella dinastia ho il permesso di accedervi in caso di necessità- spiegò lei, avvicinandosi man mano al figlio e posandogli le mani sulle braccia. -Non ti preoccupare. Loro possono aiutarci- disse ancora lei, con tono amorevole, accompagnando poi James verso il cancello che si aprì non appena lei si fu avvicinata. Il ragazzo avanzò di un passo, titubante, varcando la soglia mentre si guardava attorno. Alcune luci poste ai lati del vialetto, che si snodava tra gli alberi del grande giardino, accompagnavano i tre verso l'entrata della villa. Un leggero profumo di rose aleggiava nel giardino, sebbene James si fosse guardato in giro più e più volte non trovando neanche l'ombra di un roseto. La facciata della casa era enorme. Un'ampia scalinata illuminata dalla sola luce che dall'interno fuoriusciva dalle alte finestre, di cui si intravedevano i tendaggi color cobalto delle sale, conduceva a un pesante portone di legno scuro, i cui battenti dorati raffiguravano un turbine, a sinistra, e una goccia d'acqua, a destra. I due piani della villa erano distinguibili per via delle due file di finestre che ne circondavano i muri, bianchi come la neve. Il trio si posizionò di fronte alla porta, con Marie davanti agli altri a suonare il campanello. Dopo qualche minuto, con un cigolio la porta iniziò ad aprirsi sempre di più, mostrando pian piano le due alte figure dei proprietari di quella splendida villa. Juliet Watson e Walter Campbell sostavano dinanzi all'uscio, visibilmente preoccupati. La donna continuava a sgualcire con una mano un orlo della sua lunga vestaglia celeste, mentre con l'altra cercava di sistemarsi i lunghi capelli neri che le ricadevano sulla spalla. Gli occhi azzurri scrutavano velocemente i tre, lanciando di sfuggita qualche occhiata al marito. Lui era ancora in abiti da lavoro, con un paio di pantaloni grigi, eleganti, e la camicia bianca leggermente sbottonata con le maniche arrotolate fino a metà dell'avambraccio. Gli occhiali da vista squadrati gli cadevano goffamente sul naso a patata e i capelli già tendenti al grigio erano scompigliati verso l'alto.

-Abbiamo saputo, entrate- disse in fretta il signor Campbell, continuando a spostare il peso del corpo da un piede all'altro e facendo loro gesto di accomodarsi mentre Juliet accompagnava Grace verso la cucina per farle bere un sorso d'acqua. Un rumore di passi fece alzare lo sguardo di James verso la scalinata che conduceva al piano di sopra, facendolo rimanere senza fiato.

-Oh, Elisabeth, Allen. Venite qui- li chiamò il padre, mentre si lasciava cadere su un divanetto del salotto. Marie lo imitò, mentre James rimase fermo a guardare i due ragazzi che scendevano le scale. Passo dopo passo, i fratelli si avvicinarono a lui, fermandovisi esattamente davanti. I lunghi capelli neri di Elisabeth erano stati raccolti in uno chignon, in modo da lasciarle libero lo sguardo. Allen si appoggiò con la schiena al corrimano di legno scuro, con i capelli umidi e la maglietta bianca che si attaccava al suo fisico.

-V... voi?- mormorò il ragazzo appena Elisabeth ebbe sceso l'ultimo gradino. Gli occhi verdi di lei squadrarono da capo a piedi James, che si sentì quasi imbarazzato. Allen invece aveva uno strano sorriso in faccia, come se fosse compiaciuto, e teneva le braccia incrociate.

-Sospettavo venissi comunque, Powell. Speravo solo che ci rendessi il lavoro più facile, ecco- lo beffeggiò la ragazza, andando a sedersi anche lei, ghignando, seguita dal fratello.

-Tu... non sei andato con loro?- domandò Marie, confusa. -Perché?-

James sembrava non sentire la madre parlare, continuando invece a guardare i ragazzi. -Io... non capisco...- disse a bassa voce, rimanendo sempre in piedi con tutti gli occhi puntati su di lui. -Voi... voi avreste potuto dirmi tutto- continuò, spostando lo sguardo tra i due fratelli. Loro si guardarono e annuirono, sorridendo. Lo sguardo di James si assottigliò.

-James...- lo chiamò sua madre, preoccupata. -Avrei dovuto dirti tutto io. Loro non hanno colpa...-

-Oh, ma loro colpa ne hanno- disse James, sentendosi avvampare, e scaraventando dall'altro lato della stanza Elisabeth con una potente folata di vento. La ragazza, che non se lo aspettava minimamente, atterrò sopra al pianoforte a coda, facendolo scricchiolare paurosamente, e rialzandosi di fretta con una ciocca di capelli sul viso. Grace e Juliet accorsero, spaventate dal rumore, mentre gli altri si alzarono in piedi.

-James, fermati- gli disse con voce ferma sua madre, mentre si avvicinava.

-Questo è per avermi lanciato contro a un muro- urlò lui, verso la ragazza. -E questo- disse, evocando dal palmo della mano una sfera d'acqua e lanciandola verso Allen, che indietreggiò nei suoi abiti ormai fradici -è per avermi spaventato a morte-. Non appena ebbe finito di sfogarsi, James crollò a terra sotto gli sguardi allibiti dei presenti, ricordando come ultima cosa la voce di sua madre che chiamava il suo nome.

* * *

Era tutto buio.

-Dovete scusarlo... di solito non fa così è che...-

La testa gli martellava incessantemente. Provò a muovere le dita ma una fitta al braccio lo fermò subito.

-Non preoccuparti, lo capiamo. Mio figlio dovrà solo darsi una sistemata, ma non è successo niente di grave-

Riconobbe la voce dolce della signora Watson, insieme a quella di sua madre.

-E Elisabeth?-

Provò a socchiudere gli occhi, ma un'ondata di luce lo costrinse a chiuderli di nuovo.

-Sta bene... non si è fatta nulla per fortuna. Di questi tempi non possiamo permetterci di perdere altri membri, anche se solo momentaneamente-

Pian piano l'occhio si abituò, permettendogli di guardarsi attorno, senza però muovere il collo o il dolore sarebbe stato insopportabile.

-Lo so, e mi dispiace per... James?!- si interruppe, accorrendo dal figlio avendolo visto con gli occhi aperti.

Sopra di lui apparvero le sagome sfocate delle due donne. I colori sembravano scambiarsi tra di loro e le forme continuavano a distorcersi, provocandogli un incredibile senso di nausea. Riuscì a malapena ad articolare le prime lettere della parola "Mamma" che una smorfia di dolore gli percorse il volto.

-Ha solo bisogno di riposo- mormorò la signora Watson mentre poggiava delicatamente una mano sulla spalla dell'altra donna, che annuì per risponderle. Dalla grande arcata, che lasciava intravedere il pesante simbolo dorato del vortice sul portone, sbucarono i due ragazzi seguiti dal padre. Allen era senza maglietta, come a mostrare la muscolatura scolpita sulla sua pelle lievemente scura, con ancora poggiato un asciugamano sulle spalle, mentre la sorella aveva soltanto qualche cerotto. Quando Juliet si avvicinò al marito per parlargli, questo iniziò ad accarezzarsi distrattamente la barba, tenendo lo sguardo fisso per terra. Quando la donna ebbe concluso, questo si limitò ad annuire e voltandosi verso i suoi due figli ordinò loro di trasportare James in una delle camere per gli ospiti e di sorvegliarlo, allontanandosi poi verso il lato opposto della casa, diretto al suo studio. Questi, riluttanti, si avvicinarono al divano su cui era disteso il ragazzo dolorante e si scambiarono alcune occhiate dubbiose, incerti su come sarebbero riusciti a portarlo al piano superiore.

-Lascia fare a me- disse poi Elisabeth con un ghigno. Si avvicinò al retro del divano e lo spinse fino a sotto il ballatoio del piano superiore, producendo un orribile stridio e lasciando una o due righe sul pavimento lucido, cosa che le fece guadagnare una fantastica occhiataccia dalla madre che se ne stava seduta accanto a Marie con un braccio attorno alle spalle di lei a tranquillizzarla. Dopo aver lanciato uno sguardo al fratello, che parve aver capito, Elisabeth stese le mani di fronte a sé, socchiudendo gli occhi e respirando lentamente. Allen iniziò, sommessamente, a salire i gradini della scala verso il piano superiore, scuotendo la testa di tanto in tanto. Le luci nella casa iniziarono a tremolare e alcune porte si chiusero violentemente. Da ogni parte sembrava che provenisse un potente soffio di vento, che si andava ad unire agli altri proprio di fronte alla ragazza. Le sue mani iniziarono a tremare sempre più visibilmente nello sforzo di contenere l'aria, finché all'improvviso le spinse di fronte a sé, i palmi aperti così come gli occhi. Tutto il vento venne gettato al di sotto del divano, che venne sbalzato in aria e atterrò, più o meno precisamente, poco lontano di fronte ad Allen. Questo scosse la testa, guardando la sorella sorridere bonariamente dall'alto della scalinata e prendendo in braccio James, sbuffando e portandolo di peso nella camera degli ospiti.

Appena la porta si aprì, James fu sorpreso di quanto fosse calda quella stanza. La finestra era aperta e lasciava che i tendaggi leggeri svolazzassero sul pavimento chiaro. Un piccolo balconcino dava su quello che doveva essere il retro della villa, ricoperto da un enorme giardino ancora in fiore. Le siepi ombreggiavano i vialetti di ghiaia che serpeggiavano tra le aiuole, illuminate ogni tanto da un faretto o due. Allen posò James sul letto senza troppa delicatezza, facendogli scappare un gemito di dolore, e andò a chiudere la porta. Sul momento il ragazzo si fermò, avendolo sentito lamentarsi, poi il suo volto si fece più malinconico e dopo una scrollata di spalle si avvicinò al balcone, sedendosi sul pavimento e tenendo le mani strette attorno a due colonnine metalliche della ringhiera e appoggiando la testa ad un'altra di esse. I capelli biondi sembravano color platino alla luce della luna e facevano ombra al suo sguardo, nascondendo alla vista un umido spettacolo. Le pareti della stanza erano chiare e su di esse si posavano le ombre delle fronde degli alberi davanti alla finestra, incupendo i volti delle figure ritratte nei pochi quadri presenti. Un singhiozzo più forte fece portare le mani tremanti alla bocca del ragazzo, che si voltò di scatto per controllare che James stesse dormendo e voltandosi di nuovo non appena ebbe appurato che questo si trovasse tra le braccia di Morfeo. 

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