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Capitolo 1


Quella mattina James non avrebbe dovuto svegliarsi tardi. Era il suo primo giorno nella nuova scuola e non poteva già essere in ritardo. Quando aprì gli occhi e girò la testa verso la sveglia, vide l'ora: erano le 7.50, e le lezioni iniziavano alle otto. Sbiancò in volto e si precipitò in cucina, rischiando di inciampare per le scale. Sua madre Marie, come al suo solito, gli urlava di tutto e lui, come suo solito, non la ascoltava. Si precipitò fuori di casa con ancora mezza brioche in bocca e con lo zaino aperto sulle spalle, che, mentre correva, saltava di qua e di là, facendo cadere ogni tanto qualche penna o qualche quaderno, che prontamente tornava indietro a raccogliere. Arrivò nel cortile della scuola quando la campanella era appena suonata. L'insegna recitava "Midtown School" in lettere corsive color verde scuro su uno sfondo dorato. Un nome strano per una scuola che si trova in periferia. James salì la scalinata di corsa ed entrò nella scuola, con il fiatone e la fronte imperlata di sudore, benché fuori facesse abbastanza freddo. Si aggirò per i corridoi dando ogni tanto un'occhiata al bigliettino che gli era stato dato dalla segretaria il giorno precedente su cui era scritto quale fosse la sua aula: "3^A". Passò qualche minuto prima che James individuasse la sua classe, trovandola poi vicino al bagno delle ragazze. La porta era aperta e, affacciandosi, il ragazzo vide che il professore non era ancora arrivato. Entrò a passi lenti, guardandosi intorno, e si sedette in un banchetto in ultima fila. Nell'aula solo pochi ragazzi sembrarono accorgersi di lui, ma per James fu molto meglio così. Saltarono subito all'occhio discreto del ragazzo una coppia di ragazzi seduti vicini di banco in prima fila: un ragazzo e una ragazza. Il primo aveva capelli biondi, mossi, e occhi azzurri, che spiccavano sulla sua carnagione abbronzata, mentre la ragazza aveva i capelli nero pece, occhi verdi e carnagione pallida, quasi bianca. Sembravano molto amici, se non di più. Era passato solo poco tempo che James aveva già iniziato a farsi strane fantasie su di loro,finché non entrò il professore: un uomo sulla cinquantina, basso e cicciottello, con pochi capelli. Aveva la fronte madida di sudore, che si asciugava ogni tanto con un fazzoletto di stoffa a quadrettoni. Le bretelle che tenevano su i pantaloni color cachi erano così strette che sulle spalle la camicia bianca lasciava intravedere i segni viola sulla pelle e la sua pancia sembrava in procinto di esplodere. Appena entrato, il professore indicò James facendogli segno di andare alla cattedra. "Oh, no" pensò il ragazzo in quel momento. Non aveva mai amato le presentazioni perché lo avevano da sempre messo in imbarazzo, fin da quando era piccolo. Come quando, alla scuola primaria, James non volle dire il suo nome o recitare durante lo spettacolo di fine anno. Questo, infatti, ritardò di una buona mezz'ora soltanto perché l'allora bambino non aveva la minima intenzione di proferire parola.

-Ragazzi- iniziò il professore rivolgendosi alla classe e dando una sonora pacca sulla spalla di James – lui sarà, da oggi, un vostro nuovo compagno. Io sono il professor Tippel. Avanti ragazzo, presentati- lo esortò il professore.

– Io sono James Powell, e vengo dalla Pennsylvania.- James avrebbe preferito fermarsi lì ma il professore gli fece cenno di continuare - Io e mia madre ci siamo trasferiti qui circa una settimana fa – disse lui scrutando ogni singolo membro della sua nuova classe. La sua faccia era ormai paonazza e le gambe gli tremavano visibilmente, creando sguardi e bisbigli tra i nuovi compagni; e se il professore non lo avesse mandato a sedere in quel preciso istante, probabilmente sarebbe caduto per terra. Così James tornò a sedersi e tra gli sguardi dei compagni tirò fuori un foglio e una penna, iniziando a scarabocchiare per allentare la tensione e passare quella che sarebbe stata una lunga giornata. Da quello che il ragazzo riuscì a capire dall'ora successiva, il Professor Tippel sarebbe stato il suo nuovo professore di Storia, la materia, a parer mio e a parer suo, più noiosa di tutte. Perciò passò quell'ora, e anche le successive cinque, ascoltando la musica con gli auricolari, senza farsi vedere dai professori.

Le ore passavano lente. I professori si alternavano uno dopo l'altro, facendo ripetere a James ogni ora quell'imbarazzante spettacolino. Era quasi snervante passare il tempo lì dentro. Ogni tanto qualche ragazzo gli lanciava occhiatacce furtive, e le ragazze spettegolavano su di lui. Qualche volta fermava la musica e ascoltava i loro discorsi, che erano perlopiù commenti sul suo comportamento o su come si vestisse. Li ascoltava però solo per pochi secondi, come avrebbe secondo me fatto chiunque, per tornare subito alla sua playlist.

Era quasi l'ultima ora quando iniziò a piovere. Prima credeva che la situazione non potesse diventare più deprimente di così, ma era evidente che si sbagliava. Le quattro mura verdi dell'aula, in cui l'intonaco si stava scrostando lasciando alcune chiazze di colore del vecchio muro, erano illuminate dalle altalenanti luci al neon appese al soffitto. In quel momento, la pioggia che scendeva veloce fuori dalla finestra gettava ombre sulle pareti, che erano rischiarate come da nuova vita dall'abbagliante luce dei lampi. Un tuono fece salire un brivido lungo la spina dorsale di James, facendogli accapponare la pelle. Preso dallo sconforto,il ragazzo iniziò a guardare fuori dalla finestra. I palazzi, seppur colorati, sembravano tutti grigi in quella cupa atmosfera. In cima a uno di questi, per un attimo, gli sembrò di vedere una figura scura, avvolta dall'ombra, che sembrava guardare nella sua direzione. Subito dopo un lampo tolse la visuale, facendogli ritrovare la cima del palazzo vuota, come se niente vi fosse mai stato. James si stropicciò gli occhi, a bocca aperta, voltandosi verso i compagni che tuttavia non sembravano aver visto nulla, così attribuì subito quell'episodio alla stanchezza e per di più, per andare di bene in meglio, aveva esaurito la musica da ascoltare. Si tolse quindi le cuffiette e ascoltò gli ultimi cinque minuti di lezione che lo separavano dall'uscita da quel mortorio. La professoressa Crowl, insegnante di matematica, stava finendo di spiegare un particolare teorema, il cui nome era, ovviamente, sfuggito all'attenzione del ragazzo. Mentre James stava cercando di capire qualcosa da tutti quei simboli sulla lavagna, alcuni di questi iniziarono a muoversi. Sbatté le palpebre per togliere eventuali scherzi del sonno, ritrovandosi però nuovamente a guardare alcuni simboli moventi sulla liscia ardesia nera. Alcuni di loro si scomponevano e s'intrecciavano, si sovrapponevano e si allungavano, fino a che, proprio al centro della lavagna, apparve un simbolo. James prese subito un quaderno, che si era portato nel caso fosse stato costretto a scrivere qualcosa, e ricopiò velocemente il simbolo, immobile di fronte a lui.

La campanella di fine lezione era appena suonata, poiché alcuni ragazzi si alzarono, ma lo sguardo di James era fisso sulla lavagna. Una ragazza gli passò davanti e, quando si spostò, era troppo tardi: la lavagna era tornata come prima. Era mai possibile che solo lui si fosse accorto di quella cosa apparsa proprio di fronte agli occhi di tutti? Non potevano aver finto... Che si trattasse di uno scherzo dei compagni? No, chi mai potrebbe fare quello! Tormentato da questi pensieri, James si precipitò fuori dalla classe, dando prima una rapida occhiata dentro e vedendo che gli unici rimasti erano i due ragazzi che avevano attirato la sua attenzione quella mattina. Dopo aver attraversato l'intricata matassa di corridoi, James arrivò nel cortile della scuola, dove alcuni ragazzi si stavano avviando verso le rispettive abitazioni, chi coperti da ombrelli colorati e chi correndo per non prendere troppa acqua, e altri si litigavano per avere un passaggio da quelli che già possedevano una macchina. Lui invece si mise il cappuccio e attraversò a passi veloci il cortile mentre la pioggia gli infradiciava i vestiti. Era circa a metà strada da casa, quando la pioggia aumentò d'intensità, rendendo quasi impossibile orientarsi e vedere a più di tre metri di distanza, così James decise di costeggiare i casolari, fino a che non vide un bar aperto, entrandoci appena lo ebbe raggiunto.

Dentro l'aria era accogliente e un caldo tepore lo avvolse appena entrò. Il bar era poco illuminato, forse dovuto al legno scuro delle pareti e del pavimento, e sarebbe stato vuoto se non fosse stato per un anziano signore seduto a un tavolino nell'angolo della stanza che sorseggiava quello che sembrava un tè caldo e nel mentre fumava una pipa. Il bancone non dava l'idea di aver visto acqua e sapone da un bel po', ma non fu certo questo ad impressionare il ragazzo. Guardando verso l'altro, infatti, vide numerosi buchi sul soffitto che lasciavano intravedere le condutture arrugginite dell'aria, da cui ogni tanto arrivavano sinistri rumori che gli facevano venire i brividi. Malgrado tutto, James si sedette a un tavolo vicino alla grande finestra che occupava quasi l'intera parete e si tolse la felpa, che ormai era tanto intrisa d'acqua da lasciare una scia umida per terra. Decise quindi che sarebbe rimasto lì fino a quando la pioggia non fosse diminuita, almeno un tanto da riuscire a vederci, e forse sarebbe stato meglio così. Ordinò poi una cioccolata calda per riscaldarsi e, nel mentre che aspettava, provò a chiamare sua madre. Appena prese il cellulare, però, vide immediatamente che non c'era campo lì. Di certo non era neanche tra le sue più remote intenzioni di uscire da lì per cercare un posto in cui il telefono prendesse, perciò rinunciò subito all'idea di chiamare la madre.

La cioccolata nel frattempo era arrivata. Ringraziò la cameriera, che sparì subito dietro al bancone di legno e pietra, quasi come fosse di fretta. Non che avesse molto da fare, sia da intendersi. Infatti se avessimo potuto, in quel momento, vedere quello che stava accadendo nel ripostiglio, avremmo visto la donna del bar seduta su uno scatolone a bere vino e giocare al telefono. James versò due bustine di zucchero nella cioccolata e girò meccanicamente il cucchiaino, guardando fuori. La pioggia sembrava non voler smettere, scendendo sempre più fitta. Dalla finestra appannata, James riusciva ad intravedere il suo riflesso. Sua madre gli ripeteva sempre che era identico a lui, a suo padre. Dalla sua morte sua madre era molto cambiata: era molto più distaccata, molto più triste e molto più sensibile. Si arrabbiava spesso con lui e gli ripeteva spesso che lui in realtà era stato solo uno sbaglio, una distrazione di qualche secondo. Ovviamente nessuno vorrebbe mai sentirsi dire queste cose dalla propria madre, perciò figuratevi che James se le sentiva dire almeno una volta alla settimana. James però in qualche modo aveva sempre cercato di scusarla. Ogni volta che guardava il suo riflesso si chiedeva se suo padre fosse stato davvero come lui: entrambi infatti avevano i capelli castani e tendenti al riccio ed entrambi erano di carnagione pallida, solo una cosa era diversa: gli occhi. Suo padre aveva un gran bel paio di occhi color cioccolato, mentre lui aveva gli occhi color nocciola, tendenti all'oro, come sua madre. James scacciò quei pensieri dalla testa, ricacciando indietro una lacrima, e abbassò lo sguardo sulla tazza per bere la sua cioccolata. Il cucchiaino quasi volò dalla sua mano per lo spavento, poiché quello che vide gli fece raggelare il sangue: la schiuma della cioccolata infatti formava lo stesso simbolo che aveva visto sulla lavagna a scuola. Provò a muovere la schiuma con il cucchiaino in un disperato tentativo di mandarlo via, ma, una volta disfatta la figura, questa si ricomponeva come prima. Si raddrizzò sul divanetto su cui era seduto, cercando in qualche modo una spiegazione a quello che era appena successo. Un rumore improvviso, proveniente da fuori, lo costrinse a guardare al di là della parete di vetro. Era stato solo una macchina che era andata a sbattere contro quella davanti. I conducenti sembravano illesi poiché entrambi uscirono per litigare, quindi James decise che sarebbe stato meglio rimanere lì dentro ancora per un po'. Quando tornò a guardare la sua tazza ovviamente la figura creata dalla schiuma era svanita, lasciando solo il suo volto riflesso sulla superficie della cioccolata. Scrollò la testa, come per convincersi che si trattasse solo di un gioco della sua mente e finì la cioccolata in pochi sorsi, controllandone di tanto in tanto la schiuma. La pioggia era nettamente diminuita, perciò James decise di incamminarsi verso casa. Prima di uscire avrebbe voluto pagare ma non c'era nessuno al bancone, perciò lasciò un paio di dollari sotto la tazza sporca. Uscì quindi dal bar e subito il vento freddo lo fece rabbrividire. Tirò un sospiro di sollievo per essere uscito da quella topaia, ma già si immaginava quello che sarebbe successo una volta tornato a casa.

Si incamminò quindi a passo spedito, arrivando finalmente alla sua abitazione dopo qualche minuto. Entrò, facendo attenzione a non far troppo rumore, e salì le scale per andare in camera sua. Aveva quasi aperto la porta, aveva quasi evitato la madre, quando una voce proveniente dal piano sottostante urlò - James! - facendolo bloccare. Sua madre era in fondo alle scale che lo guardava tenendo le braccia incrociate. Nei suoi occhi si poteva leggere la rabbia e il disprezzo -Ti sembra questa l'ora di arrivare a casa? La scuola è finita circa un'ora fa!- gli urlò lei dal fondo delle scale, ma lui ormai era già entrato in camera, incurante dei rimproveri, e aveva già chiuso la porta, lasciando fuori le urla come se fossero solo un fastidioso rumore. "Cavolo" pensò, "due ore. Non credevo fosse passato tutto questo tempo". Lanciò lo zaino per terra e si buttò sul letto a fissare il soffitto per un po', poi prese il computer per scrivere con alcuni suoi vecchi amici che il trasloco aveva allontanato da lui, scoprendo con dispiacere che nessuno di loro era online. Vagò un po' sul web, fino a che, preso dalla curiosità, iniziò a cercare cosa fosse e cosa significasse quel simbolo che tanto lo stava tormentando, non riuscendo a trovare nulla. Non c'era nessuna informazione, nemmeno simile, che gli dicesse qualcosa riguardo quella strana figura. Prese il suo album da disegno, una matita e iniziò a disegnarlo più e più volte nella pagina vuota. La mano ormai correva da sola sul foglio già pieno di scarabocchi, ricordando precisamente e con minuziosità quel ghirigoro tanto complicato e incomprensibile. Dopo un po' lo sconforto e la stanchezza però presero il sopravvento e in neanche un minuto, James si ritrovò a dormire profondamente. Se solo avesse guardato fuori dalla finestra, coperta dalle tende, in quel momento, avrebbe visto lo stesso uomo di quella mattina e, subito dietro di lui, il simbolo che non era ancora riuscito a comprendere. Il simbolo che presto avrebbe scoperto appartenere agli Elementali.


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