Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

capitolo 33 la solitudine

Un'altra settimana passa, il tempo è loro traditore.
Mancano due settimane alla scadenza che ha dato loro Fernandes, tutti i loro tentativi di fermarlo sono scialuppe in mare aperto e non hanno avuto ancora notizie da Stuart.
Quest'ultimo, in d'accordo con tutti loro, ha tagliato completamente i legami con loro, si farà sentire lui si sono detti, ma ancora silenzio radio.
Un silenzio logorante.

Così si muovono a tentoni, tengono in un angolo Anderson senza poterlo ancora schiacciare.
Villa Queen è un terremoto di ansia e preoccupazione, Kevin ha messo una corta su Maria, le bambine e le ragazze di villa Queen ormai si muovono con le guardie sempre attaccata al culo.
Almeno chi esce di casa.

Kessie è ancora chiusa in casa, nella sua camera, nella sua angoscia.
Non esce neppure per mangiare, le ragazze a turno gli portano il pranzo ritrovando il piatto mezzo pieno fuori dalla porta.
Nessuno vuole insistere, forse perché non possono capirla a pieno.

Le tapparelle abbassate, non permettono al sole di entrare nella stanza da giorni.
Kessie, stesa su un letto con le lenzuola pulite e profumate ma macchiate di troppe lacrime, non fa altro da giorni.
Fissare il soffitto e versare lacri pigre e ormai secche.

Il suo corpo e ormai esausto di soffrire, ma continua a sentire dolore, persistente e soffocante.
Ma niente in confronto al suo cuore, una lama è lì infilzata e il solo pensare a perché è lì e la lama gira arrivando sempre più in profondità.

Un lutto, la morte di una persona, è un colpo preciso e diretto, una ferita che sgorga sangue e brucia, ma poi con il tempo l'emorragia si ferma e la ferita si chiude, lasciando una cicatrice che brucia al ricordo.

Un tradimento è una lama nella ferita, la carne che si chiude sul ferro, il bruciore e il sangue che continua a sgorgare dal taglio senza tregua.
Pensa a Mary, pensa a tutti i loro ricordi, tutti quei momenti insieme che hanno costruito la loro amicizia.

Ricorda quando la madre stava male, tutte le volte in cui stava per crollare e Mary era lì con lei, a tenerle la mano e a salvarla.
Le notti in ospedale, era con lei con pochi spiccioli racimolati che bastavano appena per un pacchetto di patatine, la loro cena.
Altre notti invece stavano ore a parlare nella sua camera, a parlare di ragazzi e lezioni, o semplicemente ad aggrapparsi una all'altra, con una risata per farsi forza a vicenda.

Ripensa a quando la madre è morta, a Mary è bastato sentire la sua voce inclinata per correre da lei, in pigiama e con un paio di calzini sbagliati.
È stata con lei tutta la notte, l'ha accompagnata in obitorio, dalle pompe funebri, senza mai lasciare la sua mano.
Hanno toccato insieme le poche cose di sua madre insieme, per poi chiuderle in una scatola rossa decorata di fiori, i colori preferiti di sua madre e ci ha pensato Mary.

E lei che l'ha convinta a dare una possibilità a Cam, quando Kessie aveva troppa paura per farlo.
E lei che l'ha convinta ad andare in villa Queen quella sera di natale, sorridendole quando a Kessie tremavano le gambe.

Grazie a lei, ha ritrovato la forza di ricominciare a vivere.

Sorride pensando a quando hanno aperto la Elisabeth house, le giornate passate insieme li, le notti a sognare.
Poi  una macchia nera gli offusca la vista, Mary è davanti a lei nella penombra della cucina, si arrende alle parole di Kim ammettendo tutto.
Di averli traditi.

Le lacrime tornano a macchiarle il viso, il respiro si fa affannato, la ferita ricomincia a sanguinare e cade nella angoscia.
Per pochi minuti, tanto gli concede la sua mente, poi torna al punto di inizio.
Ripensa a Mary e così via, in un circolo vizioso e doloroso.

Sara a provato a parlarle, ha persino giustificato Mary dicendole che non era lei, che le è stato fatto un lavaggio del cervello, ma lei è sorda e muta a qualsiasi cosa.
Ricorda e soffre, non vuole nient'altro che questo o forse non riesce ad uscire dal baratro i cui è caduta.

La porta viene aperta, pochi passi nella stanza e la porta che viene chiusa.

"Direi che è ora di svegliarsi piccola Miller."

Kessie non sente nulla, non sente i passi che si avvicinano, persino quando le tapparelle vengono alzate e il sole le colpisce il viso rimane immobile, troppo persa nel suo mondo per accorgersi di quello esterno.
Kim sospira osservandola, conosce l'angoscia che sta subendo, riconosce il buio e il vuoto nel suo sguardo fisso sul soffitto.
È davvero preoccupata per la piccola Miller, ha voluto lasciarle i suoi spazi, ma non può permettere che si perda in quel vuoto.
Lo conosce il dolore che sta provando, ci si è quasi persa, non vuole che succeda anche a Kessie .

"Sai, quando ho perso Martina, ho conosciuto la solitudine."

Si siede vicino a lei, sfiorando le coperte blu, cercandoun contatto visivo ma sa che è troppo presto.
Le sue parole sono una fune che scivola piano giù nel baratro, ma ci vuole il tempo e la speranza che lei la afferri.

"A me piace la solitudine, quel silenzio che riempie casa prima che tutti voi torniate a casa, o quello nella notte disturbato solo dai respiri.
E piacevole la solitudine, ma non quella nel petto."

Da poco tempo ormai gli è indifferente la solitudine, la vita nel suo ventre le tiene compagnia giorno e notte, ad ogni singolo respiro.
Si è resa conto che in realtà anche prima di Felix non è mai stata sola da quando ha conosciuto Sara.
E prima ancora aveva la compagnia dei suoi incubi e demoni.

Sospira, solo una volta in vita sua si è sentita davvero sola con sé stessa.
E sa che anche Kessie si sente allo stesso modo, nella stessa solitudine.

"Nel momento in cui è morta, mi sono sentita sola, ingoiata in me stessa, nei miei pensieri che entrambe sappiamo malsani.
Quel vuoto nel petto, non c'era rabbia né dolore e né sofferenza, c'ero solo io, il ricordo di lei e la solitudine."

E quasi contraddittorio parlare di vuoto e di ricordo, poiché se stai pensando a un ricordo il vuoto si dovrebbe riempire, ma in un trauma del genere il ricordo non riempie, crea solo più solitudine.

Kim con la mano scivola verso quella di Kessie, cercando un contatto fisico dato che il suo sguardo è ancora perso.

"Mi stava mangiando viva, quel vuoto si nutriva di me, consumando il ricordo che avevo di Martina, fino a ridurlo a un incubo.
Ora se penso a lei, la prima cosa che mi viene in mente è lei che muore tra le mie braccia.
Quella angoscia mi ha corroso per anni."

Finalmente Kim la vede sbattere le ciglia, fare un lungo respiro, tornare a galla dopo giorni immersa nel profondo di sé stessa .
Kim non si arrende, prendendole la mano in un tocco più deciso.

La sua pelle è così fredda e tremante nel suo tocco caldo, in ipotermia da incubi.
La stringe allungando anche l'altra mina, fino a stringerla con cura tra le sue.

"Quando è passato il dolore?"

Kessie parla dopo giorni di mutismo, con il respiro tutto oppresso nel petto che viene rilasciato tutto d'un colpo.
Quasi le fanno male i muscoli, come atrofizzati, quando si gira verso Kim appena finisce la frase.

Negli occhi ancora quel vuoto, ma anche una piccola supplica, la preghiera di potersi riprendere prima o poi.

Kim sospira, accarezzandole il viso e portandole una ciocca dietro l'orecchio, dolcemente come si fa con una bambina.

"Il dolore non passa, non scompare e il tempo non aiuta.
Ogni volta che ci penserai farà male, il ricordo più bello di voi due insieme ti strapperà in due.
Il dolore rimarrà dentro di te."

Kessie ingoia a vuoto, ma allora che senso ha cercare di riprendersi?
La sincerità di Kim è schiacciante, preme sulla ferita forse a cercare di fare uscire tutto il veleno, ma fa un male cane.
Fa per tornare a guardare il soffitto, per riprendersi nella sua solitudine ma Kim è veloce a metterle una mano sul viso a costringerla a non perdere il contatto visivo.

"Ma ci si convive, puoi farlo diventare parte di te, togliergli però il potere di distruggere i bei ricordi che avevate insieme.
Un giorno farà meno male e se avrai combattuto potrai pensare a lei come la ricordi, alla tua amica, ai vostri ricordi più cari."

Le lacrime scivolano sul viso di Kessie bagnando la mano della corvina, senza che lei spezzi il contatto.
Le labbra si arricciano mentre un singhiozzo le smuove il petto salendole un gola, e gli occhi si riempiono di dolore abbandonando il vuoto.
Kessie viene strappata dalle profondità, si lancia verso Kim e lei la stringe tirandola in salva.
Respira, anche se lacrime, singhiozzi e tremore.

Kim le accarezza il capo lasciandola sfogare, non le dice che andrà tutto bene perché non sa se è vero, ma la stringe a se portandola a rima.
Riportandola a casa.

Quando il tremore di Kessie cessa, Kim le asciuga le guance con le mani, per poi posare la fronte sulla sua.
A Kessie trema il respiro in gola, il contatto di Kim è tanto profondo e potente da bloccare un battito, per la prima volta kessie capisce a pieno l'emozione che prova Sara, la forza d'anima che da questo gesto.
Ci si aggrappa come a un salvagente.

"Andiamo, voglio mostrarti un posto."

Kessie annuisce, mettendosi nelle sue mani, le stesse che ancora la stanno accarezzando.
Con calma si alza del letto, una doccia veloce le da un senso di pulito e di risveglio, dopodiché si veste con calma meravigliata che Kim non le abbia ancora urlato di sbrigarsi come farebbe di solito, la immagina a sbuffare vicino alla porta di casa maledicendo il loro vizio di fare le prime donne, ma non questa volta.
Quando Kessie esce dal bagno la trova tranquilla seduta ai piedi del letto a giocare con un bastoncino di zucchero in bocca.
Le sta dando i suoi tempi e Kessie lo apprezza molto.

Uscire dalla stanza dopo due settimane è strano, si sente una estranea nella sua stessa casa.
Supera ogni angola facendo lunghi respiri, riprendendo in sé l'aria di casa sua , ci sono molte persone che girano tra le stanze ma nessuno la guarda o si avvicina.
Sicuramente avviso di Kim e Kessie lo apprezza molto.

Quando si trova all'esterno, pensava che si sarebbe sentita sopraffatta dall'esterno, invece è come se il peggio fosse passato.
Come se fosse stato uscire dalla camera il suo passo verso l'esterno, ora e solo il contare i respiri con calma e tornare sui suoi passi.

Salgono in macchina, lasciano villa Queen, il suo porto sicuro e ora si lascia guidare da Kim nella tempesta.

"Quel negozio è di una donna a cui è stato ucciso il marito per non aver pagato il pizzo.
Hanno minacciato lei e i suoi bambini, abbiamo trovato la porta sbarrata con dei mobili e lei era nel retro con i suoi figli da una settimana, affamati e disidratati.
Si chiama Terry e i suoi figli Anthony e Pier.
Ora hanno una vita tranquilla, forse non felice, ma serena."

Percorrono la città, strade che Kessie conosce ma sta ancora sputando acqua in cerca di respiro.
La sua vista è ancora offuscata e vede appena solo la linea bianca tratteggiata al centro della strada come se fosse la fune che la tiene fuori dall'abisso.
Mentre la voce di Kim è solo il rumore ovatto di bolle che piano salgono il superficie, ma la corvina non si arrende.

"Li abitano due bambini, Elisa e Andrea, il padre era un violento che si sfogava su di loro, un alcolizzato da quando ha perso la moglie.
Lui è in un centro di recupero e i bambini ora vivono tranquilli con la zia materna, forse non felici ma sereni."

Kim continua a parlare, ad indicare case, negozi e più volte la scuola, raccontando centinaia di storie.
Nomi su nomi, tranquilli, sereni e forse non felici.
Tanto è ancora persa Kessie che non ricosce la strada che nell'ultimo mese ha fatto forse dieci volte al giorno.

La macchina si ferma, Kessie distoglie l'attenzione dalla riga bianca tratteggiata e alza lo sguardo.
Elisabeth house, perché sono qui?

"Vieni con me."

Kessie non capisce perché si trovano qui, proprio dove il ricordo di Mary pulsa ancora di vita propria.
È confusa, fissa Kim che le apre lo sportello e le porge la mano, non vuole entrare lì dentro, ha paura.
Kim la guarda come si guarda una bambina che si è appena sbucciata il ginocchio e Kessie afferra la mano.
Si aggrappa alla scialuppa, nella speranza di rimanere a galla.

Appena entra viene investita da mille ricordi tutti in un colpo solo tanto che le tremano le gambe per l'impatto.
Subito il suo sguardo corre alla reception come se li potesse vedere Mary, a compilare moduli con il telefono all'orecchio con chissà quale problema, a sorriderle.
Ma c'è Gemma al suo posto, Mary non c'è, non ci sarà mai più.
Perché la portata qui?

Le lacrime si accumulano tra le ciglia.

"Seguimi."

Kim non le dà il tempo di singhiozzare e piangere come vorrebbe, con la mano che non ha ancora lasciato la sua continua a trascinarla tra i corridoi, tra i ricordi fino a fermarsi davanti a una porta.
"Non siamo sole" recita la grande scritta sul legno.

Entrano in silenzio, non volendo recare disturbo.
Questa è la camera principale di Kessie, si è sempre seduta alla punta del cerchio con un sorriso di speranza verso le donne intorno a lei.
Ora si siede tra le ragazze ascoltando Sara dare la parola a una donna di nome Jasmine.

Kessie rimane in silenzio, ascolta storie su storie su violenza, morte e paura, simile a centinaia di storie che ha già sentito in passato.
Ma quando Sara guarda lei, il cuore fa un battito di troppo.

"Vuoi parlare?"

È la prima volta che si trova dall'altra parte, ha parlato spesso della morte di sua madre e di come si sia sentita sola, a quei tempi raccontava di Kim, di Cam, di Sara, di Gemma ma soprattutto di Mary.
Ma Mary non c'è più.

Prova a parlare, un nodo in gola le blocca il respiro, non ce la fa.
E come un ipocrita che predica bene e fa male, in silenzio scappa dalla stanza.
Non ce la fa.

Si chiude nella prima sala vuota, poco illuminata e silenziosa.
Si porta le mani tra i capelli tirando leggermente il cuoio capelluto.
Non riesce a parlarne, non riesce a pensarci e non riesce a dimenticare, a non pensarci.

"Perché mi hai portato qui?
Che senso ha?"

Sente la presenza di Kim alle sue spalle.
Il silenzio dentro di lei, il vuoto della solitudine le fanno percepire con chiarezza i movimenti di Kim, in genere impercettibili.
Si gira verso la corvina, è arrabbiata che l'abbia portata qui, è confusa sul perché e si sente ancora così maledettamente vuota.

"Quelle ragazze hanno perso mariti, sorelle, figli e altre un pezzo della loro anima strappata con violenza."

Quelle persone sono morte, Mary invece no, questo sta cercando di dirle Kim ma non le dà nessuna consolazione, anzi la rende solo più arrabbiata e vuota.
Kessie degrigna i denti, si passa ancora una volta le mani tra i capelli, la fune che la teneva a riva pian piano sta scivolando.

"E dovrei sentirmi meglio?
Al mondo c'è chi soffre più di me, c'è chi sta peggio e io dovrei sentirmi meglio?"

Che ipocrisia del cazzo, stare bene perché c'è chi sta peggio, come cazzo si fa a vivere sulle cenere degli altri?
Non si sente bene, la rabbia cresce e si sente sempre più sola e isolata.

Kim fa qualche passo in avanti prendendole le mani ancora nei capelli per stringerle nelle sue.

"No.
Il tuo dolore non è meno degli altri, una sofferenza non è meno a nessuna cosa.
Quello che voglio che vedi è la differenza tra te e loro.
Ovvero tu."

Lo sguardo di Kessie vacilla, quasi vorrebbe fuggire in un posto più accogliente, cerca una vita d'uscita.
Così Kim le afferra il viso con entrambe le mani, avvicinandosi ancora più a lei, legandola ancora più a lei, la tiene a galla.

"Tu hai costruito questo luogo, tu hai disegnato lo stemma sopra al ring, tu hai voluto quella stanza e sempre tu hai scritto che nessuna è da sola.
Tu fai la differenza."

Sembra passato così tanto tempo da quando ha fatto quelle cose che non le ricorda neppure, nel vuoto dentro di lei c'è solo spazio per il dolore, per la sofferenza.
Per il ricordo che ha di lei, non riesce più a vedersi in quella donna, in tutto quello che ha costruito.
Ma Kim è qui per ricordarglielo, per strapparla dalla solitudine che lei stessa si è creata.

"Jasmine, Terry, Anthony, Pier, Elisa, Andrea.
Sono tutti salvi grazie a te, li hai portati tu qui dicendogli che non erano soli.
Che non sono soli.
Ed ora, cosa diresti a una ragazza che si sente persa perché ha perso una amica?"

Kim ha ragione, lei ha fatto tutto questo.
Da quando hanno aperto la Elisabeth house si è sempre messa in prima fila per salvare tutte le Elisabetta che può.
Lo sguardo si schiarisce pian piano e ricorda ogni ragazza che ha incontrato, ogni storia che ha sentito, ogni chiamata che ha fatto  a Cam nelle situazioni più pericolose.
Il vuoto, la solitudine, si riempiono di tutte quelle persone che ha incontrato, non numeri, ma persone.
Non sei sola quante volte lo ha detto a quelle donne?

E a lei cosa dovrebbe dire.

"Che non è sola."

Ecco il punto, la risposta alla domanda come si fa ad andare avanti.
Il dolore non si supera, la ferita non scompare, ma l'importante è che non si è da soli.
Si può soffrire insieme, condividere le proprie storie e viverle insieme.
La solitudine scompare, non si è da soli.

Kim annuisce lasciando il suo viso per prenderle le mani.

"Non sei sola.
Quelle donne hanno trovato una Kessie che non le ha fatte sentire da sole.
Ed ora tu hai loro per sconfiggere la solitudine, il vuoto che senti."

Kessie fa un sorriso triste, ma annuisce lasciando scivolare sulla guancia una lacrima, l'ultima che si concede di versare da sola.
Basta solitudine.

Intanto nella tasca il telefono vibra da parecchi minuti, ma Kim non lo ha nemmeno preso in mano, qualsiasi cosa fosse può aspettare.
O almeno così pensa.

Sara spalanca la porta, con il fiatone e il viso serio e contratto dalla paura.

"Kim.
Stuart ha mandato un messaggio a Villa Queen.
Ti conviene andare."

Kessie annuisce, facendo segno a Kim di andare.
Sa quanto sia importante il messaggio lasciato a Villa Queen e poi non ha più bisogno di Kim.
Non è più da sola.

"Vai, non sono sola.
Mai più."

La solitudine...
Mai più...
È ormai Kessie è lontana dal mare in tempesta.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro