capitolo 25 la tana del bianco coniglio
Chiuso il caso, le cose in centrale tornano quiete, forse anche troppo.
Pedro si limita a girare in archivio curiosando in vecchi casi ancora aperti, perché è rimasto scioccato di quelli chiusi.
Inizialmente era partito da quelli, curioso di scoprire le tattiche dei suoi colleghi e imparare almeno qualche trucco, in fondo è abitudine in Accademia studiare su vecchi casi.
Ma c'è ben poco da studiare qui, forse l'unica è che ora sa esattamente come si scrive "mancanza di prove" e chiusura del caso.
Unici fogli con denuncia, analisi preliminare e poi la scritta a fine foglio e il bel segno di timbro "chiuso" in rosso al centro.
Così, ha optato per quelli ancora aperti, in attesa di qualcosa di più interessante.
Si imbatte in fogli stropicciati e scarabocchiati, pezzi di dichiarazione cancellati e pensino il resto di un panino mangiucchiato.
Disgustoso.
Dopo aver allontanato lo scatolone usato da qualche suo collega come secchio dell'organico e lavato le mani molte volte, torna sbuffando alla scrivania con un nuovo scatolone.
Dopo un paio di fogli si imbatte in una cartellina, così famigliare ai suoi occhi.
La sposta con cura sulla scrivania, allontanando lo scatolone, cercando di capire perché ne è attratto così tanto.
Appena aperta, il viso di una donna triste e livida, impressa in una foto, lo fa ingoiare a vuoto.
Ecco perché gli era così famigliare, Elisabetta è il nome sulla prima riga.
Ricorda che Kim gli ha fatto vedere questo e altri casi, ma a quei tempi non aveva lo stomaco di leggerla con cura.
Si sente quasi in colpa, come se quel giorno avesse fatto un torto a questa donna, così decide di rimediare magari così dando una mano alla sua coscienza.
Legge con cura la dichiarazione della donna, le foto dei lividi e le note dell'infermiere e scopre che in questo caso anche le ragazze della palestra hanno lasciato una testimonianza.
Le prove sono tangibili, la storia non presenta fraintendimenti e le parole di tutte le donne sono chiare e concise.
Eppure alla fine dei fogli la scritta "mancanza di prove" è scritto in grande e in rosso.
Perché?
Questa donna è stata uccisa dal marito, poteva essere protetta, poteva essere salvata e invece...
"Mancanza di prove."
Chiude la cartellina, iniziando a ticchettare la matita sulla scrivania.
Ha bisogno di risposte, sicuro che non le avrà qui e neppure tra i suoi colleghi.
Può trovarle solo in un posto.
Afferrando la giacca lascia l'archivio, convinto di voler sapere la verità.
Tutta la verità.
Saluta con gesti veloci i colleghi rispondendo alle domande di dove stia andando in modo vago, se non sono sinceri loro, perché deve esserlo lui.
Sta per uscire dalla centrale, quando una donna gli finisce addosso.
"Chiedo scusa io..."
Si ferma osservando la donna che trema davanti a lui.
Un braccio stretto al petto come se fosse rotto, il maglione verde macchiato di rosso, lividi sul viso con un leggero scivolo di sangue sul labbro e sotto al naso a gocciolare sulla bocca.
E due occhi verdi lucidi e arrossati, gli occhi più tristi che abbia mai visto, uno sguardo che ha già visto.
"Io...
Ho bisogno di aiuto...
Ma non so...
Io...
Mio marito..."
È abbastanza chiara la situazione, nonostante la donna balbetti con difficoltà dovuta alla ferita sul labbro per poi scoppiare in lacrime cadendo in ginocchio.
Thomas notando la scena accorre subito verso di loro e non è il solo.
"Che succede qui?"
Chiede il loro superiore, osservando la scena quasi con noia.
Pedro dentro di sé trema furioso, non vede come lui i lividi?
Non sente l'odore del sangue che ha addosso?
Non sente il cuore della donna tremare?
Si solleva, lasciando Thomas ad aiutare la donna a rialzarsi, mettendosi a scudo tra lei e il suo superiore.
" Credo sia vittima di violenza.
Domestica credo."
Potrebbe benissimo togliere il credo, è sicuro che il marito l'abbia ridotta così ma preferisce rimanere professionale al contrario del suo superiore.
Lui invece scoppia a ridere, portandosi le mani sulla pancia in modo teatrale, parlando ad alta voce.
" I litigi tra moglie e marito non sono fatti nostri.
Dategli un bicchiere d'acqua e mandatela via."
Cosa?
Il suo superiore se ne va, fischiettando con le mani in tasca, lasciandolo sconvolto.
Pedro si guarda intorno, ma i suoi colleghi a parte Thomas, o ridono leccando il culo al loro superiore o tornano alle loro chiacchiere d'ufficio, fingendo che la donna non esista.
La guarda, stretta e terrorizzata tra le braccia di Thomas che è sconvolto quanto lui.
"Resta con lei, io arrivo subito."
Non può finire così, non può una vittima essere mandata via a calci in culo senza un minimo di aiuto.
Non è per questo che è diventato poliziotto cazzo.
Si incammina veloce verso l'ufficio del suo superiore, in cerca di risposte, fermandosi davanti alla porta socchiusa.
Sta per bussare e entrare, quando...
" Si è venuta...
Si tranquillo...
Davvero credevi, che avrei accolto la sua denuncia?...
Tranquillo...
Si tornerà da te disperata...
Vedrai che ora sarà molto più obbediente."
Si allontana di scatto come se si fosse appena bruciato, non può crederci.
Il suo superiore, l'uomo che dovrebbe fargli da guida, è d'accordo con il carnefice e ha appena condannato a morte quella donna.
Le gambe gli tremano, la nausea gli sale in gola in una sensazione di soffocamento, non può crederci.
Passo dopo passo, torna davanti alla donna, guardando intorno a sé l'indifferenza di tutti, di persone che sono qui per proteggere e invece ora chiudono gli occhi.
"Che succede Pedro?"
Gli chiede l'amico notando il colorito del suo viso ormai pallido.
Ma Pedro non sa cosa rispondere, non sa cosa fare.
Osserva le ferite della donna, con ancora nelle orecchie le parole di quel bastardo.
Kim aveva ragione, ha fatto di tutto per farglielo capire, ma cazzo ora che ci sbatte la faccia lui stesso si sente tradito e la divisa che porta addosso gli da l'orticaria.
Guarda gli occhi della donna e ora si rende conto perché gli sono famigliari.
Sono gli occhi di molte ragazze che ha visto in palestra, agli occhi di quelle donne che hanno denunciato e sono state uccise per questo.
Cosa deve fare?
Quegli occhi...
Cosa deve fare?
Uguali a...
COSA DEVE FARE?
A MANDY
A Mandy
Si inginocchia davanti alla donna, cercando di essere meno minaccioso possibile, imitando i gesti che quel giorno ha fatto Kim.
Ora sa cosa deve fare.
" Ho una amica, che ti potrà aiutare.
Ti ci porto va bene?"
Lei nega un po', ancora spaventata e sicuramente la scenetta di poco prima e intorno a lei non aiuta.
Pedro sospira, azzardando a prenderle la mano facendo suo quel tremore.
Deve salvarla, deve farlo altrimenti non avrà il coraggio di guardarsi in faccia allo specchio e indossare questa divisa che tanto difende.
" Lo so che hai paura.
Ma ti prometto che loro ti aiuteranno.
Ti do la mia parola."
Lei lo guarda e lui guarda lei, il dolore della donna scorre dentro di lui e il tremore della paura è ormai di entrambi.
Questo significa aiutare qualcuno, condividere la paura e forse la speranza.
Gli occhi di lei si spostano su se stessa e quando tornano a lui è lo sguardo di chi ormai non ha nulla da perdere.
Di chi ormai si regge con poche dita a una costiera senza mare ad attutire la caduta.
Annuisce e Pedro sorride grato, ringraziandola di avergli dato la possibilità.
Sposta lo sguardo su Thomas, non ce bisogno parole, lo coprirà lui e sarà qui se avrà bisogno.
La prende in braccio, facendo attenzione al braccio che ora da vicino è sicuro essere rotto.
La donna è un peso su di lui, non ha più la forza di combattere ma ora non ne ha più bisogno.
Ci penserà lui a salvarla, lo deve a tutte quelle donne.
Con delicatezza la fa salire sui sedili posteriori per farla stare più comoda, per poi salire al posto guida.
Si concede un attimo per guardarla dallo specchietto centrale, il labbro tremante ancora tra i denti con una espressione sofferente mentre si accarezza il braccio.
Non si lementa, non fa una smorfia per il dolore fisico, quello che Pedro vede in lei un male che pian piano si è mangiato il suo corpo fino ad arrivare all'anima.
Mette in moto, occhi sulla strada e un nodo in gola.
Non voleva crederci, ci ha sperato fino all'ultimo che fosse tutta una paranoia, invece anche lui come la donna sta pian piano perdendo la speranza.
Si sfiora con mano tremante la divisa, l'ha sognata fin da quando era bambino, guardando i poliziotti come se fossero eroi.
Ed ora si sente un sup eroe fallito.
Quei lividi, questa divisa, sono gli stessi carnefici, nella sua mente rabbia che dà le stesse identiche colpe.
Vorrebbe urlare, sbattere i pugni contro il volante, guarda lei dallo specchietto e non ne ha diritto.
Se non urla lei, lui avrà la stessa mano sulla bocca.
Arrivati davanti alla palestra, scende con calma, facendo attenzione a non sbattere lo sportello, a non fare rumore.
Se lei non fa rumore, lui ha le stesse catene alle mani.
La prende in braccio come se fosse una bambina nonostante potrebbe essere sua madre.
Sua madre, ingoia a vuoto.
E se fosse sua madre?
Sua sorella?
La sua donna?
Ingoia a vuoto, non alza lo sguardo, se non lo alza lei lui ha la stessa presa alla gola che gli tiene la capo china.
Appena entrati, si avvicina subito a Mary che già si prepara a mandarlo via.
"Come ti ho già detto qui..."
Alza lo sguardo, lui non è più importante.
Finché lei non sarà importante, lui sarà il sacco da box da buttare a terra.
La donna si stringe a sé mentre la fa scivolare senza che lei lasci la sua giacca.
Questa giacca, questa divisa, non è degna di essere stretta da lei.
Mary intanto afferra subito il telefono preoccupata.
"Sara è un emergenza, corri qui.
Io intanto chiamo Camilla."
Mette via il telefono, avvicinandosi cauta a lei, piegando il capo e la schiena mettendosi poco più in basso di lei.
Mary è degna di salvarla, lui no.
Prova ad avvicinarsi tendendole la mano, ma la donna si aggrappa ancora di più a lui fino a fargli sentire le unghie sulla pelle.
Non si lamenta, se lei non si lamenta, lui ha perso la stessa speranza di essere salvata.
Mary da subito un passo indietro, rimanendo bassa e senza distogliere lo sguardo.
Pedro capisce che tutte le ragazze di questo posto sono preparate, quasi addestrate, a salvare donne "ferite".
Vede in lei gli stessi movimenti di K e la stessa dolcezza che Sara mostrava in uno sguardo.
Lui, con la sua bella divisa, non vale niente in confronto a loro.
Sara appare pochi secondi dopo e appena li vede rallenta il passo, abbassando le mani e assumendo una postura rilassata.
Come Mary prima di lei, si piega verso la donna tenendo le mani lontane.
"Ciao, io mi chiamo Sara.
Posso aiutarti?"
Le mani ancora lontani, un viso pulito, sorridente e dolce, persino Pedro si sente più tranquillo in presenza di Sara, come un calmante naturale.
La donna infatti allenta la presa, ma non abbastanza da allontanarsi e Pedro è pietrificato.
Si limita a rimanerne a fianco, come se questo bastasse a entrambi per non crollare.
"Se per te va bene, potremmo prendere un thè caldo.
Poi se ti va, una mia amica potrebbe aiutarti con il braccio."
Non si scoraggia Sara, un po' perché è abituata ad affrontare queste situazioni e un po' per carattere.
Continua a sorridere, a chiedere, a rimanere bassa davanti a lei senza mai entrare nel suo spazio.
Non le dice che la aiuterà, ma che può aiutarla, offrendole la possibilità di scegliere.
Da quanto tempo non decide della sua vita questa donna?
Ma nonostante più tranquilla, resta attaccata a Pedro, tremante ma ferma lì nonostante le gambe quasi non la reggono.
Sara capendo la situazione sposta lo sguardo su Pedro in una muta richiesta di aiuto.
E lui sembra risvegliarsi, guarda la donna al suo fianco, le unghie ancora sulla sua pelle, il tremolio che si unisce al suo respiro veloce.
Ha la possibilità di fare qualcosa, aiutarla, fare la differenza e salvarla.
Può fare qualcosa.
Le sfiora la mano aggrappata a lui, richiamando il suo guardo, terrorizzato.
"Se vuoi, io starò al tuo fianco, finché me lo permetterai, finché ne avrai bisogno."
Cerca di imitare Sara, una brutta copia, quello che in realtà dovrebbe semplicemente umanità.
Si guardano negli occhi, sono lì stesso di pochi minuti fa in centrale, lei in ginocchio e lui bisognoso di aiutarla.
Annuisce, dona a Pedro il diritto di poter respirare.
Lei lo rende degno di poterla salvare.
"Andiamo una stanza tranquilla."
Sara fa loro strada, ogni passo è faticoso ma essenziale, ad ogni passo il respiro è più forte nel petto.
La stanza è la stessa dove è stata portata Mandy quel giorno, Pedro ha lo stesso nodo in gola.
Insieme si siedono sul divanetto, la donna non la lasciato nemmeno un secondo e non lo farà finché lei vorrà.
Le viene servito un thè tiepido, potrebbe sembrare una mancanza ma quando vede la donna apprezzarlo e non avere il labbro dolorante per il calore, capisce che è invece una gentilezza per lei.
Pedro non si guarda intorno, occhi sulla donna, essere lì ogni volta che lei lo cerca, esserci ecco cosa fa un super eroe in cerca di salvezza.
Poco dopo arriva Camilla, anche lei si presenta, anche lei è cauta e gentile, anche lei lo guarda in cerca di aiuto.
E questa volta lui non ha debolezze o confusione, lui c'è.
"Lo facciamo insieme ok?"
La donna annuisce ancora una volta e Pedro ancora una volta la ringrazia per dargli ossigeno.
Sta vicino a lei quando la fanno spostare il braccio, le tiene la mano libera quando Camilla la visita con cura, stringe i denti quando lei urla per la manovra a fare rientrare l'osso.
Urla, non c'è più una mano a tenerle la bocca chiusa, anche Pedro si sente urlare dentro.
Sta vicino a lei, le tiene la mano quando le disinfettano le ferite e il rumore di respiri si propagano nella stanza.
Fa rumore, non ci sono più catene sulle mani, si sentono entrambi più liberi.
Sta vicino a lei, le tiene la mano quando Camilla le mette i punti sulle ferite più gravi.
Alza gli occhi al cielo per il dolore con una lacrima rinchiusa nelle ciglia, alza gli occhi e non c'è più presa sulla gola.
Possono respirare.
Viene messa comoda su un lettino, le viene dato un antidolorifico e un'altra tazza di tè.
E Pedro sta vicino a lei, le tiene la mano mentre racconta anni di violenza, si lamenta, riacquistando la speranza di essere salvata.
E anche Pedro ora può sperare di essere migliore.
Ore di lacrime, ricordi, incubi e tremolii.
Alla fine è esausta ma libera e prima che si addormenti per la morfina, alza gli occhi verso Pedro trasformando la mano stretta in una carezza.
"Grazie."
Sospira per poi addormentarsi, gli ha appena detto grazie per averla salvata, per essere stato al suo fianco per tutto il tempo, per aver provato a sentire lo stesso dolore.
Lei viene coperta e il suo lavoro ferito è piegato in una espressione sollevata.
La salvata, torna a respirare, una botta dentro lo stomaco che si contorce e si scioglie come se fosse naturale.
Camilla gli dice che può andare tranquillo, ma lui non la sta ascoltando davvero.
Bacia la fronte della donna, lascia vicino a lei un bigliettino con il suo numero e va via senza fare rumore.
Ora lei è in salvo, lui può andare, sapendo che avranno cura di lei.
Lascia la stanza, supera il corridoio, trattiene il respiro e lo rilascia quando è ormai in strada.
L'ossigeno nei polmoni fa male, è una scarica di adrenalina che svuota il cervello.
Fa quasi male.
"Dovresti sederti, tra poco le gambe inizieranno a tremare."
Scatta con lo sguardo su Mandy che gli indica la panchina poco lontana, la stessa che hanno occupato qualche settimana fa al loro primo vero incontro.
E ha ragione, sente già le gambe che iniziano a cedere e ringrazia di sedersi in tempo prima che lo abbandonino completamente.
Lei sospirando gli passa una bottiglietta d'acqua per poi rimanere in silenzio, dandogli il tempo di riprendersi.
"In addestramento ho visto cadaveri, assassini, scene del crimini che potrebbero dare i brividi.
Eppure..."
Non ha mai provato questo vuoto e morso allo stomaco.
Una volta ha visto un cadavere decomposto e fatto a pezzi, eppure quella volta non ha provato questa nausea.
Ha arrestato criminali, ma non ha mai provato questa adrenalina soffocante.
Eppure non si è mai sentito così vivo.
"Fare giustizia, indagare su un morto, non è la stessa cosa.
Questo è fare la cosa giusta, è salvare qualcuno, è aiutare.
E salvare una vita ci fa sentire talmente vivi da fare male.
È adrenalina."
Annuisce, non poteva spiegarlo in modo migliore.
Dolcemente le porta una ciocca dietro l'orecchio, osservandola arrossire come fa ogni volta nonostante si frequentino da un po'.
Nonostante le ha detto che gli piace.
Nonostante qualche bacio rubato sotto casa.
Ma ora sospira, questa sensazione non gli fa assaporare i loro dolci momenti.
Si passa le mani sul viso, come se così potesse davvero togliersi di dosso il senso di scarica che prova.
E guarda lei, pensa a Sara, Mary, Camilla, le ragazze che lavorano in questo posto e che affrontano ogni giorno queste situazioni.
Vorrebbe chiedere ma non osa e Mandy risponde per lui.
"Quando si cade per la prima nella tana del bianco coniglio, fa male.
È una caduta libera e sotto di sé niente attutisce la caduta, solo massi che lasciano il segno."
Ed è proprio così che si sente Pedro, è come se la sensazione di caduta fosse fisica e non solo una metafora.
Sente le vertigini, il vuoto nello stomaco e poi arriva a terra dolorosamente, non riesce a rialzarsi e la carne fa male.
E il coniglio bianco è lì a ridere di loro.
"Ci si abitua?
No, non ci si può abituare a quelle storie, a quei lividi.
Ma sai, Kessie dici sempre che o si continua a cadere o ci si deve aggrappare i muri cercando di tornare su.
Lottare per loro e solo così si lotterà anche per noi stesse."
Trasformare dolore, adrenalina, fatica e sangue in morfina.
Salvare una altra persona per avere salvezza.
Esattamente come si è sentito lui quando quella donna ha capito di essere salva.
Si è sentito salvo.
"Ma ora, hai bisogno di mangiare qualcosa.
Andiamo, oggi offro io."
E il mondo ricomincia a camminare e Pedro con lui ma con passo diverso.
Si guarda la divisa, la stessa che la tradita, decidendo di lottare per farla tornare a risplendere.
Come ha lottato con quella donna per farla tornare a sperare.
Questa tana del bianco coniglio, non lo ingoierà...
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