capitolo 23 un inizo
Il ritorno a villa queen ha tutto un altro sapore.
La conversazione tra Kim e Sara è stata di dominio pubblico, tanto che per tutto il viaggio di ritorno si sono pavoneggiate a paladini della casa.
E la tentazione di fermarsi, farle scendere e costringerle a tornare a casa a piedi è stata tanta, per tutto il viaggio.
Tanto che quando la macchina si ferma davanti a villa Queen, fa un lungo respiro di sollievo.
"Ora sparite, non voglio vedervi almeno fino a domani."
Kim subito le caccia via letteralmente e quasi fisicamente dalla macchina, per poi sgommate via e lasciarle sole sul ciglio della strada davanti casa.
Le ragazze sbuffando, gonfiando le guance, ma sanno che non servirebbe a nulla lamentarsi, Kim ha già girato l'angolo e sicuramente non tornerà indietro a scusarsi.
"Non ci ha dato nemmeno il tempo di scaricare le cose che abbiamo comprato."
Sbuffa Mary, sbattendo i piedi a terra pensando al libro che ha comprato e che voleva leggere questo pomeriggio.
Le altre due invece si limitano a sorridere, scuotendo il capo divertite, è vero che Kim è molto cambiata in questi mesi ma altre cose non cambiano mai.
"Diciamo che Kim ha pensato ad altri progetti per voi."
Alzano il capo di scatto trovandosi davanti Massi e Jek.
E quest'ultimo che ha parlato, sorridente appoggiato alla moto mentre Massi silenzioso sorride vicino alla propria macchina.
"E voi che ci fate qui?"
Sorride Sara, avvicinandosi insieme a Mary ai loro ragazzi, saluntandolii con un piccolo bacio a stampo.
Sono davvero sorpresi della loro presenza, perché nell'ultimo periodo li hanno visti solo la mattina e la sera essendo loro molto impegnati per la storia di Stone.
"Diciamo che Kim ha dato precisi ordini per oggi."
Sorride Jek, tirando fuori dal sotto sella un secondo casco che porge a Sara.
E da tanto che non fanno un giro in moto o che hanno un pomeriggio per loro.
Ed entrambe le ragazze, percorse dallo stesso pensiero, arrivano a comprendere le parole di Jek, la the Queen ha ordinato una giornata libera da passare con le loro ragazze e sicuramente lei tutta di corsa è scappata da Carter.
Le due ragazze salutano kessie, un po dispiaciute di vederla sola, per poi salire in macchina o sulla moto.
Entrambe sicure che Cam è solo di ritardo come al cuore soliti.
Cosi la ragazza, rimasta sola davanti casa, sospira sicura che per lei non c'è in servo nessuna sorpresa.
Sorride un po amara, scuotendo il capo se Jek e Massi sono qui, qualcuno deve aver coperto i loro "turni".
Lei e Cam avranno tempo, magari domani.
Ma è falsa persino con se stessa, perché quando il telefono squilla e il nome del suo fidanzato illumina la schermo, il cuore inizia a batterle forte nel petto.
Nonostante si finga comprensibile con il suo lavoro, non può fingersi sollevata di non essere stata dimenticata o messa da parte.
"Ei piccola, ti va di raggiungermi al solito bar?
Io sono qui ad aspettarti."
Il viso illuminato in un sorriso da guancia a guancia.
Tanti pensieri razionali sul non sentirsi feriti, per poi dirgli che sta arrivando e correre verso la macchina per raggiungerlo, con il cuore pieno di gioia.
L'amore fa anche questo.
Ci rende razionali e compassionevoli verso le cose che ci fanno male, per poi gioire senza logica per i piccoli momenti di puro amore.
E guida tranquilla, fino a fermarsi davanti al locale e scendere senza chiedersi se ha chiuso o no la macchina.
Vuole solo vederlo, stringerlo e basta.
Le basta questo per renderla felice.
Lo cerca al solito tavolo, trovando la sua testolina bionda preferita ad aspettarla.
Sorridere, almeno finché quella testa bionda non si solleva, incrociando il suo sguardo.
Non è Cam.
Essere così diversi, capelli, occhi, pelle e eta.
Eppure è strano notare quei piccoli dettagli che legano il sangue.
Una ruga sulla fronte, un neo sotto il labbro inferiore, chissà se anche lui ha una voglia di caffè sulla caviglia, chissà se anche lui nota queste piccole imperfette somiglianze.
"Carter...
Che ci fai qui?"
Sussurra, balbettando appena sulla seconda frase, camminando piano verso di lui, trovando sul suo viso la stessa sorpresa.
Una coincidenza trovarsi qui, al tavolo che in genere Cam prenota per loro due, oggi che ha in servo per loro molte sorprese.
"Kessie.
Kim mi ha detto di vederci qui, a questo tavolo, ma..."
No, nessuna coincidenza, mai nulla è guidato dal destino.
Due persone che si sono limitati a un saluto per mesi, si trovano seduti allo stesso tavolo, per un caso che non esiste.
"Direi che Kim aveva qualcosa in mente."
Arriva alla stessa conclusione Carter, ridendo di sé per non aver sentito puzza di bruciato prima.
Kim gli ha mandato un messaggio con scritto di raggiungerla qui per una questione molto importante.
Aveva creduto che riguardasse loro due, la loro conversazione avvenuta di corsa questa mattina, quel ti amo sfiorato.
"Mi dispiace, credo che sia meglio andare.
Sicuramente non ti aspettavi me."
Sorride timida Kessie, abbassando lo sguardo e attirando su di sé lo sguardo di Carter.
E la guarda, sua sorella e capisce che c'è qualcosa di molto più importante di due parole sfiorate.
Ovvero quelle mai dette.
"No, ti prego, resta."
Hanno sprecato troppe occasioni, mille volte volevano dirsi qualcosa per poi rimanere in silenzio.
Questa è l'occasione giusta, l'attimo da cogliere.
E persino Kessie ne è convinta mentre si siede davanti a lui, rimanendo in silenzio.
Da dove cominciare, Carter non lo sa, anche perché gli è ormai ignoto il perché di quell'odio che ora non c'è più.
Ordinano da bere, Carter una birra mentre Kessie come sempre si limita a una cocacola, come le altre ragazze a parte Kim naturalmente.
E sorseggiano, si guardano di sfuggita, senza sapere cosa dire.
Forse a Carter manca il coraggio e si sente un coniglio o uno stupido che davanti al disagio di lei non sa come comportarsi.
Kim e Nik gli hanno detto mille volte di parlarle, che le parole sarebbero venute da sole, nel consiglio di merda si trova a pensare.
"Risolto con Cam stamattina?"
Ma che cazzo di domanda da fare è?
Non c'entra niente con il motivo che li ha portati qui e a niente serve grattarsi la nuca nervoso quando invece dovrebbe darsi un pugno in testa.
Ma Kessie è gentile, capisce che lo stesso disagio lo stanno provando entrambi e gli risponde con un sorriso comprensivo.
"Si, abbiamo risolto.
A volte tende a essere troppo protettivo nei miei confronti, ma so che lo fa per il mio bene."
Protettivo è molto riduttivo, se fosse per Cam la chiuderebbe in una stanza senza finestre e con la serratura perennemente chiusa.
Pensiero che fa ridacchiare Kessie, incantando Carter.
È da tanto che non la vede ridere, o meglio che non si sofferma a guardarla.
Una risata spontanea e gentile, una risata che non fa rumore per non disturbare, un angelo che si muove piano tra la gente senza dar fastidio
Una risata diversa da quella che le ricorda lei.
"Ti va di venire con me?"
Le chiede, trovando finalmente il punto di inizio, un qualcosa che sia la partenza verso un discorso che si intreccia tra ricordi e paure.
Kessie accetta senza pensarci, fidandosi dell'uomo che ha conosciuto negli ultimi mesi, diverso da quello che in passato le ha promesso vendetta, ma anche desiderosa di arrivare finalmente ha un contatto con il fratello.
Una manciata di banconote sul bancone e si incamminano a piedi, lasciando le macchine lì ad aspettare il loro ritorno.
Spalla a spalla, camminano senza parlare, godendosi le giornate sempre più lunghe e calde anche se non sono nemmeno ad aprile.
Fino ad arrivare a un vecchio parco giochi e sedersi vicini su una panchina.
Osservare i bambini correre dietro a un pallone, il rumore delle vecchie catene delle altalena, coperto dalle risate dei bambini.
Le urla delle mamme, quel vecchio scivolo piegato dal tempo.
I ricordi che si fanno vividi nella mente.
"È qui che ti ho visto la prima volta."
Sussurra Carter, iniziando dal principio, da quel pomeriggio di tanti anni fa.
Dalla prima volta che la vista, dalla prima volta che la odiata.
E Kessie, rimane silenziosa, mentre osserva suo fratello guardare davanti a sé e perdersi in quel ricordo che sembra doloroso.
"Avevo sei anni ed ero seduto proprio qui, con mia madre esattamente dove sei tu."
Ricorda le temperature leggermente scese, la mano della madre stringeva la sua quasi dolorosamente, mentre con l'altra gli teneva il viso girato a forza verso una precisa direzione.
Lo smalto appena messo gli bruciava le narici e le unghia gli graffiava le guance, ma a quella donna non importava del dolore che stava provocando a suo figlio, lei sorrideva soddisfatta e tanto egocentrica.
"L'estate era ormai alla fine e mio padre era scomparso ancora prima che era iniziata.
L'avevo visto rientrare poche volte in tarda notte e solo per sentirlo litigare con mia madre.
Quest'ultima aveva passato ogni giorno di quei tre mesi a ripetermi che mio padre era un bastardo, che preferiva passare il tempo un la sua puttana e la bastardina, che invece stare con me."
E se all'inizio si rifiutava di credere a quelle parole tanto crudeli per un bambino, pian piano la paura di essere abbandonato si infiltrava nella sua mente.
E l'assenza del padre non giocava a suo favore.
Cosi, pian piano sentiva le menzogne della madre diventare verità, il senso di abbandono crescere dentro di lui e rabbia verso chi aveva rubato a lui quel pezzo di famiglia essenziale.
"Cosi, un giorno mia madre mi portò qui, ma non per giocare o per un bel gelato come invece mi aveva promesso, ma per ferirmi definitivamente.
Mi fece sedere qui, mi tenne il viso verso una direzione, dicendomi "eccoti tuo padre con la bastardina, guarda come ti ha sostituito", mentre indicava mio padre mentre giocava con te."
Aveva gli occhi pieni di lacrime, il cuore che batteva forte nel petto, la voglia di fuggire via lontano da tutto.
Ma rimaneva immobile, seduto su questa panchina improvvisamente scomoda, fissando la bambina che correva felice intorno al padre che gli sorrideva ridendo, come con lui non ricorda ha mai fatto.
"Avevi forse tre anni, un vestitino blu, con delle margherite disegnate sopra.
I capelli legati in due trecce, le guance rosse e paffute e un sorriso luminoso sulle labbra.
E l'ho odiato quel sorriso, quella tua allegria, quel legame che vedevo con mio padre, non capendo che era anche tuo padre."
Un bambino di sei anni come può capire che quell'amore non era rubato ma condiviso.
Che un padre può amare entrambi i suoi due figli con lo stesso cuore, ma c'è anche da dire che l'oscurità a volte copre ogni battito e ogni colore di luce.
"Mia madre alle spalle che insinuava il seme dell'abbandono, l'assenza di mio padre e il fatto che mai ha mostrato tanto amore verso di me.
Io ero l'uomo di casa, io dovevo essere forte, io prendevo le botte, io non potevo giocare in cortile come tutti gli altri bambini.
Mentre tu eri lì, insieme a lui, eri la sua principessina e lui ti amava.
E da quel giorno, da quel pomeriggio di settembre io ti ho odiato, così tanto che con il tempo è diventata semplice abitudine."
Kessie continua a guardarlo e quando finalmente Carter sposta lo sguardo su di lei, vede nei suoi occhi di fumo un un'espressione quasi infantile, come se la stesse guardando come la guardava allora, con gli occhi di un bambino di sei anni.
Le mani che si strofinano tra di loro, il piede che si muove nervoso, la postura di chi vorrebbe scappare.
Tutto in lui grida la voglia di scappare ma il bisogno di restare.
Con un sorriso amaro sulle labbra, avvicina una mano a quella di lui, stringendola in un contatto tanto intimo e vergine.
Mai si sono toccati, se non per sbaglio o per caso.
"Io non sono mai stata la sua principessina e lui non è mai stato il mio papà."
Sussurra dolce, con voce inclinata dalla tristezza e con gli occhi già umidi e lucidi di lacrime.
Capisce i sentimenti di Carter, cosa può provare un bambino di sei e come può crescere con una donna come Cassandra alle sue spalle.
Per non parlare del padre che non è mai stato un santo, anzi tutt'altro.
La tristezza è che tanto odio e tanto dolore per entrambi sono stati veleni inutili e di incomprensioni.
"Mia madre non era una delle tante donne di tuo padre, ma una vittima di violenza, lui l'aveva stuprata.
Ed io sono stato il frutto di alcol e violenza."
Le lacrime scendono giù, è inevitabile perché solo lei sa quanto può essere pesante vivere nata per errore, o meglio per orrore.
La madre era la persona più buona che possa esistere al mondo, ma quando la figlia le chiedeva di suo padre era impossibile non leggere nei suoi occhi il dolore, quel legame non creato dall'amore ma da una sofferenza.
E se da bambina la donna cercava di girare intorno alla domanda, da ragazzina la verità è dovuta uscire fuori.
E con essa il senso di colpa di essere nata da uno stupro.
"Tre anni dalla mia nascita, nonno Albert ha saputo della mia nascita e del motivo della mia nascita.
Per lui è il gesto più indegno e disumano da fare e lo obbligò a chiedere scusa e a cercare di risolvere o creare un rapporto con me.
Ma quel giorno al parco fu il primo e l'unico giorno in cui lo vidi."
Sinceramente nemmeno ricorda quel giorno, non ne ha foto e ne pensiero.
Forse perché era piccola o forse perché è impossibile definire padre un uomo che vedi solo una volta, per un'ora al parco.
E si guardano, per la prima volta si conoscono, tutto ciò che è esistito prima non vale niente.
Quanto odio sprecato, ad odiarla come se fosse una ladra e alla fine scoprire che era solo una vittima come lui.
E un dubbio lo sfiora, un pensiero che ha peccato di esistere contro un genitore.
Ma quale coincidenza può essere se sua madre lo ha portato lì proprio quel giorno, se la spinto ad odiare quella bambina, se la convinto di dirgli a suo padre di allontanarla, rinnegarla.
"Dio quanto sono stato stupido.
Mi sono fatto ingannare da mia madre e ho convinto mostro padre ad allontanarvi dal nostro territorio.
È tutta colpa mia, tutta colpa mia."
Se fosse stato più sveglio da capire, se avesse ascoltato di più suo nonna, avrebbe potuto aiutare sua sorella, salvarla da una addolescen,a fatta di sacrifici, avrebbe potuto forse anxhe salvare sua madre, lei che era vittima incannita di suo padre.
E forse anche il suo sangue gocciola dalle sue mani.
Le stesse che Kessie afferra tra le sue, negando con il capo testarda.
"Ascoltami bene Carter.
Nostro nonno mi disse che il figlio gli fece giurare di non raccontare mai e poi mai di me e mia madre.
Altrimenti ci avrebbe negato quei pochi aiuti economici o peggio la vita.
Tu non sapevi niente di tutto ciò, è normale per un bambino che diventa adulto tra mille bugie."
Non gliene frega una cpa, anche se non può negare la sofferenza che ha sentito ogni volta che la incrociato per strada ed essere guardata come se fosse spazzatura.
Quanto è stato doloroso vivere nella terra di nessuno, vittima di tutti e protetta da nessuno.
Ha sofferto per quasi tutta la vita, ma la colpa non è dell'uomo che con lo sguardo lucido ora la guarda e le chiede perdono.
Nessuno ha colpa di essere nati in una famiglia sbagliata, di essere stati plasmati a forma e immagine di una idea sbagliata.
"Ora siamo qui e abbiamo la possibilità di conoscerci.
Se ti va."
Sussurra ltima frase lei con un pizzico di timidezza e paura.
Terrorizzata di aver mal interpretato il suo sguardo e la stretta tra le loro mani.
Ma lui sorride portandosi le mani di lei alle labbra e baciandole.
"Be, direi che è scontato, è normale che voglia conoscere mia sorella."
E le lacrime non hanno più freno e ne pietà.
Macchiano le guance e raggiungono le labbra tirate in un sorriso.
L'emozione di essere finalmente chiamata sorella e tanto grande da tempestare il cuore e sentirlo in gola.
Mai avrebbe creduto di essere beneficiaria di un tale miracolo.
E sorridento si alza dalla panchina, lasciando le mani di lui, volendo che sia un altro l'inizio della loro storia.
"Allora facciamo le cose per bene e ricominciamo da capo.
Piacere, io sono Kessie miller, tua sorella minore."
Carter scoppia a ridere, osservando la mano di lei che lo invita a stringerla.
Ride un po' per la situazione un po' per questo calore c sente nascere dentro di lui.
E si alza, steinge do la mano di lei, creando un nuovo ricordo che racco ti un nuovo inizio.
"Piacere Kessie, io sono Carter Miller, tuo fratello.
E da oggi ti prometto che sarò il miglior fratello di tutti i tempi, come sono il migliore in tutto in realtà."
E scoppiano a ridere, attirando gli occhi della gente che non possono sapere che questi due sono un fratello e una sorella che finalmente si incontrano dopo una vita passata a essere sconosciuti.
E tornano seduti, si guardano e si conoscono.
Carter ha ben poco da dire, ogni volta che trova qualcosa su di sé, Kessie già la sapeva segno che al contrario di lui, lei l'ha sempre ammirato da lontano.
Invece ascolta la sorella raccontare la sua vita di lavoro e fatica con un po di angoscia, per poi vederla sorridere quando racconta dal suo arrivo in villa queen.
Dalla festa di natale, il litigio con Alex, l'aiuto di kim come un benvenuto in casa sua.
"Anche se non mi ha dato così tanto fiato i primi periodi, anzi ne ero terrorizzata."
Racconta delle minacce poco velate di Kim, del suo sguardo sempre attento e pronto a scattare.
Di come Kessie misurasse le parole davanti a lei.
Insomma un vero incubo di ansia e terrore, ma quando Carter le ha chiesto perché allora non è andata via, la sua risposta la sorpreso molto.
"Perché sapevo che era una prova, lei mi aveva dato fiducia ma io dovevo mostrare di meritarla.
E poi, con il tempo ho capito che Kim ha un modo tutto suo di agire e chhe mentre mi trattava come se non mi volesse lì, creava una casa per me."
Non una casa in senso materiale, ma una vita dignitosa e soddisfacente.
E c'è stata lei dietro ai corsi di autodifesa, alle agevolazioni dei corsi, alle riparazioni alla macchina e tutti gli aiuti non solo economici che hanno reso più facile la sua vita.
Carter è incantato dal suo racconto, da quante cose non sapeva su sua sorella.
Ma all'improvviso un rumore di sgommate e proiettili attirano i loro sguardi.
La gente corre da una parte all'altra e loro sono obbligati a salire sulla panchina per capire cosa sta facendo.
Appena in tempo per vedere una moto accelerare, un paio di macchine a seguirla e i proiettili a scoppiare in aria.
"Ma quelli...
Sono Sara è Jek"
Si, sono loro...
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro