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Capitolo 12

Tre giorni dopo

«Hagrid!» una voce si levò alle spalle del mezzogigante.

«Remus, ciao! Che ci fai qui? Pensavo che ci trovavamo direttamente dagli altri» disse il guardiacaccia di Hogwarts. Per la spiacevole occasione, indossava l'abito più elegante dell'armadio.  Appena vide il ragazzo, si affrettò ad asciugarsi un'enorme lacrima dalla guancia e frugò nelle tasche alla ricerca di un fazzoletto. «Mi spiace che mi vedi così!» singhiozzò, «Non ce la faccio...».

Il malandrino gli si fece vicino e gli posò una mano sul braccio: «Lo so» commentò a voce bassa, mentre un pugno cominciava a opprimergli la gola. «Hai visto qualcuno?».

«No» biascicò Hagrid, soffiandosi il naso, «"Comparite separati!", così ha detto Silente. Lo stavo aspettando, insieme alla professoressa McGranitt. Sono andati a cancellare la memoria a una signora babbana».

Remus annuì e si guardò intorno. Nella via non c'era anima viva.

«Scusami, Hagrid, ma devo cercare Lily. Ci vediamo là».

Il mezzogigante lo salutò con la mano e il malandrino si incamminò a passo svelto. Man mano che avanzava, si accorse di aver stropicciato nella tasca dei pantaloni il discorso che aveva scritto e che avrebbe dovuto leggere. Lo sfilò e tentò in tutti i modi di spianare la carta consumata, senza nessun risultato. In realtà, aveva ripetuto così tante volte quelle parole che sarebbe stato in grado di recitarle anche nel sonno. Sospirò, rassegnato, e ricacciò le mani nelle tasche.

Un pop alla sua destra, attirò la sua attenzione: una strega avvolta in un lungo mantello nero era apparsa di fianco a un albero. La donna si aggiustò lo stravagante cappello – sempre nero – e la retina davanti agli occhi, gli riservò uno sguardo veloce, e lo superò con passo di marcia. Dopo qualche istante, si ripeté la stessa scena con un mago dai grossi baffi viola.

Più Remus si avvicinava al luogo del ritrovo, più gente compariva per la strada. La maggior parte di loro esibiva un'espressione assorta o addolorata; alcune donne affondavano il volto rigato di lacrime in fazzoletti di seta nera.

Lo stomaco del ragazzo si contrasse; si era ripromesso di non crollare, di essere forte per i propri amici, ma non era più sicuro che ce l'avrebbe fatta. Dorea era stata una sorta di madre anche per lui: per anni, lei e Charlus Potter lo avevano ospitato durante le vacanze estive e, nonostante entrambi fossero a conoscenza della sua maledizione, mai una volta lo avevano fatto sentire a disagio o fuori posto. Anzi, erano stati tra i primi a prendere le sue parti nelle situazioni più difficili. Ora che la donna non c'era più, il mondo gli pareva meno luminoso.
Il dolore alla gola divenne ancora più intenso quando l'immagine di Mary gli comparve davanti agli occhi: in quegli ultimi mesi, la ragazza si era imposta nelle loro vite con naturalezza. Era stata uno dei loro punti fermi e aveva aiutato Sirius in un modo che andava ben oltre alla semplice amicizia: era stata la sua spalla per tutto il tempo in cui il malandrino non era stato in grado di badare a se stesso.
Remus si rese conto di non averla mai davvero ringraziata. Non c'era stato bisogno, gli avrebbe risposto lei, se fosse stata lì al suo fianco.

Non sentì i passi alle proprie spalle finché una mano fresca non gli si appoggiò a una spalla.

«Remus».

Si voltò e si ritrovò inchiodato al suolo da due iridi smeraldine.

«Lily» la salutò.

L'amica, di una bellezza tanto semplice quanto spiazzante, indossava un abito nero scollato, a maniche corte. Appoggiato delicatamente alle spalle, aveva un foulard scuro e i capelli fiammeggianti, ormai lunghi, erano raccolti in uno chignon alto, dal quale sfuggivano ciocche sbarazzine.

La ragazza gli rivolse uno sguardo serio, di un'intensità da togliere il fiato. Poi, gli si avvicinò e lo abbracciò con la dolcezza che solo Lily Evans era in grado di infondere.

Remus sentì il bisogno di stringere a sé la ragazza e, solo per qualche attimo, dimenticarsi del mondo.

«Andrà tutto bene» gli sussurrò lei, «Andrà tutto bene...».

E lui ci credette, per un momento.
Lily Evans aveva quella straordinaria qualità: riuscire a vedere la luce anche nei momenti peggiori. Era la sua ancora, il suo punto fermo. Non era solo un'amica: era la sorella che non aveva mai avuto, la sua più intima confidente, la persona che più gli era stata vicina nei periodi più bui. Quando erano crollati, l'avevano fatto insieme e, allo stesso modo, avevano trovato la forza per rialzarsi.

«Ho paura» le confidò.

Lily fece un passo indietro e lo guardò negli occhi: «Anche io» disse, «ma non possiamo permettercelo. Sirius e... James hanno bisogno della nostra forza».

Remus notò l'incertezza nella sua voce, ma fece finta di non essersene accorto. Per quanto si sforzasse, non poteva essere forte per tutti, in ogni momento. Negli ultimi due giorni, Lily aveva passato l'inferno, e ancora non era riuscita a uscirne.

«Dove sono gli altri?» le domandò il malandrino, per cambiare discorso.

«Davanti» rispose lei, facendo cenno con il volto.

Subito, il ragazzo individuò il profilo di Alice, al fianco di Frank e Peter. Qualche posto più in là, riconobbe i capelli biondo miele di Emmeline, sorretta da Molly Weasley. Accanto alla donna, suo marito, Arthur, i figli, Charlie, Billy e Percy e i due fratelli, Gideon e Fabian. Una fila indietro, l'affascinante Dorcas Meadowes, Amelia ed Edgar Bones, il proprietario della Testa di Porco, Elphias Dodge, Dedalus Lux, Alastor Moody, Sturgis Podmore. Comparvero poi Albus Silente seguito dalla professoressa McGranitt, dal professor Vitius e dietro di lui il professor Lumacorno a braccetto con una signora sulla sessantina che Remus riconobbe come Bathilda Bath.

Lui e Lily si affrettarono a raggiungere i propri amici. Alice si sporse per abbracciare Lily e Frank strinse la mano a Remus.

«Dove sono?» domandò il ragazzo, a bassa voce.

L'amico gli fece un cenno veloce: qualche fila più avanti, Sirius, James e Charlus erano seduti a testa bassa. Dall'altro lato della navata, un uomo sulla cinquantina con i capelli neri e gli occhi azzurri osservava con espressione assente una delle due tombe bianche al centro della navata.

«È il padre di Mary?» chiese Lily ad Alice.

L'amica annuì: «Mi fa davvero tristezza. La mamma di Mary è morta e non aveva fratelli o sorelle. Da quel che so, non ci sono altri parenti in vita».

La Caposcuola fece per aggiungere altro, ma un suono di campane annunciò l'inizio della funzione.

Fu un funerale molto sobrio; in molti parlarono per ricordare entrambe le vittime, tra i quali anche Silente e dei membri dell'Ordine. Dopo aver ascoltato il discorso di Remus, per la sorpresa di tutti, Sirius si mosse e si alzò in piedi. Avanzò verso il pulpito a testa alta e tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un foglio di carta interamente scarabocchiato e rovinato.
Poi si schiarì la gola e alzò gli occhi sulla folla.

«Non ci sarebbe bisogno che io aggiunga altro; chi ha parlato prima di me ha espresso in maniera perfetta ciò che tutti noi pensavano e, tutt'ora, pensiamo di Dorea e Mary. Eppure, sono qui a tentare di decifrare quello che ho scritto e riscritto per giorni, a cercare di dare voce a dei pensieri disordinati, confusi e incredibilmente dolorosi. Guardandomi allo specchio, da ragazzino, ho sempre visto un Black, l'ultimo frutto di una dinastia oscura. Per tutta la mia infanzia, ho vissuto all'ombra di un nome terribilmente potente ed estremamente pericoloso. Ho sempre pensato che il mio destino fosse stato scritto nel momento in cui sono venuto al mondo. Poi, quasi per caso e, sicuramente, inaspettatamente, il Cappello Parlante ha deciso che non avrei seguito le orme di quella che ritenevo fosse la mia famiglia. Così, ho conosciuto James. Per un po' di tempo, ho provato a recitare la parte del Black, ma più mi sforzavo, più capivo di non poter essere qualcuno che non mi rispecchiava. Così ho smesso di provarci e io e James siamo diventati amici. Poi, i miei genitori – se così si può dire – hanno deciso che il loro figlio maggiore avrebbe dovuto seguire le orme di famiglia. Sono scappato di casa... ma a quattordici anni, dove ci si può rifugiare? Certo, potevo considerare Hogwarts la mia casa nove mesi all'anno, ma per i restanti, sarei diventato un vagabondo. Fu così che, una sera, mi presentai alla porta di casa Potter. Ero affamato, sporco e, diciamocelo, sicuramente non un bel vedere. Non dimenticherò mai il momento in cui Dorea aprì la porta di casa e mi osservò con il suo solito cipiglio risoluto. Ero stato dai Potter qualche volta e ora so che sia Charlus che Dorea erano a conoscenza della mia situazione familiare. Al tempo, non potevo immaginarlo. Fatto sta che la signora Potter non mi fece domande, né mi rimproverò per l'ora tarda. Si limitò a sorridermi e ad accogliermi in casa loro come un figlio. Ed è proprio questo che sono stato per loro, per lei, da quell'istante di quattro anni fa. Mai, neppure per una volta, mi hanno fatto sentire diverso. Non hanno mai fatto distinzione tra me e James: se ci fosse stato da festeggiare, avremmo festeggiato insieme; se ci fosse stato da fare una ramanzina, sia io che James ce la saremmo sorbita insieme.
Per anni l'ho ritenuta come la madre che non ho mai avuto, ma solo adesso mi accorgo di essermi sempre sbagliato: ho avuto una madre ed è stata Dorea Potter. Per ciò che ha fatto per me, non potrò mai sdebitarmi. Ha regalato una vita felice a un orfano e di ciò le sarò sempre grato».

Sirius concluse il discorso e sollevò lo guardo davanti a sé: l'intera navata lo osservava in silenzio, su ognun volto dipinta un'espressione diversa: tristezza, pietà, commiserazione, commozione... ma l'unico viso che il malandrino riusciva a vedere era quello di suo fratello, James, che gli restituiva uno sguardo colmo di dolore e gratitudine.
Lui sapeva e capiva ciò che provava.

Poi, Sirius si rivolse all'altra metà di chiesa, in cui il padre di Mary sedeva in maniera composta.

«Signor McDonald» disse, «oggi ricordiamo e piangiamo anche sua figlia, Mary. Ho potuto conoscerla solamente in questo ultimo anno, ma ancor di più, negli ultimi mesi. Non esagero nel dire che Mary è stata la persona che mi è stata più vicina nel momento peggiore della mia vita.» e il ragazzo incrociò brevemente gli occhi verdi di Lily, colmi di lacrime, «Mary non è stata solo un'amica; è stata un salvagente a cui mi sono aggrappato per evitare di annegare nella disperazione. Non mi ha abbandonato quando le ho urlato addosso, quando mi sono arrabbiato, quando ho pensato di mollare tutto. Anzi, quelli erano i momenti in cui di più mi ha appoggiato. Era così incredibilmente altruista e gentile; non l'ho mai vista perdersi d'animo, né abbattersi per una sconfitta. Tutto ciò che avrebbe potuto ostacolarla, lei aveva la capacità di trasformarlo in un vantaggio. Era inebriante starle a fianco, perché insieme a Mary tutto appariva possibile. Si guardi intorno» e fece un cenno verso James ed Emmeline, «i nostri due amici sono presenti solo grazie a lei. Nessuno potrà mai restituirle sua figlia, lo so, ma finché vivrò avrò un debito di gratitudine nei suoi confronti, signor McDonald, perché se non ci fosse stata Mary, non sarei la persona che sono adesso».

<>

«Sirius».

Lily si avvicinò al ragazzo.

Il malandrino salutò un'anziana strega e si voltò verso l'amica: «Ciao, Rossa».

«Hai detto delle cose bellissime, durante il funerale» sorrise lei, «Dorea sarebbe stata fiera di te».

«Lo so» sospirò Sirius, «Tu come stai?». Gli occhi neri vagarono sul volto della Caposcuola in cerca dei lividi dello scontro. «La vista?»

Lily inclinò la testa e abbozzò un sorrisetto mesto: «Molly Weasley è davvero brava con gli incantesimi di guarigione. Gli occhi mi fanno ancora un po' male, ma Madama Chips dice che presto passerà. Non era una fattura permanente. Sto bene, davvero».

Sirius le posò una mano sulla spalla e strinse dolcemente: «Non tutte le ferite si possono curare con un incantesimo. Come stai?».

Gli occhi smeraldini della giovane si oscurarono. Abbassò lo sguardo a terra e si morse un labbro: «Non bene. Non vuole vedermi...».

«Sai perché» sospirò Sirius. Poi la sua attenzione venne attirata da qualcosa dietro le spalle della Caposcuola. Quando Lily si voltò, James distolse lo sguardo e si incamminò col padre verso un gruppo di persone.

La Grifondoro strinse i pugni: «Non può pensare di evitarmi per sempre».

«Ha paura».

«Di cosa?».

«Di sé stesso. Penso non riesca a perdonarsi per quello che ti ha fatto» spiegò il malandrino.

La Caposcuola scosse il capo: «A me non interessa quello che mi ha fatto; non ha contato nulla!».

«Ma a lui sì» commentò Sirius rivolgendole uno sguardo triste. «Ti ha fatto del male, e questa cosa lo spaventa... ma non sono io la persona con cui dovresti parlarne».

«La persona con cui dovrei parlarne fa finta che io non esista» replicò amareggiata lei.

Felpato le strinse piano le braccia e la costrinse a guardarlo: «Da quando Lily Evans si fa dire cosa può o cosa non può fare? La Lily Evans che conosco non permetterebbe a nessuno di decidere per lei, nemmeno in un momento tanto drammatico. Smettetela di scappare l'uno dall'altro perché tanto è inutile... siete destinati a trovarvi ovunque voi andiate. Sempre».

Una lacrima solitaria corse sulla guancia pallida della Grifondoro. Si alzò sulle punte dei piedi e avvolse il ragazzo in un abbraccio.
«Grazie, Sirius» sussurrò con un blocco in gola. «Ti voglio bene».

«Ti voglio bene anche io, Rossa» mormorò Felpato, affondando il volto nei suoi capelli e chiudendo gli occhi.

Capì che anche la Evans era casa.
Famiglia.

<>

«Era tutto molto buono. Grazie, Molly» sorrise Remus.

La donna sorrise e si voltò nuovamente verso i fornelli.

Dopo il funerale, Arthur e Molly Weasley avevano invitato i membri dell'Ordine per cena. Il pasto si era svolto nel più completo silenzio, intervallato qualche volta dalle voci dei bambini e dalle posate sui piatti.
Charlus Potter era stato convocato dal Ministro della Magia, ma aveva insistito che James e Sirius passassero la notte dai Weasley.
I due ragazzi non avevano obiettato, ma se Felpato aveva in qualche modo tentato di rispondere alle domande titubanti degli amici, Ramoso si era chiuso in un silenzio tombale. Al termine della cena, si alzò e sparecchiò la propria parte.

«Arthur, Molly, grazie. Ora però vorrei andare a dormire» disse con voce atona.

La donna si mosse per la cucina un po' goffa a causa dell'enorme pancia: «Ma certo, caro. Vieni, ti accompagno».

«Non ti preoccupare» la fermò lui, «Non c'è bisogno che tu faccia le scale. So la strada, grazie» e se ne andò.

Sirius sospirò e scosse la testa: «Sono tre giorni che fa così» sussurrò agli amici.

Alice abbozzò un sorriso triste e si allungò sul tavolo per prendergli una mano: «Posso capirlo. Avete perso una madre, è logico che stiate soffrendo».

«Lo so» ribatté Felpato, «però se c'è una cosa che ho imparato, specialmente quest'anno, è di non tagliare fuori la famiglia. Senza di voi, sarei impazzito» e li guardò uno a uno con gratitudine.

«Ognuno reagisce al dolore in modo suo» commentò Frank, «e James ne ha passate davvero troppe nell'ultimo periodo».

«Tutti ne abbiamo passate tante» intervenne Emmeline, silenziosa fino a quel momento. Era seduta di fianco a Remus e, nonostante le cure di Molly e di Madama Chips ancora portava i segni di una lunga sofferenza. «È vero, James ha affrontato delle cose terrificanti...» e, per un secondo, parve sul punto di piangere, «ma isolarsi è la cosa peggiore che posa fare. Ha bisogno di ricominciare a vivere, davvero» nel dirlo, i suoi occhi azzurri si posarono velocemente su Lily.

La ragazza, però, non li stava guardando: era impegnata a giocherellare con un pezzo di pane nel proprio piatto. In realtà, non aveva la forza di sollevare la testa e incontrare gli sguardi degli amici: ognuno di loro si aspettava che lei dicesse qualcosa, ma la verità era che neppure la Caposcuola sapeva come agire. Le sembrava che, dal giorno dello scontro, tutto ruotasse intorno al dolore. Non c'era spazio per altro nel suo corpo: la sofferenza era diventata una compagna costante.
In testa risuonavano ancora le parole di Sirius, appena dopo il funerale. Era la prima ad essere consapevole che l'unica persona che avrebbe potuto salvare James era proprio lei... ma aveva paura, una paura folle di un rifiuto.
Se anche lui le avesse voltato le spalle, nulla avrebbe avuto più senso. Aveva passato gli ultimi tre mesi della sua vita ad aggrapparsi al ricordo del malandrino, a combattere con tutto ciò che aveva per riportarlo indietro, perché lei aveva bisogno di James. Aveva forse dato per scontato che, una volta salvato James, tutto sarebbe tornato alla normalità, eppure così non sembrava.
Forse era proprio il malandrino a non avere più bisogno di lei...

Era ancora immersa nei propri pensieri, quando Sirius le sfiorò il gomito. Le rivolse uno sguardo d'intesa, al quale però Lily non rispose. Non aveva il coraggio, ecco qual era la realtà. Lei non voleva affrontare James.

«Vado a dormire anche io» mormorò, alzandosi.

Sentì appena la voce di Remus chiederle se fosse tutto a posto. Salì le scale mentre un peso opprimente le schiacciava lo stomaco.

Sei una codarda, sussurrò una voce nella sua testa. Stai abbandonando James per egoismo.

«Zitta» ringhiò tra i denti.

Quella maledetta voce non aveva idea di ciò che stava provando.

Io sono te. Sento tutto; provo tutto.

Con un ringhio rabbioso, colpì la parete alla sua destra con un pugno.

«Maledizione» gemette, poi, quando una stilettata di dolore le corse lungo il braccio fino alla spalla. Si accucciò a terra, stringendosi la mano al petto e digrignando i denti.
Da quando era diventata così stupida?

Udì il cigolio di una porta, ma rimase rannicchiata su sé stessa, il volto contratto in una smorfia di sofferenza. In realtà, provava una sorta di malcelato piacere nel sentire ondate di dolore irradiarsi dalle nocche, perché in quei pochi istanti il suo cervello finalmente poteva liberarsi da qualsiasi altro pensiero che non fosse la bruciante sensazione di qualche osso rotto.

«Lily».

La voce di James risuonò per il vano delle scale come un cannone, ma la ragazza si rifiutò di alzare il volto.

«Lily, che ha fatto?».

Il malandrino, immobile davanti alla porta della propria stanza, la osservò con serietà e strinse le labbra in una smorfia di disapprovazione. Parve tentennare, per qualche secondo, come indeciso sul da farsi. Poi, con un sospiro, si staccò dallo stipite in legno e avanzò nella sua direzione con innata eleganza, inginocchiandosi al suo fianco.

«Lasciami stare, James» ringhiò la Caposcuola e fece ricadere i capelli davanti al volto, quasi sperando che quella tenue e ridicola cortina gli avrebbe impedito di cogliere le emozioni che la stavano bruciando da dentro.

Il giovane non parve in alcun modo toccato dal tono rabbioso della ragazza. Anzi, un angolo della bocca ebbe un guizzo involontario che si spense nel momento in cui intravide le nocche livide malamente nascoste dalle pieghe del maglioncino.
«Hai picchiato qualcuno?» le domandò.

Lily sollevò lo sguardo per un brevissimo istante e i loro occhi si incrociarono. Incredibilmente, e per la prima volta nella vita di entrambi, fu James a cedere per primo e ad abbassarli nuovamente sulla sua ferita.

«Nessuno di entusiasmante, e il muro ha avuto la meglio» commentò lei con tono amaro.

In una qualsiasi altra situazione, entrambi sapevano che il malandrino si sarebbe messo a ridere. Quel James, però, aveva perso la scintilla luminosa che lo aveva sempre caratterizzato. Rimase a osservarla con un'espressione crucciata e quasi esasperata, come se ciò che era successo non fosse altro che l'ennesimo problema da impilare alla piramide di preoccupazioni creatasi.

«Senti» disse Lily a disagio, rompendo il silenzio, «mi spiace di averti disturbato, non era mia intenzione». Si mise in piedi e abbozzò un lieve sorriso privo di allegria. «Immagino che sia un momento davvero terribile per te e non posso neppure ipotizzare come tu possa sentirti. Dirti che mi dispiace mi sembrerebbe fin troppo riduttivo, ma soprattutto banale. So che non riavrai tua madre grazie al mio dispiacere, quindi non te lo dirò. Non dirò nulla, perché penso che in una situazione del genere, la cosa migliore sia il non pensare. Ti aspetterò, se vorrai non pensare insieme a me. Sappi che ci sarò sempre per te, James. Qualunque cosa accada, potrai contare su di me».

Il malandrino rimase in silenzio. Gli occhi ambrati la scrutarono e si allacciarono ai suoi con un'intensità che Lily aveva dimenticato. Per la prima volta, le parve di cogliere qualcosa nelle iridi dorate di James, anche se quella fugace sensazione si dissolse nell'aria appena un istante dopo.

«Buonanotte» sorrise lei e, nel passargli di fianco per raggiungere la propria camera, con la mano sana gli sfiorò lievemente le dita. Fu un contatto tanto breve da poter essere anche solo immaginato, ma infinite scosse di energia si propagarono in tutto il corpo della Caposcuola, infiammandole il sangue in una maniera che solo James Potter era in grado di provocarle.

Salì i gradini ed entrò nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle e appoggiandosi con la schiena a essa. Sospirò, tremante, e serrò gli occhi con forza.

La mano le faceva terribilmente male e, per un secondo, pensò di curarsela con un incantesimo. Poi, osservandosi le nocche livide e la pelle sbucciata a sangue, ritenne necessario il dolore come un insolito anestetico al mondo esterno.

In cosa ci siamo trasformati?

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Un rumore cupo e ripetuto la svegliò di soprassalto.

Improvvisamente lucida, afferrò la bacchetta sul comodino e balzò in piedi. Cercò di intuire la fonte del pericolo, ma più passavano i secondi, più si rendeva conto che il suono – amplificato dal silenzio tombale della casa – non era altro che il bussare insistente alla porta.
Solo in quel momento, si accorse di stringere la bacchetta con la mano rotta e il dolore la colse alla sprovvista, mozzandole il respiro in gola. Boccheggiò e aspettò che la stretta allo stomaco passasse, prima di posare una mano sulla maniglia e tirarla a sé. La flebile luce della luna che filtrava dalla finestra aperta accarezzò il volto in ombra di James.

Era spettinato, più del solito, con gli occhiali storti sul volto e gli occhi acquosi di chi ha bevuto un bicchiere di troppo, ipotesi confermata dalla bottiglia di Whiskey Incendiario avvolta in mano.

«James» sussurrò la ragazza, «sei ubriaco?».

Una domanda piuttosto stupida, ma che le sorse spontanea alle labbra insieme a un misto di compassione, rabbia e stanchezza.

Il malandrino si appoggiò allo stipite della porta con l'avambraccio e le restituì uno sguardo carico di emozioni: «Mi hai detto che potevo non pensare insieme a te» disse, «e senza alcol non penso di riuscire a non pensare a tutta la merda che è successa».

Lily inspirò, poi si scostò, permettendogli di entrare. «Muffliato» ordinò, puntando la bacchetta verso l'ingresso. Non voleva disturbare né Molly, né Arthur perché erano stati già abbastanza gentili a ospitarli tutti.

James vacillò, varcando la soglia, ma poi proseguì abbastanza sicuro in direzione della finestra.

«Ehi!».

La Caposcuola lo afferrò per la maglietta e tentò di trattenerlo. Per la prima volta da quando era tornato, James scoppiò a ridere e quel suono terribilmente familiare congelò Lily al suolo.

Lui parve non accorgersene e continuò a ridacchiare, voltandosi a guardarla in faccia. Il volto abbronzato era disteso, rilassato, e tanto spensierato che la ragazza percepì gli occhi pungere dalle lacrime. Era come una boccata d'aria fresca dopo un'esistenza nel deserto: aveva davanti a sé il James Potter di sempre, l'innocente e solare malandrino che l'aveva tormentata per tutta la vita, e la persona di cui sentiva di più la mancanza.

«Lily, Lily, Lily» sorrise James, poggiandole le mani sulle spalle, «non mi butterei mai da una finestra» commentò, e il pensiero parve divertirlo a dismisura. «Però apprezzo la tua preoccupazione» aggiunse rivolgendole uno sguardo ammiccante.

La ragazza scosse il capo e sospirò: «Non si sa mai con te, Potter».

«Non mi chiamavi 'Potter' da tanto tempo, quasi mi mancava».

«Vero, una brutta abitudine».

Il Cercatore parve voler ridere, ma un'ombra passò negli occhi ambrati e subito tornò serio: «Come puoi non odiarmi?» sussurrò tanto piano che per un secondo la giovane pensò di averlo sognato.

«James...».

«Come puoi non disprezzarmi dopo quello che ti ho fatto? Ti ho... io...», il malandrino strinse i denti con ferocia e chiuse gli occhi, mentre una lacrima solitaria gli rigava il volto, «...ti ho fatto del male».

Lily scosse il capo: «Non sei stato tu».

«Sì invece!» esclamò lui, fuori di sé per la rabbia, «Sono stato io per tutto il tempo. Io sentivo tutto e ho guidato le mie mani e...».

«Smettila!».

La voce della Caposcuola ebbe il risultato sperato: James si zittì e la fissò.

«Non sei stato tu» ripeté e gli prese il volto tra le mani.

Il Cercatore tentò di sottrarsi alla stretta, ma con poca convinzione. Rimase immobile a perdersi nelle incredibili iridi smeraldine della ragazza, forse spaventato dalla determinazione che vi lesse dentro.

«In nessuna maniera dovrai più pensare questo. Io so che non mi avresti mai fatto del male. Mai. Non ce n'è bisogno, ma so che a te serve sentirlo: ti perdono, James. Okay? Ti perdono una colpa non tua, ma la perdono lo stesso».

Gli occhi del malandrino si riempirono nuovamente di lacrime, ma nessuna sfuggì dalle ciglia scure. Rimasero a guardarsi per un tempo infinito, finché Lily non lo liberò dalla stretta e gli permise di allontanarsi di qualche passo.

Gli permise di darle la schiena per riprendersi e lo fissò mentre faceva vagare gli occhi per la piccola stanza che era stata il rifugio della Caposcuola finché non aveva deciso di trasferirsi da Sirius. Lily aveva tentato disperatamente di recuperare una parvenza di normalità fissando qualche fotografia allo specchio del mobile: quelle in cui compariva insieme ad Alice, Emmeline e Marlene erano numerose, anche se qua e là spuntavano i volti sorridenti di Remus, Sirius e Peter. Lo vide avvicinarsi alla parete e sfiorare con la punta delle dita una fotografia scattata a Grimmauld Place che aveva riportato da Molly dopo la missione di recupero. Ritraeva Sirius, seduto sulla poltrona di fianco al camino, e lei, acciambellata sul bracciolo. Si guardavano e ridevano a chi stava dall'altra parte dell'obiettivo.
Lily ricordava quella sera: era stata la prima volta dopo settimane di fallimenti in cui erano riusciti a ottenere qualcosa di concreto; nella casa dei Black si era creato un clima di speranza che li aveva resi di buon umore per tutto il resto della giornata. Avevano festeggiato la notizia e, finalmente, sotto i corpi stanchi e provati dei maghi, era sembrato di intravedere ciò che erano stati un tempo: ragazzi.

La Caposcuola non seppe per quale motivo, ma sentì il bisogno di spiegare, di fargli capire che non era ciò che sarebbe potuto sembrare; che mai avrebbe potuto essere.

«Non ti sono mai piaciuto, vero?» le domandò lui, con voce amara, precedendola.

La domanda la prese contropiede. Aprì la bocca per rispondere, ma incredibilmente non le venne in mente nulla da dire se non restituirgli uno sguardo incerto.

James si aprì in un sorriso tirato e camminò verso il letto, prendendo un lungo sorso di Whiskey e poi appoggiando la bottiglia sul comodino.
«Posso?» chiese, indicando il letto.

Lily annuì e lo guardò stendersi sulle coperte e passarsi una mano dietro la nuca. Il malandrino si mise a osservare il soffitto, in silenzio, mentre un'espressione sempre più seria gli adombrava i lineamenti perfetti.
Era chiaro che stesse pensando alla fotografia, ma la Caposcuola non aveva il coraggio di dire nulla. Non avrebbe voluto che suonasse come una giustifica, ma d'altra parte si sentiva ferita dal fatto che lui potesse anche solo dubitare di lei e Sirius.

«Lo sai che non è vero» commentò la ragazza, a un certo punto.
Si avvicinò al letto e si sedette su un bordo, le mani poggiate sulle cosce e gli occhi rivolti al volto di lui.

«Cosa?» domandò James, evitando il suo sguardo.

Lily strinse i pugni e inspirò, improvvisamente incerta: «Non è vero che non mi sei mai piaciuto. E sbagli a provare anche ciò che stai provando, perché non è vero neppure quello».

James sorrise, sarcastico, e si leccò nervosamente il labbro superiore: «Lo dici solo perché sono ubriaco e orfano di madre».

Tra di loro cadde il silenzio.

«Scusami, sono stato uno stronzo» commentò lui.

«Sì, è vero».

Il Cercatore ridacchiò, premendosi il pollice e l'indice sugli occhi: «Penso che tu sia l'unica persona al mondo che abbia il coraggio di rinfacciarmelo, adesso».

La Caposcuola trattenne un sorriso. 

«È una delle tante cose che mi piace di te» aggiunse, guardandola con un'espressione curiosa: sembrava spaventato dalla propria audacia, «Anzi, credo che non ci sia nulla in te che non mi piaccia...» borbottò.

«James, sei ubriaco. Non dire cose di cui potresti pentirti domani mattina».

Il malandrino si mise su un fianco, la testa sorretta da una mano, e il volto tanto serio che preoccupò Lily.

«Perché non mi ascolti mai, Lily?».

«James, in che...?».

«Tu sai quante volte ho provato a dirti che mi piaci?».

«James...».

«Ho tentato per così tanto tempo a dimostrarti cosa provassi che solo a ripensarci mi sembra assurdo che tu non l'abbia mai notato. Ho sfiorato il patetico, la maggior parte delle volte» ammise e un tenue rossore gli colorò gli zigomi mentre, suo malgrado, l'alcol gli curvava gli angoli della bocca verso l'alto.
Pareva divertito e annientato, allo stesso tempo, della situazione. Sicuramente, se non avesse avuto in corpo tre quarti del Whiskey Incendiario della bottiglia, non avrebbe neppure azzardato ad aprire la bocca. Nel momento in cui finì di parlare, però, il volto si distese in un'espressione di ritrovata serenità: il segreto che si portava dentro da anni ormai era stato rivelato. 

Lily percepì il tempo rallentare: le parole del malandrino le arrivarono lente alle orecchie e, ancor più lentamente, le entrarono nel corpo e si aggrapparono a ogni cellula del suo essere. La ormai tipica sensazione di fuoco nelle vene era tanto forte da farle male, ma era un dolore piacevole, rilassante. Ascoltare la voce calda di James, in quel momento così sicura a causa dell'alcol, le sembrava una carezza al cuore.
Capì di averlo sempre saputo, ma di non essere mai stata in grado di accettarlo. Non era pronta, prima, e forse non era pronta neppure in quel momento, ma sentì di doverlo affrontare. Non c'era più tempo per fuggire da ipotetici futuri non realizzati; era il momento di affrontare ciò che la vita stava riservando a loro. Entrambi avevano capito a loro spese che l'esistenza era fin troppo fragile per essere messa da parte.

Lo vide socchiudere gli occhi e intuì che il torpore del Whiskey stava cominciando ad avvolgergli le membra.  Sorrise, intenerita, e si allungò verso di lui per scostargli una ciocca di capelli dallo zigomo.

«Sei ubriaco» gli sussurrò.

James alzò gli occhi per incontrare i suoi e, nelle iridi d'orate, Lily lesse un sentimento schiacciante, impetuoso, tanto soffocante e puro che la spaventò.

«Sono ubriaco... e tu sei bellissima, Lily Evans».

Le accarezzò una guancia con delicatezza, lasciando scie bollenti sulla pelle della ragazza. Col pollice, disegnò piccoli cerchi immaginari mentre le dita affondarono nei capelli di fuoco.
«Dormi con me, stanotte».

Lily rimase in silenzio a osservarlo.

«Voglio averti vicina, solo una notte».

Col cuore che batteva disperato nel petto, la ragazza scivolò sotto le coperte e posò la testa sul petto di James, passandogli un braccio intorno al busto.

Lo sentì stringerle il fianco con gentilezza. Non c'era passione in ciò che stavano facendo, ma solo l'infinita tranquillità di essersi ritrovati e di poter condividere, seppur per qualche ora, un momento unicamente loro, lontano da sguardi e opinioni altrui, lontano dal dolore.
In quell'angolo di mondo, esistevano insieme.

Ciao ragazzi!♥️
Eccomi qui, dopo (come al solito🙈) fin troppo tempo dall'ultima pubblicazione. Proprio perché mi voglio male, vi rivelo che avevo pensato di pubblicare molto più spesso in questa lunga e noiosa quarantena, ma poi i miei professori universitari hanno deciso che caricare millemila file da cinquemila ore ciascuno di lezione pareva il giusto compromesso per la chiusura delle università e mi sono ritrovata ad annegare.

Come al solito (pt. 2🙈😹) mi spiace del tempo infinito di aggiornamento. So che non ve la state passando proprio bene e che questa situazione non sia un vero e proprio Carnevale di Rio e che, quindi, aggiornamenti più frequenti avrebbero fatto comodo.

Spero che tutti stiate bene e così anche le vostre famiglie♥️
Qui (Como) tutto bene; abbiamo un po' di contagiati, ma un numero relativamente controllato. Nel mio paesino la situazione è tranquilla. Ce la stiamo vivendo "abbastanza bene", anche perché abito in un condominio "chiuso" (siamo tipo 40 famiglie dentro un viale chiuso) quindi la nostra quarantena sta andando abbastanza serena, in quanto nessuno esce e il clima è quello di un vicinato accogliente e amorevole. Se si dovesse per forza trovare un lato positivo alla situazione, direi che il Covid ha risvegliato nelle persone quell'antico istinto di socializzazione: senza i ritmi frenetici della vita, le persone hanno cominciato a riapprezzare la semplice convivenza e la bellezza di una chiacchierata al tramonto, o la soddisfazione di dare una mano senza uno scopo preciso, solo per la consapevolezza di fare del bene. E' una cosa che mi riempie il cuore di speranza nel futuro, verso una società differente e più attenta al prossimo. Spero di non sbagliarmi.

❗️

Ma raccontatemi un po' di voi. Sono curiosa di sapere (innanzitutto) come state, cosa state facendo, come si è rivoluzionata la vostra vita. Avevo intenzione di fare un capitolo tutto per questo - se volete, posso crearlo e parliamo di voi! -. Tutto quello che volete per allevarvi un po' il peso della quarantena e della situazione in sé.
Altrimenti, commentate qui sotto! Ma fatemi sapere, sono preoccupata. Sono una di quelle persone che si preoccupa per chi non conosce, anche se sinceramente mi sembra che sia così nei vostri confronti. C'è gente, tra di voi, che mi accompagna dal primissimo giorno di pubblicazione (ormai QUATTRO anni fa) e gente nuova che ormai mi è entrata nel cuore♥️

Vi mando un bacio davvero grande e un abbraccio!♥️😘🥰

Rimanete forti, ne usciremo al meglio.
Vi voglio bene,

Laura♥️

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