Clarisse confermò quel che Annabeth temeva.
Silena era impazzita per il dolore.
O almeno così credevano.
Ma lei era impazzita per la felicità.
Quella notte, piangendo, si era ricordata della lettera che le aveva dato Charlie, subito prima di iniziare a correre per fuggire.
Le aveva detto:- Leggila se non esco vivo di qui.
Silena era arrabbiata con se stessa per essersene dimenticata.
La aprì, leggendo a bassa voce per sentire le sue parole più vicine a lei.

Cara Silena,
so che sembra brutto iniziare una lettera così.
Tu eri molto più che "cara".
Quindi ricomincio.
Mia amata Silena,
so che così sembra un po' da poeti, ma ehi non sei tu quella che legge le poesie d'amore quando è triste.
Vorrei poterti scrivere la poesia più bella di tutte, e dirti quel che provo per te.
Ma non sono un poeta, sono solamente un ragazzo che si è sottomesso ad un destino già scritto da altri, che si rifiuta di scriverlo da solo.
Ma adesso basta.
Voglio dirti che ti amo, Silena, ti amo come Romeo amò Giulietta, come Tristano amò Isotta, come Paolo amò Francesca.
Ti amo, come il mare abbraccia la riva, come il sole che rincorre ogni giorno la Luna.
Ti amo come so amare io, con passione, dolore, sacrificio.
Ma se stai leggendo questa lettera, probabilmente non potrò mai dirti queste cose di persona.
Probabilmente non ci sarò più.
Non so spiegarmi perché, ma me lo sento.
È una sensazione qua, nel petto.
Però voglio che mi prometti che non mi scorderai mai.
Promettimelo.

Ti amo Silena.
Ti amo come il tuo Charlie sa amare.

E Silena glielo aveva promesso.
Aveva sorriso.
Poi aveva messo le mani sul cuore, sussurrando la sua promessa.
Si era alzata in piedi, andando alla finestra.
E lo aveva visto lì, tra le stelle.
Aveva visto il suo viso, il suo sorriso.
Aveva sorriso ancora di più, spostando il letto vicino alla finestra, per dormire con lui.
E Annabeth non sapeva che Silena, dicendo che si era addormentata con Charlie al suo fianco, non aveva detto altro se non la verità.
Ma la cosa più triste, per il parere di Annabeth, era quando Silena si voltava a cercarlo.
Lo cercava, e lo trovava.
Annabeth la sentiva parlare da sola, nella sua stanza.
La sentiva ridere, ridere di gusto.
Beckendorf c'era, era vivo, ma solo per lei.

***

Percy vedeva Annabeth strana, in quei giorni.
Ma poi si rese conto del perché: la sofferenza di Silena la stava anche un po' contagiando.
Così quel pomeriggio le aveva chiesto di uscire.
E lei aveva accettato felice.
Ormai potevano considerarsi di nuovo una coppia.
E Percy, ne era consapevole, ne era fin troppo felice.
La portò in giro, la portò al Colosseo.
Annabeth, da romana qual era, rise vedendolo.
Imponente, spettacolare.
L'anfiteatro Flavio in tutta la sua bellezza e maestosità.
Roma era davvero la città più bella del mondo.
Roma era viva, Roma parlava, Roma raccontava una storia da secoli, e continuava a raccontarla.
Roma era eterna.
Annabeth osservò le file di turisti, osservò i Centurioni, che si facevano scattare foto a più non posso.
Percy le teneva la mano, il cuore a mille per quello che stava per fare.
Annabeth sembrò percepirlo.
Ma quando il ragazzo, il suo ragazzo che profumava di mare, di salsedine, si inginocchiò davanti a lei, Annabeth sorrise.
Aveva già capito tutto, Percy lo sapeva.
Lo vedeva dalle lacrime di gioia iniziavano ad affiorarle agli angoli degli occhi.
-Annabeth- Percy sospirò, ridendo sommessamente- sai già che ti amo, inutile ripetertelo.
Annabeth rise.
-Ma, ti ricordi quando ti ho parlato del nostro puzzle?
La ragazza annuì.
-Ecco. Allora... da un po' di tempo vedo quel puzzle... più grande.
Vedo noi... poi vedo anche delle piccole creature, le nostre creature.
Vedo la nostra casa, vedo la tua biblioteca.
Vedo tutto il nostro viaggio.
Ma quello che voglio chiederti è:
vuoi iniziarlo con me?
Percy estrasse una piccola scatolina di velluto.
La aprì, Annabeth rimase allibita dalla bellezza di quell'anello.
Gli saltò al collo, baciandolo, sussurrandogli tanti piccoli "sì" tra un bacio e l'altro.
E entrambi sapevano che, come Roma, il loro amore sarebbe stato eterno.