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Capitolo 1

Brandon

Corro in moto per le strade affollate di Londra, insultando mentalmente il mio collega. Quando finalmente raggiungo Floral Street, parcheggio nei pressi dello studio fotografico e, nonostante la corsa folle che ho dovuto fare, sorrido quando vedo Carol, la mia fidanzata, e il mio migliore amico chiacchierare sulla soglia della porta in vetro.
«A qualcuno servono queste?» domando divertito, quando sono abbastanza vicino, alzando il mazzo di chiavi.
Entrambi si voltano, e il ragazzo dai capelli e gli occhi nocciola s’illumina in volto.
«Dio, grazie Brad! Mi hai salvato».
«Come sempre…» lo rimbecco. «Stavolta cos’è successo?»
«Ho portato la macchina dal meccanico, che è praticamente dall’altro lato della città, e non mi sono reso conto di aver lasciato le chiavi sul cruscotto», si giustifica con un’espressione da cucciolo, mentre, nervoso, gioca con il laccetto della felpa.
«Sei un caso disperato», interviene Carol, ridendo.
«Hey, non si tratta così il festeggiato», borbotta Andrei.
«Ma se ho usato la mia pausa pranzo per venire qui a farti gli auguri, invece che rimanere a mangiare in azienda!» esclama lei.
«Sì, ma non mi hai portato il regalo».
«Ma sei scemo, o cosa? Ti ho detto che l’ho fatto con gli altri e che te lo daremo stasera al bar», ribadisce Carol, con lo sguardo al cielo.
Andrei sbuffa, prima di rispondere: «Se proprio sono costretto ad aspettare…»
Li fisso a metà fra il divertito e l’esasperato. «Ragazzi, non vorrei rovinare il momento», intervengo, «ma credo che qualcuno debba finire il book che deve consegnare a Versace», ricordo al mio collega.
«Giustissimo!» torna serio quest’ultimo. «Allora a stasera, Carol», la saluta, poi afferra al volo le chiavi che gli lancio ed entra nello studio, in bella vista al piano terra, con l’insegna a led che troneggia all’ingresso e le varie foto esposte nelle vetrine laterali.
«È unico», commenta la mia ragazza con un sorriso.
«Decisamente… Fra quanto devi tornare in azienda?»
«Adesso, purtroppo», risponde, controllando il cellulare.
Mi rabbuio per un attimo, ma so fin troppo bene quanto sia importante per lei il suo lavoro, così torno a sorridere. «Allora farai meglio ad andare», dico, accarezzandole i capelli raccolti in un’immancabile treccia.
«Scusami… lo so che non riusciamo mai a stare insieme abbastanza», mormora col capo chino.
L’attiro in un abbraccio. «Hey, mica te ne sto facendo una colpa. Lo sapevamo entrambi che lavorando per Vogue il tempo per noi sarebbe stato poco, ma sono felice per te, lo sai» la rassicuro con tono dolce.
«Davvero?» chiede lei, con un luccichio nelle iridi chiare.
«Assolutamente, peste», la prendo in giro con quel nomignolo che amo tanto usare, e che le ho affibbiato all’inizio della nostra relazione, dopo una serata in cui aveva bevuto troppo ed era diventata incontenibile.
«E se stasera, dopo la festa di Andrei, venissi a dormire da te? Ti andrebbe?» mi chiede, intrecciando le nostre dita e ancora poggiata al mio petto.
«Certo che sì», affermo deciso, il cuore che fa una capriola. Ho realmente bisogno di passare del tempo con lei. «Passo a prenderti in moto?»
«Va bene. Fammi sapere appena parti da casa».
«Okay. A stasera». Mi saluta con un bacio e corre via, lasciandomi col sorriso sulle labbra e la tristezza nello sguardo. Quando svolta l’angolo, entro nello studio e sbuffo notando tutto il casino che il mio migliore amico ha lasciato in giro: la giacca in pelle rossa, con ricami alquanto discutibili, lasciata sulla poltroncina nera vicino alla vetrata; fogli e book sparsi sul bancone nero, in contrasto con le pareti grigio perla, e tutti gli attrezzi della piccola sala di posa presente sul retro lasciati a caso, nel disordine più totale. Prendo un respiro profondo e do una riordinata, poi salgo nella stanza di post-produzione ricavata da un vecchio soppalco. Forse è la parte che più amo dello studio. Le pareti, che Andrei ha voluto a tutti i costi tingere di verde, sono tappezzate di foto scattate per i marchi più famosi; le due scrivanie bianche messe a specchio, con i computer che ne occupano parte dello spazio, e un armadietto giallo a due ante dove conserviamo tutti i book, o i componenti delle macchine fotografiche. Qui mi sento libero di dare sfogo alla mia creatività.
«Finito?» chiedo ad Andrei.
«Quasi. Per fortuna ho un’altra ora prima della consegna», mormora distratto, gli occhi fissi sullo schermo.
«Se ti sbrighi, andiamo a mangiare qualcosa e poi ti porto a scegliere il tuo regalo, visto che non ti accontenti mai», lo prendo in giro, lasciandomi andare sul divano in pelle bianca presente sulla destra della stanza.
«Mica è colpa mia se hai dei pessimi gusti!» afferma in tono scherzoso, mentre si sistema gli occhiali. Li usa solo per il computer, ma la montatura sottile e le lenti rotonde gli donano un’aria così dolce, e forse un po’ buffa, che penso sia un vero peccato non li porti sempre.
Lo guardo con un sopracciglio alzato. «Andre, indossi una camicia rossa a fiori gialli, dei pantaloni verdi e delle scarpe nere… Vogliamo davvero parlare di gusti?»
«Il fatto che tu ti vesta sempre di nero non significa che vestirsi in modo più colorato voglia dire avere mancanza di gusto», puntualizza.
«Infatti, non ho mai detto questo. Anche Carol adora i colori, ma almeno li sa abbinare!» noto divertito.
Andrei si volta, abbassa gli occhiali sulla punta del naso dritto e mi trucida con lo sguardo. «Sei uno stronzo», borbotta.
«Dai, pensa a finire il book che sto morendo di fame», lo rimprovero, indicando il computer con un cenno della testa.
«Va bene», si arrende alla fine.
Mentre prosegue il suo lavoro, mi alzo dal divano e accendo il computer per controllare le e-mail. Tra le tante, ce n’è una della manager di Arline, in cui mi ha allegato le foto della festa che la modella ha scelto. Le scarico, seleziono il formato sul quale ci siamo accordati in chiamata e accendo la stampante. Per diversi minuti, quello è l’unico rumore che si sente, finché Andrei non esclama soddisfatto: «Okay, ho finito! Possiamo andare».
«Dammi solo cinque minuti», gli dico, mentre ancora sono preso a controllare le restanti e-mail.
Il mio collega annuisce e si stiracchia sulla sedia, poi si avvicina alla mia scrivania e prende una foto in cui la modella è con Matteo.
«È lui l’amico di Arline che ci ha provato con te?» mi chiede incuriosito.
M’irrigidisco. Il disagio che ho provato con quel ragazzo la sera della festa torna prepotente, e l’ultima cosa che voglio è parlare di quell’episodio, così mi limito ad annuire.
«Certo che è davvero bellissimo», mormora Andrei.
«Già…»
Studia la fotografia per qualche altro secondo, prima di rimetterla al suo posto e avvisarmi: «Io scendo, così riordino un po’ e inizio a spegnere tutto».
Stacco gli occhi dal computer per lanciargli un’occhiataccia. «Ho già sistemato io. Sai benissimo che mi dà fastidio che la gente da fuori veda il disordine».
«Lo so, Brad, scusami, ma dovevo portare la macchina dal meccanico, poi il fatto delle chiavi…» inizia a inciampare nelle sue stesse parole.
«Lo so, tranquillo», lo rassicuro. «Ma cerca di prestaci più attenzione».
«Sì, certo», mi promette, prima di lasciarmi solo.
Finisco di stampare le fotografie, spengo tutto e lo raggiungo, trovandolo seduto sulla poltrona, distratto dal cellulare.
«Allora, dove andiamo?» gli chiedo, mentre prendo la giacca nera in jeans dall’appendiabiti di fianco a lui.
Andrei alza lo sguardo e propone speranzoso: «Sushi?»
«Basta che poi non ci andiamo di nuovo in settimana, visto che già la scorsa ci siamo stati tre volte», gli faccio notare, divertito.
«Certo, tranquillo», mi rassicura.
Dopo aver chiuso lo studio, abbassiamo la saracinesca e ci avviamo verso lo Sticks’n’Sushi, godendoci la giornata calda e piena di turisti, indaffarati a fare shopping nei negozi di grandi marche oppure a scattare foto ricordo. Altri, invece, riempiono i ristoranti e i pub.
Mi estranio per qualche attimo. Mi sembra di sentire un artista di strada suonare il violino non poco distante da noi, ma poi Andrei mi parla, interrompendo il momento. «Brad, posso chiederti una cosa?»
Mi riscuoto. «Dimmi tutto», rispondo.
«Oggi ho visto Carol abbastanza strana. Non era la classica stanchezza del lavoro, ma era come se non stesse proprio bene», azzarda.
Sospiro. Purtroppo so che è evidente, e la cosa mi fa stare ancora peggio. «Ha avuto di nuovo problemi col padre».
«Stavolta cos’è successo?»
«Ieri sera lui ha invitato un collega e suo figlio a cena da loro, sempre nella speranza che Carol cambi idea su di me e si fidanzi con un ragazzo “più adatto a lei”… Hanno discusso perché Carol è stanca di questi continui tentativi da parte sua. Ti rendi conto che, addirittura, lui continua a dire a tutti che sua figlia è single?! Quando noi due stiamo insieme da tre anni e mezzo, Andrei!» gli spiego. Il tono di voce forse fin troppo alto, in un vano tentativo di scaricare la frustrazione che sto provando da mesi.
Lui mi mette una mano sulla spalla. «Brad, tesoro, non posso nemmeno immaginare quanto sia difficile per te reggere tutto questo», dice nel tono più dolce possibile. «Soprattutto vedere chi si ama soffrire così tanto. Però, perché Carol non lo manda a quel paese e basta? Non capisco…»
Mi accendo una sigaretta. «L’unico modo per mettere un punto a questa storia è che lei se ne vada di casa, ma in questo momento ancora non si sente pronta a farlo».
«Non se la sente nemmeno di venire a stare da te?»
«Già…»
Andrei rimane per qualche attimo in silenzio. «Non potete andare avanti così. E se provassi a parlare ancora una volta con suo padre?»
«Per sentirmi dire le stesse cose? Che sono un bravo ragazzo, simpatico, ma che per sua figlia spera in qualcuno che abbia un lavoro più “rispettabile”?» domando sarcastico, prima di fare un tiro.
«Hai detto a Carol che nemmeno tu ne puoi più?» indaga.
«Sì, ma mi ripete sempre la stessa cosa, ovvero di tener duro e che questa situazione non durerà per sempre».
«E per fortuna…» si lascia sfuggire in un borbottio.
Quella battuta riesce a strapparmi un sorriso, prima di tornare serio e chiedergli: «Secondo te cosa dovrei fare?»
Rimane in silenzio per qualche secondo; le labbra strette come ogni volta in cui è sovrappensiero. Alla fine afferma: «Io le direi chiaramente che sono il primo a essere stanco, perché tutto questo sta rovinando anche il vostro rapporto, e se lei davvero ci tiene a non mandare tutto all’aria deve trovare una soluzione al più presto».
«Hai ragione. Ci proverò…»

Il pranzo si conclude tra una chiacchiera di lavoro e l’altra, e una volta fuori chiedo ad Andrei di seguirmi per le strade affollate, fino a quando non arriviamo davanti allo store della Vans. I suoi occhi di s’illuminano. Ero certo che sarebbe stato felice: è la sua marca preferita. Così, dopo un abbraccio, entro anch’io nel negozio e ne approfitto per fare un giro.
Vedo il mio migliore amico prendere un paio di t-shirt, una tuta arancione fluo, che spero fortemente non sia la sua scelta finale, e poi delle scarpe con dei disegni floreali, finché non ne nota anche un paio oro metallizzato.
«Oddio, ma sono meravigliose!» esclama.
«Andrei, no…» mormoro sconsolato. Ma una commessa si è già avvicinata, e dieci minuti dopo usciamo dal negozio con esattamente quel paio di scarpe!
«Grazie mille, Brad», dice Andrei, al settimo cielo.
«Figurati. Anche se proprio non riesco a capire come tu possa avere certi gusti», lo prendo in giro.
Mi dà una piccola spinta.
«Aspetta a vedere l’outfit di stasera, allora», mi provoca con un occhiolino.
Strabuzzo gli occhi.
«Andre, che diamine ti sei comprato?» chiedo preoccupato.
Lui scrolla le spalle. «Lo scoprirai…» taglia corto, uno sguardo furbo che non mi piace per nulla. Poi, cambia discorso: «Visto che fa un caldo assurdo, che ne dici se ti offrissi qualcosa di fresco al bar?»
«Questa sì che è un’ottima idea!»

Alle otto di sera in punto parcheggio di fronte al The Gibson, il nostro bar preferito all’angolo fra Timber St e la A5201.
Andrei e Bella, la mia migliore amica, chiacchierano di fronte all’ingresso. Qualche ragazzo è già seduto fuori ai tavolini, con un drink davanti e una sigaretta accesa, e si godono la tiepida serata, indifferenti alle macchine o ai passanti. La cosa che più mi piace di questo posto è il contrasto che lo contraddistingue. A dispetto di quanto ci si possa aspettare osservando la parte esterna, interamente nera, di mattoni lucidi, l’interno è sui toni chiari, molto luminoso. Per non parlare dei drink. Non puoi mai sapere in quale bicchiere ti arriva la bevanda ordinata: a forma di teschio? Di dinosauro? O di lampadina? E poi il personale è alla mano, con la battuta pronta e un sorriso per tutti i clienti.
«Hey, ragazzi», saluto i presenti con un cenno della mano.
«Ed ecco i piccioncini!» dice Bella.
Carol la spintona, scherzosamente. «Ammettilo: sei solo invidiosa perché sei single da una vita!» la provoca, mentre io mi concentro sul terribile outfit di Andrei: camicia semitrasparente dorata, pantaloni in pelle e le scarpe che gli ho comprato questo pomeriggio.
Non posso guardare la mia espressione, ma sono certo rispecchi a pieno il mio pensiero: non potrei essere più allibito di così.
«Ma ti sei vestito al buio?» mi viene spontaneo domandare. «E poi mi spieghi dove diamine li trovi certi capi d’abbigliamento?»
«Smettila! È un abbinamento pazzesco. E poi, visto che oggi sono il festeggiato, voglio gli sguardi di tutti i presenti puntati su di me», si pavoneggia lui in tutta risposta, come una diva di Hollywood.
Mi limito a scuotere la testa, divertito, e decido di cambiare discorso. «Quindi, Ashton viene?»
«Sì. L’ho sentito pochi minuti fa e mi ha detto che era in macchina», m’informa Bella.
«Okay», rispondo soltanto.
Dopo qualche minuto, ci raggiunge.
«Scusate per il ritardo. Oggi il mio capo mi ha fatto impazzire e ho finito più tardi», si giustifica, leggermente affannato.
«Tranquillo, Ash», risponde Bella.
Subito lui rivolge i suoi occhi chiari e la sua attenzione ad Andrei e inizia a prenderlo in giro: «Auguri, vecchio. Oggi quanti sono? Ventisette?»
Si becca un’occhiataccia da parte del festeggiato, che lo rimbecca: «Tesoro, sei solo nove mesi più piccolo di me, quindi non puoi darmi del vecchio».
«Certo che posso. Nove mesi fanno la differenza!»
«Infatti… se i tuoi nove mesi prima della tua nascita avessero evitato di farlo, ci avrebbero fatto un favore», lo punzecchio.
Ashton mi tira un pugno sulla spalla. «Sei il solito coglione!».
«Okay, prima che questi tre diano inizio a una rissa, io direi che sarebbe meglio entrare», propone Bella.
«Entrare, dove?» chiede Ash, poggiandole un braccio sulle spalle.
Lei sbuffa e lo allontana. «Santissimi dei… Nel bar, idiota! Oppure preferisci entrare nella cella di una prigione?»
Sorrido. Bella è forse l’unica persona al mondo a credere ancora negli antichi dei greci. Quando me lo ha detto la prima volta, ero convinto che stesse scherzando, così sono scoppiato a ridere e quella reazione mi è costata un mese di occhiatacce. Ora non faccio nemmeno più caso alle sue imprecazioni in greco antico o alle sue esclamazioni.
«Mica sei minorenne», si difende Ashton.
«No, ma non ho nessuna intenzione di scopare con te. Quindi, si tratterebbe di sesso non consenziente», obietta lei.
«Cambierai idea, vedrai. Comunque, andiamo. Non vedo l’ora di dare ad Andrei la prima parte del regalo», dice con un sorriso furbo.
«In che senso “la prima parte”?» chiede subito il diretto interessato.
«Lo vedrai», rispondo, mentre gli metto un braccio intorno alle spalle e lo trascino dentro.

La serata trascorre sin troppo rapidamente, fra risate, foto e parecchi drink. La sola nota stonata è stata che la mia ragazza ha passato più tempo a messaggiare che a parlare con noi.
«Tutto bene?» le chiedo, dopo un suo ennesimo sbuffo.
Lei alza di scatto la testa e accenna un sorriso. «Sì, scusa, è solo che stavo discutendo di una cosa con Jasmine…». Non aggiunge altro. Poi, dalla borsa prende un muffin confezionato in una scatola trasparente, ci mette sopra una candelina e lo posiziona davanti ad Andrei.
«Sei seria?» chiede lui, divertito.
«Certo. Devi esprimere un desiderio, e non potevo portare una torta intera. Perciò dovrai fartelo andare bene», risponde Carol, mentre prende l’accendino dalle mie mani.
«Come vuoi, tesoro», l’accontenta lui.
Dopo aver intonato la classica canzoncina di auguri, Ashton passa una bustina ad Andrei: «Spero che questo regalo possa essere molto… gradevole».
«Se mi avete regalato un dildo o un vibratore, siete scontati», fa una smorfia. Poi apre il pacchetto e conferma, con lo sguardo al cielo: «Ecco, appunto!»
«E questo sarebbe tuo il ringraziamento?» obietto, lanciandogli una nocciolina.
«Apprezzerò il pensiero solo se Ashton deciderà di provarlo con me…» mormora con voce provocante all’interessato, che strabuzza gli occhi.
«Piuttosto che farlo con te, resto in astinenza a vita!» sbotta, quasi schifato. A quelle parole, scoppiamo tutti a ridere.
«Brad, allora… perché non mi presenti Matteo? Almeno con lui potrei provare il vostro regalo, visto che qualcun altro si rifiuta…»
«Aspetta, e chi sarebbe questo Matteo?» domanda Bella, incuriosita.
Lancio al mio migliore amico uno sguardo d’avvertimento, ma ormai l’alcol gli è entrato in circolo e so bene che zittirlo sarà impossibile, così mi limito a sbuffare quando lui racconta: «Un ragazzo che ci ha provato con Brad alla festa di Arline Roche, la modella».
«Grazie tante, coglione!» lo apostrofo, quando sento Carol emettere un sospiro. «E, comunque, non ho la più pallida idea di chi sia. Quindi, non posso presentartelo. Mi dispiace».
Speravo in questo modo di mettere fine al discorso, ma Andrei continua: «Come non sai chi sia?» domanda in finto tono scioccato. «Ma se ti ha proposto di andare a letto con lui!»
«Andre, piantala! Era ubriaco» puntualizzo, cogliendo l’espressione scocciata della mia ragazza.
«E tu che hai risposto?» non esita a chiedermi.
«Che avrei dovuto dirgli, scusa? Mica sono gay!»
L’atmosfera si raggela improvvisamente, e colgo con sollievo la proposta di Bella: «Che ne dite di un ultimo giro e poi di una passeggiata?»
«Io devo andare», taglia corto Carol.
La guardo confuso. «Non dormi da me stasera?»
«No, scusami, amore. Jasmine ha avuto un problema con un articolo e devo andare ad aiutarla», mi spiega senza guardarmi negli occhi, e colgo nella voce lo sforzo di non far trapelare la sua rabbia.
«A quest’ora?» osservo. «Ma è quasi mezzanotte».
«Non mi volevo perdere la festa. C’è forse qualcosa di male?» La sua occhiata scocciata mi fa capire che è meglio non continuare questo discorso, così poggio una mano sulla sua e ingoio l’ennesimo boccone amaro. «No, certo che no. Ti do un passaggio, dai».
«Non preoccuparti, mi viene a prendere lei», mi dice mentre si alza, prima di salutare gli altri e rinnovare gli auguri ad Andrei. Lui prova a convincerla a rimanere, ma, di fronte alla sua risolutezza, alla fine lascia perdere e la saluta a sua volta.
Si avvicina a me e fa per baciarmi a stampo, così la blocco subito, dicendo: «Mi saluti dopo. Mi fumo una sigaretta mentre aspetti».
Mi fissa poco convinta, ma acconsente. Usciamo dal locale in silenzio. Accendo la sigaretta e faccio qualche tiro, mentre Carol di fianco a me nemmeno mi guarda.
«Lo so che te la sei presa per l’insinuazione di Andrei, ma non so più come dirtelo ch—».
«Brad, ti prego», mi interrompe lei. «Adesso ho altro per la testa e non mi va di discutere con te. Sto solo pensando a come sistemare quest’articolo, perché Jasmine ha combinato un casino, mentre io vorrei solo buttarmi a letto».
Mi rabbuio. «Non posso lasciar perdere, perché so che ci stai male».
Sospira, senza guardarmi in faccia. «Sto bene, davvero. Non me la sono presa».
Rimango un attimo in silenzio, mordendomi il labbro. So benissimo che sta mentendo, ma decido di lasciar perdere e finisco di fumare, mentre lei continua a scrivere messaggi.
«Con chi chatti?» non resisto dal chiederle.
Carol mi guarda, tesa. «Thomas… mi ha chiesto delle cose di lavoro».
Non posso fare a meno d’irrigidirmi. Thomas è un collega che ci sta provando con lei. Non ho tempo di ribattere, che un clacson ci interrompe. Lei si volta verso l’auto, poi si rivolge di nuovo a me: «Io vado. Ci sentiamo domani».
«Okay. Scrivimi appena arrivate, d’accordo?»
«Sì, certo». Mi dà un bacio lieve che mi lascia l’amaro in bocca e si allontana.
Maledico mentalmente il mio migliore amico, perché ho la vaga sensazione che quella dell’articolo sia solo una scusa per scappare da me dopo le insinuazioni di Andrei su Matteo. Sa benissimo quanto Carol sia insicura e gelosa, e che è meglio evitare di farle presente quando qualcuno ci prova con me, specialmente se si tratta di ragazzi, dal momento che è convinta che io sia bisex e che non voglia ammetterlo.
Sono pronto a dirgliene quattro, ma Bella è davanti all’uscita del locale ad aspettarmi, le braccia incrociate e l’espressione severa.
«Hey, Bestia, dovresti calmarti un attimo». Almeno questo soprannome riesce a strapparmi un sorriso.
Tutto è nato quando Carol, due anni fa, ci ha presentati. Per scherzare, le avevo detto che non era esattamente così che ricordavo Belle del famoso cartone della Disney, visto il suo stile dark, i tatuaggi che riempiono entrambe le braccia, le iridi grigio perla e i capelli rossi. Lei mi aveva risposto a tono, dicendo che non ricordava che la Bestia fosse così simpatica. Da quel momento, “Bestia” è diventato il mio soprannome.
Sbuffo. «Fosse facile…»
«Lo è. Sai che Andrei spara cazzate quando è alticcio. Carol non se la sarà nemmeno presa per quello».
«Vuoi farmi la paternale? Perché se è così me ne vado», la informo scocciato.
Lei ride. «Sai che non sono il tipo».
«Allora perché sei qui?»
«Per evitare che tu faccia stronzate, come tuo solito», risponde ovvia.
«Quindi, per te, tornare dentro e parlare con quella testa di cazzo del mio migliore amico sarebbe una stronzata?» chiedo sarcastico.
«Beh, se lo mandi a fanculo mentre è ubriaco, oltretutto la sera del suo compleanno, direi di sì», conferma.
Mi mordo il labbro. Bella è irremovibile, e alla fine cedo. Vado a sedermi su una panchina, seguito da lei. Non appena è di nuovo al mio fianco, ammetto: «È che non lo sopporto quando fa così».
Prendo il pacchetto di sigarette dalla tasca del giubbino e gliene offro una, prima di prendere la mia e accenderla.
Lei sospira. «Lo so».
«Sei molto d’aiuto stasera», brontolo.
«Ma tu ti sei mai domandato perché fa così?» domanda, mentre fa un tiro.
«Perché è idiota?» ribatto, sarcastico.
«A parte quello…» ride. «Sai, molti tuoi atteggiamenti a volte portano a pensar male. Se però tutti noi ci sbagliamo… beh, allora parlagli chiaro. Ma domani, quando sarà sobrio, e cerca di mettere fine a questa storia. Ribadisci che deve evitare certe insinuazioni davanti a Carol, vista la sua gelosia. L’importante è che non gli rovini il compleanno, non se lo merita».
Rifletto sulle sue parole. A volte non so proprio come reagire di fronte alle situazioni. «No, non se lo merita», ammetto infine. «Dici che capirà?»
«Provaci. Direi che è meglio di niente».
«Ribadisco: sei molto d’aiuto», sentenzio.
«La seduta costa cinquanta sterline», ammicca, tendendo una mano verso di me col palmo rivolto verso l’alto.
«Non sei meno idiota di Andrei, eh?» scherzo.
«Dai, Bestia, andiamoci a fare quest’ultimo giro», dice lei, mentre mi trascina dentro.

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