6. Pioggia
La pioggia non accennava a smettere, mentre Juri perdeva la cognizione del tempo.
Fra lui e Damiano era tornata l'armonia, e chiaramente, le notifiche sul cellulare si stavano accumulando...
Perché concentrarsi sullo Smartphone, quando la voce di quel ragazzo dai capelli d'oro riempiva la stanza?
Seduto sul suo letto, Juri si guardava intorno, avido di dettagli.
Non era mai stato così curioso nei confronti delle cose e dei colori di qualcuno.
Quella camera era diversa dall'altra; pareva più vissuta. Più intima.
Il letto era grande e basso, con la testata tappezzata di cartoline acquerellate, ritagli di atleti famosi e sottobicchieri da birra scarabocchiati.
"stanotte ti sognerò"
"scusa, ma guardi me?"
"se ce l'hai meno di diciotto centimetri non ti considero =P"
Juri dovette ricorrere a tutta la sua educazione per non porre domande, mentre Dam, in cucina, trafficava con il frigo.
Tamburellandosi le gambe, Tolosa decise di avanzare verso il lungo specchio a parete per darsi un'occhiata ai capelli. La pioggia glieli aveva buttati sugli occhi, rendendone la gestione impossibile. Tentò di sistemarli, ma ottenne solo peggioramenti.
Damiano aveva molti libri, tre scaffali pieni, montati su una grossa scrivania firmata Ikea, dove lo screensaver animato di un Toshiba tradiva una qualche attività mediatica.
Che stava facendo, Dam, prima che gli scrivesse?
Fu tentato di toccare il mouse per ficcanasare ma si ravvide.
Poi s'accorse che il controller era poggiato sulla copertina di un libro d'arte, e si disse che fingere di osservare quello, sarebbe stata un'ottima scusa per smuoverlo accidentalmente e dare un'occhiata...
Agì, ma Windows fu lesto a chiedergli la password, e Juri si ritrovò a fissare una raccolta di Egon Schiele.
- Perché non hai studiato arte? - domandò nel sentirlo rientrare.
- Avrei voluto, ma mio padre sostiene che all'artistico non s'impara a buttarlo in culo al prossimo, e che oggi come oggi, non si sopravvive senza questa preziosa capacità. Io vorrei rispondergli che forse so anche farlo meglio di lui, ma non capirebbe... Temo. -
- In effetti, dai l'impressione di essere uno un po' stron... oh, ma che cavolo! Tu stavi intendendo l'altro senso! - brontolò Juri, allontanandosi per fare un mezzo giro della stanza e fermarsi alla finestra con le mani sulle anche e l'espressione imbarazzata. Damiano commentò la sua lentezza mentale con una risatina fin troppo ambigua. - E basta, Dam! Non sono abituato a questo genere di discorsi...! -
- Lo vedo bene, Juri. -
- Quindi... quindi... anche basta ridere, ok?! Insomma... Sai disegnare? -
- Sì. - sorrise.
- Mostrami qualcosa. -
- Mm... se non sei abituato a questo genere di discorsi, dubito che ti piacerebbero i miei schizzi. -
- Perché?! Adesso sono curioso, dai! E poi hai riso tantissimo! Sei in debito, mostra tutto...! -
- Ehm, Juri, io disegno quello che mi piace. Quello che desidero. -
Juri non demorse, e alla fine, Damiano l'accontentò.
Aprì il terzo cassetto della scrivania e ne trasse un blocco dalla copertina rigida e dalla carta spessa. Ogni foglio era separato dal successivo con la velina, in modo da poter disegnare su entrambe le facce, senza che carboncini e lapis si confondessero.
Juri si scoprì subito impressionato da quel susseguirsi di corpi maschili nudi, spesso sotto sforzo.
La muscolatura era esasperata; sublime.
Damiano doveva emozionarsi particolarmente fra un dettaglio e l'altro, da quanto vivi apparissero quei corpi.
Juri non era mai stato educato all'arte, ma quelle espressioni di carta arrivarono comunque; poi tratti decisamente familiari gli apparvero davanti.
La sua faccia era l'ultimo schizzo del quaderno.
- Sì, Juri, quando rifletto su qualcuno mi capita di disegnarlo. - si limitò a spiegare Damiano, mentre Tolosa socchiudeva le labbra, avvertendo uno strano bollore dentro. Voleva dire qualcosa, ma null'altro che una frase ben precisa gli rimbalzò nella mente.
Io disegno quello che mi piace.
Quello che desidero.
- Io ti piaccio. - realizzò dentro di sé, mentre Damiano provvedeva a stappare le birre per passargliele una.
-Tieni. -
Fu il collo verde della Becks a riportarlo alla realtà.
- Non posso. -
- Guarda che non lo saprà nessuno. -
- Non sono abituato. -
- Abituati. Tutti bevono la birra. -
Dopo aver osservato Damiano buttarne giù qualche sorso, si convinse a farlo anche lui.
Non aveva mai bevuto, profondamente convinto dai discorsi salutisti di sua madre e dalla moltitudine di incidenti stradali che suo padre non smetteva mai di mostrargli.
Guarda, Juri, guarda che succede a quei ragazzi che si ubriacano nei locali, e che poi montano in macchina...
I suoi genitori avevano imbastito una battaglia a sfavore dell'alcol fin troppo convincente, ma se Damiano beveva... perché non osare, almeno un pochino?
Buttò giù il liquido amarognolo, e dopo qualche sorso, ecco la musica...
Damiano aveva messo su l'intramontabile Cyndi Lauper, e mentre tuoni e fulmini contribuivano a render Firenze una città inospitale, le lancette giravano e Juri perdeva una chiamata di sua madre. Stettero un po' a discorrere del più e del meno, rilassati, poi l'attenzione di Juri tornò ai sottobicchieri e alle scritte allusive.
- Quelle parole, ecco, fra ragazzi è così esplicito? -
- Che cosa, Juri? -
- Il flirt. -
- Non più esplicito di come possano essere certe ragazze. In realtà, tutto dipende da chi hai di fronte. -
- Sì, chiaro. Scusa, sto categorizzando. -
- Tranquillo, ormai ho capito come sei fatto. A volte, ti escono male le cose, ma senza malizia. -
- Sei... sei richiesto. - sorrise Juri; ora mandando le spalle indietro, adesso piegando gli angoli della bocca in un sorriso forzato.
- Piaccio. Ho la faccia che tira, ma non è detto che risponda positivamente a chiunque butti il baco. Comunque, adesso tocca a me ficcanasare un po' negli affari tuoi. -
- Che vuoi sapere? -
- La tua ex, Sara. So che fare sesso non deve essere un'imposizione, ma che cos'è successo realmente? -
- Niente. -
Juri rispose di fretta, quindi buttò giù altra birra e distolse lo sguardo.
Che cos'era successo con Sara?
Deciso a prendersi del tempo, recuperò il telefono e la chiamata persa di sua madre fu un'ottima scusa per mettere distanza. La conversazione fu breve e la donna si mostrò rassicurata di saperlo fra quattro mura e gli raccomandò di non muoversi, se il tempo non fosse migliorato.
Juri annuì un paio di volte, ma più udiva la voce di sua madre, più avvertiva lo sguardo di Damiano trapassarlo.
A fine telefonata, l'ansia s'era accumulata a tal punto che le parole uscirono come il primo respiro di qualcuno di un annegato.
- Non mi è mai interessato. Le tette, il culo... il corpo... insomma, so decidere se una ragazza è carina o meno, ma... ma a me non s'accende quell'ormone che sembra rincretinire tutti quanti! Io... io non li guardo i porno, ok? Anzi, a me certe scene fanno anche senso. Io... io, forse, ho davvero delle disfunzioni come dice lei... -
- Ora, non esagerare. Non volevo metterti in difficoltà. -
- Non sono riuscito a parlarne nemmeno con mio padre. Eppure, mi avrebbe fatto bene. Sara cercava di toccarmi, ma io fuggivo. Le sue mani addosso... mi davano fastidio, eppure, i baci andavano bene. Mi dicevo, chissà, forse non sono pronto. Ho le erezioni mattutine ma non basta. -
- Mai fatto un sogno erotico, Juri? -
- No. Sono grave, vero? -
- No. - sorrise Damiano, scostandogli una ciocca di capelli dal viso – Devi solo scoprire che cosa ti piace veramente.-
Dicendolo, Damiano poggiò la birra e si lasciò ricadere all'indietro, sul letto, lasciando andare le braccia. Nel farlo, la camicia si alzò leggermente, scoprendogli l'elastico degli slip e parte del basso addome. Juri avvertì accelerare i battiti, e quando Dam levò una mano per fargli cenno di stendersi, per un attimo, la sua mente costruì immagini bizzarre.
Piuttosto rigido, Juri si adagiò su un fianco, a distanza di sicurezza, ma a tu per tu con quello splendido ragazzo conteso da chissà quanti volti anonimi.
- Sei innamorato di qualcuno, Dam? -
-Affatto. L'amore non è una cosa meravigliosa. -
-Non è? -
- Ti fidi ciecamente di qualcuno che di punto in bianco ti mette le corna con un altro, solo perché quella sera non sei lì, pronto a calmare i suoi bollori... stupido Ruben... -
- Ruben. Si chiamava così, il tuo ex? Quello che ti ha lasciato per messaggio? -
- Sì. Avevamo in comune solo il sesso. Tanto sesso. Buon sesso. Ma non puoi vivere di solo sesso... -
- Per Sara, a un certo punto, il sesso era diventato un'ossessione... -
- Il sesso è qualcosa di meraviglioso, se fatto con qualcuno che desideri davvero. Credo che con lei, anche se ti fossi sforzato, sarebbe stato uno schifo, inoltre, quando fai le corna, non ami realmente chi hai scelto. -
- Tu lo amavi? -
- Forse -
- Mi dispiace un casino Dam, si sente che per te è stato importante. -
- Dici? Di solito mi dicono che sono freddo. -
- Saranno gli occhi grigi? -
- No, sei tu che sei più ingenuo di un personaggio delle favole. - gli rispose con il pensiero, mentre un riso sghembo rispondeva a uno sguardo che sembrava dirgli, sono qui, a tuo uso esclusivo, fai di me ciò che vuoi.
Giada era sola in casa quando Karl e Alex salirono da lei.
Adesso, quel loro rapporto particolare aveva finalmente un nome: relazione a tre.
Fu Karl a parlare per primo e la ragazza si sentì rincuorata nello scoprire il suo stesso imbarazzo nel volto di Alex. Non era l'unica a sentire un certo turbamento davanti a quel via libera ufficiale, che da lì in avanti, avrebbe aperto le porte a qualunque esito.
Tutto poteva succedere, ormai, e questo era eccitante.
Tutto poteva succedere, ormai, e questo spaventava da morire.
La prima cosa che stabilirono fu quella di non dirlo.
Nessuno avrebbe compreso, e probabilmente, qualcuno li avrebbe pure additati come dei pervertiti, la povera Giada in primis.
- Sara mi direbbe che sono la zoccola che invece di accontentarsi di un cazzo, ne vuole addirittura due! No, grazie, teniamolo per noi, tanto, chi altri lo deve sapere? - sbuffò all'improvviso, mentre Alex si chinava alla Play Station 4 per caricare un gioco in multi player.
- Sara ha problemi. -
- Già.- si limitò a dire Karl, nascondendo un risolino.
Effettivamente, seppur detto male, Giada avrebbe avuto molto più di una comune ragazza fidanzata. La ricciolina non ci mise troppo a capirlo, e nel giro di qualche istante, partì una raffica di ceffoni.
Karl esplose in una gran risata, ma rimase lì a prenderle, mentre Alex s'interrogava circa quella nuova dimensione del loro rapporto: la soluzione o null'altro che guai?
- Pervertito! E poi, mica puoi pensare già al sesso! -
- Come sarebbe a dire? Ci conosciamo da tanto... questa relazione è cominciata da almeno un anno. -
- Ti sbagli. - convenne Alex, decidendo di lasciar perdere i vari controller e di sedersi fra quel groviglio di gambe e di braccia in lotta - Questa relazione inizia oggi. Per me è tutto nuovo. Vi conosco bene e di sicuro certe cose non m'imbarazzano, ma adesso, le farei in maniera diversa. -
- Oh, bravissimo Alex! Era proprio quello che intendevo! - sorrise Giada, buttandogli le braccia al collo senza alcuna riserva.
- Fantastico, mi sono messo con due donne! - brontolò Karl, poco prima di alzarsi per recuperare il telefonino dal giacchetto e controllare alcune notifiche.
- Ragazzi, Zack ha ripreso con i suoi post depressi. Quello per me s'ammazza. -
- Chi? Mirko Zacchini? Ma non stava uscendo con Dam? -
- Uscire con Dam significa solo sesso. Quello è uno stronzo. - disse Karl, mentre Alex si connetteva a facebook per leggere il post. – Adesso, tutti tradiscono. Tutti sono dei bastardi. Tutti i buchi son buoni... -
- Non essere volgare...Karl! -
- Va bene, principessa Alex... -
Mirko Zacchini: Ti riempiono di complimenti, ma quando è l'ora di scegliere, non scelgono mai te.
Marina urlò contro l'autobus che ripartì senza aspettarla.
Era bagnata fradicia e con tre assi dell'ombrello spezzate.
Con il fiatone, aveva corso per tutta la via, speranzosa che il conducente del 3 la notasse, ma invano.
Quel giorno, la fortuna non era dalla sua.
Scocciata, provò a richiamare suo padre, ma il telefono non prendeva e tutta un tremito, cercò di stringersi il più possibile nel piumino leggero.
Scorrendo la rubrica, mentre le toccava attendere presso un misero palo quasi invisibile, scorse fra i suoi contatti in cerca di un cavaliere, ma da quando aveva avuto quella chiacchierata con Juri, non le andava più di sfruttare le sue abilità.
Sbuffando, Marina si arrese all'idea di aspettare altri venti minuti, trenta, considerando che il 3 era una delle linee meno affidabili di Firenze.
E poi doveva ancora studiare dieci pagine di storia...
Ma ecco un profumo squisito solleticare le narici.
Un ragazzo meraviglioso era apparso al suo fianco, uno di quelli alti e distinti, che paiono usciti dalle locandine dei film. Bruno e con gli occhi scuri, leggeva gli orari con espressione tranquilla, per poi confrontarli con quelli dell'applicazione e ridacchiare.
- Non tornano mai... - mormorò a bassa voce, poco prima di levare lo sguardo su di lei, come se avesse parlato al niente per rompere il ghiaccio.
- Hai ragione. Che autobus aspetti? -
- Il numero 3. -
- Allora sei sfortunato. Io l'ho perso pochi secondi fa. -
- E scommetto che ti sei bagnata tutta per corrergli dietro, mi dispiace. -
- Sono cose da giorni di pioggia. - fece spallucce Marina, poco prima di tornare a guardare dall'altra parte della strada, verso un parco praticamente deserto. - Detesto questa zona, non c'è niente ed è mal servita. -
- Anche io ne preferisco altre, ma ho dei parenti che stanno qui vicino. -
- Siamo in due. -
- Io, comunque, mi chiamo Riccardo. Sono di Psicologia, tu? -
- Marina. - rispose la ragazza, rispondendo all'energica stretta di mano.
- Bene, Marina, che studi? -
- Io... vado ancora al liceo. - confessò una nota d'imbarazzo.
- Ma dai! Non sembrerebbe. Hai già il volto sicuro di una ragazza matura. Non hai niente delle bambine del liceo. -
- Grazie, ma devo ancora compiere diciotto anni e domani mi interroga a storia, temo. -
- Allora, in bocca al lupo. -
Quella sera, Marina rincasò con un numero in più nella rubrica e già un messaggio da leggere.
Riccardo: Mi tornano in mente le battute della nostra conversazione... ci starebbe quasi un caffè insieme, uno di questi giorni, che dici?
Marina visualizzò ma attese mezz'ora d'orologio per rispondergli, e a differenza di Sara, seppe far buon uso della leva "competizione fra uomini ".
Marina: Scusa, ero al telefono con un compagno di classe. Comunque, va bene.
Riccardo: Perfetto. Scommetto che stavate parlando di storia.
Marina: Sì, fra le altre cose.
Punzecchiare.
Marina era bravissima nello stuzzicare l'interesse di un ragazzo senza mettersi in posizioni scomode.
Quando aveva saputo di Sara, era stata fra le prime a chiamare la ragazza per scuoterla.
L'aveva rimbrottata per bene, anche se poi s'era pentita, giacché, probabilmente, sulle ultime battute della telefonata, Sara stava piangendo.
Il veleno che successivamente era stato versato su Juri, aveva distolto Marina da qualsivoglia interesse nei confronti della scellerata e incauta compagna.
Ma come si fa a fare sesso con un ragazzo, soprattutto la prima volta, per un motivo tanto stupido?
Un improvviso tonfo oltre la finestra della camera la fece schizzare sulla sedia.
Marina appoggiò il cellulare sul comodino per correre a scostar le tende e controllare se i vasi della signora Ferravanti non fossero caduti nel loro terrazzo per l'ennesima volta.
E dunque vide.
Non era un geranio rosso, seppur di fiore si potesse ugualmente dire.
Non era fra terra e cocci rotti che s'era sparso, restando con gli occhi aperti, così come aveva guardato il mondo intorno a sé, fino all'ultimo istante.
Marina si sentì ghiacciare il sangue, e irrigidendo come i marmi dei monumenti fiorentini, cacciò un urlo.
Respirare era diventato difficile.
Stare in piedi e comandare alle gambe di smettere di tremare... quasi assurdo.
Ancora sola, decise di correre per le scale, arrancando fino al piano di sopra, dove iniziò a scampanellare disperatamente.
- Aiuto! Aiuto! Aiuto, signora Zacchini! Suo figlio è caduto dalla finestra! Aiuto! Aiuto! La scongiuro! -
Fra lacrime e singhiozzi, Marina colpì con forza il legno della porta, ma nulla più che una monotona canzone triste le stava giungendo. Agitata, si voltò verso l'altro appartamento del pianerottolo, là dove la scritta AFFITTASI pareva risponderle di arrangiarsi.
I suoi dirimpettai erano a Londra.
Suo padre era irraggiungibile così come sua madre, probabilmente bloccata in sala operatoria...
Prendendosi un attimo per riflettere, Marina stabilì che l'unica cosa da fare era quella di tornare di sotto e d'uscire in terrazza.
Poteva aiutarlo. Forse poteva.
Nella furia della pioggia, s'accasciò sul corpo esanime del ragazzo.
Le sue dita sfiorarono a malapena una delle guance gelide, poi il corpo rabbrividì al pensiero di poter danneggiare ulteriormente il ferito.
Marina urlò di nuovo, infine, aiutata da una furiosa scarica di adrenalina, si decise a chiamare il 118. Fu una telefonata confusa e difficile, piena di singhiozzi e di ripetizioni.
Marina si sentiva lacerare il petto, davanti a un'immagine del genere.
Non aveva mai parlato molto con quello studente di Biologia, ed ogni volta che l'aveva trovato in ascensore, aveva ridacchiato dei suoi modi femminei.
Parlava di lui come il gay del piano di sopra, e qualche notte, si era perfino convinta di averlo sentito combinar chissà cosa con chissà chi...
Adesso, tutte le fantasie di Marina erano crollate sul cotto del terrazzo, schiantate al suolo senza pietà, in una giornata di pioggia tiranna, fra acqua e sangue.
Il figlio della signora Zacchini era caduto dalla finestra.
Ti riempiono di complimenti, ma quando è l'ora di scegliere, non scelgono mai te.
Il figlio della signora Zacchini si era suicidato.
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Buttare il baco: espressione fiorentina " provarci con qualcuno "
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