Scelte
Marina non aveva mai saputo cosa desiderare dalla vita.
Ma il problema vero e proprio non era il non sapere cosa desiderare, ma il desiderare tutto.
Come poteva scegliere un lavoro, tra tutti quelli che avrebbe potuto fare? Non aveva idea di come facesse la gente a decidere di essere brava solo in una cosa, per tutta la vita.
E perché credevano tutti all'esistenza di un'anima gemella? A lei piacevano un sacco di ragazzi della sua città, ed erano solo un miglionesimo e passa della popolazione terrestre.
Avrebbe potuto comprar casa, ma quasi sicuramente se ne sarebbe pentita subito dopo, perché ne avrebbe trovata una ancora più bella.
Quando andava a far shopping, usciva sempre a mani vuote, perché altrimenti avrebbe comprato l'intero negozio.
Marina non voleva essere una persona decisa, lei non lo era per niente. I suoi genitori lo vedevano come un difetto, lei invece era convinta di essere nel giusto. Le persone non si rendevano conto di quanto quel mondo concedesse, altrimenti non sarebbero state decise. Quindi, lei, non avrebbe deciso mai nulla, per principio.
Marina aveva trent'anni e le più disparate esperienze alle spalle: aveva studiato ingegneria per un anno, poi medicina per altri due anni e, infine, aveva deciso di prendere una laurea breve in filosofia. Aveva lavorato come cassiera, come baby sitter e come cameriera durante gli studi; poi grazie ad un'amica di sua madre aveva trovato un tirocinio come commercialista. Quando quel lavoro l'era venuto a noia, era stata la segretaria di un importante avvocato, di cui si era follemente innamorata.
Per la prima volta, in quel periodo, riuscì quasi a pensare che l'anima gemella esistesse. Poi aveva conosciuto Fabrizio, un musicista di strada, e aveva capito quello che nessuno osava ammettere: l'anima gemella era più di una.
Fabrizio aveva qualche anno più di lei e viveva della sua passione. Era creativo, e oltre a creare fantastiche canzoni si esibiva in modo particolare: aveva inventato dei collari per sé, tutti dipinti in modo diverso. Per esempio, se voleva esibirsi davanti a un muro di mattoni avrebbe disegnato, in modo molto realistico, quei stessi mattoni sul suo collare che andava coprendo tutto il collo. L'effetto era fantastico, sembrava quasi gli avessero tagliato la testa e che, quest'ultima, restasse sospesa a qualche centimetro dal collo.
La prima volta che lo vide, da lontano, quasi ebbe un colpo; non aveva intuito subito che fosse solo un fantastico effetto artistico. Fu quella creatività a farle battere il cuore.
Così lasciò l'avvocato e il lavoro, e imparò a suonare la pianola. Con Fabrizio girò il mondo in lungo e largo: Lisbona, Tokyo, Milano, Parigi, Londra e altri mille posti affascinanti, dal nord a sud, da est a ovest intorno al mondo. Suonare le piaceva, le faceva provare mille emozioni diverse ogni volta, e ogni passante che si fermava ad ascoltarla le faceva brillare gli occhi. La relazione con Fabrizio non cadeva mai nella monotonia, e lo amava con un'intensità tale che non ci avrebbe mai creduto, se glielo avessero raccontato. Non le importava di altro se non di lui, delle sue attenzioni e della loro vita insieme.
Passavano le mattinate a cercare i luoghi dove suonare, per poi ricreare lo sfondo dei loro successi sui loro collari. Al pomeriggio suonavano fino a tarda sera, era il loro momento preferito. La sintonia fra i loro strumenti era perfetta e riuscivano ad andare avanti, soprattutto grazie alle idee brillanti di Fabrizio.
Un pomeriggio di ferragosto, mentre suonavano in piazza Savona, in Italia, Fabrizio suonò stand by me di John Lennon. Marina si fermò, assorta ad ascoltarlo, pensando che quella canzone non era nella loro scaletta giornaliera. Finita la canzone, Fabrizio la guardò e posò a terra la chitarra, le sorrise con tenerezza e le prese le mani.
Marina, in quel momento, indietreggiò appena ma senza sfilare le mani dalle sue. Non capiva cosa volesse fare il suo ragazzo, ma la situazione era leggermente inquietante, soprattutto se faceva il romantico col indosso il suo collare.
Lui sospirò il suo nome, gli occhi luminosi la studiavano con insistenza e lei si decise a parlare.
"Fabri, che succede? Stai male?" chiese titubante, ma era solo per temporeggiare perché lui, di certo, non sembrava uno in procinto di avere un infarto.
Lui sembrava non ascoltarla nemmeno. Si inginocchiò a terra, in mezzo alla folla che sembrava già aver capito le sue intenzioni, e le fece un veloce richiesta che Marina non sentì subito.
"Marina, mi vorresti sposare?"
Subito dopo averlo chiesto estrasse, dal taschino dei jeans, un piccola fedina d'argento.
Marina sorrise intenerita. Vivevano con pochi soldi, e quel poco lo aveva speso perché la voleva tutta per sé, per tutta la vita.
Nell'esatto istante in cui formulò quei pensieri rabbrividí.
Fabrizio le aveva chiesto l'unica cosa che non poteva chiederle.
Le aveva chiesto di decidere.
Voleva che scegliesse lui, per sempre. Che scegliesse un solo uomo, per l'ultima volta. Se avessero creato una famiglia, lei avrebbe dovuto scegliere di avere dei figli, quindi avrebbe dovuto scegliere un posto fisso di lavoro, una sola casa e una sola macchina. Sentiva il panico radicarsi nel suo stomaco e chiuse gli occhi, con una gran voglia di piangere.
"Non posso, Fabrizio. Ti amo, ma non voglio sposarti" sussurrò, non trovando la voce. Poi gli diede le spalle, e senza ricordarsi della sua pianola scappò.
Girò per qualche via, a passo veloce, poi tutto si fece confuso dal momento in cui vide una macchina, una Ferrari rossa, dirigersi velocemente verso di lei. L'ultimo suo pensiero fu una domanda: voglio vivere o morire?"
Non sarebbe mai stata una persona decisa.
Quando Marina si risvegliò, non capí subito dove si trovasse. Quando poi vide, con chiarezza, i medici sopra di lei che la spronavano a stare calma, dicendole che aveva subito un trauma cranico a causa dell'incidente, comprese di essere su un lettino d'ospedale.
La cosa non le andava a genio, era stata dentro un ospedale due o tre volte al massimo, e mai in simili condizioni.
E mai, come in quel momento, aveva sentito quel forte bisogno di conforto. Le mancavano i suo genitori, i suoi vecchi amici e Fabrizio.
Fu in quel momento che comprese quante decisioni avesse preso, inconsapevolmente, durante la sua breve vita.
Aveva deciso di cambiare lavoro, aveva deciso che studi intraprendere, aveva deciso gli amici, aveva deciso di lasciare tutto e fare la musicista di strada. Ma la decisione più grande fu quella di non decidere, di non scegliere.
Era inutile scappare, o cercare via di fuga. Le scelte erano comprese nel pacchetto Vita. C'era poco da fare, e lei non se n'era mai accorta.
Aveva rischiato di morire, ma se fosse morta? Sarebbe morta cercando di vivere più e più vite in una volta sola. Al suo funerale non avrebbero speso grandi parole, perché non era una persona ben definita.
Aveva sempre voluto essere più persone, il che significava non essere nessuno.
Quel giorno, in un lettino d'ospedale imbottita di antidolorifici, capì perché tutti ci tenevano a fare delle scelte concatenanti e definitive. Tutti volevano essere qualcuno, volevano differenziarsi, avere tratti riconoscibili. Volevano vivere una vita sola, pur sapendo che era l'unica disponibile. Volevano viverla appieno creandosi legami e passioni che li definissero.
La particolarità del vivere una vita sola era la concentrazione. Era più facile essere solo se stessi e concentrarsi su ciò, perché vivere più vite voleva dire non vivere appieno. Significata iniziare un nuovo percorso e interromperlo subito per seguirne un altro. Non si creava nulla in quel modo. Le decisioni permettevano di vivere la vita appieno, in modo da guardarsi indietro, un giorno, con la speranza di non pentirsi di nulla.
Quando Marina uscì dall'ospedale, qualche giorno dopo, il mondo le sembrò diverso. Aveva deciso di goderselo appieno e, da quando aveva capito cos'era davvero la possibilità di scegliere, aveva sentito la smania di decidere cosa far, dove andare e come vivere. Ma l'unico suo pensiero era rivolto a Fabrizio.
Si sentiva sciocca per essere scappata di fronte ad una scelta, ora che amava poter scegliere.
Era una scelta importante, ne aveva comunque paura, ma si era resa conto di quanto sarebbe stata sciocca a non farla.
Così voleva inaugurare quella sua prima scelta consapevole in modo originale e, per certi versi, romantico. All'ospedale le avevano circondato il collo con un collare che le arrivava sotto il mento, coprendo tutto il collo. Si diresse in una cartolibreria e comprò delle tempere scadenti. Sedendosi poi sugli scalini di un palazzo aveva posato il collare sulle ginocchia, aveva preso un pennello e lo aveva poi inzuppato di colore. Una volta finito il lavoro, indossò il collare. Si specchiò davanti la prima vetrina che trovò: nel collare aveva disegnato un ipotetico interno del collo, come se glielo avessero tagliato. Tutto il resto era dipinto di un grigio-azzurro, simile al cielo di quel giorno. Le occhiate sconvolte dei passanti le confermavano che davvero, era statat brava e quasi sembrava le avessero tagliato la testa.
Forse era una creativa, pensò.
Si sistemò alla ben e meglio, nonostante il busto che aveva dovuto indossare, a causa della forte collisione con la macchina. Infine si diresse dove sapeva avrebbe trovato Fabrizio. La sua scelta.
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