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La teoria dei colori


Francesco era nato biondo. Si poteva vedere chiaramente nel suo album di foto d'infanzia. Al suo primo compleanno aveva una chioma di capelli ricci, color del grano, da far invidia ai putti.

Ai putti però questa somiglianza sembrò non andargli a genio, così che al terzo compleanno di Francesco fu evidente a tutti che i ricci erano diventate leggere onde, e che i capelli color del grano invece tendevano ad un biondo tendente al castano.

Furono anni di disperazione per sua madre.

"Come farò ora? Dario sai quanto impegno ci ho messo, per scegliere i vestiti che più s'intonassero ai colori di mio figlio? Eh? Ma ve ne fregate di me, delle mie fatiche, non ve ne importa nulla! Siete solo degli egoisti, tu e la tua famiglia di mori avete intaccato la purezza del mio bambino!"

Enrica quel giorno non solo pianse, ma litigò col marito per tutta la notte. Le urla furono così forti che Francesco non riuscì a dormire, così pianse. Era troppo piccolo per capire il vero significato delle parole della madre, intuì solo che il suo papà doveva averle fatto qualcosa di molto, molto brutto per ridurla in quello stato, e l'odiò.

Il primo giorno dell'inizio delle elementari fu il più triste.

Francesco si voleva vestire da solo, così prese dal cassetto un paio di calzini gialli. Quel giorno ricevette il primo schiaffo dalla madre.

"Sei come tuo padre. Non vedi che sono calzini gialli? E tu hai i capelli neri, per dio! Cosa diavolo ti è saltato in mente? Ah, ma la colpa è mia, dovevo buttarli subito. Tua zia è davvero maligna, lo sapeva che mi avrebbe fatto impazzire, ma no, lei doveva prenderteli lo stesso. Fossi stato biondo come la tua mamma, tesoro, avresti potuto indossare decine di questi calzini gialli. Ma hai i capelli color pece, amore, sei come quella schifosa famiglia di tuo padre."

Francesco, quel primo giorno di scuola, picchiò il suo compagno di banco. Era biondo, e aveva le calze nere come le sue. Quando la maestra gli chiese il motivo del suo gesto, le rispose che i bambini biondi dovevano indossare calzini gialli, non neri. Così l'insegnante chiese di parlare con i suoi genitori. Quella sera i suoi genitori litigarono per l'ennesima volta.

Il weekend dopo suo padre lo portò a pescare, Francesco ne fu felicissimo. Mentre erano sulla barca in mezzo al lago, in attesa che qualche pesce abboccasse, suo padre gli disse queste esatte parole.

"Francesco, non devi ascoltare tutto quello che dice la mamma. Lei ultimamente sta passando un momento difficile- gli spiegò incespicando nelle ultime parole, guardando l'acqua calma sotto di loro- biondo o moro sei perfetto comunque, non importa di che colore ti metti i calzini. Vuoi sapere un segreto?- si avvicinò a lui, con le mani a coppa intorno al suo orecchio, e bisbigliò- io metto sempre le calze gialle."

Quel giorno Francesco si sentì libero. Aveva sempre temuto che ci fossero regole ben distinte, che forse non aveva capito, e che la sua stupidità fosse la causa delle sofferenze della madre. Invece, ora aveva capito che nessuna regola imponeva il colore delle calze in base ai capelli. Fu un gran sollievo.

"Mamma io voglio mettere le calze gialle" disse alla madre la mattina seguente. La madre lo guardò furente e delusa. Francesco l'abbracciò, mentre lei gli stava davanti in ginocchio per infilargli le mutande.

"Mamma non importa il colore dei miei capelli, papà mi ha detto che anche lui mette le calze gialle. Ti prometto che non le faccio vedere a nessuno."

A quel punto sentì la madre tremare, tra le sue piccole braccia. Poi lo allontanò bruscamente e gli prese il mento fra l'indice e il pollice, stringendo fino a fargli male.

"Non mi dovrai più chiedere una cosa del genere, hai capito?"

Francesco, con gli occhi lucidi, cercò di obbiettare, ma la presa della madre si fece più salda.

"Fra', guarda che le prendi!"

Così Francesco annuì appena, mentre le lacrime prendevano a scendere, e la madre gliele asciugò con fare dolce, come se non fosse successo nulla. Forse fu quel giorno che iniziò a capire che sua madre era folle.

"Tesoro, mi dispiace che non puoi indossare calze gialle. Sai, qualche anno fa avevi i capelli color del sole- esclamò sognante, accarezzandogli i capelli- ma il Signore volle punirmi, e ti cambiò, rendendoti più simile a un diavolo che ad un angelo."

La sensazione di libertà che gli aveva fatto sentire il padre svanì con quelle parole.

Da quel momento odiò i suoi capelli. Desiderava, più di ogni altra cosa, esser più simile agli angeli che tanto amava sua madre.

Aveva da poco compiuto dieci anni quando un pomeriggio, tornato a casa da scuola, usò di nascosto l'arriccia capelli della madre. Aveva visto, nello studio di quest'ultima, un quadro raffigurante due angeli. Entrambi avevano i capelli color del sole, che formavano eleganti quanto affascinanti ricci, ed occhi di un azzurro limpido come il cielo. Guardando quei due angeli gli prese una tristezza mista a rabbia che lo portò a odiare quel dipinto, soprattutto perché a dipingerlo era stata la madre. Tirò un pugno alla tela, forandola. Il colore doveva essere ancora fresco, perché l'acrilico con cui la madre aveva dipinto quell'opera gli rimase sulle nocche. Ironia della sorte, il colore di cui si era imbrattato la mano era giallo.

Con gli occhi dilatati e le orecchie rese rosse dalla rabbia, prese il vasetto contenente lo stesso colore che tanto aveva imparato ad odiare. Non si era ancora seccato, così infilò due dita, prese quanto giallo fosse possibile e se lo spalmò sui capelli. Ripeté il gesto finche il colore non finì, poi si diresse verso il bagno. Nella cassettiera sotto il lavandino trovò l'arriccia capelli e attaccò la spina alla corrente. Sapeva di dover aspettare finché la lucina rossa non si fosse spenta, come gli diceva sempre sua mamma.

Il piano non andò in porto. La vernice fresca sui capelli non si era ancora seccata e si attaccò alla piastra, rovinandola. Cercò di tenere la piastra sui capelli più a lungo, ma gli bruciò.

Quando spiegò le sue motivazioni ai genitori ricevette due reazioni diverse. Il padre era sconvolto. Continuava a passarsi la mano tra i capelli e a dirgli che era stata una sciocchezza, che era perfetto così, che loro lo amavano esattamente per quello che era e gli fece giurare di non ripetere mai più l'esperienza. La madre rientrò a casa pochi minuti dopo questo discorso e, dopo aver saputo la vicenda, i suoi occhi folli le si riempirono di lacrime e si portò le mani al petto.

"Tesoro, tu soffri come la mamma per questa cosa, vero? Perdonami bambino mio, è tutta colpa della mamma, dovevo sposare un uomo biondo, così saremmo stati felici. Dio mio, quanto sono stata sciocca. Potrai mai perdonarmi?"

Alla fine di queste parole, suo padre strattonò la spalla della moglie, per poi spingerla facendola così cadere.

"Sei una pazza! Io ti faccio rinchiudere, hai capito? Guarda come hai ridotto nostro figlio, guardalo, cazzo" a quelle parole l'uomo prese Francesco per le spalle, portandolo in ginocchio, di fronte alla madre.

A quelle parole la madre si rialzò, ricambiando la spinta al marito.

"Lui doveva essere biondo. Biondo! Io l'avevo sognato per anni mio figlio, so che doveva essere biondo! Tu, tu e la tua famiglia avete distrutto i miei sogni! Lo vedi tuo figlio? Anche lui voleva essere biondo!" Esclamò lei con rabbia.

Il marito la guardò smarrito e disperato.

"Tu sei pazza" sussurrò.

"Si. Sono stata pazza a sposarti." Rispose lei.

Quel giorno decisero di divorziare. Il padre di Francesco ottenne la sua custodia, la madre fu giudicata incapace di intendere e volere e la misero in una casa di cura. Nel sabato fu concesso a Francesco di andare a farle visita per poche ore.

Sua madre cambiò, durante le rare visite divenne sempre più assente. Parlava poco e passava il tempo a disegnare cherubini biondi.

Anche suo padre cambiò. Gli impegni lavorativi aumentarono e affidò Francesco alle cure di uno psicologo, da cui andava una volta a settimana.

Ma Francesco non poteva cambiare se stesso e le idee della madre, negli anni, avevano messo radici troppo forti per essere estirpate.

Si sentiva la causa dell'infelicità di lei e della rabbia del padre. Aveva decretato il fallimento della sua famiglia. Da quel giorno divenne davvero più simile ad un angelo caduto. Picchiava ogni bambino biondo che gli capitava davanti. A volte menava anche i bambini con i capelli scuri che indossavano calze gialle. Si isolava, un po' perché odiava tutti e un po' perché nessuno voleva aver a che fare con lui.

Durante gli anni del liceo iniziarono a chiamarlo "il pazzo". Tutti avevano paura di lui.

A volte, di notte, usciva da solo. Se incontrava dei ragazzi biondi, li riempiva di calci e pugni fino a sfigurarli, riempendo il suo animo d'orgoglio una volta finito il lavoro. Ma solo nel buio della notte poteva spingersi così oltre, per evitare di essere riconosciuto.

Pazzo forse, scemo no.

Nell'estate dei suoi diciott'anni suo padre gli consiglio un viaggio studio in America. Francesco era sempre stato bravo nelle lingue, e aveva sempre sperato in un'opportunità del genere.

Fu in California che conobbe Samantha. Aveva gli occhi azzurri cielo e i capelli di un biondo così chiaro da sembrare pieni di luce. Gli si era avvicinata durante una gita del corso studio. Sentendolo parlare in un inglese scorrevole gli aveva chiesto se poteva ordinarle lui il gelato, perché lei ci aveva provato ma con pessimi risultati. Lui si era voltato verso di lei e, vedendo il biondo dei suoi capelli, l'aveva guardata schifato e si era allontanato. Così Samantha, che non era abituata a non piacere alla gente specialmente se ragazzi, aveva iniziato a stalkerarlo. In maniera alquanto inquietante, anche.

Inizialmente fingeva di trovarsi nel suo stesso posto, per caso. Gli chiedeva come si dicevano alcune parole in inglese, il loro significato e come introdurle all'interno di una frase. A volte lo offendeva, dicendo che non gli aveva fatto nulla di male e che non poteva permettersi di ignorarla.

Dopo due giorni in cui ottenne poche risposte da lui, e solo per esasperazione, iniziò a sedersi accanto a lui durante le lezioni di lingua. A volte faceva cadere la penna, o la gomma, o il temperino accanto a lui. A volte gli chiedeva se potesse raccoglierle, altre si chinava lei stessa mostrandogli la profonda scollatura delle sue canotte.

Dopo tre giorni si sedette accanto a lui durante la pausa pranzo.

Ora era vero che Francesco odiasse i biondi, quanto era vero che non poteva picchiare Samantha, perché era una donna.

Ma era anche vero che Francesco era un uomo con gli ormoni in subbuglio, e seppur avesse avuto varie ragazze da una botta e via, nessuna era mai stata bella quanto Samantha.

Lei possedeva grazia in ogni cosa che faceva. Si muoveva ancheggiando, mettendo in risalto le sue gambe lunghe, dritte e magre, per non parlare del sedere perfetto che sembrava morbido e sodo. Portava probabilmente una terza di reggiseno, pensò un giorno Francesco, studiandola. Le labbra erano piene e sempre tinte di rosso, il naso piccolo, gli occhi grandi e le guance leggermente rosate, soprattutto quando la guardava, divennero sempre più attraenti. Era bellissima. A sua madre sarebbe piaciuto dipingerla.

Quindi Francesco decise che Samantha era l'eccezione che confermava la regola. Ormai non gli importava più che fosse bionda, o che a volte indossasse calze gialle, e per la felicità di Samantha una sera la baciò, mentre lei gli stava ancora chiedendo come si dicesse, in inglese, " Tu sarai anche carina, ma io sono bellissima".

Mentre con la lingua lambiva le labbra di lei si sentì pieno di adrenalina e soddisfazione. Baciare Samantha era meglio che picchiare qualsiasi altro biondo. Mugolò di piacere, tirandole i capelli che tanto odiava, facendole piegare la testa verso l'alto, per essere più comodo nel baciarla. Lei gli si strinse addosso, stringendogli le mani sulla schiena. Un'ora di baci più tardi si diressero in camera di Francesco, che non poteva più trattenersi dall'averla.

Il mese successivo fu il più felice che avesse mai vissuto. Non pensò a sua madre, non pensò a suo padre, né ai putti, né s'interessò di picchiare qualche biondo americano. Si scoprì capace di amare e di sorprendersi. Samantha amava passare le dita tra i suoi capelli neri, e gli ripeteva che erano perfetti insieme, perché il chiaro e scuro era un contrasto molto amato. Li avrebbero guardati tutti con invidia.

Francesco la chiamava "Il mio angelo". La vedeva come qualcosa di puro e di mistico, che lo avrebbe portato alla salvezza, proprio come facevano gli angeli.

Facevano l'amore tutte le notti, lui le sussurrava parole d'adorazione che non aveva mai rivolto a nessuno. Lei mugolava felice, con gli occhi che le brillavano, e lo guardavano come se fosse l'unico al mondo. Scoprirono con loro gioia che, in Italia, abitavano solo un'ora di viaggio di distanza l'uno dall'altra e quindi sarebbe stato facile continuare la loro relazione a casa. Francesco non si riconosceva più, ormai. Odiava sempre i biondi, gli mancava sua madre e si sentiva ancora la causa della sua infelicità, ma queste cose non le raccontò mai alla sua ragazza. Probabilmente non avrebbe capito e gli avrebbe dato per pazzo, forse si sarebbe pure allontanata da lui.

Non avrebbe accettato di perdere Sam, cosi a volte si chiudeva in se stesso, fissandosi a guardare il cielo all'alba, e se lei si svegliava prima o lo scopriva, lui fingeva che l'alba fosse il momento che amava di più della giornata facendola sospirare di tenerezza.

Passato il mese della vacanza studio tornarono in Italia. Fecero il viaggio insieme dato che sarebbero atterrati nello stesso aeroporto. Passarono il tempo a leggere sciocchezze sui giornali, finché lei non impazzì, entusiasta, leggendo le news sul suo gruppo musicale preferito. Francesco scoprì che un tale Luke Hemmings era l'idolo indiscusso della sua ragazza. Dovette tenere a bada la rabbia nel vedere che tale Luke era biondo.

Salutarsi fu dura e Samantha pianse. Lui la consolò dicendo che si sarebbero rivisti il mese successivo, quando lei sarebbe tornata dalla vacanza in Grecia con le sue amiche.

Due giorni dopo arrivò il sabato, e quindi Francesco andò a trovare la madre. Le raccontò entusiasta della sua vacanza studio, senza lasciarsi prendere dallo sconforto per lo sguardo assente di lei. Probabilmente non lo stava nemmeno ascoltando. Le chiese poi di fargli vedere i quadri che aveva fatto in sua assenza.

La madre gli mostrò orgogliosa la sua ultima opera, che sembrò terribilmente familiare a Francesco. Difatti, il protagonista ritratto non era altri che Luke Hemmings. Strinse i pugni più forte che poté, per non spaccare la tela seduta stante. Sua madre non si accorse di nulla, ma accarezzò con le dita i contorni della tela.

"Tu dovevi nascere così. L'ho sognato" sussurrò la donna, con sguardo vacuo e un sorriso sognante dipinto sulle labbra.

Francesco se ne andò subito dopo queste parole. Quasi di corsa, uscì dalla casa di cura e tornò a casa. Distrusse l'armadio di camera sua, lanciandogli contro la valigia. Scoppiò a piangere come un bambino, disperato, pensando che fosse solo colpa di suo padre se la mamma non lo vedeva come il figlio desiderato da sempre. Si sentiva deluso, soprattutto non accettato e non amato dalla sua genitrice, colei che l'aveva messo al mondo. Era crudele.

Eppure Samantha lo amava per quello che era, per i suoi capelli color pece. Ma Samantha non urlava di gioia davanti a lui, come invece faceva davanti ad una foto di Luke Hemmings.

Infine ebbe un'idea geniale. Si, era l'idea migliore che avesse mai avuto.

Prese tutti i soldi che aveva tenuto da parte con vari lavoretti fatti durante gli anni. Tra tutti i lavori vari, lo spaccio era quello che gli aveva fatto guadagnare più soldi. Li teneva nascosti in un vaso che sua madre aveva dipinto chissà quanti anni fa, e oltre ai soldi Francesco c'aveva messo dei gigli bianchi finti.

Prese il treno, dirigendosi verso la sua meta. Una delle tante buone cose dello spacciare erano le conoscenze.

Una di queste, Adriano Clerici, era un chirurgo. Marito, padre di famiglia e ricco proprietario di un enorme appartamento in centro a Milano. E drogato.

Per anni Francesco era stato il suo spacciatore personale e, quando doveva vendere delle droghe ad Adriano, alzava sempre il prezzo per il semplice fatto che per quell'uomo i soldi non erano un problema. Suonò al campanello del suo studio e la segretaria, un'avvenente ragazza che non poteva aver più di 25 anni, corse ad aprirgli. Lo fece accomodare nella sala d'aspetto.

Quando, cinque minuti dopo, Adriano fece la sua comparsa e lo vide lo guardò dubbioso.

"Be, come mai questa visita? Non avevamo appuntamento..." chiese incerto il chirurgo.

Francesco gli si avvicinò, con un sorriso soddisfatto sulle labbra e gli occhi dilatati per l'entusiasmo.

Adriano arretrò inconsapevolmente.

"Clerici, mi deve fare un favore. Ho bisogno delle sue mani sante. Possiamo parlarne in privato?"

Due ore dopo, nello studio del chirurgo, Adriano si alzò dalla sedia tremante.

Pensò che quel ragazzo fosse un pazzo, non aveva mai ricevuto una richiesta simile.

"Francesco, sai quello che vuoi fare? Sai come cambierà la tua vita? E soprattutto, come puoi pensare che la gente che ami ti accetterà? Sei un folle" disse, sperando di convincerlo a cambiare idea. Francesco si stava rovinando la vita con troppa ingenuità.

Francesco battè una mano sul tavolo, nervoso.

"Io so quello che faccio. Ho diciotto anni, posso decidere da solo. Inoltre le conviene accettare, prima di tutto perché sono suo cliente, ma soprattutto perché è meglio che la gente non sappia perché, spesso, è lei ad esser mio cliente. Non crede?"

Francesco sapeva di avere la vittoria in mano. Aveva avuto abbastanza tempo, durante il viaggio, per studiarsi il suo semplice piano a tavolino. Avrebbe reso felici se stesso e le persone che amava. Avrebbe accontentato tutti. Avrebbe posto fine ad ogni sofferenza di sua madre, avrebbe realizzato i sogni di Samantha, e non si sarebbe più sentito in colpa per essere com'era.

Adriano Clerici si passò una mano sul viso, esausto.

"E va bene, Francesco. Faremo come vuoi. A patto che, se le cose non andranno come speri dopo l'operazione, tu non te la prenda con me. Affare fatto?" chiese, allungando una mano tremante in direzione del ragazzo.

Francesco gli strinse la mano con una presa ferrea.

"E sia."

Due settimane dopo tornò a casa con il volto coperto da bende bianche. Gli lasciavano scoperti solo gli occhi e il naso. Quando il padre lo vide, entrò in panico. Fu dura spiegargli che aveva solo deciso di fare qualche ritocco chirurgico. Ciò non bastò a calmare la furia del padre, che non capiva cosa stesse succedendo al figlio, e soprattutto perché non gliene avesse parlato prima. Ciò non scalfì l'entusiasmo di Francesco.

Qualche giorno dopo fu il giorno designato per togliere la fasciatura sul visto. La sfilò piano, col cuore che batteva forte. Non vedeva l'ora di guardarsi.

Scoprì per prima la testa. Dalla parte sinistra c'erano i suoi soliti capelli neri. Da metà testa in poi, ad occupare tutta la parte destra, facevano capolino dei biondissimi capelli color grano, come li aveva da piccolo. Pian piano scoprì gli occhi, gli zigomi, le orecchie e così fino a togliere l'ultimo strato di bende. Metà viso, ovvero la parte dove c'erano i suoi nuovi, biondissimi capelli, era il ritratto di quello di Luke Hemmings. I lineamenti erano più morbidi, fanciulleschi. Anche la metà delle labbra era più dolce. Si coprì la metà che aveva sempre fatto parte di lui, e si sentì un angelo. Fece poi lo stesso con la parte alla Luke, e si scoprì lo stesso di sempre, rassicurandolo.

Sorrise, mentre calde lacrime di felicità gli solcavano il viso. Samantha lo avrebbe amato il doppio. Sua madre avrebbe riconosciuto il figlio che aveva sempre sognato.

"Ora sono completo" sussurrò, pieno di gioia, Francesco al suo riflesso.

Non avrebbe deluso più nessuno.


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All'ultimo, com'è mio solito, ecco la storia per la prima prova del concorso ;)

Spero sia abbastanza disagiata >.<

Buona lettura

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