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- Chapter 11 -

                  

Passarono diversi giorni da quando Avery si trasferì in quella casa immersa nel bosco. Toby continuava a comportarsi in modo strano e Hoodie continuava a disprezzare sia lui che Masky per avergli nascosto la presenza ragazza. Ma nonostante ciò, proseguirono insieme le ricerche di Jenna.

I sentimenti positivi di Toby, in quei giorni, si stavano risvegliando: provava qualcosa di indescrivibile quando era vicino a quella ragazza che era entrata casualmente nella sua vita, ma non riusciva a spiegarsi cosa fosse.

Avery, nonostante sapesse della natura del killer, sembrava provare le stesse cose; come se soffrisse della sindrome di Stoccolma.

Quella malattia l'aveva studiata recentemente, prima che accadesse il tutto.

La sindrome di Stoccolma, è un particolare stato di dipendenza psicologica o affettiva, in cui il soggetto affetto prova un sentimento positivo nei confronti del proprio aggressore o rapitore che può spingersi fino all'amore; instaurando una sorta di alleanza e solidarietà tra vittima e carnefice.

Era proprio così che si sentiva, in balia di quella situazione che tutto le sembrava tranne che spiacevole, nonostante fosse quasi morta più di una volta. Si sentiva a proprio agio accanto a Toby ed era sicura di provare qualcosa per lui che andasse ben oltre alla semplice solidarietà.

In quei giorni avevano condiviso tutto: il letto, il cibo, la camera; poiché Toby non la lasciava uscire dopo l'incidente accaduto con Hoodie.

-          Oggi viene Jack a controllare i punti – esordì il ragazzo entrando in camera sua e guardando la mora seduta alla scrivania intenta a fare qualcosa che le rubava pienamente l'attenzione – cosa stai facendo? – si avvicinò, poi, confuso scrutandone i movimenti .

-          Leggo – rispose lei senza distogliere lo sguardo dalla pagina ingiallita del libro.

-          Cosa leggi? – prese una sedia e la girò in modo che lo schienale fosse rivolto alla ragazza, sedendosi verso di lei.

Lei mise il dito sulla pagina all'altezza di una parola, per tenere il segno, e lo guardò sfoggiando uno dei suoi soliti sorrisi dolci.

-          Un libro di psicologia, hai molti volumi interessanti qui –

Il castano ricambiò il sorriso abbandonando la sua solita aria fredda. Era sempre così che andava a finire con lei: lui le sorrideva spesso, come non faceva da tempo. Che stesse ritornando a galla il vecchio Toby Rogers?

-          Non ho idea di che libri siano – ammise facendo spallucce – erano già qui quando sono arrivato, due anni fa – si alzò e avvicinò le sue labbra all'orecchio della ragazza, sussurrando - ma se ti interessano così tanto, puoi anche tenerteli –

Un brivido le percorse la schiena a sentire quella voce che tanto amava sussurrata al suo orecchio.

-          O-okay– balbettò lei imbarazzata, provocando una risatina divertita del ragazzo che ancora non si era allontanato.

Avery si girò a guardarlo, facendo arrossire anche lui. Nessuno dei due riuscì a distogliere lo sguardo, erano come ipnotizzati l'uno dagli occhi dell'altra.

Toby si sentiva strano, c'era qualcosa che gli diceva di avvicinarsi di più e baciarla; ma qualcos'altro gli diceva che era sbagliato e che non poteva accadere.

I suoi pensieri e l'atmosfera che si era creata, vennero interrotti da il campanello stridulo che annunciava l'arrivo di qualcuno. Toby si allontanò, riprendendo una posizione eretta, e sospirò portandosi una mano dietro la testa, massaggiandosi il capo.

-          Deve essere Jack – le sorrise dispiaciuto per l'interruzione – vado ad aprire-

Avery annuì e li aspettò in camera.

Dopo qualche minuto, entrarono i due ragazzi: Toby era seguito da un ragazzo mascherato vestito completamente di nero. La sua maschera blu aveva solo due buchi per gli occhi, da cui fuoriusciva un liquido del medesimo colore degli abiti che indossava, seccatosi lungo le guance.

Jack si scostò leggermente la maschera dalla bocca curvata in un sorriso, facendo intravedere una fila di denti seghettati e un rivolo di sangue che gli scendeva lungo il mento.

-          Ciao, tu devi essere Avery. Io sono Eyeless Jack – si presentò con voce bassa e doppia, quasi fosse indemoniato, e le porse una mano – Toby mi ha parlato molto di t..AHI!- guardò l'amico che gli aveva tirato una gomitata in vita, assottigliando gli occhi.

Avery gli prese la mano grigiastra e fredda.

-          Hai detto Eyeless Jack? Ma Eyeless vuol dire...-

-          Senza occhi, già – la interruppe il ragazzo dalla pelle grigia – vuoi vedere? – chiese esaltato, come se la cosa fosse un trofeo da esibire.

Avery scosse la testa, leggermente sconvolta.

-          Devi sapere che non mi piace la cosa, in realtà – sorrise lievemente ricordando il motivo per cui era senza bulbi oculari.

-          Come fai a vedere se.. si, insomma – indietreggiò di qualche passo.

-          Non è una parolaccia, puoi dirlo – ridacchiò – un demone si è impossessato del mio corpo riportandomi in vita – rispose con nonchalance, scrollando le spalle.

-          S-sei morto? – la castana sgranò gli occhi, atterrita.

-          Si, ma tranquilla. Non ti uccido – ridacchiò nuovamente, ricevendo un'occhiataccia da Toby che si sbatté il palmo della mano in fronte per la pessima battuta.

Avery quasi svenne, ma riuscì ad arrivare al letto e sedersi. Respirò profondamente un paio di volte e poi rivolse nuovamente uno sguardo ai due ragazzi in piedi davanti alla porta.

-          Togliti il maglione – prese nuovamente parola Jack guardandola e ricevendo un pugno sul braccio da Toby.

-          Cazzo vuoi, devo controllarle i punti! – lo guardò spazientito massaggiandosi il braccio.

Toby incrociò le braccia e fece roteare gli occhi per poi guardare dalla parte opposta rispetto all'amico, mentre quest'ultimo si avvicinava alla ragazza che nel frattempo aveva fatto come lui le aveva detto.

Jack le srotolò la fasciatura e tastò la ferita.

-          Fa ancora male? – chiese senza alzare lo sguardo.

-          N-no, sto bene... -

-          Mh, la cicatrice è un po' gonfia.. Dovresti metterci una pomata o qualcosa del genere. Vedo se ce l'ho a casa e te la porto nel pomeriggio – si alzò dal letto sorridendole e si avvicinò a Toby – uhm, e non fare sforzi o si riapre la ferita e mi tocca ricucirla – ridacchiò e prese la felpa del ragazzo, trascinandoselo fuori dalla stanza.

-          Ehi ma che...- lo guardò Toby, dopo che Jack ebbe chiuso la porta.

-          Amico – sorrise poggiandogli una mano sulla spalla.

Toby inarcò un sopracciglio, incrociando le braccia al petto.

-          Dimmi, amico – scandì l'ultima parola, con fare sarcastico.

-          Sai, quella ragazza... come hai detto che si chiama? –

-          Avery –

-          Ecco, Avery. E' proprio una bella ragazza, non trovi? – sorrise divertito

Il castano cercò di rimanere impassibile, ma la sua gote si colorò di un rosso lieve e distolse lo sguardo.

-          Dici? E' solo una sconosciuta che ho incontrato nel bosco –

-          Perché l'hai salvata, allora? –

-          Mi ricordava Lyra.. E, prima che anche tu me lo ripeta – lo guardò nuovamente – so benissimo che non si assomigliano per niente. Non so cosa mi sia preso –

-          Allora, a te non interessa, uh? –

-          N-no..-

-          Quindi posso provarci con lei? –

-          Ma tu non eri un assassino? A cosa ti porterebbe? -

-          Da che pulpito – ridacchiò – anche tu lo sei, o sbaglio? E comunque, non lo farei mai. Si vede lontano un miglio che ti piace –

-          Non mi piace –

-          Da morire – ridacchiò di nuovo.

-          Non è divertente – sbuffò Toby.

-          Strano, perché io non riesco a smettere di ridere. Ad ogni modo, è pericoloso. Sta attento – proferì quelle parole seriamente, prima di scendere e uscire di casa urlando un 'ciao' rivolto a Masky e Hoodie.

Il castano sbuffò nuovamente e rientrò nella sua camera, dove intanto Avery si era rivestita.

Improvvisamente, la ragazza si accasciò per terra, portandosi le mani all'altezza delle orecchie.

-          No, no, no...- sussurrò allarmato il ragazzo, avvicinandosi con il corpo scosso da tic per l'agitazione.

-          Avery, guardami – le prese il viso tra le mani, facendo incontrare i loro occhi.

Lo sguardo della ragazza era spaventato, mentre il viso di Toby aveva una smorfia di fastidio dipinta.

La ragazza iniziò a tossire e si coprì la bocca per reprimere un conato di vomito.

-          R-resisti Av... S-sei p-più f-forte di Lui – affermò, non tanto convinto.

Nessuno era più forte dell'Operatore, lui lo sapeva. Ma doveva cercare di farla riprendere e di fare in modo che Lui non la uccidesse.

-          L-lo senti anche tu, Toby? – lo guardò perplessa.

Toby annuì.

-          L'Operatore s-sta cercando di attirarti v-verso di lui, non cedere. Guardami e concentrati su di me – rispose fermamente, continuando a guardare quegli occhi che gli piacevano tanto.

-          L'Operatore? I-io credevo si chiamasse Slenderman... Sono la stessa... persona..? –

-          Più che persona, userei altri termini... ma si, sono la stessa persona –

-          Tu lavori per lui... -

Disse quelle parole guardandolo sconvolta, quasi con disprezzo. Toby, il suo Toby, lavorava per lo Slenderman.

Le immagini dell'assassinio del ragazzo di Jenna, le tornarono alla mente; così come altre informazioni.

-          Tu hai ucciso tuo padre... Hai ucciso Jared e vuoi uccidere anche me, vero? Mi tieni q-qui perché stai aspettando il momento adatto... -

-          Ho ucciso solo mio padre, tra quelli che hai nominato – confermò lui – e non voglio ucciderti, non più..- sussurrò abbassando lo sguardo.

Avery fece per alzarsi e allontanarsi da quella casa, voleva andare via. Credeva di amarlo, ma forse era solo un misto di shock e gratitudine per averle risparmiato la vita.

Perse i sensi e Toby, dopo averla adagiata sul letto, scese al piano di sotto e uscì in giardino, per affrontare Slenderman.

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