Nuove conoscenze
E ora eccomi qui, in una macchina dai finestrini oscurati, con mia madre seduta al mio fianco, la mia valigia nel bagagliaio e i due uomini vestiti di nero nei sedili davanti ai nostri. Avevo le cuffiette nelle orecchie e ascoltavo canzoni in modalità casuale. Fin da piccola, avevo preso l'abitudine, che ad ogni viaggio in macchina ascoltavo la musica. Mi piaceva di più ascoltarla in macchina che stando ferma a casa, sul divano, sul letto, o da qualche altra parte. Ascoltarla in macchina mi rilassava, tanto che non pensavo quasi più a quello che sarebbe successo di li a poco. Viaggiamo per quasi quattro ore, facendo soltanto due soste negli autogrill sull'autostrada per sgranchirci un po' le gambe, addormentate dopo tutto quel tempo. Ero alle ultime canzoni del lettore musicale, quando chiesi a mia madre quanto tempo mancava per raggiungere la scuola. Tutto ciò che mi rispose fu:
"Poco, Camilla. Non preoccuparti."
Dopo venti minuti ero alla quinta canzone, dopo essere ripartita da capo. Ad un certo punto la macchina si fermò e l'uomo vestito di nero ci fece segno di scendere, perché eravamo arrivati. Aprii la portiera e scesi falla macchina. Eravamo davanti a un enorme cancello, nascosto nella fitta vegetazione di un bosco. Non sapevo dov'eravamo con precisione, ma sapevo che intorno a me c'era tantissimo verde. Dopo aver scaricato i bagagli, il cancello si aprì e noi entrammo. Attraversammo il vialetto di ciottoli di ghiaia e salimmo gli scalini, che conducevano al portone della scuola. Sembrava una reggia, un castello enorme. Affianco alla piccola scalinata di pietra bianca, che conduceva al portone, c'erano due piedistallo di marmo, sul quale erano scolpiti degli animali. Un leone, una volpe e un'aquila. Erano rifiniti in ogni dettaglio, tanto da sembrare veri. Dinanzi a noi c'era un enorme portone blu scuro, pieno di ghirigori dorati. Il portone era aperto e davanti ad esso c'era una donna. Era vestita con un elegante tailleur grigio perla, composto da giacca e pantalone, e una camicia bianca, abbottonata fino al colletto. Indossava una collana di perle bianche, attorno al collo. Aveva i capelli biondo platino raccolti in uno stretto chignon sulla nuca. Il viso, magro e spigoloso, aveva i tratti duri e freddi. Gli occhi erano di un grigio spento e scuro, gli zigomi alti e il naso leggermente affilato. Mi guardava in modo freddo e calcolatore; sembrava soppesare ogni mio movimento. Era leggermente inquietante. Appena giunte dinanzi alla donna, mia madre le porse la mano e le disse :
"Buongiorno, Signora Preside. È un vero piacere conoscerla."
"Il piacere è tutto mio, signora Bianchi. Deduco, che la signorina accanto a lei sia sua figlia, giusto?"
"Esatto, Signora Preside. Questa è mia figlia, Camilla Bianchi. Sono qui per la sua iscrizione."
"Certo, signora. Se, per favore, mi vorreste seguire, andremo a parlare di queste cose nel mio ufficio."
Detto questo la preside ci fece cenno di seguirla e si voltò, per andare nel suo ufficio, che si trovava proprio a sinistra, dell' ampia sala. Mia madre la seguì subito, così io presi in fretta la mia valigia e mi affrettai a seguirla, mentre un'altro uomo vestito di nero chiudeva il portone.
Seguivo l'ennesimo uomo vestito di nero, attraverso i corridoi della mia nuova scuola. Appena pochi minuti prima mia madre mi aveva salutato e se n'era andata, dopo esser uscita dall'ufficio della preside. Avevano discusso sulla mia ammissione in questa scuola tutto il tempo, senza neanche contare della mia presenza. Era come se, per loro, non esistessi. Dopo una lunga discussione la preside mi aveva ammesso a frequentare il nuovo anno, a patto, che durante questi tre mesi estivi, mi rimettessi in pari. Mia madre dopo averla rassicurata e averle detto di stare tranquilla, mi aveva rivolto un'occhiata che significava " ti è stata data una possibilità, non sprecarla deludendomi" ed eravamo uscite dall'ufficio. Ora ero da sola, in una scuola che non conoscevo, a seguire un uomo che non conoscevo, che mi avrebbe portata nella mia nuova stanza. Sbuffai, irritata. Cominciavo a essere stanca di camminare per tutto quel labirinto di corridoi, insomma, mi doveva portare nella mia nuova stanza. Non farmi fare il giro turistico. Dopo qualche altro passo l'uomo vestito di nero si fermò dinanzi a una porta e mi disse:
"Questa, è la sua stanza, signorina Bianchi. Spero che si troverà bene qui con noi."
Dopodiché se ne andò, mentre io rimasi lì, a fissare quella porta di legno scuro, indecisa se entrare o meno. Alla fine decisi di entrare, perché non potevo rimanere sulla soglia, ad aspettare chissà cosa. Presi la chiave dalla tasca dei jeans, la infilai nella toppa e aprii la porta. Mi si presentò una stanza abbastanza grande, due letti, due armadi e due comodini, posti agli opposti della stanza. Sul fondo della stanza c'era una finestra e sotto di essa, facevano mostra di sé due scrivanie di legno lucido. Ad un certo punto, sentii un rumore, da una porticina, sulla parete destra della stanza, che prima non avevo notato. Questa si aprì e ci uscì una ragazza che, a occhio e croce, doveva avere circa la mia età. Appena mi vide, mi sorrise euforica e mi disse:
"Ciao, tu devi essere Camilla. Io sono Eleonora e sono la tua compagna di stanza."
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