•50•
•Davide's pov•
Quella ragazza ha il potere di metterti ansia per qualsiasi cosa, anche se tu fossi la persona meno ansiosa del mondo. Al contrario di quanto mi ha scritto lei, non sono per niente tranquillo; ogni volta che mi fermo a un semaforo, mi ritrovo a muovere su e giù la gamba per l'ansia di sapere cosa mi deve dire la mia ragazza.
Dopo un tempo che a me è sembrato infinito, mi trovo davanti alla porta di casa; in questo momento, sono un fascio di nervi. Durante il viaggio ho provato a cercare di capire cosa potrebbe dirmi fra poco, ma non ne ho proprio idea. Mi ha scritto che per lei è una cosa bella; e questo basta per rendermi felice perché, se lei è felice, lo sono automaticamente anch'io. Sembrerà una frase fatta, ma è sempre stato così il nostro rapporto: se lei è triste, lo sono anch'io; se lei è felice, lo divento automaticamente anch'io e viceversa.
Ma adesso è arrivato il momento di sapere la verità; il rumore delle chiavi sembra risvegliare il mio cucciolo peloso, che è il primo ad accogliermi all'ingresso. Chiudo la porta e, dopo aver salutato per bene Gohan, mi dirigo in soggiorno, con la speranza di trovarci la mia ragazza che non si è ancora palesata. Ora che ci penso, in effetti, in casa c'è fin troppo silenzio.
Entrando in soggiorno, con mia grande sorpresa, non trovo Isabella seduta sul divano come al solito; al contrario, ci trovo una bambola fin troppo conosciuta. Mi avvicino per osservarla meglio, anche se già sapevo che era la bambola che feci comprare ai miei per regalarla a Sara. Noto con mia grande sorpresa che, accanto alla bambola, c'è un fogliettino sul quale riconosco la calligrafia di Isabella. Lo prendo in mano per leggerlo e, mentre gli occhi scorrono su quel fogliettino, mi viene da ridere al pensiero di cosa non ho fatto pur di far comprare ai miei quella bambola.
«Ciao zietto, ti ricordi di me? Sono proprio la bambola che scegliesti appositamente per tua sorella. Un uccellino mi ha detto che hai fatto disperare i tuoi genitori per giorni, ma alla fine sei riuscito a convincerli a farti quel favore comprandoti la bambola. E quindi, eccomi qua! Adesso starai sorridendo, quindi ti chiedo di fare una cosa: continuando a sorridere, vai nella stanza in cui mi trovo solitamente, ci potrebbe essere un'altra sorpresa per te!!!»
Dopo aver riletto un'altra volta il fogliettino, mi scende qualche lacrima per la nostalgia nel ricordare la mia infanzia e tutti i momenti passati con Sara. Ed è pensando a questi momenti che mi dirigo verso la camera che era di Sara - quando ancora viveva insieme a me, stanza in cui teniamo gli oggetti che ci hanno accompagnato durante la nostra infanzia, caratterizzandola e rendendola speciale.
Sul comodino accanto al letto spicca un peluche che conosco bene, molto bene: un orsacchiotto con la divisa del Milan che mi era stato regalato da mia sorella il giorno precedente alla mia prima partita, l'anno in cui avevo iniziato a giocare a calcio. Lo consideravo il mio migliore amico, credevo che parlare con lui mi aiutasse a risolvere quei problemi che un bambino di appena sei anni considera gravi. Mi riprendo dai miei pensieri e noto un altro bigliettino di fianco all'orsacchiotto.
«Ciao Davide, ti ricordi ancora di me? Ero il tuo migliore amico, come amavi definirmi tu (e adesso, sono stato sostituito, quindi sappi che dovrai farti perdonare!); sono sempre stato il tuo peluche preferito e, proprio per questo, mi portavi sempre con te ovunque andassi. Avevo un posto ben definito: mi mettevi in una delle tasche laterali del tuo borsone da calcio (povero me, chissà che puzza!!!). Sei sempre stato un bambino curioso e sarai curioso anche in questo momento; se non sei stupido, avrai già capito in che posto si trova la prossima sorpresa.»
Ne ho passate tante con quel peluche; è sempre stato il mio portafortuna. Lo portavo sempre con me perché pensavo che, stringendolo prima di entrare in campo, mi aiutasse ad essere più forte. Il suo posto era in una delle tasche laterali proprio perché, per paura di dimenticarlo a casa, lo lasciavo direttamente nel mio borsone. Isabella se lo ricorda bene perché, quando ci siamo conosciuti, avevo in mano quell'orsacchiotto e, negli anni successivi, il suo posto era diventato su una mensola in camera mia.
Nel frattempo, mi dirigo verso il ripostiglio, stanza in cui tengo tutto il materiale inerente al calcio e, quindi, dove c'è anche il mio vecchio borsone che è diventato il deposito per calze, parastinchi e cose del genere. Entrando, noto che sul borsone è appoggiata una maglia del Milan; e non è una maglia qualunque, è una maglia che riconoscerei a chilometri di distanza. Mi avvicino per prenderla e, come mi aspettavo, c'è un altro bigliettino.
«Ne hai passate tante con questa maglia; quando te l'ho portata eri talmente felice da non volerla più togliere. Non volevi che tua madre la lavasse per paura che l'autografo di mio padre se ne andasse. So che stai ridendo ancora una volta nel ricordare tutte le scenate che hai fatto quando scopristi che tua madre l'aveva messa a lavare mentre tu eri a scuola; probabilmente ti starai anche asciugando qualche lacrima sfuggita al tuo controllo. Ma non è il momento per piangere, amore; devi ancora andare in un posto, quello in cui, una sera di agosto, iniziò tutto...»
Finisco di leggere il bigliettino e ridacchio perché è proprio vero il fatto che non volessi mai staccarmi da quella maglia; del resto, Paolo Maldini era l'idolo di tutti, bambini e non, e ricevere una sua maglia autografata era il sogno di tutti. Mi ricordo ancora il giorno in cui Isabella mi ha portato quella maglia: era ormai un anno da quando avevo incontrato per la prima volta Christian e, di conseguenza, un anno anche dall'incontro con sua sorella. Un pomeriggio, alla fine dell'ultimo allenamento, si sono avvicinate Isabella e sua madre visto che, tanto per cambiare, ero in compagnia di Christian. Quando furono ormai vicine a noi due, Isabella mi salutò con il suo solito sorriso timido e, dopo aver sentito la mia risposta, iniziò a parlare:
«Il mio papà ha detto che ti vuole a casa per una merenda perché dice che sei un bimbo bravo con me e i miei fratellini. Ha detto di darti a te questa.» Mi disse con una voce sottile, quasi come se si vergognasse di me e, dopo che finì di parlare, Adriana le passò una maglia del Milan autografata dall'uomo che, per me, era un idolo e pensavo che fosse inavvicinabile.
Dopo aver piegato accuratamente la maglia e averla appoggiata sopra al borsone, mi dirigo verso la mia camera, curioso di sapere cosa troverò in quella stanza. Entrando, noto sul letto un disegno; prendendolo in mano per osservarlo, i ricordi riaffiorano nella mia mente e mi fanno sorridere automaticamente. Come mi aspettavo, accanto al disegno c'è anche un bigliettino.
«Tutto è cominciato da qui, forse un po' per scherzo, ma sono fiera di poter dire che, dopo quasi un anno da quella serata, siamo ancora qua. Prima ti ho scritto che non era il momento per piangere perché, conoscendoti, so che lo farai a breve. So anche che sei confuso e che probabilmente non hai capito il senso di questi quattro oggetti; ma, se sei ancora il bimbo curioso di una volta, non ci metterai molto a voltarti verso la porta. Preparati perché devo parlarti e direi che è ormai arrivato il momento.»
Finisco di leggere quest'ultimo bigliettino e mi giro verso la porta, seguendo le indicazioni di Isabella. La trovo appoggiata allo stipite della porta; non appena nota che ho finito di leggere anche il quarto fogliettino, si avvicina e, contemporaneamente, comincia a parlare:
«C'è un motivo se ho scelto questi quattro oggetti e c'è un motivo se sono proprio quattro. I primi tre sono facilmente comprensibili, l'ultimo forse un po' meno. È un disegno che abbiamo fatto io, te e Dani quando sei venuto a casa nostra per la prima volta. Quel giorno mi avevi presa per mano quando ti avevo presentato mio padre perché eri spaventato, soprattutto dopo che ti ha detto: "sei simpatico, ma sono geloso della mia piccola". Da quel momento li è partito un discorso sul fatto che tu avessi la mano più grande della mia; mi avevi detto che la mia era la più piccola del mondo. Io avevo replicato che, in realtà, era quella di Dani e, così dal nulla, abbiamo rappresentato le nostre tre mani. Io volevo dimostrarti che eri nel torto, ma alla fine ci siamo divertiti.» Mi dice prendendomi il disegno dalle mani.
«Ma vuoi proprio farmi piangere oggi?»
«Shh, che sei tenero quando piangi; e comunque, non interrompermi. C'è un motivo se gli oggetti sono proprio quattro, come ti dicevo; c'è un motivo se tutti e quattro appartengono alla tua infanzia. Mi sono fatta tante di quelle risate mentre ricordavo certi momenti. Ma ora è arrivato il momento di spiegarti tutto.» Si blocca per respirare profondamente e, prendendomi le mani, le appoggia sulla sua pancia. Un'idea mi passa per la testa, ma non voglio illudermi inutilmente.
«Per messaggio ti ho scritto che per me è una cosa bella e che spero che lo sia anche per te. Nei bigliettini ti ho scritto che non era il momento per piangere. Bene, te lo dico senza giri di parole perché mi piace essere chiara e diretta; quattro oggetti, quattro bigliettini, quattro momenti importanti per te. Quattro come le settimane di vita del piccolo o della piccola che mi sta crescendo nella pancia.»
Mi prendo qualche secondo per realizzare le parole della mia ragazza; poi, con parole che pensavo di non riuscire a pronunciare dall'emozione, la chiedo conferma.
«Mi stai dicendo che sarò padre?»
«Sì amore, non so com-»
«Dimmi che non stai scherzando.» Le chiedo con le lacrime agli occhi.
«No Davide, sono seria; fra otto mesi diventeremo genitori.» Mi dice, anche lei con le lacrime agli occhi.
«Non potevi rendermi più felice di così!» Le dico spostando le mie mani dal suo ventre ai suoi fianchi per poterla stringere a me. E, mentre siamo stretti l'uno tra le braccia dell'altro, mi scappa qualche lacrima dall'emozione e dalla felicità; è una notizia che mi ha colto di sorpresa, non me lo sarei mai aspettato in questo momento. Non avevamo mai parlato di mettere su famiglia, ma questo non vuol dire che io non voglia un figlio da lei, nonostante la nostra giovane età.
«Mi sto sentendo stupido in questo momento.» Le dico, interrompendo il nostro abbraccio.
«Finalmente ti sei reso conto che sei stupido.» Mi risponde lei ridendo, lasciandomi un leggero bacio sulle labbra.
«Simpatia portami via, proprio.» Le rispondo, alzando gli occhi al cielo e cercando di trattenere il sorriso che sta per nascere sul mio viso.
«Guarda che lo so che stai per ridere, ti conosco da troppo ormai.»
«Comunque, ho realizzato adesso che erano tutti e quattro dei segnali; al momento non ho pensato a una cosa del genere.»
«Complimenti, ti meriti un applauso.» Mi dice sorridendo.
«Ma cosa hai assunto oggi? Sei più simpatica del solito.»
«Diciamo che sono felice; non l'ho mai ammesso davanti a te, ma sei l'unico ragazzo che vorrei come padre dei miei figli e sapere che fra otto mesi ti vedrò con una bimba o un bimbo in braccio, mi riempie il cuore di gioia.»
«Da oggi in poi dovremo tenere il peluche e la bambola a portata di mano.»
«E la maglia di mio padre dove la metti? Guarda che il piccolino o la piccolina capirà subito chi è forte e chi è scarso.»
«Davanti a Paolo Maldini, mi inchino, ma questo non vuol dire che io sono scarso.»
«Papà dedicava i gol alla mamma, tu non l'hai ancora fatto.»
«Sei terribile, non posso neanche usare la scusa dell'essere difensore perché lo era anche tuo padre. Ma non mi sono mai arrivate lamentele dopo che ti ho regalato qualche maglia.»
«Sai, devo accontentarmi di te; prima ero abituata bene, adesso ci sei solo tu.»
«Potresti ridarmi tutte le maglie, visto che sono scarso; sai quante ragazze farebbero di tutto per avere una mia maglia?»
«Libero di andare da chi vuoi; scordati solo di vedere tuo figlio in caso.»
«Scusa, sai cos'è questo odore che c'è in camera? Ah sì, è la tua gelosia.»
«Non sono gelosa, ficcatelo in quella testolina vuota.»
«E tu ficcati in quella testolina che non ti lascio. Dovremo pur ripetere quel disegno fatto anni fa o sbaglio?»
«Sai quante ragazze farebbero di tutto per ricreare quel disegno?» Dice scimmiottando la mia voce.
«Sei bellissima quando fai la gelosa; ti amo, anzi vi amo.» Le dico baciandola, per poi piegarmi sulle ginocchia e alzare la sua maglia.
«Ciao piccolino di papà; sì, parlo al maschile perché sarai un bellissimo bimbo che farà innamorare tutte di lui. E sai perché sarà così? Perché prenderai tutto da me; sarai bello, simpatico, intelligente e forte quanto me. Ti aspetterò con ansia, piccolo campione; vedi di non far disperare tua madre perché, altrimenti, la devo sopportare io quando e se sarà nervosa.» Il mio discorso è interrotto da Isabella che mi tira uno schiaffo sul braccio.
«Hai visto? Tua madre inizia già a stressarmi; quando sarai abbastanza grande, ci alleeremo contro di lei. Ora ti lascio e vado a coccolarla, perché altrimenti rischi di nascere senza padre. Ti amo già, piccolino.» Concludo il mio discorso baciandole la pancia.
«Davide, sei un cretino.»
«Un cretino meravigliosamente bello e che tu ami.»
«No, un cretino meravigliosamente modesto.»
«Ti amo, mammina.» Le dico, rubandole un bacio.
«Anche noi, papino.» Mi dice lei, abbracciandomi.
«Sarai un ottimo padre, grazie per averla presa così bene.» Mi sussurra, alzando la testa dal mio petto per guardarmi negli occhi.
«Non ti avrei mai lasciato sola; non devi assolutamente ringraziarmi. E comunque, non preoccuparti perché sarai un'ottima madre.» Le dico continuando a stringerla a me; la conosco abbastanza bene da poter dire che ha avuto- e ha tutt'ora- paura di ottenere un rifiuto da parte mia perché desidero concentrarmi sulla carriera o per altre paranoie che le sono nate in testa.
«Non voglio interrompere questo momento, ma sto morendo di fame; se non hai voglia di cucinare, posso farlo io.» Le dico, mentre ci dirigiamo in cucina.
«Davide, sono incinta, mica invalida; e poi, non mi fido così tanto di te in cucina, dovresti saperlo.»
«Non sono così inaffidabile come pensi, ciccia.»
«Credi quello che vuoi, ma la cucina non la tocchi.»
«Quanto rompi, mamma mia; e, come se non bastasse, in questi nove mesi sarai ancora più intrattabile.»
«Senti, ho il vaffanculo facile; non ci metto tanto a regalarti un biglietto di sola andata.» Mi dice lasciandomi un bacio sulle labbra.
«Comunque, giusto perché tu lo sappia, Francesca già lo sa; stamattina eravamo insieme e non stavo benissimo. Ero debole e soffrivo tanto il caldo che, come tu ben sai, è una cosa che non mi ha mai dato problemi. Le ho chiesto di non dire niente perché vorrei aspettare l'ecografia del terzo mese; i primi mesi sono quelli più cruciali e sarò in ansia, te lo dico già. Spero che non sia un problema per te.» Mi dice, dopo essersi staccata dalle mie labbra.
«Assolutamente no, possiamo anche aspettare fino a quando possiamo nasconderlo; comunque, perché non mi hai detto che stavi male?»
«Perché sono ancora qui, idiota! Non ero tranquilla perché non sapevo cosa avessi, ma ora che lo so sono serena. Adesso, fai qualcosa e renditi utile: apparecchia la tavola, almeno quello.»
«Certo amore mio, non vorrei che ti stancassi troppo.»
«Idiota, sei un idiota.»
•••
Per ora, questo è il mio capitolo preferito (ed è anche uno tra i più lunghi che io abbia mai scritto); come vi dicevo ieri, spero davvero che vi sia piaciuto quanto è piaciuto a me scriverlo. È stato il primo capitolo che ho pensato, il giorno in cui mi è venuta in mente la trama; quindi ci tengo molto a questo capitolo🙈
Ci sentiamo presto, buona serata😘
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