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Se solo lei avesse saputo...

Questa qui è una "One-shot". Per chi non conoscesse il termine (cosa non impossibile, dal momento che la prima volta che lo lessi rimasi così O_O), è un termine inglese che viene utilizzato per indicare storie brevi che generalmente iniziano e finiscono all'interno dello stesso capitolo. Non possono considerarsi storie "vere" poiché non hanno chissà quale trama o chissà quale svolgimento degli eventi - sarebbe impossibile sviluppare un fitto intreccio di fatti all'interno di sola qualche pagina -, ma devo dire che hanno il loro valore. Spesso la loro carta vincente sta nell'impatto che hanno col lettore e ciò che riescono a lasciare dal racconto di un semplice evento. Le ho scritte per un concorso a cui partecipai l'anno scorso qui su wattpad, che prevedeva tre fasi alle quali non era sicuro accedessimo. Ci riuscii e, alla fine, mi classificai quinta. Avremmo dovuto scrivere le One-shot sulla base delle tre parole che ci venivano fornite dagli organizzatori, che sono quelle che troverete in grassetto. Non ho alcuna intenzione di svelarvi di cosa parli, per cui... scopritelo leggendolo!

Se siete arrivati fin qui e già tanto, dal momento che non la smetto più di parlare xD Per cui grazie e buona lettura!

Laura.

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Ci siamo mai chiesti se, nel moto perpetuo della vita, esiste un legame invisibile e ininterrotto con la Terra e se questo rimane tale anche quando, purtroppo, siamo costretti a lasciarla?

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Se solo lei avesse saputo...

La osservavo da giorni, ormai, e tutti i giorni non facevano altro che tramutarsi in tempo trascorso sempre all'interno della stessa triste, malinconica e dolorosa vita. Al mattino sbuffava al suono della sveglia e poi si metteva seduta sul letto, si specchiava attraverso il vetro fisso sull'anta dell'armadio di fronte al letto e ignorava, ormai, le perenni occhiaie nere proprio sotto a quegli occhi un tempo così vivi e verdi come il mare cristallino. Poi si metteva in piedi, già stanca, e andava dritta dritta a svegliare i bambini. Li accarezzava sulla fronte e sorrideva, osservando le loro labbra schiuse e macchiate, a volte, di un rivolo di saliva che colava lungo il mento. Michele, pensava, sei proprio identico a tuo padre quando russi!, e lo faceva immaginandosi di sorridere senza realmente farlo, mentre osservava il volto del più grande dei nostri figli. Aveva sette anni e i suoi occhi erano grandi e verdi proprio come quelli di mia moglie. Quando parlava, i tratti del suo viso e le fossette che gli si formavano naturalmente sui lati delle labbra, lo rendevano la versione maschile perfetta della serenità di mia moglie. L'altra bambina invece, Giorgia di cinque anni, era tale e quale a me ed era forse per questo che Elena, mia moglie, stava ben attenta a non soffermarsi troppo quando osservava il suo viso. Giorgia percepiva che qualcosa non andava nella sua mamma, potevo sentirlo nel suo cuore, eppure non faceva domande. Era troppo piccola e innocente per credere che sua madre, ultimamente, lasciava che il dolore le facesse compiere atti egoistici. Riusciva a farli alzare dal letto con dolcezza, attendeva che mangiassero la colazione da lei preparata e poi li portava a scuola. Li salutava con un veloce "Buona giornata, piccoli miei! E fate sempre attenzione!", li osservava salire le scale ed entrare nell'androne dell'edificio scolastico, per poi mettere in moto e andare a lavoro. Lavoro... Elena soleva chiamarlo così, ma in cuor suo sapeva che era solo un misero modo per sfruttarla. Faceva le pulizie per conto di una certa signora Angelini, la quale era moglie di un vecchio senatore a vita e possedeva metà delle terre dell'intera regione dell'Emilia Romagna. Non aveva "tempo" per dedicarsi alla pulizia degli appartamenti e così aveva lasciato, un giorno, un annuncio sul giornale rivolto a tutta quella gente che si trovava in stato di bisogno. La paga proposta era così misera che quando a mia moglie balenò in mente l'idea di prendere il telefono e mettersi in contatto con lei, avrei voluto comparire nel bel mezzo del salone e urlarle che non se ne parlava nemmeno. Non ho potuto farlo... E mia moglie ha chiamato. La osservavo raggiungere la villetta che le era stata affidata, tutti i giorni. Stavo ben attento che almeno arrivasse sana e salva, dato che non potevo fare nient'altro. Lasciava la macchina sul vialetto d'ingresso, sostituiva le sue amate ballerine con un paio di scarpe comode e poi si affrettava a raggiungere la casa. Nel suo volto non c'era mai un sorriso. Aspettava che le aprissero la porta, poi entrava e subito si dirigeva verso il vecchio stanzino nel quale la signora Angelini le avrebbe fatto trovare ogni sorta di detergente e diavolerie simili. E così mia moglie iniziava a spaccarsi la schiena, fino alle quattro del pomeriggio. Quando rientrava, nell'esatto momento in cui varcava la soglia di casa, veniva travolta dallo stesso dejà vu: l'immagine di me seduto su una sedia a casa della nostra cucina, intento a far fare i compiti a Michele che aveva appena finito la prima elementare. Facevo il tecnico informatico, a mio tempo. Di solito lavoravo durante la mezza giornata della mattina, motivo per cui ero quasi sempre il primo dei due a rientrare, preparare il pranzo e iniziare l'avventura dei compiti di mio figlio. Era decisamente il momento più bello, quello in cui la stringevo tra le mie braccia. Mia moglie lasciava che una lacrima le colasse sul viso, poi un'altra e un'altra ancora. Si concedeva pochi istanti per lasciar spazio al dolore, poi uno dei nostri figli compariva, avendola sentita rientrare, e lei tornava a seppellire il ricordo per non crollare. Quando andava a letto, la sera, la sua mente intraprendeva in maniera inconsapevole un percorso di autodistruzione. Si chiedeva se avesse potuto prevederlo, se solo avesse potuto trovare il modo di far eseguire quel trapianto. In una folle idea, lasciava che si colpevolizzasse per non aver avuto il coraggio di dirmi: "Te lo do io il cuore, basta che tu viva ancora". Se avessi degli occhi, se avessi un viso... lascerei lacrime di disperazione colare su di esso. Mia moglie avrebbe voluto morire al posto mio, avrebbe voluto darmi il suo cuore mentre io, quando ancora ero in vita, la incolpavo per non riuscire davvero a capire come mi sentivo. Mi era stato diagnosticato un grave problema, qualcosa legato alla valvola dell'aorta e ad una malattia che non gli permetteva più di funzionare come avrebbe dovuto. Quando il medico, dopo una serie di controlli accurati, ci disse che non avrei potuto far altro che sperare in un cuore di sostituzione, avevo all'istante pensato che avrei dovuto preparare il modo giusto per dire addio a mia moglie, ai miei figli e alla mia vita. Ricordo che nessuno di noi due parlò, quella sera. Non ne parlammo mai, in realtà. Continuai ad eseguire la cura, ad attendere, a rischiare quel maledetto infarto ogni volta che ricevevamo chiamate dall'ospedale, sempre speranzosi in un miracolo. Ma si sa: la vita decide. E i miracoli non sempre arrivano. Il cuore si spense, io me ne andai... E mia moglie morì con me, in quel momento. Il suo cuore batte ancora, ma solo per vivere. Solo per permettere ai nostri figli di continuare la loro vita, per fare da tramite, per essere la loro guida. Le sue emozioni sono spente. L'unico momento in cui riesco a percepire sentimenti nel suo cuore è quando si alza dal letto, nel cuore della notte, e in preda alla disperazione si fionda sulla porta della nostra camera da letto. La spalanca tirando via, furiosamente, le tende. Esce fuori sul balcone e alza il volto, completamente bagnato di lacrime, verso le stelle. Immagina di avere un sestante, di calcolare l'angolo di elevazione della stella più grande sopra l'orizzonte e di trovare la mia posizione sulla cartina dell'aldilà. Era la nostra passione preferita, quella di guardare le stelle e tentare di capirne la localizzazione di ognuna. Le avevo sussurrato, una volta, che se mai fossi andato via prima del previsto l'avrei attesa tra le stelle e le avevo confidato che credevo fermamente nella teoria proposta dalla protagonista del film Storia d'inverno. Lei diceva: "C'è un mondo oltre questo mondo nel quale siamo tutti collegati e tutto fa parte di un grande piano in costante mutamento". Non credo esista storia più vera. Quando mia moglie andava ad osservare le stelle, spesso si lasciava scivolare sulle piastrelle del pavimento e si portava le mani sul volto, dando sfogo ad un pianto sonoramente disperato. Io mi chinavo accanto a lei, bruciando nell'anima per non aver più la possibilità di poter essere visibile, e con la mia anima accarezzavo la sua e le suggerivo, tramutandomi nella sua saggezza, di tornare a dormire. Mia moglie si guardava intorno stranita, ad un certo punto, e il suo cuore si risvegliava perché aveva la sensazione di sentirmi. Allora si alzava, lentamente, e si dirigeva nel nostro letto. La sua mano, poco prima di addormentarsi, si allungava sul mio cuscino e lo stringeva come se fosse l'unica ancora di salvezza che le fosse rimasta.

Un giorno, uno dei tanti di questi due mesi trascorsi, mi sono chiesto per quale ragione sono ancora qui. Le porte dell'aldilà sono chiuse, sono un'anima vagamente bloccata in una sorta di limbo. Una voce ha risposto alla mia domanda inespressa: "La tua missione non è legata a te stesso, figliolo. Sei un caso tra i pochi la cui missione è legata alla vita di qualcun altro. Tu sei la ragione che tiene in vita il cuore di tua moglie. Sii la terra su cui cammina, l'aria la cui bocca respira, gli oggetti le cui mani toccano. Sii l'uomo che amerà un giorno, le gioie che proverà, la cura che la farà uscire dal dolore. Sii la sua anima e occupati della sua salvezza. Solo allora la tua missione sarà compiuta". In quel momento capii: io vivevo ancora, e lo facevo solo per lei. Così, mi tramutai nello spazio, nel tempo, nei gesti della gente, nelle parole del mondo, nelle gioie e nei dolori della vita, nel vento dell'aria e nelle stelle dell'universo. Le resi la vita man mano più semplice, le regalai la felicità e le donai il cuore di un altro uomo. Elena gioì di nuovo, rise di nuovo e pensò di nuovo che la felicità esiste. Ma soprattutto, lei amò di nuovo.

Ah... Se solo lei avesse saputo che io non sono mai andato da nessuna parte.

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