Oltre ciò che vedi
Questa qui è la seconda One-shot che scrissi per lo stesso concorso della storia precedente. Ci sono altre tre parole in grassetto, quelle della seconda fase, a cui sono riuscita a dare un senso che sinceramente non mi aspettavo di riuscire a costruire! Di questa particolare one-shot vado fiera, a dire il vero, perché la scrissi in una sera d'estate in preda al vero e proprio bisogno di mettere su carta la soluzione perfetta che la mia mente era riuscita ad elaborare dopo essere stata un intero giorno a lezione di musica. Sì, ragazzi: amo la musica. E lo capirete, spero. Anzi: spero che se passeranno da qui lettori che sono anche amanti di musica, l'apprezziate almeno un po'!
Buona lettura!
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Milano. E' la trama di una vita che scorre con occhi diversi dai tuoi. La trama di una vita che non è poi così lontana dalla realtà.
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Era nato il primo Gennaio del 1970. I suoi genitori avevano definito l'evento un vero e proprio frutto del caso, niente di particolare. Tutt'al più, un favore da parte dell'universo nel concedergli un giorno da festeggiare doppiamente, come compenso del disagio scritto nel suo DNA, inequivocabilmente esistente. Aveva emesso il primo vagito subito dopo aver tagliato il cordone ombelicale e aveva aperto quegli occhietti dolci già pochi giorno dopo la nascita. Chiunque venisse a far visita al neonato, soleva richiamare la sua attenzione col solito pizzicare del pollice e del medio di fronte al suo dolce viso. Leonard schiudeva la piccola bocca e spalancava le palpebre, le sue pupille sembravano puntare in direzione della fonte dalla quale proveniva il suono, illudendo così i presenti. Nessuno sapeva che a quella piccola e innocente creatura, a sei mesi esatti di vita, sarebbe stata diagnosticata una rara malattia conosciuta come "Amaurosi congenita di Leber". Essa, colpendo la retina, aveva deciso che il mondo per Leonard avrebbe avuto un solo ed unico colore: il nero. Era stata una malattia che aveva tessuto la sua tela nell'ombra, un viscido serpente che aveva strisciato lentamente verso la sua preda e vi aveva stampato il letale morso sulla vita con imposizione, rivelandosi quel maledetto fulmine a ciel sereno. «Una catastrofe!», l'avevano definita i suoi genitori. E avrebbero avuto ragione, se solo Leonard si fosse rivelato il ragazzo debole ed emarginato che tutti, compreso suo padre, si aspettavano che diventasse. Ma il ragazzo crebbe sano e pieno di vita, moralmente così forte da avere tutte le carte per giocare quella partita col mondo. Durante gli anni della scuola elementare gli fu affidato un bastone da portare con se ovunque andasse, ma all'età di diciotto anni Leonard capì di non averne bisogno. Aveva imparato ad affinare i quattro sensi funzionanti, era praticamente cresciuto sotto la guida di quella tetrarchia. Eppure aveva sempre saputo, in cuor suo, che soltanto uno di quei quattro sensi funzionanti avrebbe potuto rendergli la vita così semplice da tramutare in un niente il disagio provocato dalla mancanza della vista: l'udito. Ah, che cosa sarebbe stato il mondo senza la sua musica? Sarebbe mai potuto esistere un universo senza suono? Avrebbe mai potuto una bolla così grande girare e girare senza produrre neanche la più piccola e debole vibrazione? No. La risposta a quelle domande era sempre la stessa. Leonard le poneva a se stesso anno dopo anno e mai, nemmeno nel più profondo e disperato momento di sconforto, aveva trovato una risposta diversa da darsi. Si iscrisse al conservatorio Giuseppe Verdi di Milano all'età di diciannove anni e ogni giorno per cinque lunghi anni sedette su quel piccolo sgabello dinanzi al pianoforte e ripercorse con le dita le otto ottave di cui era composto, memorizzandone con millimetrale decisione l'impercettibile distanza fisica tra un tasto e l'altro, il cambiamento di tonalità tra una nota e l'altra, l'alterazione dei suoni provocata da tasti più piccoli, situati in una postazione leggermente più alta. Imparò a percepire il tempo tra le dita, a costruire melodie le cui intensità non erano altro che l'impasto della sua stessa anima. Apprese perfettamente ogni corrispondenza tra un tasto e la sua nota di appartenenza e non ebbe alcuna difficoltà nel suonare più toni contemporaneamente. Scoprì piano piano che il mare aveva un suono preciso, così definito da riuscire a suddividerlo in singole note. Scoprì che lo stesso valeva per il vento, per l'aria, per la pioggia, per i rumori provocati dalla gente e anche per quelli provocati dalla vita... Valeva lo stesso per tutto ciò che rientrava nell'immensa eco del mondo. Qualcuno una volta gli aveva detto che le note potevano definitivamente mescolarsi in un gruppo di sette e che ognuna di queste aveva un nome ben preciso. Gli avevano detto anche che questi nomi erano composti da due lettere accostate le une alle altre, ma Leonard non era mai riuscito a comprendere appieno il significato di quella frase. Non aveva mai visto una lettera in vita sua.
«Puoi sempre trovare il modo di rappresentarle, dentro alla tua testa», gli aveva suggerito il suo insegnante durante una delle tante lezioni, avendo giustamente compreso la sua difficoltà. E Leonard era esattamente così che aveva fatto: aveva legato ogni nota al suo colore. E per colore non intendeva certo le tonalità cromatiche che noi comuni mortali conosciamo, no. Per un non vedente dalla nascita il significato di tutte quelle parole che rientrano nella sfera visiva assume automaticamente una forma nuova e assolutamente propria. Il rosso può essere una sorta di linea distorta, il blu due linee distorte oppure semplici linee la cui forma non è certamente descrivibile ad un essere umano la cui vista ha ormai stampato nella mente la sua immagine rappresentativa. I colori che conosceva Leonard erano qualcosa di straordinariamente personale e sconosciuto. Dopo aver concluso gli studi al conservatorio e dopo aver partecipato a innumerevoli concorsi e manifestazioni attraverso i quali era riuscito a mostrare il suo talento ad un vasto pubblico, avrebbe tanto voluto frequentare un corso che lo avrebbe abilitato all'insegnamento della musica presso le scuole elementari. Durante la sua permanenza al conservatorio e durante alcune volte nelle quali aveva avuto l'occasione, dopo essersi esibito, di percepire dei ragazzi attorno a sé con il suo stesso disagio, aveva sentito l'inarrestabile bisogno di entrare in comunicazione con loro. La sua acuta sensibilità e il suo personale modo di percepire i suoni gli dicevano che c'era sofferenza nei cuori di quegli innocenti ragazzi, costretti a trascorrere un'intera vita tra le grinfie di un'oscurità che di sicuro non avevano chiesto, e che questa era la ragione per la quale avrebbe tanto voluto sedere sulla sua personale cattedra e spiegare loro che ciò che il mondo ritiene normale è solo un banale punto di vista. Ma si sa... La paura che il debole possa in realtà essere più forte di colui il quale si ritiene tale è così intrinseca nella natura umana da lasciare un segno indelebile nella società. A Leonard non fu permesso nemmeno di iscriversi al corso di abilitazione: per un uomo come lui l'insegnamento era off limits. In che modo un miserabile non vedente, un sognatore stralunato con la sola capacità di suonare alla perfezione uno strumento, una briciola caduta per errore sul fondo del piatto ricoperto di prelibatezze avrebbe mai potuto tramutarsi nella figura del perfetto insegnante? La risposta a questa domanda l'avrebbe certamente data il tempo. Leonard trascorse mesi nell'abbandono... Fu per un attimo sul punto di convincersi che non avrebbe mai fatto nulla di buono nella sua vita, ma poi ci ripensò e si rimboccò le maniche. Acquistò una tastiera elettrica e per due settimane suonò ininterrottamente al centro della piazza più importante di Milano, provocando la raccolta di molti ragazzini attorno a sé. Quando fu sicuro di averli incuriositi al punto che questi avrebbero preso seriamente in considerazione l'idea di incontrarsi con lui durante delle specifiche ore, Leonard fece la sua proposta. Trasformò l'unica stanza nella quale viveva in una vera e propria sala di musica e in men che non si dica impartì loro lezioni sulla vita di qualunque genere, tutte attraverso parole, musica e suoni. Un giorno qualcuno gli disse che avrebbe tanto desiderato vedere solo per conoscere la forma fisica di quelle che tutti solevano chiamare "lettere dell'alfabeto". Si trattava di un ragazzo che aveva una passione sfrenata per la letteratura, sebbene non avesse mai potuto goderne a pieno. L'idea balzò in mente a Leonard come un'onda che gli travolse i pensieri. Si alzò in piedi, si schiarì la gola e in tono solenne disse ai ragazzi che forse non avrebbero mai potuto vedere una lettera in tutta la loro vita e che non avrebbero potuto neanche scrivere: ma di sicuro avrebbero imparato a riconoscerle. Chi ha mai detto che le note debbano corrispondere solo e soltanto ai suoni? E se due volte do corrispondesse al suono della lettera A? Se l'unione fa-sol corrispondesse alla T? Se si creasse un alfabeto di note? Niente è ovvio se l'ovvietà pone degli ostacoli. Leonard lo capì e lasciò che la sua creatività si sprigionasse su quell'invenzione sorprendentemente utile. Il meccanismo era quello di far corrispondere due note ad una lettera dell'alfabeto e fu appreso così rapidamente dai ragazzi, da fare il giro della città in men che non si dica. Molto presto arrivò la proposta di creare un consorzio mediante l'unione di più istituti musicali al fine di gestire tutte le scelte in merito a quello che ben presto sarebbe stato coniato come il nuovo metodo di studio per i non vedenti. Accettò con il cuore scalpitante, ottenne ingenti finanziamenti e costruì insieme ad altri uomini una scuola di musica a tutti gli effetti. Così, un bel giorno, Leonard passò dall'essere il ragazzo incapace a colui che cambiò per sempre la storia dei non vedenti. E fu quello il momento nel quale realizzò che la sua vita, ormai diventata una dolce e tangibile melodia, poteva essere definita in un solo modo: una sinestesia perfetta.
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