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Capitolo trentatré

«Dobbiamo parlare.» La mia voce risuonò grave e coscienziosa. Lo sguardo di Camila si spense immediatamente e se avessi avuto il coraggio di osservarla meglio avrei notato il modo in cui il suo labbro inferiore si era proteso in avanti e del fremito febbrile che si era impossessato di esso, ma decisi di non farci caso, pretendendo di non cogliere nessuna di quelle particolarità.

«Va... va tutto bene?» Farfugliò intimorita. Adesso, anche se avessi voluto, non avrei potuto ignorare l'erompere del battito delle sue ciglia, sotto al quale cercava disperatamente di nascondere le sue emozioni, ottenendo esattamente il contrario.

«Si, cioè no... voglio dire...» Le parole mi si bloccarono in gola, si avvizzirono come un fiore durante l'autunno e ne restò solo il ricordo.
Sentivo i suoi occhi fissati su di me, impazienti di scoprire cosa mi stava turbando, ma più provavo a rincorrere le parole che erano sfuggite al mio controllo, più perdevo il filo del discorso.

«Lauren.» La sua voce mi riportò alla realtà. Alzai lo sguardo su di lei, trovando il solito sorriso confortante a fronteggiarmi «Dillo e basta. Qualunque cosa sia non cambierà le cose fra di noi.» Provò a rassicurarmi, ma per quanto le sue intenzioni fossero pure, non riuscivo a cedervi.

Mi alzai in piedi e camminai nervosamente avanti e indietro per la stanza, con le mani intrecciate dietro la schiena e lo sguardo fisso sul movimento frettoloso dei piedi.

«Sì però adesso mi stai facendo preoccupare.» Esordì Camila interrompendo il silenzio venutosi a creare. Feci un bel respiro e mi convinsi a parlare.

«Lucy è qui.» Evitai il suo sguardo di proposito, ma questo non mi impedii di percepire la sorpresa nel ritmo dirompendo del suo respiro «E... e noi ci siamo viste.» Ammisi in tono flebile, incontrando sbadatamente i suoi occhi.

Erano colmi di dolore, neanche l'ombra che aveva offuscato le sue palpebre riusciva ad eclissare la sofferenza ristagnatasi nelle iridi.
Credo che in qualche modo riuscì a captare il mio pensiero perché abbassò lo sguardo, non in un gesto spontaneo ma meccanico, come per nasconderlo alla mia vista.

«Lo so che avrei dovuto dirtelo prima, ma avevo paura che fraintendessi. Sono andata da lei solo per risolvere delle incombenze con la casa.» Aggiunsi frettolosamente, prima che la sua mente navigasse in acque poco sicure.
Lei annuì impercettibilmente, come se la parte razionale di lei avesse percepito le mie parole, ma tutto il resto fosse rimasto immutabile.

«Camila ti prego dì qualcosa.» La supplicai inclinando la testa su un lato per enfatizzare la mia richiesta che risuonò come un imploro disperato alle mi orecchie.

«L'hai vista oggi vero?» Chiese con tono soffocato e sprezzante. Annuii senza nemmeno tentare di controbattere. Anche se avessi ribadito il fatto di averla incontrata solo per intralci nella ristrutturazione, non avrebbe comunque giustificato la mia assenza durante il giorno di Natale. Non avevo scusanti.

«Era lei che ti scriveva in questi giorni?» Chiese di nuovo, ora la voce rotta dal pianto che si era fermato in gola formando una barriera graffiante per le parole che vanamente tentavano di uscire.

«Si, ma Camila non c'è stato niente e non mi interessa minimamente di lei. Avevo il timore di parlartene per paura che ti arrabbiassi.» Presi a giocare con le dita della mano, usandole come scusa per non guardarla negli occhi.

Il suo sguardo svilito era un po' la prova concreta di ciò che avevo fatto. Come se finora avessi soltanto dato forma ad un pensiero che non rispecchiava la realtà.
Mentivo. Mentivo a me stessa, perché quel rimorso era reale e Camila ne stava pagando le conseguenze.
È questa la parte peggiore. Quando in una relazione sbagliamo, non siamo gli unici a pagarne, anche l'altra persona soffre per colpa di un'azione che abbiamo commesso.
Avrei voluto trarre il suo dolore e incastonarlo nel cuore d'argento che mi aveva regalato. Io ero l'unica che meritava di soffrire per le proprie azioni, non lei.

«Se non valeva niente allora perché non me l'hai detto?» Disse in tono flebile. Il suo dispiacere mi mortificava, speravo si arrabbiasse e lasciasse uscire quel dolore in un grido iracondo, ma non lo fece. Tenne tutto dentro e lasciò che fosse la sua anima a portarne il peso.

«Non volevo scombussolarti per niente.» Sospirai e alzai la testa nella sua direzione, ma lei teneva lo sguardo basso, fisso sulle chiavi che le avevo regalato.
«Perché per me Lucy non è niente.» Sottolineai scandendo ogni parola, pensando che potesse arrivarle più forte il messaggio.

«E se non fosse così? Se inconsciamente una parte di te fosse ancora legata a lei?» Il suo dito stava percorrendo il contorno del portachiavi a forma di C, ed ogni volta che raggiungeva il bordo avevo un sussulto, come se da un momento all'altro stesse per lasciare cadere il mazzo di chiavi e assieme anche le mie speranze.

«No Camila.» Mi mossi verso di lei sospinta da un impeto turbinoso. Mi inginocchiai per raggiungere l'altezza del suo volto e presi le sue mani nelle mie, sentendo il metallo a contatto con il mio palmo. «Sono felice con te, nessun altro potrebbe farmi stare bene come fai tu. Per sfortuna Lucy si occupa della casa dove andrò a vivere, ma non è altro che questo.» Muovevo convulsamente le sue mani nelle mie, sfogando l'angoscia in quel movimento reiterato.

«Avresti potuto dirmelo, se è davvero come sostieni.» Sfilò lentamente le mani nascondendole dietro la schiena. Il mio cuore perse un battito, forse gli perse tutti e dovetti mettere una mano sul petto per costatare che era solo una sensazione e che il muscolo continuava, seppure con ritmo alterato, a battere.

«Camz, non intendevo ferirti. E forse nella cieca convinzione di proteggerti mentendoti, ho ottenuto esattamente ciò che non volevo.» Scossi la testa rimproverandomi per ciò che avevo commesso. Non avevo gestito scaltramente la situazione, ma anzi l'avevo ingarbugliata ancora di più.

«Tu e lei... Vi siete solo baciate in passato?» Non so come giunse a tale quesito, ma mi sorprese la freddezza della sua domanda. Era come se fosse riuscita a scavare dentro di me, ad artigliare le mie paure e ad estrarle dagli anfratti più reconditi della mia anima.

Riflettei un secondo. Continuare a mentire avrebbe causato solo maggior attrito, maggior sconforto.
Scossi la testa e mi sedetti sul pavimento, sentendo il ginocchio intorpidirsi per l'eccessiva pressione esercitata a lungo. Incrociai le gambe e mantenni lo sguardo puntato sulle mani poggiate davanti a me.

«Siamo state fidanzate, ma non siamo mai andate a letto insieme.» Precisai frettolosamente, come se quel particolare, ai miei occhi fondamentale, ma probabilmente insulso ai suoi, potesse scagionarmi.

«Dopo un mese che ci vedevamo lei disse di amarmi, io non reciprocai. La nostra storia finì lì, poi ho conosciuto Trevor e il resto lo sai.» Conclusi non divagando in argomenti che avrebbero soltanto appesantito la conversazione.

Sentii il suo sospiro tagliare a metà la tensione che si era depositata nella stanza come un ospite indesiderato.
Non riuscii a pensare ad altro che a quel respiro e al modo faticoso con cui l'aveva lasciato scappare dalle sue labbra. Immaginai racchiudesse tutta la sua delusione e l'amarezza che io avevo improntato in lei e ora, con meschinità irriflessiva me la restituiva.

«Quindi durante giorno di Natale sei andata a parlare con la tua ex, mentendo a tutti, specialmente a me e pretendi che io creda che questo non voglia dire niente...?» Era una domanda retorica, ne ero consapevole, ma sentii l'esigenza di rispondere al suo commento di gentilezza esigua.

«Sono andata da Lucy per discutere della casa. Avevo paura di non riuscire a sostenere i lavori, nonostante i risparmi che ho.» Sospirai e feci una breva pausa che mi permise di ricompormi, almeno momentaneamente, e mi permise di proseguire il discorso.
«Avevo paura di perdere te. E anche Heali.» Quest'ultima parte uscì in un respiro smorzato.

Sentivo l'aria venirmi a mancare, gli occhi bruciare e l'usuale groppo formarsi in gola.
Impedii a quelle giustapposte emozioni di sfociare in un pianto, di liberare i suoi artigli nelle lacrime e respinsi tutto in fondo allo stomaco, dove sapevo che sarebbe rimasto indisturbato a lungo, fino a quando avrebbe iniziato a bussare insistentemente per uscire.

«Non mi avresti persa. Perché avresti dovuto? Non mi piace Lucy, ma se vi avessi detto che si trattava solo di incombenze sulla casa non avrei posto resistenza.» Stava ancora giocando con le chiavi e, almeno dal mio punto di vista, sembrava che esercitasse maggior pressione sulla parte di legno e con un accentuato disprezzo.

«Lo so, adesso me ne rendo conto. Sono stata una stupida, perdonami.» Mi inginocchiai nuovamente, avvicinando il mio volto al suo.

«È un po' tardi per rendertene conto.» Rispose con un sorriso sarcastico che ampliò le mie paure.
Scossi la testa, pregandola silenziosamente di capire, ma la sua mente viaggiava su un dirupo scosceso e, per esperienza, sapevo che quella era la strada peggiore, colma di pensieri nefasti e sfiducia radicata.

Tentai di riportarla indietro intrecciando le nostre dita assieme. Il suo corpo si irrigidì sotto il dominio del mio tocco, fissò l'unione delle nostre mani e un'espressione affranta dipinse il suo volto. Era come se non riconoscesse più quel legame con tale armonia e perfezione con il quale lo interpretava prima.

«Camz.» La pregai di guardarmi. Obbedì. I suoi occhi erano contornati di ombre, ignoti fantasmi che attraversavano le sue iridi e ristagnavano nelle pupille.

«Lauren non voglio lasciarti.» Quella dichiarazione inaspettata mi restituì anni di vita che avevo perso durante quella conversazione «Non ci penso nemmeno a lasciarti andare, ma vorrei che tu capissi come mi sento, che tu cercassi per un attimo di metterti nei miei panni e comprendere quanto mi facciano male le tue bugie.» Sbatté ripetutamente le palpebre, potevo vedere delle lacrime represse ora imperlare le sue ciglia.

«Ritenevi che fosse più intelligente tenermi all'oscuro di tutto, invece che parlarne da persone adulte. Non mi piacciono questi giochi, perché tali li ritengo e non mi piace la facilità con la quale hai mentito per tutto questo tempo.» Portò una mano sul cuore, come se sentisse che qualcosa di stava rompendo dentro di lei e tentava di mantenerlo unito affidandosi a quel gesto banale.

«Dopo che mia madre è morta non mi sono fidata più di nessuno, ho pensato solo ad Heali e ho messo da parte Camila. Per tanto tempo ho lasciato che le mie necessità scivolassero in secondo piano, ma poi sei arrivata tu e mi hai ridato tutto quello che la vita mi aveva tolto. Io mi sono fidata di te, ti ho dato in mano me stessa, ma per essere protetta, non distrutta.» Si asciugò delle lacrime che avevano lasciato solitarie i suoi occhi e che sembravano essere solo l'inizio di un pianto.

«So che magari sto esagerando, ma se sapessi come mi sento io adesso capiresti di cosa sto parlando.» Il suo labbro inferiore era tenuto in ostaggio da un tremito febbrile. Desideravo baciarla e fermare quel fremito che descriveva perfettamente il suo stato d'animo.

«Non lo fare più Lauren. Ti prego non lo fare più. Non sono pronta a cadere a pezzi di nuovo.» Lanciò le braccia attorno al mio collo, sorprendendomi enormemente, ma non feci ostruzione.

Lasciai che il suo corpo, ormai scosso dal pianto si rifugiasse sul mio petto e che il suo volto trovasse conforto nell'incavo del mio collo.
Caddi all'indietro, con lei ancora saldamente legata a me e mi distesi sul tappeto.

La strinsi forte a me, percorrendo la sua schiena con una mano e accarezzando i capelli con l'altra.
Lasciai che il suo dolore diventasse il mio e permisi a quell'emozione repressa di spalancare la porta dietro alla quale l'avevo chiusa. Piansi anch'io, non disperatamente come lei, ma sommessamente rispettando il suo sfogo inaudito.

Camila strinse più forte le braccia attorno a me, mentre lentamente il suo pianto scemava e con esso le sue energie. Abbassai la testa su di lei per guardarla e vidi le sue palpebre appesantirsi fino a chiudersi e le labbra, liberate ora dal tremolio, schiudersi gentilmente mentre il suo corpo si abbandonava stremato ad un riposo quasi imposto.

Lasciai che si addormentasse sopra il mio petto, con le mani ancora chiuse in due pugni contro la mia maglietta e il volto appoggiato sul mio torace.
Continuai ad accarezzarle i capelli, mentre con l'altra mano le cinsi la vita e l'attirai più vicina a me per imprimerle un bacio sulla fronte.

Non potevo credere di essere stata causa di tanta sofferenza. D'ora in poi mi sarei impegnata per non farla piangere mai più, se non di gioia.
Basta bugie, basta segreti.
Non avrei permesso a Lucy di denigrare la nostra relazione, non le avrei concesso la soddisfazione di vederci cadere a pezzi. Sarei stata forte per Camila e avrei mantenuto le distanze con l'altra donna.

Proprio mentre ponderavo quell'idea il mio telefono iniziò a vibrare.
Un brutto scherzo del destino.
Lo afferrai prima che svegliasse Camila.

Era un messaggio di Lucy.

Mi dispiace averti causato problemi oggi. Resterò lontana, se vorrai, ma prima permettermi di illuminarti.
Camila Cabello non è chi dice di essere. Rifletti Lauren, indaga e scoprirai che non sto mentendo.

Cancellai il messaggio e allontanai il telefono. Stava solo cercando di entrare nella mia mente. Lei non sapeva niente di Camz, stava mentendo. Cercai di convincermi di ciò, ma un mormorio rimase intrappolato nelle mie orecchie e per quanto tentassi di non ascoltarlo, restava sempre un dubbio.

Che cosa voleva dire?

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Ehilà! Spero che la storia vi stia piacendo. Volevo ringraziare tutti quanti per ciò che ogni giorno fate per me. Il vostro supporto è fondamentale e ringraziarvi è lecito :)

A presto ❤️

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