Capitolo trenasette
Pov Camila
«Che cosa? Stai scherzando vero?» Riuscii a dire, sentendo l'eco delle sue parole rimbombare nella mia testa a riprova del fatto che fosse avvenuto davvero.
«Ti sembra che stia scherzando?» Urlò su tutte le furie, portando indietro i capelli con una mano e si afferrandosi la nuca, per lasciar cadere la testa all'indietro.
«Ho interrotto una relazione di sei anni per te! Sei fottuti anni.» Ribatté con tono duro. La cosa della quale avevo più paura era che considerasse la rottura con Trevor un pentimento.
«Sono andata contro la famiglia di Trevor per te, ero pronta ad affrontare i miei genitori per te. Ero pronta a mettere su casa con te! Ero pronta ad accogliere Heali come una figlia per noi.» Fece una pausa che le servì per recuperare fiato. Il suo viso era diventato rosso come il sangue che scorreva rapidamente nelle sue vene.
«Io ero pronta a sovvertire la mia vita per te.» Scosse la testa incredula, come se ancora non si capacitasse di ciò che stava succedendo davanti ai suoi occhi, come se a parlare fosse un'altra persona. Qualcuno che non conosceva.
«E tu come mi ricambi? Mentendomi dal primo giorno, dal primo istante in cui ci siamo conosciute.» Puntualizzò, ma ora non sembrava più arrabbiata, solo molto delusa.
I suoi occhi luccicavano sotto la luce traditrice che mise in risalto la patina che rispecchiava nei suoi occhi.
«Lauren, ti prego, cerca di capire.» Unii le mani in preghiera, mantenendo un tono placido, del quale mi servì per dimezzare la distanza fra di noi.
«Ti conoscevo a malapena... Era un segreto che conosceva soltanto mia madre, come potevo parlarne ad un'estranea? Nemmeno Ally ne è a conoscenza.» Notai il suo sguardo farsi sempre più annebbiato, avvolto in uno strato di lacrime che mi laceravano più di qualsiasi sentimento provassi al momento.
«Lo so Camila, ma non mi sembra di essere sempre stata un'estranea nella tua vita.» Disse ponendo più enfasi sulla parola che doveva averle fatto male più delle altre.
«Certo che non lo sei stata. Non lo sei.» Mi affrettai a dire, facendo un altro passo nella sua direzione, nella vana speranza di raccogliere le sue mani nelle mie.
«Lauren non lo sei.» Specificai con più vigore, rafforzando il concetto dopo che avevo visto l'insicurezza dilagare nei suoi occhi.
«Sei tutto per me. A volte l'unica ragione per la quale mi alzo da letto, ma questo non aveva niente a che fare con te. Era una cosa mia, personale.» Cercai di farle capire che non avevo condiviso quel segreto con lei perché l'avevo nascosto talmente bene dentro di me, avevo preteso con tutti di essere semplicemente la sorella di Heali che infine anch'io mi ero adeguata a quella condizione, dimenticando, seppur solo a livello razionale, il vero legame che ci univa.
«E non hai sentito il bisogno di condividerla con me? Con l'ipotetica persona con la quale avresti costituito un futuro?» Domandò allibita. Il suo volto esangue, le mani tremule come foglie in autunno. Non l'avevo mai vista così e mentirei se dicessi che non mi stessi preoccupando.
«È questo il punto Lauren. Un'ipotetica persona con la quale avrei potuto costruire un futuro non è abbastanza per svelare un segreto che porto dentro da anni.» Portai istintivamente una mano sul cuore e non so dire se percepii una leggerezza inconsueta, o un macigno pesante.
«Quindi tu mi reputi una probabile scelta futura?» Ridacchiò sarcastica. Una risata risata amara influenzata dalle lacrime salate che scendevano dagli angoli dei suoi occhi.
«Non più, ma prima sì. Quando tutto è iniziato, non potevo essere sicura di come sarebbe andato a finire. Non lo sono tutt'oggi perché non si sa mai cosa ha in mente il destino per noi.» Le spiegai sinceramente, avanzando un altro passo nella sua direzione. Lauren sembrava ancorata al terreno, come se i suoi pensieri avessero una forma propria e il loro peso le impedisse di muoversi.
«Non c'entra niente il destino. Qui si tratta di volerlo o meno.» Puntualizzò ritrovando un pizzico di rabbia che prima aveva lasciato cadere come polvere al vento.
«Tu lo volevi Camila? Avere un futuro con me intendo... Perché io lo desideravo con tutta me stessa. Era l'unica cosa per la quale avrei dato via tutto. Tutto.» La sua voce era rotta dal pianto; il suono irriconoscibile alle mie orecchie. Vederla in quello stato faceva male come una pugnalata. Ed era devastante sapere che ero stata io a ridurla in quelle condizioni.
Se avessi potuto strappare il cuore dal petto e darlo a lei, avendo la certezza che era più intatto del suo, l'avrei fatto.
«Certo che lo volevo. Lo voglio. Non sto mettendo in dubbio le mie intenzioni con te, ma so quanto possa essere crudele il fato. So che un giorno ti svegli, qualcuno cammina fuori dalla tua vita e non riconosci più niente di ciò che ti circonda.» Sentii le lacrime bruciare negli occhi. Alzai lo sguardo verso il cielo per impedire alle gocce formatasi nelle mie iridi di cadere penosamente sulle guance.
«Io non volevo perderti, ma mi svegliavo ogni mattina con la paura costante che te ne saresti andata, che avresti trovato qualcuno migliore di me.» Inspirai profondamente, ricacciando in basso il groppo formatasi in gola. Proseguii.
«Credimi, averti accanto è la cosa migliore che mi sia mai capitata. Darei ogni giorno della mia vita per avere la consapevolezza che resterai sempre con me, ma non posso farlo. Non avrò mai la certezza che non mi abbandonerai come hanno fatto tutti gli altri.» Lo sentivo. Sentivo di nuovo quel sentimento di solitudine represso per tutti quegli anni, adesso bussava alla porta e minacciava di sfondarla prepotentemente se non gli avessi dato ascolto.
«Lauren come potevo rivelarmi di fronte alla crudeltà del tempo? Se ti avessi detto la verità avrei potuto perderti e io non volevo. Non volevo lasciarti andare.» Nascosi il volto fra le mani.
Lasciai che quel sentimento abbattesse le porte dietro il quale era stato rinchiuso con prudenza.
Scalpitava dentro le mie vene, si agitava nello stomaco e si impossessava dei miei sensi senza che io ne avessi il controllo.
Le lacrime che solcavano il suo viso adesso rigavano anche il mio, lasciando un'impronta indelebile in quel giorno di sole in cui tutte le maschere si sgretolarono e lasciarono vedere il contorno delle anime di entrambe ad occhio nudo.
«Io non ti avrei mai lasciata.» Riprese la parola Lauren. La sua voce tremula e rotta dal pianto amplificò quel sentimento incastonato dentro di me.
«Non avrei mai permesso a nessuno di portarci via ciò che avevamo.» Specificò, guardandomi dritta negli occhi, come per provare la sua sincerità, per affermare il suo volere contro un destino che, però, aveva sempre la meglio.
«Non eri tu a deciderlo! Non sei mai tu a prendere certe decisioni.» Le puntai il dito contro, alzando leggermente il tono della voce. Ero frustrata perché si rifiutava di capire come mi sentissi e non riuscivo a imprimere il messaggio con le parole. L'unica arma della quale disponevo.
«Camila...» Sospirò e il suo respiro fece vacillare quel sentimento predominante dentro di me. Per un secondo, prima che tornasse a pompare di nuovo, gli tolse il potere.
«Camila so che la vita è stata dura con te, che ti ha portato via tanto, ma qualunque circostanza ci avrebbe divise io non avrei permesso a nessuno di portarti via. Non posso credere che tu mi reputassi soltanto un'ipotetica persona futura.» Abbassò lo sguardo sulle punte dei piedi che giocavano con la sabbia. Un moto semplice e poco riflessivo, ma che le occorreva per ricordarle di essere ancora viva.
«Non capirai mai Lauren. Hai sofferto, ne sono consapevole, ma non ti è stato portato via tutto come è successo a me.» Sfregai le mani l'una contro l'altra, facendo cadere i granelli di sabbia che erano rimasti appiccicati alla pelle.
«Non puoi capire ciò che si prova se non l'hai mai provato.»
Camminai verso la casa, intuendo che entrambe avevamo bisogno di un momento di riflessione. La sua voce però mi richiamò.
«Chi è il padre?» Domandò contraendo la faccia in una smorfia.
Respirare era diventato faticoso, quasi un supplemento allo sforzo che già stavo facendo per proseguire quella conversazione.
Deglutii e scossi la testa, cercando di formulare una risposta valida, che però, detta in qualsiasi modo, non avrebbe avuto nessun risvolto positivo.
«Non lo so.» Sussurrai, cercando di evitare il sguardo ad ogni costo. Mi vergognavo tremendamente di quel periodo della mia vita, l'avevo nascosto con cura e preteso che non fosse mai stato esistito.
L'unico esito positivo di quegli anni era stata Heali.
«Che... che significa che non lo sai?» Le parole venivano forzate ad uscire, come se qualcuno le stesse trattenendo, ma Lauren combatteva contro questo istinto e la sua voce usciva in un mormorio rotto e scomposto.
«Era un periodo terribile della mia vita. Ci sono cose che non sai...» In quel momento uno sbuffo acerbo, simile ad una risata, ruppe il mio racconto.
Alzò gli occhi al cielo e scosse lentamente la testa, come ad evidenziare l'ilarità delle mie precedenti parole.
«Cose delle quali non sono disposta a parlare, per ora.» Sottolineai, smorzando la sua aria saccente.
Ci sono scheletri nell'armadio dei quali nessuno di noi è favorevole a scoprire, vicissitudini che ci danno il tormento notte e giorno e che crediamo possibile affrontare da soli, perché metterli al cospetto di altri sarebbe un po' come rinvangare un passato che abbiamo deciso di lasciarci alle spalle.
«Heali è mia figlia. Non importa chi sia il padre. Lei è mia e questo non cambierà, mai.» Puntualizzai con più enfasi del previsto.
Lauren annuì comprensiva. Nonostante le nostre discussioni lei era una persona intelligente e acuta, sapeva quanto amassi quella bambina e non mi avrebbe mai chiesto di fare altro se non darle amore.
«Non sto mettendo in dubbio il rapporto che hai instaurato con tua... figlia.» Si schiarì la voce, mentre il suo sguardo era fisso sui piedi che giocherellavano con la sabbia umida e fredda, lasciata troppo tempo all'ombra del sole.
«Avrei voluto esserne al corrente. Avrei voluto che tu me ne parlassi. Avrei voluto vedere un avvicinamento da parte tua. Avrei voluto che fossi tu a dirmi la verità in un momento di sobrietà e che non fosse stata Lucy a infondere in me questo sospetti. Ecco cosa sto mettendo in dubbio, la tua fiducia nei miei confronti.» La sua voce diventava più dura ad ogni sottolineatura, i suoi occhi si strizzavano sempre di più fino a socchiudersi in una fessura sottile.
Sapevo che in qualche modo si sentiva tradita.
Aveva rivoluzionato la sua vita per me e probabilmente credeva che io non avessi fatto lo stesso, ma non era così.
Le avevo presentato Heali, le avevo permesso di entrare nella sua vita e quindi, in qualche modo, si era aggiudicata il diritto di ferire sia me che lei. Mi fidavo completamente di quella donna, altrimenti non le avrei permesso di avvicinarsi a mia figlia, ma lei questo non lo capiva. Vedeva solo la menzogna dietro la quale mi ero nascosta, la quale non le permetteva di andare oltre la nebbia che era calata davanti alla sua ragione.
«Non dovresti dubitarne nemmeno un secondo.» Proferì facendo un passo che annullò la distanza fra di noi.
Poggiai le mani sulle sue spalle, il suo corpo si irrigidì immediatamente sotto il mio tocco e non capii se fosse un segno positivo o negativo.
«Lauren voglio stare con te.» Infilai la mano nella tasca della felpa ed estrassi le chiavi che lei mi aveva regalato a Natale. Erano il simbolo di una promessa importante.
«Non me ne separo mai per paura di perderle. Mi fanno sentire protetta, al sicuro. Mi danno la consapevolezza di non essere più sola, di avere qualcuno su cui contare, qualcuno nel quale posso rifugiarmi costantemente. Io mi fido di te, Heali si fida di te. Noi ormai siamo una famiglia e io non voglio perdere questo lusso un'altra volta.» Mi accorsi di piangere solo quando terminai di parlare e percepii la pelle delle guance inumidita dall'acqua salata che sgorgava dai miei occhi.
Non so neanche perché stessi piangendo, sentivo solo il bisogno di farlo, di liberarmi da quel peso che si era posato sul mio petto tempo fa e che ora volava via silenzioso come una farfalla.
«Camila...» I suoi occhi anneriti dal mascara colato dalle ciglia, ma il colore verde ancora incolume e fulgido. Erano fissi sul mazzo di chiavi stretto nelle mie mani.
«Io non posso iniziare una relazione basandomi su tutte le bugie che ci siamo dette in questi ultimi tempi...» Allungò la mano verso il mazzo di metallo scintillante penzolante fra le mie dita.
«Lauren ti prego no. Non farmi questo.» Avevo preso a singhiozzare inarrestabilmente, mentre mi sfilava le chiavi dall'indice e le stringeva in un pugno nascondendole alle mia vista.
«Siamo state noi a farci questo.» Mormorò, facendo un passo all'indietro, lasciando ricadere le mie braccia nel vuoto. Anche lei stava piangendo, combatteva contro quella sensazione dispotica che regnava dentro di lei, ma stava perdendo miserabilmente contro un tiranno che non può essere sconfitto.
«Che significa?» Domandai scuotendo la testa, rifiutandomi di inginocchiarmi alla sua volontà.
«Ho solo... ho solo bisogno di tempo. Tornerò a casa, sistemerò la ristrutturazione e poi ne riparleremo.» Il suo sguardo si posava su ogni angolo, ma mai su di me, come se non potesse sopportare di vedermi piangere, ma non potesse nemmeno fare a meno di prendersi quel tempo del quale sembrava avere disperatamente bisogno per perdonarmi.
«Vengo con te. Faccio le valigie e torno a casa.» Mi affrettai a dire incespicando nelle parole per il modo rapido nel quale le avevo pronunciate.
Non volevo perderla; se lei se ne fosse andata una parte di me sarebbe volato via con lei. Come si può vivere solo con metà anima, sapendo che l'altra metà appartiene a una persona ormai lontana?
«Camila, voglio stare da sola. Trascorri gli ultimi sette giorni qui e quando tornerai a casa mi troverai lì.» Mi confortai nella linea ricurva verso l'alto, che seppure malinconica somigliò lontanamente ad un sorriso.
Lauren voltò le spalle e camminò verso la casa, con le spalle affossate, l'andatura lenta e il volto alzato verso il cielo per permettere agli ultimi raggi di sole di asciugarle le lacrime.
La seguii, non ancora del tutto accondiscendente. Ogni passo che compiva mi allontanava da lei e la paura di perderla mi mangiò viva.
«Ah finalmente! Stiamo preparando la cena, vi unite?» Domandò Ally puntandoci un mestolo contro appena entrammo in casa. Dinah e Normani erano sedute sul divano dietro di lei, stavano scherzando tra di loro, ma quando ci videro entrare notai i loro sguardi inquisitori poggiarsi su di noi.
«Lauren ti prego non lo fare!» Gridai, notando la sua figura intenta a salire le scale.
Gli sguardi delle ragazze ricaddero sulla corvina che si stava allontanando velocemente, mentre io le correvo dietro, sentendo i mormorii delle altre seguirci con passo furtivo.
«Camila ti prego. Non renderlo più difficile di quanto già non sia.» Disse ad alta voce, spezzata però dalle lacrime che scorrevano ancora veloci sulle sue guance come gocce di pioggia cadute dal cielo.
«Lauren mi dispiace!» Presi le sue mani nelle mie e intrecciai le dita, attirandola vicina a me. Seppur il suo stato d'animo fosse dominato da quel sentimento sfiduciato e violento, sapevo che c'era ancora una parte di lei che non poteva fare a meno di starmi vicina. Lo sentivo ogni volta che guardavo dentro i suoi occhi e andavo oltre la nebbia che offuscava la sua vista.
«Te lo giuro, mi dispiace moltissimo.» L'attirai con forza a me, nonostante il suo corpo fece inizialmente un po' di resistenza riuscii ad avvolgerla in un abbraccio.
La strinsi con forza, immergendo la testa nella sua spalla. Inalai il profumo emanato dai suoi capelli, mischiato all'odore naturale della sua pelle e sentii la paura nutrirsi di quell'aulente miscuglio. Incapace di parlare a causa delle lacrime la pregai silenziosamente, stritolandola fra le mie braccia, di restare.
Lauren frappose le mani fra i nostri petti e mi allontanò gentilmente, terminò di percorrere la scalinata e scomparì dietro la porta della sua stanza.
Mi sedetti sul gradino dove ero rimasta da sola e nascosi la faccia nelle mani, continuando a piangere senza vergogna.
«Ma che diavolo succede?» Si decise Ally a chiedere, venendo incontro a me e sedendosi al mio fianco. Non risposi, mi limitai ad indicare il corridoio alle mie spalle e a farfugliare qualcosa di incomprensibile.
«Ok, ok... shhh.» Fece scivolare un braccio attorno alle mie spalle e mi accolse sotto la sua ala.
Mi accorsi che stava mimando qualcosa a Dinah, la quale si affrettò a raggiungere Lauren nella sua stanza e chiuse la porta alle spalle, impedendomi di sentire qualsiasi cosa si stessero dicendo.
Dopo qualche minuto uscirono entrambe. Lauren stringeva una valigia nelle mani, Dinah stava cercando di convincerla a ragionare, ma lei non le dava ascolto.
Mi alzai di scatto, aprii le braccia e le impedì di passare.
«Tu non te ne vai. Non puoi andartene!» Dissi ad alta voce, tremando per la reale paura di perderla.
Lauren afferrò la mia nuca, mi avvicinò a lei e impresse un bacio sulla mia tempia.
«Quando tornerai a casa, io sarò lì.» Sussurrò contro la mia fronte, sfiorando la pelle con le sue labbra.
Ally mi afferrò per le spalle e mi spostò, permettendo a Lauren di passare.
Mi opposi al suo volere, ma forse loro, al contrario di me, comprendevano che quella era la cosa migliore al momento.
Dinah seguì la ragazza, le chiese se volesse compagnia sul volo di ritorno, ma lei declinò gentilmente l'offerta, sostenendo di voler restare da sola.
Lauren si voltò un'ultima volta quando con la mano girò la maniglia e aprì la porta. Con le ultime forze che avevo le mimai un "ti prego resta".
Le sue labbra si contrassero in una linea dura, come se stesse cercando di resistere all'istinto di assecondarmi, poi si voltò verso il selciato...
Varcò la soglia, sparendo dietro di essa.
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