Capitolo sei
«Sono tornata!» Urlai chiudendomi pesantemente la porta alle spalle. Non ottenni una risposta in cambio, così mi sporsi per scorgere Trevor in salotto e lo trovai lì. Seduto sulla carrozzina, intento a guardare una partita di rugby, mentre Karla parlava insistentemente di qualcosa che aveva a che fare con un'invasione aliena.
«Non sto dicendo che non mi farebbe piacere conoscere vite extra terrene, ma credo sarebbe strano copulare con loro. Tu non credi?» Si girò verso Trevor, il quale non la degnò nemmeno di uno sguardo, ma si limitò a guardare la televisione e mugolare un
"mh-mh". Immaginai che fosse andato avanti così tutto il pomeriggio, assecondandola minimamente su argomenti fanatici semplicemente con una risposta monocorde.
«Ciao.» Mi intromisi nella conversazione, facendo presente ad entrambi che ero tornata.
Vidi l'espressione di Trevor rilassarsi immediatamente e rilasciò andare un sospiro, come se non avesse fatto altro che aspettarmi per tutto il pomeriggio.
«Oh Lauren! Stavo giusto informando Trevor dei recenti riscontri sulle ricerche aliene. Lo sai che il nostro Paese verrà invaso fra qualche mese? Siamo tutti tenuti ad assumerci le nostre responsabilità e far progredire la nostra specie unendoci a questi esseri.»
«Ah... certo, come no.» Risposi titubante, mettendo in mostra un sorriso tirato. Karla insistette per lasciarmi dei dépliant su un bunker situato a Washington, lasciandoci a riflettere sulle cause dell'imminente invasione aliena.
«Ecco.» Iniziò Trevor in tono seccato «Ecco come ho passato il pomeriggio.» Non spostò lo sguardo dalla televisione, ma sono sicura che la usasse come scusa per non guardarmi negli occhi, ma in realtà non stava prestando minimamente attenzione all'interazione sullo schermo.
«Beh almeno ti sei fatto due risate.» Commentai sorridendo, mentre mi toglievo le buccole, restando in piedi dietro di lui.
«Due risate?! È stato peggio di una lezione scolastica, o persino di un intero giorno passato in ospedale. Dio pensavo non ci fosse niente di peggio delle analisi del sangue. Mi sbagliavo!» Il rammarico nel suo tono era chiaro. Mi sfilai le scarpe e le sistemai nell'angolo vicino all'attaccapanni, poi andai a sedermi sul divano, nel posto che prima occupava Karla.
«Non essere musone.» Portai le mani in grembo e inclinai la testa cercando inutilmente di attirare la sua attenzione.
«Non mi chiedi neanche com'è andata?» Chiesi tentandolo con la curiosità.
Sospirò rumorosamente e poi in modo scocciato mi domandò com'era andata.
Gli raccontai della giornata lavorativa, non trascurando nemmeno i dettagli della vita amorosa di Dinah. Più di una volta aveva sorriso e lentamente potevo vedere la sua irriverenza scemare.
Poi gli dissi di come avevo trascorso la giornata con Camila ed Heali, ma non so perché tralasciai il momento in cui avevo afferrato la sua mano, quando la ragazza aveva vacillato è messo in mostra la sua debolezza.
Con Trevor condividevo tutto, dalle cose più piccole alle più importanti, ma quel momento volevo che restasse nostro.
Solo mio e di Camila.
Un segreto intoccabile, un ricordo sacro nella memoria.
«Quindi andrai al suo compleanno?» Mi domandò infine, come se l'unica cosa che avesse sentito fosse quella. Il suo umore era visibilmente mutato e forse si stava già prospettando un'altra giornata con Karla.
«Si, ma pensavo che volessi venire con me. Possiamo organizzarci e portarti.» Aveva già iniziato a scuotere la testa all'inizio della frase, quando finii di parlare rifiutò l'offerta.
«Non ho voglia di uscire. Preferisco restare qui ad aspettarti.» Aveva riportato l'attenzione sulla partita, escludendo categoricamente qualsiasi altra proposta.
«Non prendi neanche in considerazione l'idea.» Scattai improvvisamente, alzando irrimediabilmente la voce e allontanandomi dal salotto per andare in camera da letto.
«No! Non la prendo in considerazione! No, cazzo!» Urlò con forza per farsi sentire dall'altra stanza. Mi appoggiai allo stipite della porta e ascoltai le sue lugubri supposizioni su come la gente l'avrebbe guardato, su come si sarebbe sentito a disagio sotto lo sguardo attento degli estranei e di come avrebbe preferito ascoltare altre ipotesi su un'invasione aliena, piuttosto che uscire di casa.
Litigammo per tutta la sera. Lui era inspiegabilmente irrequieto, mi rinfacciò di averlo lasciato da solo per tutto il pomeriggio e di aver proseguito la mia vita lasciandolo indietro.
Gli ricordai di essermi presa un solo pomeriggio, poche ore libere e niente di più.
Allora io mi lasciai andare ricordandogli di come mi fossi presa cura di lui negli ultimi anni, di quanto impegno avessi messo in tutto quello che facevo, trascurando me stessa per soddisfare i suoi bisogni.
Era uno scambio diretto e cattivo di battute di basso conto ed entrambi andammo a letto con un senso di angoscia, ma soprattutto un pentimento che nessuno dei due aveva intenzione di esternare.
La mattina dopo Camila arrivò puntuale. Credo che anche lei si accorse della tensione fra me e Trevor. Lui non mi rivolse la parola per l'intera mattinata, nemmeno quando gli feci il bagno o lo vestii si tolse dalla faccia quell'espressione dura e arrabbiata, come se gli stessi facendo un torto piuttosto che un piacere.
Lei era in evidente imbarazzo in quella situazione, ma si limitò a comportarsi normalmente. Svolse le sue abitudinarie mansioni, poi si sedette sulla poltrona e commentò insieme a Trevor le azioni della partita che si stava svolgendo in tv, mentre io raccolsi le mie cose e uscii il più in fretta possibile dalla casa.
Mentre mi immergevo nel traffico, iniziai a rimuginare sugli avvenimenti avvenuti precedentemente. Mi incolpai per aver rinfacciato a Trevor della sua malattia, sapevo che non era colpa sua, ma lui aveva chiaramente esagerato portandomi all'esasperazione. Poi pensai a come mi ero comportata quella mattina e venni attanagliata da un profondo senso di angoscia e non nei confronti di Trevor, ma verso Camila.
L'avevo a malapena salutata e ora che ci pensavo mi sentivo maledettamente in colpa per averla evitata e per essermene andata in quella brusca maniera.
Avrei voluto far inversione e tornare a casa solo per scusarmi con lei.
Che problema avevo?
Mi costrinsi a guidare fino a scuola e quando arrivai mi congratulai con me stessa per non aver ceduto alla tentazione di tornare a casa solo per lei.
Trovai Dinah nel tragitto che dovevo percorrere a piedi per raggiungere l'entrata e mi resi conto che doveva essere molto presto, perché di solito lei arrivava mezz'ora prima di me.
«Siamo mattiniere.» Non tardò a farmi notare, accostandosi a me mentre raggiungevamo la scuola.
«Non immagini quanto.» Commentai riferendomi alla nottata in bianco che avevo appena passato.
Dinah mi guardò con aria confusa e preoccupata allo stesso tempo, ma aveva imparato a conoscermi e sapeva che se non ero io a intavolare l'argomento "sentimenti", allora non doveva farlo lei.
«Com'è andato il pomeriggio?» Chiese con un sorriso, mentre con la amo salutava dei bambini che si erano avvicinati a noi.
«Bene. Mi sono divertita molto a dire il vero.» Sorrisi ripensando al giorno precedente. L'immagine delle nostre mani che si legavano continuava a ripetersi nella mia mente. Ricordo la sua pelle liscia e vellutata strofinarsi contro la mia, il colore della sua carnagione confondersi al mio.
«Mh. Direi proprio di sì.» Constatò Dinah notando il mio esponenziale sorriso.
Entrammo in aula insegnanti, dove le raccontai anche della litigata avvenuta fra me e Trevor, ma lei minimizzò dicendo che era normale discutere in una coppia, specialmente durante momenti difficili che nel nostro caso affrontavamo giorno dopo giorno.
Lei mi raccontò della notte romantica passata con suo marito e il suo tono era indiscutibilmente annoiato, come se ne avesse abbastanza delle smancerie e tutto il resto.
Devo dire che mi strappò una risata.
«Stasera io e una mia amica andiamo a teatro...» Passò il dito sopra il bordo della la tazza fumante davanti a lei, mantenendo lo sguardo sul movimento rotatorio «Ti andrebbe di venire?» Domandò a bassa voce con tono fievole e rassegnato, come se conoscesse già la risposta.
«Io...» Ci pensai un attimo. Ricordai la litigata di ieri e, forse per ripicca, accettai l'invito «Verrei molto volentieri.»
Dinah alzò lo sguardo incredula e domandò più di una volta se avesse sentito bene, se avessi davvero accettato la proposta. Quando si accertò di avere avuto la conferma da parte mia, chiamò la sua amica e l'avvertì della mia presenza, dopodiché passò l'intera giornata a parlare della tragedia alla quale avremo dovuto assistere, a quanto ci saremo divertite (anche se non capivo come fosse possibile divertirsi durante una tragedia greca) e poi menzionò un paio di volte il fatto di fermarsi a cena fuori, ma parlò dell'argomento in maniera precaria, come se non volesse andare troppo oltre per paura che mi tirassi indietro.
Passai il resto della giornata girovagando per le aule, colorando insieme ai bambini, o aiutandoli a leggere lì dove incespicavano con le parole, oppure riscontravano problemi a scrivere le lettere dell'alfabeto e con molta pazienza li assistevo e incoraggiavo a migliorare.
Dinah mi cercò più volte per confermare nuovamente la partecipazione, era come se avesse il timore che potessi cambiare idea in un'ora, ed era per questo che si presentava in ogni aula dove prestavo servizio e con una scusa diversa ogni volta mi chiamava fuori dalla classe e mi chiedeva se per la sera fosse tutto apposto.
La nostra amicizia si era instaurata velocemente, ma si fondava su base solide e ora le preoccupazioni di una era quelle dell'altra e le speranza di una erano le speranze dell'altra.
Tornai a casa alle cinque del pomeriggio. Entrando nel corridoio sentii le voci di Trevor e Camila provenire dal salotto e mi ricordai di come me ne ero andata quella stessa mattina, trattando Camila come un'estranea e immediatamente quel senso di colpa che avevo represso per tutta la giornata tornò a frustarmi.
Avanzai silenziosamente nel salotto, tesi le orecchie per ascoltare la loro conversazione, ma appena varcai la soglia Camila si girò di scatto e mi trovò in piedi davanti alla porta.
Ero più che sicura di non aver fatto rumore, mi ero addirittura tolta le scarpe per essere la più quatta possibile, eppure era come se avesse percepito la mia presenza senza bisogno di suoni precisi a introdurmi.
Non so bene da cosa mi avesse notata, forse aveva udito il mio passo felpato, oppure aveva sentito un profumo diverso infondersi nella stanza, fatto sta che ora ero al suo cospetto.
«Oh Lauren. Sei tornata, bene... Io, vado allora eh...» I suoi occhi si posavano da tutte le parti fuor che sui miei. Aveva recuperato il giubbotto e ora lo stava indossando. Avrei potuto lasciarla andare via senza dire niente, ma quando mi sorpassò tenendo il capo basso, le mani nascoste dentro le tasche dei jeans e il suo petto si gonfiò in un respiro profondo, non riuscii a trattenermi.
Mi girai verso di lei e l'afferrai per il braccio facendola voltare verso di me.
La sua faccia si trovò inaspettatamente vicino alla mia. Il respiro che prima aveva trattenuto adesso l'esalò tutto d'un fiato contro le mie labbra e salii lungo le mie guance accalcandole e di conseguenza arrossendole.
«Ah io... io dovrei parlarti.» Farfugliai impacciatamente, perché la vicinanza al suo volto e il contatto diretto con il suo corpo aveva attivato ogni mio circolo nervoso e potevo percepire il sangue ribollire sotto la pelle e riscaldarmi interamente.
«Ho..» La sua voce uscì troppo acuta e secca. Si leccò le labbra e deglutii prima di riprovare «Ho fatto qualcosa di sbagliato?» Domandò inspirando a scatti. Il suo petto si contraeva più velocemente del solito e notai lo sforzo che compì per mantenere lo sguardo dritto su di me, invece che posarlo più in basso dove la mia mano stringeva il suo polso.
«No, io ho fatto qualcosa di sbagliato.» Non realizzai ciò che avevo appena detto, ero troppo concentrata a catturare ogni traccia del suo volto, a memorizzare i lineamenti sottili e delicati, a imprimere nella mente le sue labbra carnose e muliebri e a contemplare i suoi occhi color cioccolato per poter collegare i pensieri alle parole.
Gli occhi di Camila balzarono per un secondo dietro le mie spalle, capii che stava guardando nella direzione di Trevor. Forse si sentiva imbarazzata dalla sua presenza ora che eravamo troppo vicine per reprimere quel vago sentimento che si insinuava fra di noi ogni volta che eravamo vicine.
La trascinai in cucina, le mie dita ancora posate sul suo polso. Con la coda dell'occhio vidi Camila posare lo sguardo sul punto in cui aveva stretto la mano e un flebile sorriso apparve sul suo volto. Percepii il suo polso contrarsi, come se stesse cercando di sfilare la presa. Mi girai un secondo per controllare che non stessi stringendo troppo forte, quando notai le dita della sua mano piegarsi verso il suo stesso palmo nel tentativo di raggiungere la mia mano per avvolgerla nella sua.
Glielo avrei lasciato fare, ma eravamo già entrata in cucina e così lasciai andare la presa. Lei nascose immediatamente la mano dietro la schiena, come se soltanto guardandola avessi potuto intuire le sue reali intenzioni e fu una cosa che mi fece sorridere, perché io le avevo capite e le avrei anche assecondate.
«Senti Camila mi dispiace. Stamani mi sono comportata da stupida, ma veramente.» Enfatizzai ogni parola per trasmetterle il mio puro dispiacere «Ho avuto una forte discussione con Trevor e... io non ti ho neanche salutata stamani. Mi dispiace.» Cercare di formulare un discorso sensato era diventato più difficile del previsto. Nemmeno durante la consegna dei diplomi, quando avevo tenuto il discorso davanti a tutta la scuola, mi ero emozionata così tanto.
«Non ti deve scusare Lauren. Non sei obbligata a darmi delle spiegazioni.» Disse in tono un po' scoraggiato, come se sapesse che ciò che stava dicendo fosse la verità, ma in qualche modo cercasse di combatterla ed evitarla.
«No, ma... insomma... pensavo si fosse instaurato un rapporto più confidenziale e ci tenevo a dirti che sono stata una stupida questa mattina.» Quando ebbi finito mi accorsi di quanto disperata potessi sembrare. Mi portai una mano sulla fronte e chiusi gli occhi. Tentai di trovare delle parole che spiegassero meglio quello che stavo cercando di dire, ma riuscivo a vedere solo tutto buio e nero. Non mi venne in mente altro da aggiungere.
«Lauren.» Camila richiamò la mia attenzione. Quando aprii gli occhi vidi che si stava mordendo il labbro inferiore che era diventato rosso a vista d'occhio. Un formicolio mi percorse la schiena, come quando si viene travolti da un improvviso brivido di freddo.
«Posso parlarti confidenzialmente, oppure stiamo ragionando da impiegata a datore di lavoro?» Lessi del sarcasmo nelle sue parole e questo mi aiutò a rilassarmi e sorridendo le dissi che poteva esprimersi in maniera amichevole.
«Non credo che due amiche si debbano preoccupare di queste piccolezze...» Il suo tono era diventato improvvisamente più basso e allusivo. Doveva aver pensato attentamente a quelle parole specifiche perché colsero esattamente il punto. Non so se fosse una semplice supposizione, o se si nascondesse dell'altro in quella frase. Per quanto mi sforzassi di leggere fra le righe, non riuscivo a comprendere a pieno ciò che aveva voluto dire e questo mi mandò in subbuglio.
«Si, certo.» Risposi vagamente, mentre le sue precedenti parole si ripetevano costantemente nella mia testa e non trovavano una spiegazione precisa.
«Okay allora non farlo. Non preoccuparti.» La sua voce aveva ripreso il suo tono familiare, ma il suo sorriso si era curvato in maniera strana, quasi assente. Non so perché mi concentravo su ogni suo particolare.
Stavo con Trevor da tanto tempo, conoscevo i suoi gusti, il suo colore preferito, quale pigiama indossava, ma se mi avessero chiesto come incurvava le labbra quando sorrideva, o che forma assumesse la sua faccia quando corrugava la fronte, o la differenza di colore nelle sue guance quando si arrossavano per il freddo e quando per l'imbarazzo, beh non avrei saputo rispondere. Ma se mi avessero fatto le stesse domande su Camila, avrei avuto la risposta pronta per tutte quante.
Non era strano?
«Adesso sono io a dover scappare, perché Heali mi sta aspettando.» Indicò con il pollice la porta alle sue spalle e spostò il peso sui talloni, inclinandosi leggermente all'indietro.
«Si. Nessun problema. Va' pure e salutala da parte. Oh e dille che l'ho appeso il disegno, l'ho appeso davvero come avevamo concordato.» Mi affrettai a dire perché lei stava già indietreggiando e uscendo dalla stanza.
«Non aveva dubbio che l'avresti fatto.» Mi lanciò un sorriso prima di poggiare la mano sullo stipite e scomparire dietro di esso.
E anche stavolta se ne era andata lasciandomi con una frase indecifrabile.
Voglio dire, Heali aveva davvero espresso la sua convinzione riguardo la promessa chele avevo fatto, oppure anche allora Camila si stava riferendo a se stessa?
Dovevo smetterla di pensare e prendere le cose che diceva con maggior leggerezza.
Con Trevor non parlai per tutta la sera, se non per comunicargli che sarei uscita con Dinah e che Karla sarebbe tornata per un seminario alieno improvvisato in casa nostra.
Non vi dico la faccia che fece Trevor, ma lo rassicurai dicendogli che era uno scherzo.
Non parlammo più. Lui stava ancora rimuginando su quello che avevo detto la sera prima e io non riuscivo a passare sopra al mio orgoglio se prima non lo faceva anche lui.
Dinah passò a prendermi alle otto e mezzo in punto. Avevo cucinato la cena per Trevor e mi ero offerta di aiutarlo, ma lui aveva rifiutato con un gesto categorico della mano. Avevo lasciato il piatto sul suo grembo, se avrebbe voluto mangiare ci sarebbe riuscito anche da solo.
Entrai in macchina e mi sedetti sul sedile posteriore, perché sul posto del passeggero era seduta la sua amica.
«Tu devi essere Lauren!» Disse con fare spigliato voltandosi verso di me e tendendomi la mano con fare amichevole. L'afferrai senza indugi e annuii sorridendo, per poi lanciare un'occhiata nello specchietto, incontrare gli occhi di Dinah e silenziosamente chiederle cosa avesse raccontato alla sua amica.
«Io mi chiamo Normani, comunque.» Aveva stretto la sua mano alla mia e muoveva il braccio su e giù insistentemente.
«Sono una cara amica di Dinah.» L'enfasi che utilizzò per descrivere il rapporto che la legava alla nostra amica in comune fu sconcertante e anche un po' malizioso. Cercai lo sguardo di Dinah, lei fece un vago cenno con la mano come per dire "non farci caso, scherza sempre". A me non dava l'idea che stesse scherzando, ma lasciai perdere.
Il resto del tragitto lo passammo ascoltando le storie di Normani e i silenzi vennero riempiti dalla musica anni ottanta che Dinah aveva impostato sul canale stereo.
Il teatro fu davvero un'esperienza piacevole. Scoprii un nuovo Mondo e mi piacque moltissimo inoltrarmi in quelle nuove sensazioni. Alla fine dello spettacolo mi accorsi di aver permesso a qualche lacrima di uscire. Era veramente difficile che qualcosa mi emozionasse. Non ero un tipo da pianti sfrenati ai finali tristi dei film, non era proprio il tipo che piangeva, ma quello spettacolo mi aveva davvero punito nel profondo e non ero riuscita a trattenere due lacrime, mentre le altre due si erano lasciate andare ad un pianto incontrollabile.
Ci fermammo a mangiare qualcosa ad un ristorante vicino.
Normani aveva iniziato a parlare della sua vita privata, non so come eravamo entrate in argomento, ma comunque venne fuori che fosse fidanzata con una ragazza.
Drizzai subito le orecchie. Ascoltai attentamente tutti i discorsi che faceva su di lei, dai litigi che contraddistinguevano le loro serate romantiche, al sesso riparatore.
Dopo un'ora e mezzo di chiacchiere, mi lasciai sfuggire qualche domanda indiscreta.
«Ma com'è stare con una donna?» La mia domanda lasciò entrambe basite. Dinah riprese a mangiare abbassando lo sguardo sul piatto, mentre Normani si mise a mia completa disposizione per rispondere a tutte le domande che avevo in serbo per lei.
«Mah, non so che differenza c'è da una relazione eterosessuale, perché io sono sempre stata con persone del mio stesso sesso.» Portò alla bocca un boccone, lo masticò e poi ricominciò «Credo che fra due donne ci sia più intesa, ma è comunque una relazione e quindi, come ogni altra relazione, è complicata.» Passammo al dessert, ma la mia curiosità non era ancora passata.
«Come hai capito di essere attratta da una donna?» Normani scambiò un'occhiata fugace con Dinah, la quale sollevò le spalle incapace di dedurre il mio comportamento.
«Beh è facile. Ero ad una festa al liceo e abbiamo iniziato a giocare al gioco della bottiglia. Al terzo turno mi toccò baciare una ragazza e mi accorsi che mi piaceva, mi piaceva molto di più che baciare i ragazzi. Insomma l'anno dopo frequentai una ragazza e poter stare con lei era la parte migliore della giornata. Mi piaceva baciarla, accarezzarla... È stato il mio primo amore.» Raccontò la storia con un sorriso aleggiante, ricordando nei minimi dettagli quella storia che evidentemente le riportava alla mente bei ricordi.
«Insomma da lì non ho mai più frequentato un ragazzo, ho capito di essere interessata ad altro. E ora sono felice di essermi trovata, sono davvero felice di poter essere ciò che sono senza vergogna, ma anzi, con orgoglio.»
Dinah mi riaccompagnò a casa. Stavolta Normani si sedette dietro con me per poter rispondere a tutte le domande che mi passavano per la mente. Quando arrivammo davanti a casa mia lei prima di scendere mi sussurrò
«Se c'è qualcosa che provi per qualcuno che non è il tuo fidanzato e nemmeno un altro uomo, beh sono sicura che lo capirai.» Mi sorrise affabilmente e poi aggiunse
«Solo... lascia che sia.» Ringraziai tutte e due per la splendida serata e ci lasciammo con la promessa di rivederci più spesso.
Quando tornai a casa trovai Karla mezza addormentata sul divano e Trevor con la testa ciondolante sulla carrozzina. Svegliai la donna e la ringraziai, poi spinsi Trevor in camera e dolcemente lo scossi.
«Ah... sei tornata.» Biascicò ancora nel dormiveglia.
«Sì, scusami per essere arrivata tardi.» Gli sganciai la camicia e gli sbottonai i pantaloni, poi presi il pigiama e lo passai lentamente lungo le braccia, poi dalle gambe.
«Lauren. Mi dispiace per essermi comportato da cretino. Lo so che tu ci tieni a me. Perdonami per ciò che ho detto.» La sua confessione mi sorprese. Mi chinai per raggiungere l'altezza delle sue ginocchia dove posai le mani.
«Non preoccuparti. Va tutto bene.» Gli diedi un bacio a stampo, poi feci scivolare una mano sulle sue spalle e l'altra sotto le gambe e con uno sforzo lo misi sul letto.
Gli diedi un altro bacio. Niente.
Infilai velocemente il pigiama e mi distesi al suo fianco. Un altro bacio, quello della buonanotte. Niente.
Solitamente erano colmi di amore, di speranza, di promesse e adesso non portavano più nessuna di quelle sensazioni.
Forse ero solo stanca.
Decisamente, ero solo stanchezza.
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Ciao a tutti! Penso che questo sia il capitolo più lungo che abbia scritto finora, spero non sia troppo pesante da leggere e che il capitolo vi piaccia.
Dato che ho già scritto i successivi tre capitoli, oggi pomeriggio ne uscirà un altro! 🎉
Vi ringrazio nuovamente per il sostegno, per i bei messaggi che mi scrivete e per i commenti e tutti i voti. Insomma grazie per tutto davvero!
Vi aspetto oggi pomeriggio. Baci a tutti😘
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