Capitolo qurantanove
«Per quanto ne sappiamo potrebbe anche essere un barbone.» Ringhiai, mantenendo un tono basso per non essere udita dall'uomo seduto attualmente sul nostro divano.
«Insomma guardalo.» Gli rivolsi un'occhiata veloce, squadrando attentamente la sua figura; spalle ricurve, testa china, barba ispida e abiti fetidi evidentemente troppo larghi anche per la sua corporatura robusta.
«Quello non è tuo padre. Non lo è Camila.» Sentenziai, rifiutandomi di credere che quell'uomo, nemmeno lentamente somigliante alla ragazza, potesse essere parte della sua nascita.
«Lauren, non puoi saperlo.» Portò le mani sui fianchi e si alzò sulle punte dei piedi, per controllare i movimenti alle mie spalle.
Si morse il labbro inferiore, un'espressione corrucciata cateterizzò il suo volto, rispecchiando le emozioni contrastanti del suo animo.
«Non l'ho mai visto prima d'ora. Potrebbe essere davvero lui.» Nel suo tono era percepibile il timore di aver ragione, ma catturai anche un pizzico di speranza che mi portò un'indignazione tale da storcere la bocca in una smorfia sfiduciata.
«Ok... ammettiamo che quello sia tuo padre, anche se è chiaro che non lo è...» Premisi, prima di sporgermi in avanti e arrivare ad un passo dal suo volto «Vorresti davvero conoscerlo? Dopo che ti ha abbandonata, che non ti ha considerata sua figlia per anni?» Accentuai l'enfasi del concetto, marcando a fondo ogni parola con estremo stupore.
Camila non rispose.
Abbassò lo sguardo sulle mani impegnate a giocare con l'orlo della manica.
Scrollò impercettibilmente le spalle, lanciò un'altra fugace occhiata verso l'uomo ancora seduto sul divano in attesa di direttive e poi sospirò, allungandosi verso di me.
«Potresti biasimarmi?» Domanda con tono quasi innocente, troppo coinvolta per poterla incolpare.
Comunque sia la sua domanda esplicita mi lascia a bocca aperta e nonostante tenti di replicare, escono solo sospiri sconnessi che presto dilagano in grugniti frustati.
«Lauren.» Afferrò le mie mani nelle sue, stringendole con mediocre pressione.
«Se decidessi di conoscerlo, tu te ne andresti?» Domandò con un filo di voce, come se il solo pensiero di perdermi le causasse un dolore al petto; la stessa fitta che percepii anch'io.
«No.» Scossi la testa velocemente, allontanando il pensiero dalla sua mente «Certo che no, ma... Ti senti sicura con lui nei dintorni, lasciandolo vivere sotto lo stesso tetto di Heali?» Chiesi, corrugando la fronte e strabuzzando gli occhi infuori.
La sera precedente l'uomo aveva alloggiato in casa nostra. Fortunatamente Dinah si era dimostrata disponibile ad accogliere la bambina in casa sua, ma non potevamo emarginare a lungo Heali, dovevamo trovare una soluzione.
Io sapevo perfettamente cosa fare, ma Camila sembrava restia ad allontanare l'uomo che sosteneva di essere suo padre. D'altronde non era una mia decisione.
«Lo so, lo so.» Si affrettò a dire in maniera sbrigativa, come se non volesse affrontare l'argomento.
Improvvisamente Camila si sporse verso la sinistra, per controllare le azioni dell'uomo.
«Hey, hey.» Lo riprese, avvicinandosi rapidamente a lui per togliergli di mano delle foto che aveva raccolto dal tavolino davanti a se
«Queste non si toccano.» Strappò via l'album dalle sue mani e lo ripose sullo scaffale appropriato.
L'uomo continuò a scostare giornali e riviste per trovare altri oggetti che attirassero la sua attenzione. Mi feci avanti, colta da una collera incontenibile.
Non sopportavo l'idea che uno sconosciuto entrasse nel nostro privato, che si permettesse di frugare fra i nostri affetti.
«Non si tocca niente.» Dissi digrignando i denti e stringendo la presa attorno al suo polso.
L'uomo sbuffò, strattonò via il braccio e screditò l'avvenimento con un ghigno.
«E tu saresti?» Chiese con voce greve, allargando le braccia lungo lo schienale del divano e poggiando i piedi sul tavolino, come se fosse lui il proprietario e io l'ospite.
«Io sono la fidanzata di Camila.» Dichiarai con voce autorevole, incrociando le braccia al petto con aria di sfida.
L'uomo fece spola fra me e la figlia, ora posizionata al mio fianco a capo basso.
«Cazzo, una figlia omosessuale. Se ci fossi stato io non sarebbe capitato.» Il modo sprezzante con cui le parole lasciarono velenose le sue labbra, mi fece ribollire il sangue nelle vene. Persi la ragione.
Mi avventai contro di lui, afferrai il colletto della camicia da boscaiolo che indossava e l'avvicinai a me, minacciandolo con il mio sguardo truce.
«Forse dovresti preoccuparti di tutti gli errori madornali che hai fatto, non dell'orientamento sessuale di tua figlia.» Sibilai, scuotendo la camicia di flanella fra le mie mani.
Le nocche erano diventate bianche, tanta era la forza che esercitavo nella stretta.
Camila ci raggiunse rapidamente, poggiò le mani sulle mie spalle e cercò di allontanarmi, ma non desistetti. La voglia di colpirlo mi sopraffaceva, sentivo la mia mano stringersi sempre di più sul tessuto della camicia, pronta ad alzarsi e abbattersi sulla sua faccia.
Non lo feci, solo perché la voce di Camila risvegliò la mia razionalità.
«Lauren, ti prego.» Sussurrò vicino al mio orecchio, facendo scivolare le mani lungo i miei fianchi, come se il contatto fisico avesse potuto restituire ai miei nervi la calma della quale necessitavano.
Rilassai i muscoli facciali, riacquisendo un'espressione distesa che la rabbia era andata ad intaccare. Schiusi i pugni, rilasciando andare la camicia dell'uomo e indietreggiai, instaurando una distanza sufficiente a placare i miei istinti.
Camila guardò l'orologio appeso al muro, si diresse verso l'attaccapanni e sfilò il giubbotto, indossandolo.
«Non posso fare tardi a lavoro. È il mio primo giorno.» Mosse i capelli rimasti intrappolati sotto il colletto di pelle e venne verso di me, non curante della presenza del "padre", mi baciò castamente sulle labbra.
«Affido a te questa... situazione.» Aggrottò le sopracciglia, non riuscendo a trovare un termine adatto per catalogare il momento.
«Aspetta... cosa?» La trascinai verso la cucina, sparendo alla vista dell'uomo seduto sul divano.
«Camila non resterò da sola con quello.» Ora io ero in difficoltà. Gesticolai disprezzante verso il salotto dove dei movimenti scostanti destarono la mia attenzione.
«Non sarei capace di controllare gli impulsi. Potrei seriamente colpirlo... Anche ripetutamente.» Dichiarai senza vergogna, mettendo in chiaro le intenzioni dapprima represse che adesso dirompevano dentro di me, annebbiando la mia vista.
Quell'uomo non solo aveva abbandonato sua figlia, aveva anche avuto la faccia tosta di ripresentarsi alla sua porta dopo ventitré anni e in più si permetteva di dare giudizi sulle scelte di Camila, denigrando la nostra vita.
«Lauren, se non posso contare su di te non posso farlo su nessuno.» Si voltò verso la porta, credendo che la figura dell'uomo si stagliasse da un momento all'altro sulla soglia, ma non accadde, così riprese.
«Sei l'unica della quale mi fidi. Sono certa che riuscirai a gestire le tue emozioni, lo farai per me.» Carezzò la mia guancia con fare incoraggiante, quando sarei dovuta essere io a confortare lei e non il contrario.
Con il pollice delineò il contorno della mia mandibola, portai la mano sulla sua e intrecciai le dita, infondendole lo stesso sentimento che lei stava cercando di tramandarmi.
C'eravamo dentro assieme ed entrambe eravamo un punto di riferimento per l'altra, ecco perché accettai di restare in compagnia di suo padre durante l'assenza di Camila.
«Sei sicura?» Domandò, reclinando leggermente la testa di lato per avere la conferma delle mie buone maniere.
«Sicura.» La rassicurai, dondolando dalle punte ai talloni e la incoraggiai ad uscire.
«È il tuo primo giorno, l'hai detto tu. Non vorrai fare tardi.» La stuzzicai giocosamente, lasciandole un ulteriore bacio sulla fronte prima che lasciasse la casa, ma non senza istigare suo "padre" ad ascoltare le mie direttive e a non contraddirmi.
Quando Camila lasciò l'appartamento cadde un silenzio imbarazzante.
L'uomo, del quale non avevo ancora afferrato il nominativo, oziava sul divano girando fra le mani una rivista che usualmente leggeva Camila ogni settimana.
Gliela sfilai dalle mani e la sbattei con forza contro il tavolino, rivolgendoli uno sguardo di sbieco.
«Quale parte di non si tocca niente non ti è chiara? Perché se vuoi ti faccio un disegno.» Sull'ultima frase usai un tono più beffardo, addolcito come se parlassi ad un bambino.
L'uomo alzò le mani in segno di resa, senza togliersi quel ghigno soddisfatto dalle labbra e fece ricadere le braccia sulla pancia.
«C'è qualcosa da mangiare, oppure...?» Lasciò la frase in sospeso, sostituendo i gesti alle parole.
Ponderai l'idea di non accondiscendere alla sua richiesta, ma questo avrebbe aumentato la tensione già abbastanza elevata.
Mi avviai verso il frigo, aprii l'anta e tirai fuori uno yogurt all'ananas.
«Ti va bene?» Chiesi retoricamente, porgendoglielo con sgarbo.
«Non mi piace molto l'ananas.» Constatò, restituendomi il barattolo colorato. Per tutta risposta gli tesi il cucchiaino, mentre riducevo le labbra in una linea dura per impedire a me stessa di inveire.
«Oh.» Esordì lui con fare derisorio, enfatizzando la sua presunta stupidità con tono mordace «Eri retorica.»
Immerse il cucchiaino nella crema bianca e finché ebbe la bocca impegnata a mangiare, nessuno dei due disse niente.
Non mi piaceva quell'uomo, era portatore di guai, lo sentivo.
«Quindi tu..» Almeno ebbe la decenza di ingoiare il boccone, prima di riprendere a parlare «Tu sei la fidanzata di mia figlia?» Domandò in tono beffardo, stampandosi sul volto quel sorriso pungente che denota un certo sarcasmo mirato a ferire.
«Esatto.» Risposi provvidenzialmente, alzando il mento verso l'alto con aria fiera, come per puntualizzare l'importanza del mio ruolo nella vita di sua "figlia".
«Come vi siete conosciute?» La naturalezza con la quale poneva le domande era sconcertata e incresciosa, come se fosse il tipico genitore preoccupato che analizza il compagno (o la compagna) della propria figlia.
Sbuffai ironica e puntai il mio sguardo dritto dentro al suo, per poi riassumere un portamento serio e rigido.
«Non credo siano affari tuoi.» Portai le braccia conserte e mi appoggiai contro lo schienale della poltrona, accavallando la gamba in maniera intimidatoria.
«È di mia figlia che stiamo parlando.» Disse lui, piegando la schiena in avanti spavaldo.
Giuro che avrei voluto tirargli un pugno in faccia, ma mi trattenni solo per Camila, la quale aveva già troppe cose a cui pensare per poter rimediare anche al naso rotto del suo presunto padre.
«Lei non è tua figlia.» Iniziai. Lui aprì la bocca per dire qualcosa, ma lo fermai subitamente alzando la mano in ordine di silenzio
«E anche se lo fosse, tu non hai nessun diritto di essere suo padre. Te ne sei andato, l'hai lasciata per anni da sola, anche dopo la morte di sua madre non hai avuto il ritegno di presentarti al funerale, di sostenere tua figlia.» Mi alzai in piedi e camminai avanti e indietro per la stanza, trovando una valvola di sfogo nel movimento irrequieto delle gambe.
«Camila aveva bisogno di te. Aveva bisogno di poter far affidamento su qualcuno... Tu, tu non hai la minima idea di quanto abbia sacrificato, di quanto amore abbia tolto a se stessa per darlo a sua figlia e tu dov'eri? A drogarti da qualche parte? E non dirmi che non ti sentivi all'altezza, perché sono tutte cazzate!» Sbottai, inveendo contro di lui che ascoltava a capo basso senza emettere un suono, ma anzi talvolta annuiva come se si stesse dicendo che quello era esattamente ciò che meritava.
«Perché sei tornato? Hai per caso bisogno di soldi? Non hai un posto dove stare? Cosa vuoi?! Posso darti tutto, ma devi andartene dalla vita di Camila perché se la farai soffrire... giuro che...» Digrignai i denti e puntai il dito contro di lui, avvertendolo delle mie intenzioni solo con lo sguardo truce che gli rivolsi.
«Non voglio niente.» Ammise infine a bassa voce, scuotendo la testa rimproverandosi tacitamente degli errori che aveva commesso in passato «Solo del tempo con mia figlia.» La sua voce era rotta, forse da un pianto che minacciava le sue corde vocali.
«Ti conviene essere sincero, perché non ti permetterò di ferire Camila. Ti è chiaro?» Chiesi con una punta eccessiva di arroganza che sperai potesse fare breccia nella sua dignità.
Lui annuì lievemente e per la prima volta si rabbuiò, rinchiudendosi in un silenzio disarmante. Mi accasciai nuovamente sulla poltrona e seguii il suo esempio.
Non scambiammo più una parola, finché Camila non rientrò a casa...
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Ciao a tutti! Scusate il ritardo, sto scrivendo anche l'altra storia e devo dire che mi piace come sta venendo, ma non vi dirò niente di più... Per ora.
Comunque spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi aspetto nei prossimi :) Un bacio a tutti 😘
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