Capitolo quindici
Questo capitolo vi piacerà più degli altri! Buona lettura😘
Era l'inizio di un nuovo giorno, ma l'alba portava con se un bagliore diverso, non affascinante o abbagliante come al solito, ma quasi nostalgico e fioco.
Non ero sicura se fosse colpa del Sole, o se fosse il mio pessimo umore a influenzare lo spettacolo prospettatasi davanti a me.
Era l'ultimo giorno. Quella sera saremmo tornati a casa. Avrei ripreso a dormire nel mio letto, che dopo aver dormito in un albergo sontuoso, mi rendevo conto avesse il materasso troppo duro e i cuscini invecchiati si erano afflosciati. Ricordavo la sensazione di appoggiare la testa e sprofondarci dentro. Un punto a discapito del mio povero collo.
Non avevo mai fatto caso a quei particolari, perché ora sembravano più importanti di quando realmente fossero? Diamine era solo un cuscino, eppure l'idea di tornare a dormire in quel letto mi dava la nausea. Forse avrei dovuto cambiare materasso.
Ecco a cosa pensavo mentre facevo la valigia. Avevo già ripiegato le magliette che avevo portato, ovviamente non ne avevo usato la metà. Come sempre avevo alternato tre maglie, le uniche con le quali mi sentivo davvero a mio agio. Comunque stavo rimettendo le cose nella valigia, facendo attenzione a separare i vestiti sporchi da quelli ancora puliti, quando qualcuno bussò alla porta.
Chiusi malamente la valigia per dargli una parvenza ordinata e andai ad aprire.
«Colazione per due.» Dinah alzò un vassoio di carta che conteneva due cartoni di caffè con il logo di un anonimo bar stampato sopra e nell'altra mano due ciambelle ancora calde.
Aprii maggiormente la porta invitandola ad entrare.
«Sei mattiniera, il che è strano per te.» Commentai sfilando un contenitore di caffè dalle sue mani, per portarlo alle labbra.
«Ho impostato la sveglia presto per rifare le valigie. Mi ci è voluta tutta la forza di volontà per ricordare a me stessa di dover tornare a casa e impedirmi di scappare all'estero.»
Sembrava aver ripreso tutte le forze necessarie per elargire il suo umorismo. Risi della sua affermazione. A quanto pare nemmeno lei era contenta di tornare a casa e chi lo sarebbe stato? Probabilmente suo marito aveva organizzato una festa a sorpresa, o una cena con i suoi genitori come se tornasse da un viaggio estenuante e prolungato, non da una vacanza di quattro giorni.
«Tu sei contenta di tornare a casa?» Domandò mentre tirava fuori dalla borsa una tazza e versava il caffè dal cartone ad essa. Era davvero fissata su questa cosa.
«Non molto. Mi piace questo posto.» Scrollai le spalle con disinvoltura, facendolo sembrare una cosa da poco.
«Diciamo che ti piace dimenticare la tua vita.» Esordì in maniera schietta cogliendomi totalmente alla sprovvista. Bevvi un sorso di caffè caldo e mossi il dito verso sinistra e poi verso destra ripetutamente.
«Beh secondo me si. Non c'è niente di male Lauren, ma almeno abbi il coraggio di ammetterlo a te stessa.» Alzò lo sguardo verso il soffitto pensante e dopo qualche secondo aggiunse «Io non ho problemi a dire che odio l'idea di tornare a casa e trovare mio marito.»
La guardai contrariata, non per ciò che aveva appena detto, ma per il suo comportamento.
«Dinah esiste il divorzio, perché continui a stare con lui se non lo sopporti?» Domandai in maniera diretta, ricordandomi tutte le volte che si era lamentata della sua relazione. Non si contavano sulle dita.
«E tu perché stai con Trevor solo per compassione?»
Quasi mi strozzai con il caffè. Tossii rumorosamente e battei un pugno sul petto tentando di scacciare via quella sgradevole sensazione di soffocamento.
«Questo non è vero! È una bugia.» Constatai puntandole il dito contro con fare colpevole. «Non provare a screditare la mia relazione perché la tua, beh, fa schifo.» Risposi leggermente indignata. Ero abituata alla spudorata sincerità di Dinah, ma le sue insinuazioni mi irritavano più del previsto.
«È vero la mia relazione fa schifo, ma almeno io non sto con qualcuno perché mi fa pena.» Puntualizzò senza peli sulla lingua.
Al che le domandai perché restasse con Justin, se non per pietà.
«Beh innanzitutto non ho un altro posto dove andare. Mia madre cadrebbe in depressione assistendo al mio ennesimo fallimento. Justin potrebbe arrivare a fare gesti drastici, come morire. E non sto scherzando.» Precisò con voce quasi inquietante, mentre davanti a me già si prospettavano i titoli di giornale. Una cosa da far accapponare la pelle. «E se proprio la vuoi sapere tutta, non credo che potrei trovare qualcun altro disposto ad amarmi.» Scrollò le spalle traendo le conclusioni e alzò un sopracciglio, gesto fatto per sminuire i suoi sentimenti, ma a dimostrazione di quanti problemi controversi le impedissero di divorziare da suo marito.
«Dinah sei una ragazza intelligente, simpatica, molto carina, un po' troppo sarcastica, ma è un lato che si apprezza con il tempo. La gente farebbe la fila per te.» Allungai una mano sul suo braccio e l'accarezzai confortandola.
So quanto spesso valorizziamo solo i nostri lati negativi e dimentichiamo quegli postivi, a volte abbiamo solo bisogno di qualcuno che ci ricordi che non c'è solo del male in noi.
«Si beh, non ne sono così sicura.» Scosse la testa disapprovando, ma poi rialzò lo sguardo e abbozzò un sorriso «Grazie comunque Lauren.» Uno sguardo riconoscente si accese nelle sue iridi. L'attirai a me e l'abbracciai, facendo scivolare il palmo su tutta la sua schiena, accarezzandola interamente.
«Okay basta così.» Disse tirandosi velocemente indietro e interrompendo il contatto, come se volesse cambiare subito argomento e cancellare la malinconia che l'attanagliava.
«Parliamo di te.» Disse punzecchiandomi sui fianchi: sapeva che soffrivo il solletico. «Parliamo di Camila.» Aggiunse in tono basso e malizioso.
Sospirai rumorosamente. Per quanto volessi evitare l'argomento, non la intimidì a cambiare conversazione, ma anzi la lasciai proseguire.
«Che cosa vuoi sapere?» Domandai intrecciando i piedi sul letto e afferrando le caviglie con le mani, per poi oscillare avanti e indietro.
«Se oltre alla tensione sessuale avete concluso davvero qualcosa.» La sua schiettezza mi lasciava sempre a bocca aperta. Non mi sarei mai abituata al modo pungente che usava per dire le cose.
Feci un lieve sorriso rivolto al suo sarcasmo e poi scossi la testa, negando ciò che sperava.
«Che diamine Lauren! Oggi torniamo a casa. Se non sei abbastanza audace da concludere a distanza di chilometri, non lo farai mai più.» Mi rimproverò, picchiandomi sul braccio con un pugno. Afferrai il punto che aveva colpito e feci finta di aver sentito male, il che mi procurò solo un altro pugno.
«Essere lontana da casa non cancella chi sono.» Le ricordai dopo che il nostro gioco terminò e il braccio adesso era davvero indolenzito per colpa dei ripetuti colpi, anche se non violenti.
«No, ma ti ricorda cosa non dovresti essere.» Sorrise sbilanciandosi in avanti sul letto. Appoggiò le mani sui miei ginocchi e a distanza ravvicinata dal mio viso sussurrò con aria tremendamente convincente «Non la senti la scarica d'adrenalina ogni volta che fai qualcosa di proibito?»
Abbassai lo sguardo sulle mani che tenevo intrecciate in grembo. Scossi lievemente la testa, riportai gli occhi sui suoi. Aveva un'espressione confusa, crucciata.
Si tirò indietro lentamente, senza distogliere lo sguardo dal mio, poi portò la mano sulla bocca come se improvvisamente avesse capito.
«Non hai mai trasgredito, vero?» Domandò con voce sbalordita. Mi guardava come se fossi un'aliena e non ci fu momento in cui mi vergognai di più.
Ero una brava ragazza. Tutto quello che i miei genitori mi aveva insegnato io l'avevo svolto senza fare domande. Se qualcosa mi era vietato non sentivo il bisogno di oppormi.
Andavo a scuola, studiavo sodo per ricevere una borsa di studio e quando l'ebbi ottenuta trascorsi i miei anni al collage. L'unica volta che ero andata contro i miei principi era stato durante la partita, quando avevo baciato quella ragazza sotto gli spalti. Se i miei genitori ne fossero venuti a conoscenza mi avrebbero diseredato probabilmente, non solo perché erano rigorosamente religiosi, ma soprattutto perché nessuno si aspettava un comportamento del genere da me. Ero la figlia perfetta, la fidanzata perfetta, eppure mai prima d'ora mi ero sentita così infelice riguardo alla mia vita.
«Oddio Lauren, tu devi uscire dagli schemi, nuotare nell'oceano non sempre nel tuo laghetto sicuro. So che può far paura, ma vivere solo in tre metri cubi d'acqua non ti permette di vedere l'immensità che c'è là fuori.» Dinah parlava come una che se ne intendeva, si leggeva nella luce dei suoi occhi che aveva una certa esperienza in materia. Non conoscevo il modo in cui la sua adolescenza si era svolta, ma a quanto pare non era una che sottostava alle volontà dei propri genitori.
«Hai ragione. Magari domani...» Iniziai titubante. Il suo sospiro esasperato mi fermò subito.
«Perché rimandare qualcosa a domani se puoi farla oggi?» Inclinò la testa e mi squadrò interrogativa, con quel suo solito sorrisetto che spuntava ogni volta che era sicura di aver ragione.
Lasciammo l'argomento da parte. Dinah mi aiutò a finire le valigie. Trascorremmo la mattina a trafugare saponette e piccole bottigliette di shampoo gentilmente offerte dall'hotel. Andiamo chi non ruba le boccette dal bagno degli alberghi?
Dinah se ne andò quando quando il mio telefono squillò e apparve il nome di Trevor sullo schermo.
Mi sdrai sul letto e feci scivolare il pollice sullo smartphone per accettare la chiamata.
«Ehi.» Sentii la voce trapelare meccanicamente dall'altra parte della cornetta. Impiegai qualche secondo per rispondere.
«Ciao. Stavo facendo la valigia.» Lo informai lanciando un'occhiata alla borsa adesso aperta sul pavimento, strabuzzante di vestiti.
«Finalmente torni a casa.» Rilasciò andare un sospiro di sollievo e già me lo immaginavo a stringere il telefono con più forza non riuscendo a trattenere là contentezza.
Io invece avrei voluto far cadere lo smartphone, tanto si erano indolenziti i muscoli.
Sentii farfugliare qualcosa che parve un "grazie", probabilmente rivolto verso Julien.
«Non la sopporto più questa. La prossima volta la scelgo io l'infermiera» Sbuffò qualche secondo dopo di silenzio, certamente le aveva dato il tempo di allontanarsi lasciarsi andare a quel commento sprezzante.
«Certo. Mai che ti andasse bene qualcosa.» Rimbeccai. Normalmente avrei lasciato correre, non so nemmeno perché mi abbassai al suo livello, ma non riuscii a tenere a freno la lingua.
«Lauren non la sopporteresti nemmeno tu. Non sai quanto parla.» Continuò a lamentarsi.
«Almeno riempie il silenzio che c'è in casa nostra.» Avrei voluto mettere la mano davanti alla bocca e fermare quell'impulso di rispondere, ma era più forte di me. Avevo raggiunto il limite, anzi lo avevo oltrepassato di gran lunga e ora ero un fascio di nervi.
«Lauren ma che ti prende? Ho solo fatto un commento sull'infermiera.» Ribatté spiazzato. Il mio inaspettato modo di ammonirlo lo lasciava senza parole. A me invece ne tirava fuori anche troppe.
«Tu fai sempre commenti del cazzo.» Mi alzai in piedi e inizia a camminare avanti e indietro nella stanza. Lo sentii balbettare qualcosa di incomprensibile, ma non gli diedi il tempo di riprendersi dallo shock che già stavo incalzando sprezzatamene.
«Per una fottuta volta dovresti stare zitto, tenere per te i tuoi pensieri. Non fai altro che disprezzare le persone vicino a te, ma non ti accorgi che sono proprio loro ad aiutarti costantemente.» Marciavo a passo pesante nella stanza e puntavo il dito verso il vuoto, immaginando di avere la sua faccia davanti a me. «Io ti sono stata vicina per tutto questo tempo, certo avevi bisogno d'aiuto, ma ti sei mai chiesto come stavo io? Non è stato difficile solo per te. I tuoi mi hanno lasciato da sola! I tuoi amici sono scomparsi! Io pensavo a te, penso a te, ma chi cazzo pensa a me?!» Respirai affannosamente. Il mio petto si gonfiava irregolarmente e il mio cuore batteva all'impazzata, infastidito dal sangue che affluiva troppo velocemente.
«Lauren non capisco perché...» La sua voce mi irritò ancora di più e gli attaccai in faccia, poi spensi il telefono. Lo lanciai sul letto, non preoccupandomi di dove ricadesse.
Passeggiai per la stanza con le mani puntate sui fianchi, la pelle che scottava per l'eccessiva rabbia. Lasciai cadere la testa all'indietro.
Ero frustata, esausta. Sentivo il peso di tutte le responsabilità caricato sulle mie spalle ed era così difficile andare avanti da sola, cercare un appoggio da qualcuno, ma rendermi conto che non c'era nessuno a tendermi la mano.
Chiusi gli occhi e inspirai profondamente. Riempii i polmoni d'aria e gli sgonfiai lentamente, esalando la frustrazione, la rabbia e le paure. Lasciavo uscire tutto in una nuvoletta calda incorporea.
E improvvisamente la vidi. Camila era sempre stata vicina a me, non aveva invaso i miei spazi per molto tempo e quando l'aveva fatto io mi ero sentita meno sola e più forte.
Lei mi aveva teso una mano, ero stata io a rifiutarla.
«Non lo fare Lauren. Non lo fare.» Mormorai rivolta verso me stessa, mentre i miei piedi già contradicevano i miei pensieri e si muovevano spontaneamente verso la porta.
Feci scattare la maniglia immettendomi nel corridoio deserto.
Torna indietro, non un altro passo.
Mi istigai da sola, ma le mie raccomandazioni furono vane. Stavo già camminando verso la sua stanza, la mia forza di volontà era schiacciata da qualcosa di più grande, la mia mente dominata da un solo pensiero.
Ero già a metà strada, le mie gambe aumentarono il ritmo. Ora quasi correvo, come per raggiungere più velocemente qualcosa che altrimenti mi sarebbe sfuggito.
Non so se fossero più forti gli avvertimenti che rimbombavano nella mia mente, o se riuscissi a sentire solo il rumore pesante dei passi echeggiare nel corridoio, o se il mio respiro fosse l'unica cosa che effettivamente sentivo. Forse un insieme di tutte le cose che si mescolavano in una cacofonia rimbombante.
Con il rumore che ancora ronzava nelle mie orecchie bussai alla porta.
Ora dei passi svelti soverchiavano tutti gli altri suoni, seguendo il ritmo accelerato dei miei battiti.
Anelavo ancora quando la porta si spalancò e Camila apparve sulla soglia.
Sorrise nel vedermi e disse qualcosa che sinceramente non capii.
Improvvisamente calò il silenzio. Tutto il frastuono di prima ora scemava in un assillante silenzio.
«Lauren..» Camila passò una mano davanti ai miei occhi, schiarendo la vista dapprima appannata.
Mi ero preparata un bel discorso, ma ora non riuscivo a pensare a niente.
Gesticolai penosamente, mentre cercavo invano di stabilizzare il respiro.
«Lauren non farmi preoccupare.» Adesso la sua voce si era incrinata e la preoccupazione era evidente. Le parole mi si bloccavano in gola e i pensieri erano talmente disordinati da non avere nessuno senso.
Camila fece un passo verso di me, fece per allungare la mano sulla mia spalla, ma poi la ritirò indietro.
«Camila...» Dissi affannosamente, ma non uscì nient'altro.
Poggiai le mani sulle sue spalle e spinsi le labbra contro le sue.
Inizialmente non ricambiò, evidentemente sorpresa da quel gesto inaspettato, poi però le sue braccia si chiusero attorno al mio collo e mi strinsero più vicina.
Feci scivolare le mani sui suoi fianchi e feci scontrare il suo bacino con il mio.
Camila emise un leggero gemito quando i nostri corpi si incontrarono. Catturai quel suono soffocato sul palato.
Succhiai il suo labbro inferiore, lo assaggiai senza pudore e poi immisi la lingua nella fessura che lei aveva schiuso per me.
Accarezzai le sue braccia con il dorso delle mani fino a raggiungere l'estremità delle sue spalle e stringerle con le dita per attirarla più vicina.
«Lauren..» Mi interruppe Camila. Aprii gli occhi quando mi resi conto che le sue labbra non era più contro le mie. Le sue braccia erano ancora avvinghiate al mio corpo, eravamo strette l'una all'altra, aveva solo allontanato di qualche centimetro la testa per potermi guardare negli occhi.
«E... e Trevor e...» Balbettò scrutandomi attentamente. Posai il palmo contro la sua guancia e l'accarezzai con il pollice, poi protesi le labbra nuovamente verso di lei.
«Lauren...» Mi rimproverò di nuovo, ma non le diedi il tempo di dire altro perché la stavo già baciando.
«La...» Mise una mano fra di noi come barriera, allora io le baciai anche quella, soffermandomi su tutte le dita.
Il suo sguardo mi implorava di darle una risposta, ma avevo agito così sconsideratamente che non ero in grado di dargliela in quel momento.
«Possiamo parlarne dopo?» La pregai. Afferrai il suo polso e lo scostai dalla mia vista, per riportarlo sui miei fianchi.
Camila appoggiò la fronte contro la mia e annuii lentamente, un po' indecisa, ma troppo annebbiata per poter declinare.
Questa volta fu lei a baciarmi. Le sue mani mi strinsero le guance, con i pollici accarezzava la linea della mascella e intanto la sua lingua stava già combattendo con la mia.
Il mio cuore batteva sempre più forte, tanto da far risuonare la cassa toracica come fosse un tamburo. Non sapevo se continuare a baciarla, o smettere solo per sorridere.
----
Ce l'abbiamo fatta! Onestamente non pensavo di aspettare così a lungo per il primo bacio, ma è come se la storia si fosse scritta da sola.
È un capitolo che mi piace molto e spero sia lo stesso per voi.
Un bacio e come sempre un ringraziamento speciale a tutti ❤
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro