Capitolo quattordici
Mi svegliai la mattina con la faccia immersa nel cuscino umido, indossavo i vestiti del giorno prima, non mi ero neanche scomodata ad indossare il pigiama.
A dire il vero non mi ero nemmeno spostata sotto le lenzuola. Avevo tirato il piumone sopra di me e mi ero avvolta fra le piume, come un involtino primavera.
Era stata la notte peggiore della mia vita.
Non avevo mai sofferto di insonnia, a parte le prime settimane dopo che avevano diagnosticato la malattia a Trevor, ma quella notte era stata diversa. Non c'erano le sue urla a tenermi sveglia, ma i miei pensieri gridavano eccome.
Durante le prime ore della notte mi ero rassicurata pensando alle prime volte che ero uscita con Trevor. Ricordai che ridevo spesso, che lui si offriva sempre di pagare, del sesso, ma non riuscii a pensare ad altro. Per quanto mi sforzassi di ricordare i particolari, i dettagli non risaltavano affatto, anzi gli avevo completamente dimenticati. Così mi ritrovai a pensare alle emozioni. Tentai di recuperarle e riciclarle, ma erano sentimenti troppo truciolati per poter essere riconoscibili.
Comparai le sensazioni vivide che Camila mi faceva provare a quelle sbiadite che mi trasmetteva Trevor. Non c'era paragone.
Non ricordavo di una sola volta che avevo tremato per un contatto da parte del mio ragazzo, nemmeno quando facevamo sesso e il mio corpo si scuoteva durante l'orgasmo, neanche in quel momento i fremiti erano risonanti come quando mi sfiorava Camila.
Mi sentivo in colpa. Desideravo con tutta me stessa che Trevor potesse farmi provare ciò che era in grado di farmi sentire lei. Mi illusi per un momento, confondendo le sensazione fra di loro, mescolandole come due liquidi fra di loro, ma proprio come acqua e olio non si univano, ma anzi si speravano.
Avevo tentato di ingannare i miei sentimenti, di attribuire un diverso significato ad ognuno di loro, di categorizzare quelli per Camila come insignificanti e futili, mentre quelli per Trevor forti e incontrastati. Avevo ottenuto il contrario. I primi si erano rivelati essere nei confronti del mio fidanzato e i secondi ardevano ferocemente per Camila.
Avrei voluto raccogliere quelle emozioni, chiuderle in una scatola e buttarle via, ma anche se ne avessi avuto la possibilità, non ero sicura che le avrei chiuse a chiave.
La mattina dopo mi trascinai in bagno, mi sciacquai la faccia, lavando via i segni del pianto scaturiti dalla notte precedente, poi feci una doccia calda per rilassarmi e indossai il mio miglior sorriso, per incontrarmi con Dinah nell'atrio. Aveva programmato una gita in barca e pretendeva che fossi presente.
Non sapeva niente di quello che era avvenuto fra me e Camila, il che giocava a mio vantaggio perché era assolutamente l'ultima cosa di cui volevo discorrere.
«Mamma mia che occhiaie.» Si affrettò a farmi notare Dinah. Indossava degli occhiali, con grandi lenti scure, ma evidentemente ci vedeva fin troppo bene.
«Siamo arguti questa mattina.» Le feci un veloce cenno, esortandola a passarmi gli occhiali. Lei gli tolse sbuffando contrariata e li poggiò malamente sul dorso del mio naso.
«Hai fatto le ore piccole eh?» Domandò con aria maliziosa. So che voleva solo essere un commento ironico, ma le lanciai un'occhiata truce, prendendolo in maniera sbagliata.
«Sono andata a letto prestissimo e l'unico compagno che ho avuto è stato il cuscino.» Sistemai gli occhiali sul naso. Intanto ci incamminavamo verso la spiaggia, da dove la barca sarebbe salpata.
«Va bene.» Alzò le mani in segno di innocenza e mi rivolse uno sguardo inquisitorio. Evidentemente il modo secco con cui avevo risposto l'aveva incuriosita, e resa dubbiosa.
Sulla barca ci aspettavano altri insegnanti. Mi spiegarono che propriamente si chiamava catamarano. Mi spiegarono che era in grado di ospitare otto persone, era fornito di due bagni e di un salotto ampio.
Era praticamente una casa galleggiante. Se ne avessi avuto le possibilità economiche mi sarei trasferita immediatamente su quell'imbarcazione e navigato in lungo e largo.
Mi sarebbe piaciuto prendere una patente nautica e portare Camila a...
Merda.
Scossi la testa e scacciai quei pensieri dalla testa. Mi concentrai sul mare. Era un po' marrone e paludoso, ma a me piaceva lo stesso. Le onde si infrangevano contro il catamarano facendolo sobbalzare, ma dolcemente. Era come una culla gigante e il suono proveniente dall'acqua spumeggiante era una soave ninna nanna. Forse avrei potuto spendere qualche ora a dormire mentre cavalcavamo il mare, sono sicura che avrei trovato la pace giusta per abbandonarmi a Morfeo.
«Possiamo partire?» Domandò uno dei ragazzi dello staff. Dinah scosse la testa in segno di negazione e indicò due figure che si avvicinavano goffamente all'imbarcazione.
Strizzai gli occhi, riducendoli a due fessure, per vedere meglio. Riconobbi la massa scura di capelli ondeggiare sulle spalle esili della ragazza, il sorriso stampato sul volto della piccola figura affiancata a lei.
«Hai invitato anche Camila?» Sibilai all'orecchio di Dinah, aggrappandomi al parapetto con forza.
«Certo! È un'esperienza che né lei, né Heali potevano perdersi.» Disse sorridendo e sbracciandosi per salutare elle due figure sempre più vicine. Si accorse che non proferì parola e allora mi squadrò da capo a piedi, sforzandosi di interpretare al meglio la mia espressione solenne, anche se intercettata dai raggi solari.
«Problemi?» Chiese con un tono sarcastico, che solo per ripicca risposi sfoggiando un sorriso smagliante e pretesi che andasse tutto bene. A meraviglia, dissi.
Camila ed Heali salirono a bordo, io mi diressi verso prua, così da evitare di doverla incontrare. Non ero sicura fossi più arrabbiata, delusa o triste, ma era un mix micidiale dal quale tenersi alla larga.
Mi appoggiai col fianco sul parapetto, così da poter osservare con la coda dell'occhio Camila, ma non essere notata grazie alle lenti scure.
Indossava un vestito leggero nero, che svolazzava sulle caviglie sospinto dal vento. I capelli scuri si intersecavano alla brezza marina e ondeggiavano maestosamente sulle sue spalle scoperte.
Heali aveva un capello di paglia nero sulla testa, dalla grandezza dedussi appartenesse a Camila. La bambina mi vide anche da notevole distanza e corse verso di me, tenendo le mani premute sulla testa per non far volare il capello.
«Ciao Lauren.» L'accolsi fra le mie braccia senza costrizioni, anzi fu lei a saltarmi addosso con irruenza. «Questa barca è enorme.» Disse aprendo le mani stimando approssimativamente la lunghezza del ponte. Ingigantì di gran lunga le dimensioni, spalancando interamente le braccia, imitando un aeroplano.
«Giusto? Lo credo anch'io. È davvero enorme.» L'assecondai, affievolendo la voce in maniera dolce e buffa, come mi capitava di fare quando mi relazionavo con i bambini.
Prese il capello fra le mani, evidentemente stanca di indossarlo e lo poggiò sul mio capo, leggermente storto.
Lo sistemai, assicurandomi che la visiera non oscurasse la vista, o facesse cadere gli occhiali.
Quando ebbi finito mi accorsi che Dinah è Camila ci avevano raggiunte.
La prima parlava spigliatamente in gergo piratesco e Heali rideva ogni volta che imitava la faccia di capitan uncino, mentre Camila spostava nervosamente il peso da un piede all'altro e fissava un punto indefinito verso l'orizzonte, chiaramente intenzionata ad ignorarmi.
«Ho avvertito la cabina di comando che possiamo partire.» Disse sorridente Dinah, poi si rivolse direttamente a me «Forse dovresti chiamare Trevor, quando saremo in alto mare non ci sarà linea.» Mi avvertì con una punta di imbarazzo, lanciando diverse occhiate a Camila, come se la sua mera presenza la rendesse nervosa a riguardo.
«Oh certo.» Diedi un gentile colpetto sulla schiena della bambina, spronandola a tornare a terra. Prima di allontanarmi le ridiedi il cappello, poggiandolo leggiadramente sul suo capo.
Non avevo per niente voglia di sentire Trevor, specialmente dopo la chiacchierata della sera precedente, quando ero crollata incresciosamente.
Mi spostai verso una zona isolata, solo due ragazzi dello staff stavano facendo una pausa fumando una sigaretta e chiacchierando fra di loro, non facevano caso a me.
Composi il numero di Trevor e aspettai. Solo dopo due squilli rispose.
«Lauren?» Chiese subito con apprensione. Mugolai in risposta. «Oddio, lo sai quanto mi sono preoccupato in queste ultime ore? Ho lasciato dieci messaggi in segreteria e non hai richiamato.» Adesso era diventato nervoso. Sapevo che la sua alterazione era scaturita da un'eccessiva preoccupazione, ma aveva un modo davvero sgradevole di dimostrare il suo turbamento.
E questo era sempre stato un lato del suo carattere.
«Si lo so Trevor. Mi sono addormentata e non ho acceso il telefono. Comunque ti ho chiamato perché stiamo per salpare e non credo che sarò raggiungibile per qualche ora.» Lo avvertì, aspettandomi qualche risposta sarcastica.
«Che novità.» E infatti fu esattamente ciò che ottenni.
«Senti adesso devo andare.» Dissi lanciando un'occhiata alle mie spalle per trovare Dinah vicino al parapetto con Heali fra le braccia e Camila intenta a guardare, con discrezione, verso di me.
«Appena torno a terra ti chiamo, okay?» Accennai ad un leggero sorriso che sperai arrivasse in qualche modo dall'altra parte della cornetta. Negli ultimi giorni il rapporto con Trevor era diventato più teso del solito e sapevo che era colpa mia, che ero stata io a trascurare la nostra relazione, ma avevo così tante cose a cui pensare che talvolta parlare con lui mi faceva sentire maggiormente il peso dei pensieri.
Non che lui rendesse le cose più semplici, con il suo atteggiamento di superbo e sprezzante, ma in fondo capivo le sue motivazioni. Forse anche Trevor si rendeva conto del mio distacco e ne soffriva a modo suo. Si sa, ognuno reagisce come può al dolore.
«Come ti pare. Sarò qui.» La sua voce si assottigliò sull'ultima frase come se dirlo gli facesse più male, gli ricordasse in maniera allusiva non solo che mi aspettava, ma anche che non poteva muoversi.
Attaccai. Fu una delle conversazioni più faticosa della mia vita.
Restai qualche secondo in disparte. Il telefono ancora stretto in mano, poggiato sul mento, ma anche distante dall'orecchio mi sembrava di sentire ancora la voce di Trevor che mi sgridava per qualcosa, o semplicemente mi raccontava della sua giornata e quella lamentosa routine mi ricordava chi fossi e a che luogo appartenessi.
Repressi l'istinto di piangere, perché avevo già pianto abbastanza la scorsa notte e poi non volevo farmi vedere debole davanti a Dinah, a Camila e soprattutto ad Heali.
Restai a guardare le onde appiattirsi contro lo scafo, il fragile equilibrio dell'acqua che si spezzava contro quell'oggetto che impediva lo scorrere ininterrotto del mare.
Me ne andai solo quando il fumo proveniente dalle sigarette dei due ragazzi iniziò a solleticarmi fastidiosamente le narici e mi riunì alle altre.
Avevamo preso il largo già da un po', ormai le case erano sparite alle nostre spalle, si riusciva solamente a intravedere la spiaggia e dei piccoli puntini che si allontanavano sempre di più fino a rendersi invisibili all'occhio umano.
Dall'altra parte invece stavamo cavalcando verso l'orizzonte, avevo come la sensazione che non ci saremo arrivati mai, ma che invece saremo rimasti inghiottiti in quel dolce movimento adagio delle onde.
Il Sole si abbassava lentamente, visto dal mare sembrava più vicino, più luminoso. I raggi si riversavano sull'acqua, accecavano quasi, ma in maniera stranamente piacevole. Restai in piedi sulla prua, assorbì quella sensazione di pace e tranquillità e lasciai che mi cullasse in un insolito torpore.
Era come svegliarsi e addormentarsi allo stesso tempo. Il Sole batteva con prepotenza sul mio volto, accaldando il mio corpo, ma era una sensazione così piacevole da assopirti.
«Ehi.» Sentii un'inconfondibile voce al mio fianco. Aprii gli occhi che finora avevo tenuto chiuso e mi voltai per incontrare il volto familiare di Camila, attraversato però da un fascio solare che baciava la sua pelle, diradava le ciglia e illuminava le sue labbra rosee e piene.
«Ehi.» Ricambiai cordialmente il saluto, ma tornai a concentrarmi sul panorama davanti a me, non che quello che avevo al mio fianco fosse meno meraviglioso.
«Heali sta attenta, ti prego.» Si raccomandò Camila alla bambina in piedi al suo fianco, mentre lei si allontanava verso la cima della prua, dove il parapetto formava un angolo appuntito e attirava l'attenzione della sorella minore.
Restammo da sole, disturbate solo dalla presenza costante del Sole, che ora si abbatteva debolmente su di noi. Non scottava sulla pelle come prima, ma anzi la riscaldava dalla brezza marina che si sollevava adesso dall'acqua.
«Come sta Trevor? Gli manchiamo?» Chiese con un sorriso malinconico. Annuii per confermare che procedeva tutto bene, ma non mi dilungai.
Anche Camila fissò il punto dove stavo guardando io con tanta dedizione, come se si aspettasse di vedere qualcosa che prima le era sfuggito.
«Dinah si è addormentata.» Mi fece notare Camila. Mi voltai per scrutare la ragazza distesa sul ponte, sopra un asciugamano rosso e con la borsa sotto la nuca usata come cuscino. Dormiva profondamente, coprendosi metà volto con il cappello di paglia che doveva averle prestato Heali.
«Sembra proprio di sì.» Constatai tornando a guardare l'orizzonte a braccia conserte.
Camila sospirò frustrata. Ero sicura che comprendesse la mia freddezza, ma facesse fatica ad accettarla. Lo era anche per me. Non era facile impersonare qualcuno che non ero, pretendere di non sentire quello che contrariamente sentivo.
Ero brava a dissimulare i miei sentimenti, per forza d'abitudine, solo che non ero abituata a subirne la ripercussione e invece con lei era esattamente così; come se sferrassi un pugno, ma immediatamente mi tornasse indietro.
«A quanto pare stiamo tornando verso la riva.» Commentò. Non mi ero accorta che stavamo virando, ma adesso che me l'aveva fatto notare mi accorgevo che il Sole picchiava lateralmente sulla mia guancia e riscaldava solo un lato del mio corpo.
«Già.» Tagliai corto. Era chiaro che stesse cercando con tutta se stessa di intavolare un argomento, uno qualsiasi. Avremmo potuto parlare del meteo, del mare, del modo allegro di Heali di aprire le braccia e cercare di planare sulle onde, non importava di cosa, voleva solo parlare con me.
«Non sto flirtando con te.» La sua affermazione mi lasciò basita.
Non credevo riuscisse a parlare tanto facilmente dell'argomento, visto come io affrontavo la situazione immaginavo fosse lo stesso per lei.
«Co-cosa?» Balbettai stupita, mantenendo lo sguardo dritto davanti a me, incapace di sostenere il suo.
«So che abbiamo discusso del mio comportamento, ma io ora non flirtando con te e tu mi stai evitando ugualmente.» Scrollò le spalle come se la cosa fosse evidente e patetica.
«Non ti sto evitando.» Mi affrettai ad aggiungere, ma adesso mi accorsi di quando ridicola risultassi. Certo che la stavo evitando e non perché ero preoccupata che flirtasse con me, ma perché temevo non lo facesse più.
«Si Lauren, mi stai evitando.» Sentii la serietà nel suo tono di rimprovero. Respirò profondamente, per calmare i nervi e poi continuò con voce più placida «Volevo solo rassicurarti che non sto flirtando con te e che non lo farò più, ho recepito il messaggio.» Fece una pausa «Però noi dovremo vederci tutti i giorni. Farei solo finta che non esista?» Domandò in maniera quasi sarcastica. Non risposi. A quello non avevo pensato.
Camila sarebbe stata costantemente presente nella mia vita perché non era diventata solo un sogno irraggiungibile, era anche un'impiegata e lavorava in casa mia.
«Mi comporterò civilmente.» Ammisi con un tremolio nella voce che tradì le parole che avevo appena pronunciato.
«Oh Cristo Lauren.» Sbuffò irritata. Il suo comportamento inusuale attirò la mia attenzione. Spostai lo sguardo su di lei senza volerlo. Il mutamento nel suo volto era chiaro, anche baciato dal sole appariva cupo e indurito.
«Ne stai facendo un dramma. Non ho ucciso nessuno. Ammetto di essermi lasciata andare, ma ho solo cercato di conquistare la donna che mi attrae. Non mi pare di aver commesso qualche reato, anche se tu mi guardi come se fossi una criminale.» Gesticolò nervosamente, come se muovere le mani trasmettesse al meglio il messaggio.
Lessi la frustrazione chiara nei suoi occhi, neanche i raggi solari riuscirono a nasconderla, ma anzi l'accentuarono.
Desiderava con tutta se stessa ricevere un perdono per qualcosa che non aveva fatto. Ed era questo contrasto che la turbava.
Certo si era spinta oltre con me, ma avevo fatto qualcosa per fermarla, se non la sera precedente, oppure l'avevo lasciata fare, modellandomi come creta nella sue mani?
«Hai ragione. Mi sono comportata da stupida per tutto il giorno. Perdonami.» Spezzai la durezza che involontariamente il mio corpo aveva assunto e affossai le spalle, facendo cadere tutte le difese.
«Ero spaventata per come avresti potuto reagire dopo la conversazione della notte precedente.» Confessai spudoratamente. Camila scivolò davanti a me, teneva le braccia incrociate al petto e stringeva con forza il tessuto della maglietta, come se avesse avuto bisogno di una distrazione per non poggiare, se anche distrattamente, le mani su di me.
«Spaventata che non comprendessi?» Inclinò la testa su un lato, il naso a punta spiccò in maniera dolce e le labbra si incurvarono in una linea interrogatoria. Il tutto nell'insieme le attribuiva un'aria buffa.
«Non lo so.» Bofonchiai impacciatamente «Forse che non accettassi, o forse che lasciassi perdere del tutto.» Avvampai appena le parole lasciarono la mia bocca. Già pensarlo era imbarazzante di per sé, una di quelle cose che ti fa arrossire anche a distanza di tempo, immaginiamoci ammetterlo quanto potesse essere difficile.
«Non capisco... Pensavo che... » Scosse la testa da un lato all'altro soppesando le mie parole.
Interruppi prontamente qualsiasi ipotesi stesse formulando.
«Infatti, sì.» Confermai i suoi sospetti annuendo rattristita, uccidendo qualsiasi speranza avesse in serbo «Camila sono talmente confusa che non so neanche che cosa potrebbe ferirmi di più: la tua insistenza, o un'ipotetica resa.» Dissi sinceramente. Che senso aveva mentire? Mi ero nascosta per tutto il giorno come una bambina che scappa davanti alle proprie responsabilità, ma io ero abbastanza cresciuta per smettere di scappare.
Le cose vanno affrontate a viso aperto, sfidate, anche a costo di perdere, ma sempre meglio poter dire "io ho combattuto".
«Cercherò di restarti vicina, ma senza invadere i tuoi spazi. Magari così riusciremo a trovare un modo per parlarci senza doverci per forza ignorare, no?» Le si formò un sorriso sulla faccia, una vaga curva che portava con se tutta la speranza e la benevolenza che Camila dispensava.
Annuii e ricambiai il sorriso.
Travalicammo l'argomento quando tornammo a riva. Heali aveva la faccia assonnata, ormai il Sole era tramontato da qualche ora e lei voleva solo andare a letto.
Raggiungemmo l'albergo in pochi minuti.
Dinah sbadigliava più di Heali, Camila aveva le palpebre leggermente abbassate e avevo il timore che si addormentasse ad ogni passo che faceva. Inizialmente pensai che sarebbe stato divertente vederla cadere, ma poi ponderai l'idea che potesse farsi seriamente male e allora mi assicurai di tenerla sveglia parlando in continuazione di qualsiasi cosa mi passasse per la testa.
«È stato bello il giro in barca. Ah scusate, catamarano. È importante saperli distinguere. Non credete? Per me è importante.» Per quanto fossi seria non riuscivo a pensare a qualcosa che avesse senso, anche se loro erano troppo stanche per accorgersene.
«Oddio Lauren smettila di blaterare.» Si lamentò infine Dinah mentre stavamo salendo l'ultima scalinata. Avrei preso volentieri l'ascensore, ma Heali aveva paura di rimanere chiusa dentro.
«Se proprio vuoi parlare di qualcosa fa che sia interessante.» Si massaggiò le tempie «Perché non ci racconti della volta in cui hai baciato una ragazza? Quello sì che era interessante.» Nonostante la sua voce risultò strascicata e debole, arrivò chiaramente alle mie orecchie. Sperai che Camila non avesse sentito, ma il suo improvviso guizzo mi disse il contrario.
Adesso i suoi occhi erano puntati su di me, strabuzzati in fuori. E per l'ennesima volta in tre giorni desiderai di colpire Dinah così forte da farle dimenticare il suo nome.
«Eh... magari domani... Adesso vado a letto.» Farfugliai imbarazzata. Lanciai un'occhiata truce a Dinah, ma lei non la percepì tanto era impegnata a restare sveglia e non cadere sulle scale.
«Ecco brava. Proprio quello che intendevo.» Enfatizzò Dinah con le poche forze che le erano rimaste. A quanto pare era riuscita nel suo intento: farmi smettere di farneticare.
Diedi la buonanotte a tutti, lasciai un bacio sulla testa di Heali che mugolò in risposta, ormai già troppo addormentata per rispondere coerentemente.
«Questa storia comunque devi raccontarmela.» Mi istigò Camila mentre mi allontanavo a passo svelto per chiudermi in camera.
-----
Ciao a tutti. Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Ormai la storia sta prendendo un po' forma, nonostante ci sia ancora tanta, ma tanta strada da fare, volevo ringraziarvi per continuare a seguirla.
Fatemi sapere cosa ne pensate. Potete lasciare un commento, oppure scrivermi nei messaggi. Come preferite voi, ma fatemi sapere cosa ne pensate. È importante per me. Un bacio a tutti e grazie ancora ❤
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro