Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo diciannove

Sono tornata! Buona lettura ❤️

«Lauren.» Camila mi svegliò gentilmente, scrollandomi per un braccio e dandomi un bacio sulla fronte. Mi stropicciai gli occhi ancora assonata, feci uno sbadiglio estremamente silenzioso ricordando a me stessa di non poter emettere suoni gutturali in un ospedale dove tutto sembrava riposare.

«Che succede?» Domandai guardandomi attorno, ma non c'era più nessuno. Eravamo solo io, Camila e una tenera luce solare che filtrava dalla finestra e si posava sulla nostra pelle con tocco lieve e passeggero.

«È mezzogiorno passato. Pensavo volessi andare a controllare come sta Trevor.» La sua voce uscì ovattata perché premeva ancora le labbra contro i miei capelli, mentre con una mano accarezzava la mia spalla. Era una posizione scomoda, mi facevano male le costole e mi era venuto il torcicollo essendomi addormentata in maniera stravaccata, ma stare fra le sue braccia non aveva eguali e potevo sopportare qualsiasi dolore pur di godermi altri cinque secondi accoccolata sul suo petto.

«Forse è meglio che vada, sì.» Dissi riluttante, spostando lo sguardo sulla sua mano che adesso percorreva il mio avambraccio e cercava di raggiungere la mia. Piegai il polso su se stesso per riuscire a toccare le sue dita contro le mie.
Mi focalizzai sul gioco amorevole che si scambiavano adesso le nostre mani.
I suoi polpastrelli sfioravano i miei, adesso lei schiudeva il palmo e tendeva le dita aspettando tracciassi con l'indice le sue protuberanze, partendo dal pollice per finire sul mignolo e viceversa.

«Dovresti alzarti.» Mi disse sorridendo, anche se non potavo vederla perché aveva poggiato il mento sulla mia fronte, riuscii a riconoscere lo sbuffo divertito che emetteva ogni volta che contraeva i muscoli facciali in un sorriso.
«Lo so, ma sto così bene.» Risposi abbassando leggermente la testa verso il basso per evitare un raggio di sole che mi colpiva su una parte del volto accecandomi.

«Dov'è Heali?» Le chiesi spensieratamente, volendo prolungare la conversazione il più possibile. Il suo maglione mi aveva riscaldato la schiena e il collo, se mi fossi alzata sapevo che avrei provato quella spiacevole sensazione di freddo che mi attanaglia ogni volta che mi discosto dal tepore per abbattermi in un ambiente fresco.

«L'ho lasciata a casa di Ally e sarebbe andata a scuola insieme a lei.» Adesso le sue dita si muovevano contro il fascio di luce che entrava orizzontalmente nella stanza e permetteva di vedere la polvere che svolazzava nell'aria.
Avevo interrotto il gioco fra le nostre mani e ora evidentemente lei ne sentiva la mancanza.

«Lauren se vuoi ti accompagno.» Disse cambiando argomento. Aveva percepito la mia riluttanza a spostarmi da lei, o era consapevole che non sarei riuscita a fronteggiare Trevor da sola? Forse entrambe.
«No.» Dissi prendendo la situazione in mano. Mi alzai dalla sedia, scostandomi dal suo corpo per sistemarmi davanti a lei e poterla guardare negli occhi. Alcune ciocche le erano ricadute sugli occhi, impigliandosi fra le sue ciglia lunghe.

Allungai una mano verso il suo volto e con la punta delle dita appuntai le ciocche ribelle dietro il suo orecchio. Lasciai scivolare la mano sotto al suo orecchio, per fermarmi alla base del suo collo.
«Devo farlo da sola.» Mormorai flebilmente. Lei si limitò ad annuire, come se non avesse fiato da sprecare in parole perché il mio tocco inaspettato le aveva tolto tutta l'aria nei polmoni e ora doveva farne riserbo.

«Sarò qui.» Disse infine con la voce rotta. Sorrisi notando quanto potere esercitassi su di lei. Almeno ero sicura di non essere l'unica a sciogliersi nelle mani dell'altra.

Mi guardai attorno con circospezione e quando fui abbastanza sicura che non ci fosse nessuno nei dintorni feci scivolare le dita dietro la sua nuca esitanti, per poi rafforzare quel contatto quando le nostre labbra si scontrarono rapidamente.
Camila leccò il mio labbro inferiore con avidità e per quanto la situazione fosse disperata e il luogo totalmente inappropriato, non posso negare di aver percepito quel familiare tepore in mezzo alle gambe, lì dove ogni volta di accendeva un fuoco quando il suo corpo trovava un minimo contatto con il mio.

Lasciai andare le sue labbra con uno schiocco rumoroso e mi distaccai lentamente, tenendo ancora gli occhi chiusi, le labbra aperte in una piccola "o" e la testa leggermente inclinata come se stessi per essere baciata di nuovo.
Riaprii gli occhi per trovare Camila a fissarmi appassionatamente. I suoi occhi color cioccolato mi facevano sentire vulnerabile e nuda ogni volta che si posavano su di me.
Non ero mai stata una persona fragile, forse perché non l'avevo mai permesso a me stessa, ma in fronte a lei cadeva ogni muro, si sgretolava qualsiasi certezza e veniva fuori il mio lato umano, la parte debole che si era rannicchiata in tutti quegli anni adesso si destava e ricordava a me stessa che crollare qualche volta era lecito.

«Vado da Trevor, ma torno subito.» La rassicurai con più foga di quanto volessi, come se nella frase ci fosse un'allusione a qualcosa di superiore. Camila annuì rasserenata, non sembrò neanche per un attimo preoccupata, non le venne nemmeno il minimo dubbio che potessi fare un passo indietro nella nostra relazione per i problemi di salute di Trevor.
Si fidava di me e il sentimento era reciproco.

Mi incamminai verso la camera numero 405, dove era tenuto sotto osservazione Trevor.
Bussai fievolmente, non volevo svegliarlo in caso fosse ancora addormentato, ma pochi secondi dopo sentii una voce stanca e debole concedermi il permesso di entrare.

Era sistemato nel letto con flebo che entravano nelle sue braccia, indossava la mascherina dell'ossigeno perché non aveva recuperato a pieno le forze e un monitor mostrava il tracciato del suo battito cardiaco.
Le palpebre erano abbassate pesantemente; si vedeva che faticava a tenerle aperte. Le labbra secche e screpolate ben visibili sotto la mascherina nonostante l'appannamento causato dal suo respiro. Il volto pallido, affossato. Le guance rientrate e i lineamenti che spiccavano maggiormente per colpa della pelle aggrinzita.

Sembrava che non si nutrisse da giorni, che fosse stato abbandonato a se stesso. Feci un passo dentro la stanza. Venni inondata da una folata di disinfettante, medicinali e odore di chiuso. La tapparelle erano oscurate e la finestra serrata, non sembrava essere stata aperta da molto.

Mi avvicinai al letto in punta di piedi, spostai la poltrona al fianco di esso e mi sedetti.
Trevor aveva voltato leggermente la testa verso di me, ma era riuscito a girarla del tutto e così i suoi occhi invece che essere puntati su di me erano fissi sui miei piedi.
Notai il suo disagio e l'esasperazione nel suo respiro, potevo solo immaginare quanto frustrante potesse essere per lui. Mi alzai dalla poltrona e mi sistemai ai piedi del letto cosicché, con un minimo sforzo in più, potesse vedermi.

«Come stai?» Fu la prima cosa che mi venne in mente, ma subito dopo realizzai che idiozia avevo appena detto. Balbettai qualcosa che doveva somigliare a delle scuse, ma lui mi interruppe muovendo leggermente la mano contro il materasso, non riuscendo ad alzarla.

«Stanco.» Disse con un filo di voce che portava con se lo sfinimento del suo corpo.
Annuii debolmente abbassando lo sguardo sulle sue mani. Non dissi niente, mi morsi l'interno della guancia, spostando di conseguenza le labbra verso sinistra.

«N-no...» Farfugliò facendo uno sforzo enorme per farsi sentire. Alzai lo sguardo su di lui.
«No.» Ripeté scuotendo flebilmente la testa sul cuscino. La mascherina si spostò premendo fastidiosamente sulle labbra. Cercò di rimetterla a posto invano e quando cedette alla realtà di essere privato della sua già scarsa autonomia al momento mi lasciò rimettergli la mascherina.

«Cosa c'è?» Gli chiesi non capendo ciò che stava cercando di dirmi. Mosse la testa verso il basso e con lo sguardo mi indicò le sue mani, che opponevano resistenza.
Capii che stava tentando di informarmi che non volevano muoversi. Vidi la sua fronte corrugarsi, i muscoli contrarsi. Stava cercando di smuoverle ad ogni costo, si sarebbe accontentato anche di un minimo movimento, ma niente. Restavano salde al materasso imperterrite.

Portai la mia mano sopra la sua e accarezzai il dorso della sua mano. Una leggera peluria sfregò contro i miei polpastrelli e non potei fare a meno di pensare quanto fosse diversa la sua pelle da quella soffice di Camila.

«Lo so Trevor. So tutto.» Sospirai amaramente e spostai lo sguardo dalle nostre mani ai suoi occhi «Andrà tutto bene. Pensa solo a riposarti adesso e ti prometto che sarà finito prima che tu te ne renda conto.» Mi pentii subito di quello che avevo detto. Non avevo mai fatto promesse vane e sicuramente non potevo garantire per ciò che lo attendeva in futuro, ma sembrava la cosa giusta da dire, la tipica frase che dicono tutti in un momento di bisogno, solo che alcuni ci credono e molti altri vaneggiano.

«Casa.» Sussurrò esausto. Tolsi la mano dalla sua per rimboccargli le coperte, proprio come facevo ogni altra sera.
«Lo so che vuoi tornare a casa. Resterai qui per qualche giorno, poi tornerà tutto come prima.» Un'altra bugia. Mi morsi il labbro per impedire alla mia mente di vocalizzare altre menzogne.
Trevor passò la lingua sulla bocca secca per idratarla.

«Ho... ho sonno.» Mormorò girando la testa dall'altra parte e chiudendo del tutto gli occhi ormai troppo pesanti per essere sostenuti.
Mi alzai cautamente dal letto, lasciando la fossa sul materasso.
«Torno a trovarti dopo.» Gli dissi avvicinandomi titubante, incerta su come avrei dovuto salutarlo.

«No...» Respirò profondamente dentro la mascherina «Domani.» Mi fece intuire di voler restare da solo.
Non perché non mi volesse lì, ma non gli piaceva essere visto nei suoi momenti bui.
A chi piace farsi vedere fragile?
Annuii, anche se lui non poteva vedermi sapeva che avevo recepito il messaggio e non ci fu bisogno di aggiungere altro.

Senza rendermene conto ero avanzata verso l'estremità del letto e ora mi trovavo in piedi davanti al suo volto. Mi abbassai velocemente, ma mi venne spontaneo baciarlo sulla fronte e non sulle labbra come usuale.
Lui sembrò non accorgersene e accennò ad un mugolio in risposta.

Mi chiusi la porta alle spalle e restai qualche minuto contro l'anta, a riprendere fiato.
Quelli non eravamo più noi.
Forse Trevor non lo vedeva, forse era colpa del trambusto che aveva affrontato durante la notte, ma io lo percepivo. Era una sensazione tangibile e per quanto cercassi di evitarla sentivo il fiato sul collo, come se ci fosse costantemente l'ombra di Camila a ricordarmi che quello che provavo per Trevor non sarebbe stato più lo stesso, non dopo aver conosciuto lei.

Mi incamminai verso la sala dove avevo lasciato la ragazza. La trovai affacciata alla finestra, a godersi i raggi del Sole che sembravano splendere per tutti tranne che per noi quel giorno. Quanto è triste trovarsi dentro un ospedale mentre fuori c'è una bella giornata e tu puoi solo guardarla, ma non viverla?
Adesso capivo perché le tapparelle erano costantemente oscurate nelle camere.

«Ehi.» L'avvisai della mia presenza, facendo scorrere una mano sulla sua schiena piegata sul davanzale.
«Ciao.» Sorrise dolcemente, intrecciando le sue dita alle mie adesso che la mia mano aveva raggiunto l'altezza della sua spalla.

«Com'è andata?» Domandò voltandosi verso di me. Il Sole batteva sulla sua nuca, la sua figura mi impediva di essere colpita dai raggi e io potevo concentrarmi sui suoi occhi indisturbata.

«Non è di buon umore.» Sospirai abbassando lo sguardo sulle nostre mani adesso congiunte sul davanzale.
«Vuole che torni domani.» La informai con un sorriso un po' acerbo. Non ce l'avevo con Trevor per aver rimandato la mia visita, anzi gli ero grata per avermi concesso un giorno libero dove avevo in programma solo di dormire, ma forse egoisticamente mi aspettavo un po' più di riconoscenza. Avevo passato tutta la notte in ospedale e lui mi ringraziava con la sua solita arroganza. Non era colpa sua, sicuramente quella crisi l'aveva sfiancato, ma mi faceva sempre sentire di troppo quando ero nelle vicinanze e invece ero tutto ciò che gli restava.

«Uhm...» Portò la mia mano alle sue labbra e lasciò un bacio sul dorso. Rabbrividii al contatto della sua pelle umida contro la mia.
Dio, avrei voluto sentire quella sensazione dappertutto sul mio corpo. Scoprire che effetto scatenavano le sue labbra contro i miei fianchi, come avrei gemuto quando avrebbe baciato il mio collo e come sarebbe uscita la mia voce mentre urlavo il suo nome. Scossi la testa e scacciai quei pensieri peccaminosi, avvampando subitamente solo per essermi permessa di concepire un'idea tanto lussuriosa.

«Potremo andare a fare un giro. Dove vuoi tu.» Scrollò le spalle, come se non le importasse dove andavamo, voleva solo lasciare quel posto macabro e darmi la possibilità di tornare a sorridere. Inizialmente rifiutai perché temevo che sarebbe successo qualcosa, o che i medici avrebbero potuto avere la necessità di parlarmi delle condizioni di Trevor, ma poi l'idea di passare un'intera giornata con Camila prese il sopravvento e ci ritrovammo per strada mano nella mano, dirette verso la scuola di Heali.

Mentre passeggiavamo nel parco mi accorsi di avere ancora le mie dita intrecciate alle sue. Non mi vergognavo di mostrare a tutti chi ero, ma sulla carta ero ancora impegnata con Trevor e l'eventualità che qualcuno avrebbero potuto riconoscermi e classificarmi come una traditrice non mi piaceva affatto.
Sfilai rapidamente la mano dalla sua e incrociai le braccia al petto. L'espressione ferita sul volto di Camila mi lasciò interdetta, pensai di avere qualche parola di riguardo per quel mio gesto inaspettato, ma lei mosse una mano in maniera vaga come per dire "non fa niente".

Ci fermammo a mangiare un panino nel parco. Lei lo mordeva con disinvoltura, senza sporcarsi con il ketchup che colava dai lati o con la maionese che straboccava dal pane, ma io avevo già tre macchie sulla maglietta e due sui pantaloni.
Avevo provato a diluirle con l'acqua, ma avevo ottenuto il contrario allargando le macchie.

«Hai un rivolo di maionese che ti scende proprio dall'angolo della bocca.» Disse Camila ridendo e indicando il punto preciso con l'indice.
«Dove? Qui?» Roteai gli occhi verso la direzione che stava additando e senza pensarci la raggiunsi con al punta della lingua e la leccai.
Nell'intento di rimuovere la maionese presi anche il suo dito e immediatamente Camila sussultò. Ritirò indietro il braccio, nascondendo la mano dietro la schiena senza una ragione precisa.
Eravamo così infantili, eppure non mi ero mai sentita così allegra che quando giocavo con lei e i suoi ormoni.

Passammo le restanti ore a passeggiare, parlare e scherzare, ma anche a raccontarci. Per esempio Camila mi aveva svelato che aveva organizzato il suo compleanno solo per stare con me e che non lo festeggiava da quando era morta sua madre perché era venuta a mancare proprio durante quel giorno.

«Avevamo organizzato una festa. Lei pensava di essere in ritardo e non voleva deludermi. Ha dato gas, troppo gas e ha perso il controllo dell'auto in curva. Un volo di duecento metri non perdona.» Concluse con un sorriso malinconico e anche un po' colpevole, come se si attribuisse la colpa del misfatto.
L'attirai in un abbraccio e la ringraziai per aver fatto quel gesto per me.
«Non mi riferisco soltanto alla festa. Grazie anche per esserti aperta con me.» Aggiunsi prendendo il suo volto fra le mani e baciandole la fronte con tale dolcezza che avrei usato anche per baciare le sue labbra, ma non in un luogo pubblico. Non ancora almeno.

Camila mi riaccompagnò a casa. Disse che avrebbe preferito tornare a casa a piedi piuttosto che lasciarmi sola dopo tutta la stanchezza accumulata.
Sulla porta finalmente trovammo un momento di privacy e riuscii a catturare le sue labbra nelle mie.
Assaporai il dolce sapore che la contraddistingueva e persi la cognizione del tempo accarezzando i suoi capelli.
La guardai attraversare la spiaggia e ritrovarsi sull'altro lato della strada mentre scompariva dietro l'angolo e lasciava dietro di se il ricordo di una sensazione ancora tangibile.

Entrai in casa, mi tolsi le scarpe e mi trascinai fino al salotto. Avrei dormito per tutta la giornata, per preparami all'indomani.

Stavo per cadere addormentata sul divano, quando trovai una figura seduta nel posto dove avrei dovuto riposare.
Il tailleur cremisi, la collana di perle, i boccoli biondi sistemati con la lacca e l'inconfondibile profumo firmato Chanel.

«Luisa.» Dissi in un sussurro agitato.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro