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Capitolo cinque

Pov Lauren

Era il terzo giorno che Camila sarebbe venuta ad assistere Trevor. Da quando c'era lei mi svegliavo sempre un po' prima. Solitamente seguivo scrupolosamente la routine in cui io e Trevor eravamo intrappolati, ma invece negli ultimi tre giorni avevo preso l'abitudine di alzarmi presto, di restare qualche minuto da sola e godermi il silenzioso tepore della casa.
Mi rannicchiavo sul divano, con una tazza di tè in mano e sorseggiavo lentamente la bevanda, lasciando che mi scaldasse.
Approfittavo di quel momento che mi ero ritagliata per pensare, o immergermi in un libro che spesso avevo lasciato a metà e da quando c'era Camila a giro mi era tornata la voglia di finirli tutti.

Quando l'orologio segnò le sette in punto andai a svegliare Trevor. Lo portai in bagno come di consueto, gli feci un bagno veloce, gli feci indossare una camicia stirata e dei pantaloni navy, poi spinsi la carrozzina in salotto e gli prepari la colazione.
Cornetto con ripieno di marmellata e cappuccino con una spruzzata di cacao. Classico.

«Oggi non tornerai dopo il lavoro?» Mi domandò Trevor con un filo di preoccupazione nella sua voce.

«No, ma non resterai solo. Verrà Karla, la vicina, a tenerti compagnia.» Passai velocemente le mani sulle sue spalle, massaggiandole lentamente, cercando di trasmettergli più conforto possibile.

«Karla che ha scavato nella spiaggia per settimane, cercando possibili rifiuti radioattivi?» Alzò la testa cercando di portarla all'indietro, ma il suo collo si bloccò a metà, sorretto dallo schienale apposito e riuscii a vedermi solo parzialmente.

«Non fare il melodrammatico, non è così male.» Persino io notai l'incertezza nella mia affermazione, ma era troppo tardi per chiedere a chiunque altro di stare qualche ora con Trevor.

«Preferirei mangiare per tutta la vita quelle schifezze integrali che mangi tu, piuttosto che passare qualche ora con la regina delle psicopatiche.» Mi indicò il telecomando sul tavolino, aggirai la carrozzina e sintonizzai la televisione sul canale dello sport.

«Ecco, stai facendo il melodrammatico.» Portai le mani sui fianchi e lo guardai in malo modo. Trevor mi diceva sempre che dovevo divertirvi, pensare ad altro e non rinchiudermi in casa insieme a lui ventiquattro ore su ventiquattro, ma quando provavo a uscire dalla scatola lui me la faceva pesare.
Avevo trovato un lavoro, ma quando tornavo a casa c'era sempre qualcosa fuori posto e una sera arrivai a pensare che lo facesse apposta, che mi facesse trovare i vetri di qualche bicchiere caduto accidentalmente sparsi per terra per farmi sentire in colpa, per mettermi davanti agli occhi la sua disabilità e incolparmi di averlo lasciato solo.
Trevor era una persona buona, ma a volte intendeva tutto il contrario di ciò che diceva e credo che in fondo gli seccasse il fatto che avessi trovato un lavoro che mi teneva lontana da casa.

«Lauren. Un metal-detector per cercare bidoni radioattivi sotto la sabbia. Poi sono io il melodrammatico.» Incrociò le braccia al petto e distolse lo sguardo, serrando la mascella e assumendo un'aria altezzosa.

«È solo un po' strana, okay? Ma questo non significa che si presenterà a casa con un
metal-detector!» Il mio tono uscì più alto di quanto avrei voluto che risultasse. Sospirai rumorosamente e ingoiai l'orgoglio, scacciando via l'idea che Trevor stesse facendo di tutto per rendermi la vita difficile, proprio come faceva quando aveva l'influenza e mi accovacciai davanti a lui, mettendo le mani sulle sue ginocchia.

«Senti Trevor ti prometto che saranno al massimo tre ore. Non mi intratterrò di più.» Ruotò gli occhi su di me impercettibilmente, stava iniziando a considerare l'idea.
«E poi pensa ad Heali. Lo stiamo facendo per lei.» Adesso sembrava aver sepolto l'ascia di guerra, il suo sguardo era tornato sul mio, ma la sua espressione si era tramutata da rabbiosa e spavalda in accigliata e confusa.

«Stiamo?»

«Io e Camila.» Scrollai le spalle come se fosse una cosa normale, un evento ricorrente, ma in realtà era qualcosa di estremamente nuovo, sia per me che per lui.
Per me perché non mi prendevo mai del tempo per uscire con le amiche e quella era la prima volta dopo tanto tempo che uscivo con qualcuno non per dovere, ma per piacere. Per Trevor invece perché non era abituato a essere lasciato per assecondare i miei svaghi.

Non avemmo modo di continuare la conversazione perché arrivò Camila e Trevor assunse il suo tipico atteggiamento disinvolto, pretese che la nostra discussione non fosse mai avvenuta e si concentrò sulla partita, evitando qualsiasi distrazione.

«Allora va bene per oggi?» Camila mi aveva avvicinata silenziosamente. Stavo indossando il cappotto, quando sentii la sua voce alle mie spalle. Mi voltai, incontrando quel viso angelico che sembrava essere stato scolpito dalla mano di un professionista.

«Certo.» Sorrisi sistemando il cappotto sulle spalle.
«Forte.» Rispose timidamente oscillando da un piede all'altro, tenendo le mani legate dietro la schiena e il capo basso.
La sua purezza mi lasciò sconcertata.
Era quel tipo di candore che ero riuscita a scovare soltanto nei bambini, ma la sua autenticità era indicibile e riusciva ad abbagliarmi ogni volta.

«Heali... era molto emozionata di poter passare il pomeriggio con te.» Nel suo tono lessi una certa velatura, come se in realtà non si riferisse alla sorella, ma la usasse come pretesto per parlare di se stessa.
Quel pensiero mi sfiorò per un attimo, ma fu abbastanza per farmi vacillare e mandare la mia mente in subbuglio.

«Lo sono anch'io.» Ammisi senza fronzoli, senza riflettere, semplicemente lasciando che i miei pensieri si vocalizzassero.
I suoi occhi mi catturarono come una calamita.
Camila si leccò la bocca, fece scorrere lentamente la lingua lungo il labbro inferiore e infine lo morse. Sembrava cercar di sopprimere un istintivo desiderio, morsicandosi le labbra per non dar sfogo a quell'impulso.

La sua bocca si era arrossata, passando da un roseo carnale, ad un rosso accesso. Erano carnose, quasi violacee per la forza con cui le aveva torturare e quell'immagine vagamente impudica mi si impresse nella mente e per quanto mi sforzai non riuscii a cancellare il pensiero di voler scoprire che sapore avessero, o almeno di poterle mordere al posto suo.

«Stai facendo tardi Lauren.» Mi fece notare additando l'orologio appeso alla parete.
Lauren.
Quando lo pronunciava lei assumeva tutto un altro suono, un altro significato.

«Ha-hai ragione sì. Meglio che vada.» Accennai un sorriso fuggevole e mi scordai anche di salutare Trevor, ma ormai era troppo tardi, avevo già chiuso la porta alle mie spalle.
Uscendo all'aria aperta riuscii a ritrovare il ritmo del mio respiro.

La giornata lavorativa passò abbastanza velocemente. Forse perché non lo vedevo come un impiego vero e proprio, ma anzi entrare nelle aule e aiutare i bambini era un piacere per me.
Durante la pausa pranzo mi sistemai in aula insegnanti e mangiai delle barrette confezionate che ero riuscita a trovare nel distributore automatico. Dinah aveva preso due caffè al bar all'angolo e fu così gentile di venirmi a cercare per darmene uno.
Le chiesi se si volesse sedere e lei accettò.

«Che fai dopo scuola? Perché noi insegnanti pensavamo di andare a teatro, magari ti va di unirti.» I suoi occhi mi scrutavano da dietro la tazza. Dinah aveva l'ossessione di travisare il caffè dal contenitore di carta, alla tazza.

«Ah veramente non posso. Ho un appuntamento.» Sorrisi flebilmente. Dinah strabuzzò gli occhi, appoggiò lentamente la tazza sul tavolo in un gesto lento e meccanico. La guardai confusa, poi realizzai che avesse frainteso.

«Oh no, no. Dio, no. Non quel genere di appuntamento.» Specificai e allora lei si fece sfuggire un "ahh", prima di tornare a bere tranquillamente il caffè.
«È più una cosa... lavorativa ecco. La sorella di Camila ha dei problemi a scuola, niente che non si possa risolvere, ma ha insistito perché andassi a prenderla all'uscita.» Scrollai le spalle, facendolo apparire per quello che era: una semplice uscita al parco con una bambina.

«Aspetta. Camila l'infermiera?»

«Non è un'infermiera, ma sì. Proprio lei.» Ribattei sempre sorridente. Dinah annuì placidamente, ma si capiva che nei suoi gesti c'era qualcosa di sottinteso che non voleva dire.
La esortai a esprimere i suoi pensieri.

«Niente è solo che...» Si strinse nelle spalle «Da quando c'è questa donna è sempre un Camila di qua e Camila di là. Io non ti ho mai convinta ad uscire con me, o con gli altri insegnanti perché tu volevi tornare a casa da Trevor. E lo capisco, davvero!» Si affrettò ad aggiungere, ma poi il suo tono, da rammaricato passò ad essere insidioso «E poi arriva questa Camila e in poco tempo riesce dove io ho sempre fallito. Sono contenta che tu esca lei, davvero, mi sento solo un po' abbattuta.»

Affossò le spalle che fino ad ora erano rimaste alzate. La guardai girarsi la tazza di caffè fra le mani e forse si stava già pentendo di aver dato sfogo ai suoi pensieri, così la tolsi dall'imbarazzo sdrammatizzando.

«Sei gelosa? No perché se lo sei potrei capirlo benissimo. Ma non ti preoccupare, c'è posto per tutte e due nella mia vita.» Ostentai un atteggiamento viziato e altezzoso. Dinah mi colpì sul braccio sorridente e io mi lasciai andare ad una risata, che però non fu ricambiata del tutto, se non per un leggero sbuffo che pareva vagamente un sorriso tirato.

«Ok Dinah. Non lo faccio per Camila. Lo faccio per sua sorella. È come uscire da lavoro e continuare a lavorare. Niente di più.» Bevvi un sorso del mio caffè, l'avevo lasciato raffreddare, perché al primo tentativo che avevo fatto mi ero scottata le labbra.

«D'accordo, però un giorno di questi promettimi che usciremo insieme. Una serata fra donne.» Aprii la bocca per declinare l'offerta, ma Dinah mi interruppe prima che potessi dire qualsiasi cosa. Si sporse in avanti sul tavolo, sostenendosi con gli avambracci è in tono supplichevole aggiunse
«Non lo sopporto più mio marito. L'altra sera ha riempito il letto di rose e ha voluto fare l'amore sopra. Grazie a Dio aveva tolto le spine! Ti prego Lauren una sera da donne libere. Altrimenti chiederò il divorzio e sarà colpa tua.»

«Ok, ok.» Dissi ridendo per la storia delle rose. Mi si era impressa nella mente e ora combattevo per scacciare l'immagine di Dinah che si avvinghiava a suo marito e mentre erano intenti a fare sesso il suo unico pensiero era "ma le avrà tolte le spinte?"
«Una sera. Promesso.»

La scuola di Heali si trovava a pochi metri da quella dove lavoravo io, perciò raggiunsi il posto a piedi.
Camila era seduta su una panchina, teneva una gamba piegata e l'altra penzolava in basso muovendosi ritmicamente.
La salutai da lontano con il braccio alzato e lei mi venne incontro.

«Sono in anticipo. Spero non sia un problema.» Dissi. Lei scosse la testa e contemporaneamente fece un movimento con le mani per dissentire.

«Anch'io sono arrivata prima del dovuto, ma Trevor mi ha praticamente cacciata di casa.» Ammise in tono divertito, abbassando lo sguardo sulle punte dei piedi.
Sospirai rumorosamente e imprecai sottovoce.
«Mi dispiace. Oggi è la prima volta che decido di prendermi un po' di tempo per me, ed evidentemente non l'ha presa bene.» Portai la borsa sulla spalla, la quale era era scivolata giù lungo il mio braccio.
Camila annuì in maniera comprensiva. Udimmo la campanella suonare, così lei si avviò verso l'entrata della scuola e aspettò che Heali uscisse.

Restai qualche passo dietro di lei, quando Camila si girò per vedere dove fossi e mi fece cenno di avvicinarmi. Mi feci spazio fra i genitori accalcati sotto le scalinate e mi affiancai a lei.
La sua spalla era premuta contro la mia e nel punto dove i nostri corpi si incontravano sentivo un formicolio diradarsi lungo tutto il braccio.
Non era una sensazione spiacevole, non sentii il bisogno di staccare il braccio, o prendere le distanze, anzi quel contatto era tanto piacevole da spingermi ad azzerare i centimetri che ci dividevano e far combaciare anche i nostri fianchi.
Lei si voltò di scatto, i suoi occhi seguirono il movimento del mio bacino e poi percorsero i contorni del mio corpo fino a scontrarsi con il mio sguardo. Stava cercando di capire se fosse stato un tocco involontario, dovuto allo stretto spazio in cui ci trovavamo, o se fosse un contatto voluto e cercato.

«Camz!» La voce di Heali si confuse con le altre, ma fu abbastanza chiara da arrivare alle nostre orecchie. Camila rivolse la sua attenzione alla piccola, aprii le braccia per garantirle un abbraccio e poi si chinò alla sua altezza, le tolse lo zaino dalle spalle e lo portò sulle sue.

«Aspetta devo prendere una cosa.» La fermò Heali allungando le manine verso la cartella. Camila si inginocchiò e le permise di prendere ciò che cercava.
Sfilò un foglio colorato da dentro lo zaino. Lo guardò incerta, come se improvvisamente non fosse poi così convinta del suo lavoro, ma senza esitazione me lo porse.
«L'ho fatto per te Lauren.»

Afferrai il disegno che stringeva fra le mani e mi presi un secondo per guardarlo meglio.
Ritraeva me, lei e Camila al parco. Tre figure stilizzate che si tenevano per mano.
«È bellissimo Heali, grazie. Lo appenderò in camera.» Sorrisi nella sua direzione. La piccolina saltellò contenta e lanciò la testa all'indietro per lasciarsi andare ad una risata allegra.

Camila si alzò da terra e sbirciò il disegno che aveva fatto Heali per me. Vedendo ciò che aveva ideato le spuntò un sorriso sul volto, che si allargò da orecchio a orecchio.
Mentre Camila osservava il foglio, il mio sguardo su posò di lei.
Ero così vicina a lei da poter sentire il profumo di cocco emanato dai suoi capelli e il familiare odore di bucato pulito impregnato nei vestiti.

«Andiamo al parco adesso?» Domandò Heali impaziente, allungando una mano verso Camila e l'altra verso di me.
«Certo.» La ragazza al mio fianco intrecciò le dita alle sue. Piegai il foglio e lo misi in borsa, poi feci lo stesso e proprio come nel disegno raggiungemmo il parco tenendoci per mano.

La bambina ci raccontò della sua giornata, di come avesse evitato di usare una matita come arma contro un bambino che le aveva tirato le trecce. Più volte, mente Heali parlava, il mio sguardo si posava oltre, incontrando quello di Camila. I suoi occhi mi avevano cercata più di una volta, ma quando era lei a guadare me pretendevo di non accorgermene e rivolgevo l'attenzione ad Heali. Camila faceva lo stesso quando ero io a raggiungerla con lo sguardo.

C'eravamo sedute su una panchina, la piccola aveva fatto merenda e ora correva spensierata verso il parco, indecisa se giocare prima sullo scivolo, oppure sull'altalena. Vinse lo scivolo.

«Tu le piaci davvero, sai?» Affermò Camila senza spostare lo sguardo dalla sorella.
«Non l'ho mai vista così prima con qualcuno, se non con Ally, ma lei è praticamente di famiglia perciò non conta.» Fece un vago cenno con la mano e poi spostò il suo sguardo su di me.

I suoi color mogano si legarono ai miei. Solo i nostri sguardi potevano raccontarsi storie che ci dividevano e avvicinavano allo stesso tempo.

«Lauren, posso sapere perché non è voluta andare a scuola ieri?» Inclinò la testa dolcemente e mi guardò speranzosa di trovare una risposta.
Inspirai profondamente e trattenni l'aria. Non ero sicura di volerle spiegare il motivo per cui Heali aveva deciso di restare a casa, ma guardandola capii che le avrebbe fatto più male rimanere all'oscuro di tutto, che conoscer la verità.

«Ha detto che la maestra le aveva chiesto di portare delle foto per fare l'albero genealogico, ma lei aveva solo una foto tessera tua, mentre tutto gli altri bambini avevano portato un ammasso di foto e che erano addirittura indecisi quali scegliere.» Scossi la testa da un lato all'altro, rendendomi conto che potevo risparmiarle qualche dettaglio «Insomma si è sentita a disagio. Non aveva una foto della mamma, o del papà, nessun ritratto dei nonni, o di qualche parente lontano.» Mi accorsi che stavo piluccando nervosamente il vestito. Non avevo il coraggio di guardare Camila in faccia.

La sentii sospirare rumorosamente. Come un istinto primitivo alzai la testa di scatto e incontrai il suo sguardo.
I suoi occhi si erano velati di lacrime, aveva girato la testa dall'altra parte per non guardarmi.

«Mi dispiace.» Non so bene per cosa si stesse scusando, se per le lacrime, o per la delusione che credeva di essere nei confronti della sorella. «Vorrei riuscire a darle di più, ma è così difficile trovarsi da soli all'improvviso.»

Mi avvicinai a lei, dimezzando la distanza fra di noi. Aveva poggiato il gomito sullo schienale dalle panchina e la mano penzolava penosamente verso il basso. Senza pensarci due secondi di più l'avvolsi nella mia. Il suo sguardo guizzò subito sulla congiuntura dei nostri palmi.

«Camila stai facendo anche fin troppo per lei. Heali è una bambina intelligente, sa di poter contare su di te. Sei una ragazza in gamba e ti ammiro molto per quello che sei riuscita a fare.» Cercavo di infonderle più coraggio possibile, ma non stavo mentendo. Ogni parola che usciva dalla mia bocca era esattamente ciò che pensavo.
Il suo sguardo era ancora fisso sulle nostre mani, aveva alzato un angolo della bocca in quello che assomigliava lontanamente ad un sorriso.

«Grazie Lauren.» Disse con riconoscenza e finalmente alzò la testa su di me. Poche lacrime avevano solcato il suo viso e ora una linea netta si contraddistingueva sulle sue guance.
Sentii l'impulso di allungare la mano e asciugarle le gocce salate lungo il viso, ma mi trattenni. Camila portò la manica del cardigan sulle guance e spazzò via ogni traccia di pianto.

Le nostre mani erano ancora legate l'una all'altra, così feci scorrere il pollice lungo il dorso della sua mano, accarezzandolo gentilmente.

«Ehi Camz!» Heali corse velocemente verso di noi, tenendo le mani slanciate in aria e ridendo divertita. Prima che ci raggiungesse sfilai la mano dalla sua e per un momento mi pentii di essermi lasciata sopraffare dalle emozioni e di essermi spinta oltre. So che poteva sembrare un semplice gesto amichevole, ma allora perché per me in quel momento aveva assunto tutt'altro significato?

«Ehi piccolina dimmi.» Camila afferrò Heali fra le braccia e la fece sedere sulle sue gambe, appoggiando il mento sulla spalla della bambina.

«Dovremo invitare Lauren alla tua festa di compleanno.» Sul voltò di Camila nacque un'espressione insondabile. Balbettò qualcosa di incomprensibile, poi si schiarii la voce e riprovò.

«Non festeggiamo il mio compleanno da- da...» Scosse la testa cercando le parole giuste da dire, ma Heali la precedette.
«Lo so.» Avvertii una certa tristezza nella sua voce, che però scomparve subito dopo
«Però quest'anno potremo farlo. Vorrei spegnere le candeline sulla torta insieme a te e far vedere a Lauren la nostra casa. E poi potrebbe conoscere zia Ally!» La bambina sembrava entusiasta all'idea, mentre sul volto di Camila apparivano più sfaccettature e comprendere i suoi sentimenti non mi era possibile.

«Beh non lo so... Lauren?» Spostarono entrambe lo sguardo su di me. Capii che aveva passato la decisione a me e che ora era mio compito fare una scelta.

Heali mi guardava speranzosa e sorridente, mentre negli occhi di Camila c'era un sfarzoso luccichio che non riuscii a comprendere a pieno, ma come potevo dire di no davanti a due facce così adorabili?

«Mi piacerebbe molto.»

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Ciao a tutti! Spero che la storia vi stia piacendo. Come avrete notato i capitoli sono più lunghi del solito, per questo riesco ad aggiornare massimo una volta al giorno. Spero comunque che vi stiano piacendo. Fatemi sapere, mi raccomando :)

Un bacio😘

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