Capitolo cinquantatré
Tre mesi dopo
«Camz, non dovresti stare qui.» Dissi, sollevando uno scatolone polveroso.
L'ambiente si riempì immediatamente di acari, che svolazzarono nella stanza per qualche secondo discernibili sotto la luce, subito dopo si depositarono sugli oggetti attorno a noi.
«Sto bene.» Rispose con tono rigido, riponendo alcune cornici dentro gli scatoloni «Mi fa bene stare qui.» Sospirò, inginocchiandosi per chiudere il pacco. Un ulteriore addio.
«Io non credo.» Sentenziai, muovendomi lentamente nella stanza per non sollevare la polvere che, comunque, si alzò ad ogni mio passo.
Poggiai le mani sulle sue spalle. I suoi muscoli si rilassarono subitamente, lasciò cadere la testa all'indietro, poggiandola sul mio petto.
«Possiamo tornare un altro giorno.» Mormorai, baciandole il capo.
«Abbiamo rimandato anche fin troppo.» Voltò lo sguardo verso di me, probabilmente cercando un contatto visivo che era impossibile ottenere da quella posizione.
«Non voglio aspettare un giorno di più.» La sua mano si strinse contro il mio golf, con disperata necessità di sostegno.
Era un silenzioso "Non parliamone più" al quale reagii con una rapida scrollata della testa.
Mi occupai di riporre le ultime cose negli scatoloni, tolsi i vecchi maglioni di suo padre, le ciabatte logore e le poche cose che aveva predisposto nel bagno.
Quando qualcuno se ne va, la parte più difficile è togliere di mezzo gli averi che possedeva. Quelle cose materiali che in vita possono sembrare inutili, ma dopo la dipartita di qualcuno assumono tutt'altro valore.
E non sai se la fotografia di famiglia dovresti lasciarla in bella vista, o riporla nel cassettone; se le maglie vanno riposte nell'armadio, o gettate via. Cosa è giusto, cosa è sbagliato, esiste una via di mezzo?
Penso fosse questo, quello che Camila si domandava mentre si disfaceva delle ultime cose di suo padre.
Se ne era andato in una giornata di sole, la sua vita era rimasta appesa ad un ramo, avvizzita dalla malattia come una foglia in autunno.
Per giorni Camila era andata a visitarlo in ospedale e aspettava sempre ore e ore per poter parlare con un medico, sperava che quell'uomo in camice bianco le dicesse che suo padre non se ne sarebbe andato così presto, o almeno non adesso che si erano appena ritrovati.
Ma intuivo dal suo sguardo che ogni volta le cose peggioravano e per quanto suo padre potesse essere considerato stabile, sapevamo che stabile significava "in attesa."
Non fu facile per lei, non fu facile nemmeno per Heali, la quale aveva appena conosciuto il nonno (presentatele come legittimo padre).
Non aveva mai visto qualcuno spegnersi. Sapeva che sua madre era morta, sapeva quale macabro significato si celasse dietro questa parola, ma non aveva assistito all'incidente, le era solo stato riferito.
Quel giorno, invece, eravamo tutte e tre in ospedale. Heali stava raccontando a suo nonno di come fosse riuscita a candidarsi seconda alle olimpiadi scolastiche, Camila la guardava con ammirazione e ogni tanto le toccava i capelli, come per gratificarla. Io me ne stavo in piedi accanto alla portafinestra, con le braccia conserte e osservavo in silenzio come ero abituata a fare.
E capii subito che quello era un silenzio diverso. Il familiare bip delle macchine si affievolì a poco a poco, trasformandosi in un suono piatto proprio come la linea sul monitor.
Penso di essere stata la prima ad accorgermene e l'ultima ad aver agito.
Quello stesso giorno, in ospedale, incontrai Trevor. Era lì per una visita generale. Aveva il viso scarno, una folta barba ispida cresceva sulle sue guance, ma inaspettatamente mi sorrise e mi fermai a parlare con lui.
Non si era più impegnato, ma adesso frequentava una ragazza e, anche se lo sfiniva con le sue preoccupazioni, sembrava interessargli davvero. Ci salutammo con un cordiale "Stammi bene" e da quel momento non l'ho più visto, quindi non so dirvi come è andata a finire con Scarlett, la ragazza in questione, ma se potessi azzardare un'ipotesi direi che Trevor le avrebbe sicuramente trovato più difetti che pregi e di conseguenza si sarebbero lasciati già da un po'.
Tornando a Camila aveva impiegato qualche mese per riprendersi.
Sostiene ancora oggi che, nonostante l'abbandono, è grata di aver potuto spendere del tempo con suo padre, di non essersi sentita sola. Le ribadisco sempre che io non la lascerò e spero di smussare il suo senso di solitudine, ma la sua risposta è sempre la stessa "è diverso."
Non so in che modo possa considerarlo diverso, ma io non sono nessuno per poter giudicare.
Avevamo aspettato a lungo prima di entrare nella casa e rimettere a posto le ultime cose, ma adesso che stavamo sistemando gli scatoloni, Camila, sembrava più calma del previsto. Era come se finalmente stesse lasciando andare il passato e il futuro era ora a portata di mano.
Normani e Dinah proseguivano fra alti e bassi il loro matrimonio. La polinesiana si era trasferita definitivamente a casa di Mani e ora progettavano un viaggio attorno al Mondo che, probabilmente, non avrebbero fatto mai perché una desiderava approcciarsi ad esperienze pericolose, mentre l'altra preferiva rilassarsi in un centro benessere.
Ma tutto sommato, stavano bene.
Ally era rimasta a Miami. Non era più tornata in città, forse perché dopo la rottura con Troy non aveva avuto voglia di immergersi nelle scartoffie che l'aspettavano all'ufficio, o forse perché aveva già trovato qualcun altro sul quale, però, era molto vaga.
Adesso voleva solo "vivere il momento" e "dedicarsi alle relazioni notturne". Che cosa volesse significare non so dirvelo, ma ognuno reagisce a modo a proprio e se quella era la sua maniera per rimettersi in piedi, beh...
Anch'io e Camila eravamo in partenza.
Quella città ci aveva donato tanto, ma ci aveva tolto troppo e restare sarebbe stato come darla vinta al passato, ecco perché avevamo avuto la folle idea di trasferisci a Washington.
Avevo deciso di rimettere la casa che Camz mi aveva regalato e nel frattempo avremo passato del tempo con i miei genitori, i quali non stavano nella pelle per il prossimo incontro con Heali.
«Ehi.» Mi chiamò lei, poggiando la mano sulla mia gamba mentre guidavo verso l'aeroporto.
Mi voltai e le rivolsi un sorriso, spronandola a proseguire.
«Ho appena avuto un'idea per la casa.» Gli angoli della sua bocca si alzarono verso l'alto, disegnando una linea ricurva che scoprii essere la mia preferita.
Mi domandai se avesse pensato di piantare del rosmarino in un vaso, o di usare un reggiseno come fruttiera... Da lei mi sarei aspettata di tutto.
«Ah sì, quale?» Chiesi curiosamente, intrecciando le mie dita alle sue.
«Te lo svelerò solo quando arriveremo.» Portò la mia mano alle sue labbra e lasciò un bacio umido sul dorso.
Scossi la testa sorridendo e feci scivolare un cd, con le canzoni preferite di Heali incise sopra, dentro alla radio.
La strada si estendeva fino all'orizzonte, le ruote macinavano metri rapidamente e ci avvicinavamo sempre di più all'aeroporto. Il mio sorriso cresceva esponenzialmente: per la prima volta sentivo che qualcosa stava mutando davvero, ed era un cambiamento diverso perché riguardava entrambe.
Mi convinsi che saremo state felici e anche se non lo saremo state, non avrei lasciato andare la sua mano.
Camila portò il braccio fuori il finestrino, facendolo ondeggiare la vento. Poggiò la testa contro il sedile e rivolse lo sguardo verso il cielo, permettendo al sole di far risaltare la sua pelle caramellata.
Ingranai la quinta.
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Ciao a tutti, spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se è più breve rispetto agli altri, ho deciso che questo sarebbe stato il finale più giusto, almeno dal mio punto di vista.
È una storia alla quale mi sono affezionata molto e, come alcuni mi hanno fatto presente, sembra essere stato lo stesso per voi. Quindi grazie a tutti per averla letta e seguita, spero davvero di ritrovarvi nelle prossime scritture.
Un bacio 😘
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