Sherlock
Non è facile stupirmi. Sorprendermi.
Sarò anche un tipo strano, freddo a volte.
Ma lasciarmi senza parole... in pochi ci riescono, e ancora meno persone ci riuscirono in passato.
Ma lei?
A volte il suo nome mi ritorna in mente, come una sorta di maledizione.
Irene Adler.
Irene. Irene. Irene.
Non so perché. Sono passati tanti di quegli anni, ormai.
Le volevo bene.
Amavo i suoi occhi, così pieni di vita.
Amavo i suoi capelli, rossi come il fuoco che scoppietta nel camino, come un tramonto.
Amavo lasciarle intuire le cose, aiutarla ad arrivare alle giuste conclusioni.
Forse l'ho anche amata. O forse ho provato per lei un sentimento forte, contrastante, molto simile all'amore.
Quel giorno, l'ultima volta che la vidi, o così credevo, rimasi a fissare l'orizzonte finché la sua nave non scomparve dalla mia vista.
La vidi rimpicciolire, pian piano.
La sentivo sempre più lontana, distante da me e da quel che eravamo stati insieme.
La moltitudine di persone che riempivano il molo stava pian piano andando via, ma noi due eravamo ancora immobili.
Il signor Nelson ci trovò, in mezzo alla folla.
Ci scrutò, cercando di capire quali fossero i nostri pensieri.
Arsene aveva lo sguardo vuoto.
Lui, a differenza mia, l'aveva amata veramente. Lo sapevo.
Avevo deciso di ignorare i baci, non pochi, che si erano scambiati.
Loro non me ne avevano mai fatto cenno, io non mi ero intromesso.
Li avevo lasciati fare. Così come aveva fatto Arsene, quando aveva visto entrambi i baci che avevo dato ad Irene.
La mano del buon vecchio Orazio si posò sulla mia spalla, interrompendo il flusso dei miei pensieri.
Mi sorrise, triste.
Una lacrima solitaria solcava coraggiosamente il volto di colore del servitore. Non l'avevo mai visto piangere.
Era un uomo forte, eppure...
Irene sarebbe mancata a troppe persone.
Lui l'aveva vista crescere, l'aveva vista diventare la giovane adolescente testarda e ribelle che era anche grazie a noi, i suoi amici.
Ma Orazio non l'avrebbe più potuta vedere diventare una donna, la donna che Genevieve avrebbe voluto che fosse.
No, Orazio non l'avrebbe più rivista.
E nemmeno noi.
All'improvviso questa consapevolezza mi sommerse.
Il respiro mi mancò per qualche secondo, mentre lentamente impallidivo.
Orazio, senza asciugarsi quella lacrima, ci scortò in una carrozza.
Guardai Arsene, sempre più simile ad un automa.
Salimmo, senza proferire parola, immersi nei nostri pensieri.
Irene se ne era andata, per sempre.
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