Epilogo
Sette anni dopo...
«Camz, faremo tardi, dai!» La spronò Lauren dal piano di sotto, battendo ritmicamente il piede contro lo scalino, mentre teneva il gomito poggiato sul corrimano.
«Un attimo!» Ribadì la cubana. Si udirono dei passi pesanti risuonare contro il soffitto, e Lauren immaginò che stesse saltellando per la camera alla ricerca ossessiva delle ultime cose che mancavano all'appello.
Controllò l'orologio. Avevano esattamente un'ora per affrontare l'ingorgo incessante di New York (cercando di non strozzare nessun tassista irascibile che era solito inveire contro gli automobilisti), recarsi alla libreria dove si teneva l'incontro e accontentare tutti senza ricevere critiche negative sulla pagina ufficiale che gestiva Lauren personalmente.
Camila sbucò fuori dalla camera, traballante. Con una mano si aggrappò al corrimano, con l'altra indossò il tacco. Lauren si affrettò a prenderle il cappotto, aspettò che si trovasse davanti a lei, poi glielo infilò con frettolosa grazia. L'aiutò ad attraversare l'ingresso illuminato dalla finestra istoriata che presidiava la porta principale. Dopo tanti anni, Camila non era ancora capace di camminare indipendentemente sui tacchi, avendo sempre prediletto uno stile più sobrio che consisteva in scarpe da ginnastica o, al massimo, un paio di stivaletti.
La sfida più ardua era non perdere l'equilibrio sul tappeto persiano che Clara aveva regalato a Lauren per Natale, sostenendo accanitamente che nonostante l'eleganza naturale della casa l'arredamento era troppo dozzinale e scontato, necessitava il tocco di un'esperta che in quel caso si autoproclamava essere lei stessa. Camila imprecava senza riserve mentre il tacco affusolato affondava nel tessuto morbido, minacciando la sua precaria stabilità già pericolante di suo.
«Tua madre ha sempre delle splendide idee.» Ringhiò a denti stretti Camila quando il ginocchio le si piegò e per un attimo temette di cadere, ma venne prontamente sollevata da Lauren.
«E tu sei sempre pessima sui tacchi.» Appuntò la corvina, ricavando un'occhiata truce dalla cubana che le fece abbassare lo sguardo e sperare che finisse presto quel patibolo.
Arrivate davanti alla porta, Camila precedette Lauren. Si sforzò per scendere le poche gradinate che la separavano dal selciato. Si era prefissata di imparare a camminare in autonomia almeno davanti agli occhi curiosi dei vicini che l'unico passatempo che sperimentavano era un triatlon di spionaggio, divulgazione e diffamazione. Sintetizzato in un'unica parola: Pettegolezzo.
Si immisero nel traffico denso di New York che era capace di spossare anche gli autisti più miti. Il tempo era uggioso in quei giorni, il cielo assumeva sfumature grigiastre che trascoloravano in un banco di nuvole candide che arrecavano un freddo siderale, screpolavano le labbra e intirizzivano le dita anche se coperte prudentemente da guanti di lana. Non c'era via di scampo al clima rigido che soggiornava fra le strade ingolfate della grande Mela. Lauren accese il riscaldamento, stemperando l'aria algida che aleggiava nell'abitacolo.
«Come ti senti?» Domandò rivolta verso Camila che si era accostata alla bocca di plastica che sprigionava calore.
«Infreddolita.» Rispose la cubana, schivando sagacemente il discorso che stava tentando di intavolare Lauren.
«Dai, sono seria.» La colpì con un leggero pizzicotto sulla gamba, facendola sobbalzare.
Camila sospirò, poi perse lo sguardo fra la moltitudine di auto che formavano una fila infinita, nemica normativa del tempo che scorreva inesorabile, accrescendo l'ansia alla bocca dello stomaco di Camila. Era una divoratrice insaziabile di hot-dog, ma in quel momento avrebbe rifiutato anche quello, tanta era la nausea.
«Non so come sentirmi. Quando ho avviato il progetto, tre anni fa, non credevo che avrebbe raggiunto questi livelli. Mi sento incredibilmente fortunata e dannatamente spaventata.» Addolcì il nervosismo con un sorriso tirato che Lauren classificò essere uno sghembo automatismo.
«Andrà tutto bene.» Allungò la mano per poggiarla sulla gamba dell'altra, ma questa la ritrasse pensando che stesse per infliggerle un altro pizzicotto. Quando si avvide delle sue buone intenzioni, si riavvicinò e lasciò che il palmo di Lauren le carezzasse la coscia stretta nelle calze nere costituite da un tessuto troppo fine per poter affrontare l'inverno newyorkese.
«Le persone amano il tuo libro. Si è piazzato quinto nella classifica "I libri più letti dell'anno" stilata non che meno dal Times.» Un pizzico di orgoglio risuonava nella voce rauca di Lauren, che non poteva fare a meno di pavoneggiarsi con gli amici dell'intelligenza spiccata della sua ragazza.
Non era per vanità che proiettava Camila sotto una luce di elogi e complimenti, era talmente fiera di lei da non poter fare a meno di sproloquiare con gli amici.
«Non è propriamente un libro.» La corresse tempestivamente la cubana, smanacciando nervosamente mentre si lambiccava per trovare una definizione più adeguata per la sua opera «È un'autobiografia, meglio.» Dichiarò infine, spirando sollevata. Come se la categoria non rientrasse nella sezioni "libri."
«Perché?» Si corrucciò Lauren, mentre evitava di tagliare la strada un tassista invadente che occupava metà della sua corsia.
«Perché è il mio diario, Lern.» La rimirò, concentrata sulla strada, ma con le orecchie tese verso di lei, interessata a ciò che aveva da dirle «Dice tutto di me, della mia storia, della scu..»
«Della nostra storia.» Rettificò solennemente Lauren, che adorava pensare che gli acquirenti si appassionassero al libro di Camila proprio perché narrava del loro amore.
«Si, certo.» Rispose sorridente la cubana, ponendo la mano sopra il dorso di Lauren che era ancora ancorato alla sua gamba.
Lauren e Camila avevano vissuto a lungo a Miami, anche dopo la fine del liceo, avevano deciso di comune accordo di terminare gli studi nella loro città, restando vicine alle rispettive famiglie e avendo la rara possibilità di consolidare il loro rapporto.
Poi, però, alla fine dell'Università Lauren aveva trovato un buon lavoro nel settore dell'arredamento. Non aveva propriamente seguito le orme della madre: invece di abbellire modelle che sfilavano in passerella, lei si occupava di rinnovare locali appassiti. Erano lavori del tutto diversi, ma in parte uguali.
Camila, invece, si era provvisoriamente stabilita nel settore delle pubbliche relazioni... Faceva la commessa in un negozio di lingerie, dove aveva acquistato il completo di pizzo per il compleanno di Lauren e i calzini a forma di renna per sua madre che aveva una morbosa fissa per il Natale. Ma non era felice, non era appagata. Così un giorno, mentre pensava a cosa farne del suo futuro, si era fatta ispirare dal disordine che governava tiranno in camera di Lauren. Lì, nell'ultimo cassetto del comodino, aveva scovato il suo diario. Dopo tanti anni, la corvina ne era ancora in possesso. Inizialmente lo aveva solo sfogliato, un po' per gioco, un po' per nostalgia... Ma poi, stringendo la copertina molle perché intrisa di umidità e sottoposto all'incuria del tempo, si era resa conto che era quello ciò che voleva. Scrivere.
Aveva tentato con un romanzo rosa, poi con un thriller, infine con una narrativa generale, ma tutte le idee erano rimaste incompiute all'interno del computer. Non era soddisfatta, non si sentiva felice mentre inchiostrava il foglio digitale con i tasti che battevano al tempo delle idee. Leggeva e rileggeva le pagine che aveva tratto, le accatastava insieme, poi le scindeva di nuovo ed infine l'unica cosa che ne aveva ricavato era stato un mal di testa e l'uso tassativo degli occhiali a causa della vista danneggiata.
Poi, un giorno, un colpo di genio. Poteva scrivere la sua storia con Lauren. Okay, forse era un'idea un po' banale e non avrebbe fatto scalpore nelle librerie, ma almeno era certa che l'avrebbe terminata e quello era già abbastanza. Ma non fu così. Il libro venne completato, ma ne uscirono solo settantotto esigue pagine. Si scervellò per allungare la trama, ma il fatto era che certi dettagli risultavano ampollosi nel testo e del tutto fuori tema.
Lauren non ne poteva più dello scoraggiamento che leggeva negli occhi stanchi di Camila, della demoralizzazione che risiedeva negli angoli incurvati delle labbra e della sconfitta che si incideva nelle occhiaie, segni evidenti di notti insonne passate davanti allo schermo del pc. Aveva preso il diario e lo aveva consegnate ad un'editore, dicendo tali parole "Questa è la donna dell'anno." E, beh, non sbagliò più di tanto.
Il nome della cubana non era di fama nazionale, ma i successi che aveva raggiunto erano invidiabili da qualunque scrittore esordiente.
Adesso era appena iniziato il suo tour, circoscritto alla zona di Manhattan. Si trattava per lo più di firmare copie, sfoderare sorrisi, mostrarsi comprensivi e sorseggiare caffè con l'aria di chi la sa lunga su ciò che stava facendo, ma in realtà non ha la minima idea di come smaltire l'insigne fila che si snoda davanti ai suoi occhi.
Camila aveva già partecipato ad un sodalizio indetto in suo onore dalla socia di un fanclub che aveva pressato per settimane l'austera proprietaria della libreria indipendente per riunire i membri del club nella sala grande.
Alla fine la donna aveva ceduto e, sotto compenso, aveva permesso a Camila di instituire il suo primo incontro nella sua trascurata libreria. Si erano presentate solo quindici persone, ma per la cubana erano già abbastanza.
Quel giorno, invece, sarebbe stata ospite di una libreria che faceva parte di una catena nazionale. Avevano stimato che il numero di presenti si aggirasse attorno ai duecento, ma il numero sarebbe anche potuto crescere se qualcuno avesse deciso di presentarsi all'ultimo.
Ecco perché era tanto agitata, perché era la prima volta che si trovava a fronteggiare una miriade di persone che si erano appassionate alla sua storia, alla sua scrittura, al suo pensiero. Ma non era più la ragazza del liceo, non temeva le critiche, non paventava figuracce... L'unica cosa che la innervosiva era il doversi relazionare con più persone senza togliere del tempo a nessuna di loro.
Lauren sarebbe rimasta al suo fianco, il che era un ottimo calmante per il suo animo irrequieto.
Camila venne sommersa dalla folla che gremiva il marciapiede. Tutti si accalcarono per porgerle i complimenti. Camila non era avvezza a tutte quelle attenzioni, proseguiva per il suo cammino con la paura di sbagliare qualcosa.
Lauren la rassicurò costantemente. La corvina apparteneva ad un mondo mondano, festaiolo, sfrenato... Sapeva come gestire una coda di fan elettrizzati.
«Sverrò, e verrò ricordata come l'autrice dello svenimento.» Sospirò ansiosa Camila, entrando dentro la biblioteca dove le persone erano affaccendate a frugare fra gli scaffali.
«No, Camz... Tu sarai ricordata come l'autrice con problemi di salivazione.» La punzecchiò Lauren ridacchiando. Camila la fulminò con lo sguardo, ma un sorriso trattenuto nacque sulle sue labbra colorate.
A distanza di anni aveva scoperto la menzogna che Dinah le aveva rifilato la prima volta che si erano conosciute. Aveva impiegato quattro anni per scovare la bugia, ma poi Camila aveva confessato. Ricordava ancora la faccia allibita che le aveva trapassato lo sguardo e la risata iconica della cubana che dopo tanto tempo non sospettava che Lauren fosse ancora vittima della loro innocente bugia.
Aspettarono un'ora circa, poi la fila iniziò a ingigantirsi di pari passo con la preoccupazione di Camila. Via via le persone si accalcavano davanti al tavolo la sua ansia si raddoppiava. Lauren le sussurrò più volte di stare tranquilla e di comportarsi normalmente. In fondo era per quello che il suo "libro" aveva fatto scalpore: perché alle persone era piaciuta la sincerità delle righe spassionate dove avevano rintracciato le loro forme adolescenziali, i loro peccati infantili, le loro storie d'amore travagliate e i loro dispiaceri comuni.
«Lern...» La interpellò Camila, ma non ebbe tempo di aggiungere altro perché la fila iniziò a scorrere e venne interrotta dai primi volti sconosciuti che si presentavano con sorrisi carichi d'aspettativa e la copia stretta fra le mani come un cimelio prezioso.
I primi incontri furono impacciati, sconnessi, imbarazzati. Camila doveva ancora trovare il suo equilibrio, il modo di non abbassare lo sguardo davanti a complimenti che riteneva essere immeritati, ma che le venivano propinati ripetutamente.
Dopo, prese slancio. Si divertì ad intrattenere le persone con battute scarse che fecero ridere solo parzialmente, ma che furono considerate il trampolino di lancio per un'attitudine sciolta e spensierata.
«Stai andando bene.» Mormorò Lauren nel suo orecchio, dandole un bacio sulle labbra per poi dileguarsi qualche passo indietro lasciando lo spazio a Camila di godersi il suo momento di gloria.
«A chi la dedico?» Domandò la cubana, afferrando l'ennesima copia in copertina rigida.
Era stata lei stessa a richiederla, anche se Lauren avrebbe optato per una morbida, Camila era stata inflessibile su quel punto. Copertina rigida. Punto e fine.
«Candace.» Disse la sua interlocutrice, suscitando l'interesse di Camila che alzò di scatto lo sguardo.
«Ma.. Non ci credo.» Si alzò con le braccia aperte e aggirò la scrivania, stringendo la ragazza fra le braccia.
Candace ridacchiò mentre l'abbracciava, battendole amichevolmente la mano sulla schiena. Camila occhieggiò la fila, rendendosi conto che aveva ancora tante persone da accontentare e di non potersi trattenere a lungo... Per la felicità di Lauren che vedendo l la scena aveva dovuto appellarsi al suo buonsenso per non fare una scenata puerile nel giorno memorabile della sua fidanzata.
«Ho visto il tuo libro in libreria, per pura casualità. Non potevo non venire oggi.» Disse Candace, distaccandosi di qualche centimetro, ma restando "nello spazio vitale" di Camila... Così era definito dallo sguardo vigile e burbero di Lauren.
«Sono contenta di rincontrarti.» Sorrise la cubana, voltandosi verso la corvina alle sue spalle e facendole cenno di avvicinarsi.
Lauren non perse tempo e abbreviò le distanze a grandi falcate, affiancando Camila in un batter d'occhio. Rivolse quello che voleva essere un sorriso a Candace, ma apparve nitido il contrasto impoverito di autenticità.
«Candace...Bello rivederti.» Alzò la mano come cenno di saluto, ma la nascose subito dopo fra i fianchi di Camila. Una scena già vista, sette anni prima.
«Anche per me, Lauren.» Sembrò più verace la ragazza, che osò anche sfiorarle la spalla in un gesto affettuoso che insospettì la corvina che, istintivamente, davanti a tali moine, avvicinò Camila a se.
«Io.. Scusa Candace, ma devo continuare a..» Additò le persone dietro di loro. Alcune stavano già sbuffando annoiate per il lasso di tempo che stava occupando Candace.
«Oh, certo.» Afferrò il libro e lo calzò sotto braccio, sorridendo «Vediamoci per un caffè, che ne dite?»
«No.» Rispose risoluta Lauren, ricompensata con una gomitata ben assestata da Camila che rimborsò la sua acidità.
«Volentieri.» Si corresse Camila, cercando di apparire il più cordiale possibile nonostante i sospiri infastiditi di Lauren.
«Grazie per l'autografo.» Le salutò con la promessa di rivedersi per un caffè, ma non avvenne mai. Quella fu l'ultima volta che si videro. Ne Camila né Lauren ebbero più sue notizie.
Candace, una settimana dopo, ricevette un'offerta lavorativa irrinunciabile e si trasferì in Germania, senza dimenticare il libro autografato di Camila. Ogni volta che lo sfogliava si ricordava dei bei tempi da liceale ormai trapassati e remoti. A Camila dispiacque di non essersi rammentata di chiederle il numero, le sarebbe piaciuto avere qualcuno con cui discutere senza prevenzioni, ma non ebbe modo di farlo, e così persero le sue tracce. Malgrado i disguidi scolastici, Lauren in cuor suo le augurava il meglio, sempre che questo "meglio" si avverasse lontano da Camila.
Dopo l'incontro in biblioteca, durato almeno un paio d'ore, Camila e Lauren raggiunsero Dinah nel suo appartamento, intrufolandosi nella sua temporanea vita da eremita.
Normani era partita per un viaggio assieme Ally. Alla fine gli opposti si attraggono e per quante discrepanze e incongruenze contraddistinguessero le loro diverse personalità, avevano firmato un contratto è messo su un negozio di antiquariato assieme.
Gli affari andavano bene, vendevano più del previsto e anche a prezzi considerevoli, ma questo costringeva le due a lunghi viaggi di rifornimento che l'allontanavano dalla polinesiana. E di conseguenza avvicinavamo Camila a Dinah, e la corvina seguiva i passi della cubana.
Bevevano vino comprato al centro commerciale dove era impiegata Dinah, di pessima qualità certo, ma che le teneva sveglie abbastanza da finire la puntata della serie tv che cambiavano ogni sera perché nessuna era in grado di destare la loro attenzione e la seconda puntata veniva scartata immediatamente.
«Camz, ricordati che dopo domani è il compleanno di Sofia.» Notificò la corvina, mentre salivano le scale che conducevano all'appartamento della polinesiana che risiedeva al sesto piano.
Camila, dopo l'incidente avvenuto anni prima in cui erano rimaste ingabbiate nel cubicolo meccanico, non aveva voluto saperne più niente di ascensori. Aboliti, definitivamente.
«E come potrei dimenticarlo? L'hai scritto sul calendario e l'hai annotato sul promemoria del mio telefono.» Sorrise Camila, affannata.
«Giusto.» Annuì Lauren «Ci andiamo alla sua festa, vero? Glielo hai promesso.» Addusse, ricordando quanto fosse gravida di appuntamenti l'agenda di Camila.
«Certo che ci andiamo!» Confermò Camila che aveva acquistato i biglietti low-cost per un volo che le avrebbe scortate a Miami entro il primo pomeriggio.
Non vedeva l'ora di rivedere la sua famiglia. Sua madre aveva aperto un ristorante e Alejandro si era licenziato dal suo lavoro per sostenere Sinu nel suo innovativo progetto. Le spese erano piuttosto alte, ma le vendite progredivano bene, tanto che il guadagno aumentava a vista d'occhio. Lauren era contenta, ma anche un po' gelosa che i sandwich di Sinu fossero ora disponibili su tutto il mercato, assieme ad altre prelibatezze che aveva avuto il piacere di assaggiare negli anni.
E Sofia era cresciuta così tanto nel giro di poco tempo. Stava diventando un'adolescente, ergo aveva disperato bisogno di un aiuto giovanile che non includesse i consigli surclassati della generazione a cui risalivano i suoi familiari. Camila cercava di restare il più vicino possibile, anche se non era facile conciliare il lavoro alla famiglia, ma Lauren serbava più tempo libero e lo trascorreva a spettegolare con Sofia sulle "oche" che baccagliavano il suo attuale fidanzato.
Il tempo correva inesorabile, ma certe situazioni non variavano mai.
Arrivarono sul pianerottolo, trafelate. Dinah le attendeva sulla soglia della porta. Pantaloni a cavallo basso, calzini antiscivolo e felpa extralarge, il suo consono abbigliamento da casa. Le accolse con la prammatica battuta che era divenuta ormai un rituale irrinunciabile.
«Ah, siete vive. Peccato.»
Risero tutte assieme, ricordando la prima volta che Dinah aveva proferito quelle parole...
Sette anni prima...
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Spazio autrice:
Ciao a tutti.
Ora la storia è proprio finita e sono contenta di averla terminata così. Non c'era molto da dire, se non visitare la vita di Lauren e Camila dopo il liceo. Sarò sincera, quando ho iniziato a scrivere l'epilogo mi sono chiesta "ma che cazzo scrivo adesso?" Perché il finale che avevo dato alla storia mi sembrava giusto e non volevo rovinare tutto, poi però mi è venuta l'idea e ho capito che pubblicare il diario di Camila era un po' come riconfermare la frase finale dell'ultimo capitolo, solo che stavolta oltre a regalarsi a Lauren, si è regalata anche a se stessa. In più ho fatto degli accorgimenti alla storia in se (tipo il fatto che Camila non sappia ancora camminare sui tacchi, che non prenda più l'ascensore, della bugia che Dinah aveva detto a Lauren eccetera) e mi è piaciuto molto riprendere quelle scene perché mi hanno ricordato le precedenti.
Spero che sia piaciuto anche a voi!
Grazie a tutti per averla seguita. Davvero, grazie infinite.
Vi ricordò di leggere la storia nuova, che è stracolma di sorprese che spero vi sorprenderanno.
Lo so che alcuni di voi, giustamente, mi hanno fatto notare che la prossima storia è simile ad un'altra, ma ne ho parlato con qualcuno di cui mi fido ciecamente e onestamente nell'editoria è pieno di libri che si somigliano, perché sennò non ne esisterebbe alcuno. È anche vero che la trama può essere simile, ma la storia completamente diversa e perciò ho deciso di scriverla.
Penso di pubblicarla entro fine settimana. Sto riguardando le ultime cose, perché all'ultimo ho fatto dei piccoli cambiamenti.
Vi aspetto.
Inoltre volevo avvisarvi che ho aperto una pagina Instagram per chiunque volesse delucidazioni sulle storie, date che i messaggi di Wattpad non mi funzionano più tanto bene in questi giorni, purtroppo. Mi trovate sotto il nome di RedSara0(questo è uno zero storpio).
A presto!
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