Capitolo ventotto
«Cazzo!» Imprecò Camila in preda al panico, mordicchiandosi le unghie per somatizzare il nervosismo.
«Guardala positivo. Magari è un bene che parli con Lauren.» La consolò Dinah che, il giorno successivo, si era precipitata a casa di Camila in seguito ad un messaggio di esplicita richiesta d'aiuto che l'aveva allertata.
«Non c'è un lato positivo!» Esclamò la cubana; ora aveva preso a camminare avanti e indietro, senza smettere di torturare le lunette bianche fra gli incisivi.
«Questa cosa non sarebbe comunque rimasta in piedi.» Declamò solennemente la polinesiana, confusa dalla sorpresa che lesse negli occhi di Camila «Cosa? Andiamo Mila, ti aspettavi davvero che un'amicizia basata su dei sentimenti potesse proseguire? Due persone coinvolte l'una dall'altra possono solo fingere di essere amiche.»
«Lauren non è "coinvolta" da me.» Aggrottò le sopracciglia mentre mimava le virgolette in aria, scuotendo la testa nella direzione della polinesiana come se stesse parlando di una storia edificata solo dalla sua mente.
«Ma per favore! Non so se sia più stupida tu o lei. Ti ha baciata, due volte!» Sottolineò con enfasi l'ultima frase, per avallare la sua tesi.
Camila sbuffò e scosse la testa, rifiutandosi di confermare la teoria della polinesiana «Era una situazione di panico...» Iniziò, ma Dinah l'anticipò.
«Ed era ubriaca. Sì, ho afferrato il concetto. Quello che penso però è che Lauren nutra qualcosa per te, ma lo stia nascondendo anche a se stessa e fino ad ora si è permessa di lasciarsi andare solo in momenti propizi... Cioè, si è dedicata ai suoi sentimenti solo quando aveva una ragione per poi smentirli.» Spiegò Dinah, rotolandosi sul fianco per capovolgersi nella posizione inversa a quella che aveva assunto in precedenza. Adesso i suoi occhi erano fissi sul soffitto.
«Appunto. L'ha fatto in momenti in cui non erano i sentimenti ad agire, ma l'impulsività.» Replicò la cubana che nel frattempo scorreva le grucce una ad una ispezionando le felpe senza un vero scopo preciso.
«L'impulsività è sentimento.» Specificò Dinah, spostando nuovamente il peso sul fianco per poi distendersi in posizione prona, con i gomiti puntellati nel materasso e le mani a sorreggere il mento.
«Quando neanche noi riusciamo a capirci, o non vogliamo farlo, ci pensa il nostro istinto a verbalizzare il chiasso dentro lo stomaco.» La istruì amichevolmente la polinesiana, con un sorriso trasognato stampato sul volto «Agire senza riflettere. Impulsività: è quello il momento in cui assecondi le emozioni.»
Camila inclinò la testa su una parte, alzò un sopracciglio e incurvò l'angolo della bocca in maniera maliziosa; portò le mani sui fianchi e disse «Mi devi dire qualcosa, Dj?»
La polinesiana sembrò riprendersi dalla trance nella quale era caduta. Scosse la testa e negò categoricamente, sostenendo che si stesse riferendo solo ed esclusivamente alla situazione delicata che stava vivendo Camila.
La cubana si andò a sedere accanto a lei, incrociò le gambe e mise una mano sulla spalla di Dinah «Parliamo sempre di me, per una volta mi piacerebbe ascoltarti.»
La polinesiana sospirò e annuì, ammettendo tacitamente la sua colpevolezza «Ok, è vero... C'è qualcuno, ma non fare domande perché non è successo niente.»
«Chi è?!» Domandò tempestivamente la cubana, colpendo l'amica sul braccio per incitarla a sputare il rospo.
«Non posso dirtelo.» Rispose sconsolata la polinesiana, notando subito l'espressione afflitta ombreggiare il volto di Camila.
Si rizzò velocemente, afferrò l'amica per le spalle e ancorò il suo sguardo a quello della cubana «Lo so che tu mi parli sempre di Lauren e che per te non è facile. Vorresti che io facessi lo stesso, è comprensibile, ma adesso non posso. Devo capirmi meglio prima di parlarne a qualcuno.» Spiegò Dinah, suscitando la curiosità di Camila che a seguito delle sue parole sgranò gli occhi e le chiese «Non sarà mica un professore?»
«Cosa? No! Ho chiuso con quella categoria.» Storse le labbra in un'espressione adirata e con un gesto lesto della mano vanificò l'ipotesi di Camila, ma infittì i suoi dubbi.
«Posso almeno sapere dove l'hai conosciuto?» Tastò il terreno la cubana, insaziabile. Non era mai successo che Dinah la tenesse all'oscuro di qualcosa, ecco perché tanto mistero stimolava il suo incipiente interesse.
«Ehm.. Alla festa a casa di Lucy.» Ammise la polinesiana, riducendo gli occhi in due fessure e stringendosi nelle spalle per proteggersi dall'ira di Camila che stava per abbattersi su di lei.
«Cosa!? Ma è passato, quanto?! Un mese? Un mese, se non di più, e non mi hai detto niente!» La colpì giocosamente con dei pugni deboli sulle spalle e la punì con dei pizzicotti sui fianchi che fecero rotolare Dinah dal ridere, essendo soggetta al solletico.
«Basta, ti prego.» Supplicò la polinesiana fra una risata e l'altra, contorcendosi per scampare alla penitenza che Camila le stava infliggendo.
La cubana si interruppe per pochi istanti, alzò le mani in aria e mentre la polinesiana stava riprendendo aria, asserì «Ti perdono solo se mi fornisci dei dettagli.»
«Ma non..» Protestò Dinah, subendo nuovamente il solletico inflitto da Camila che non si sarebbe arresa tanto facilmente.
La risata fragorosa della polinesiana le impediva di parlare, anche se aveva tentato più volte di farfugliare qualcosa, ma la mancanza di controllo e l'esigua riserva di ossigeno la invalidavano.
«Allora? Ripensamenti?» Domandò Camila caustica, garantendosi un'occhiata torva da parte di Dinah che la squadrò in maniera sinistra, ma infine le concesse un piccolo dettaglio.
«Ci.. ci siamo baciati.» Ammise, ricevendo solo un pugno sul braccio stavolta che simboleggiava il rancore di Camila.
«Non è successo niente.» Scimmiottò la cubana, rimarcando la menzogna della polinesiana che stavolta rise per la pessima imitazione fornita dalla cubana.
«Eravamo entrambi ubriachi, ma penso davvero quello che ti ho detto prima... Per questo sto cercando di capirmi, perché è stato un impulso irrefrenabile. Mila, un trasporto che non avevo mai sentito verso nessuno.» Dichiarò Dinah onestamente, sfuggendo all'ennesima punizione di Camila che stavolta si lasciò cadere al suo fianco, sospirando e poggiò una mano su quella dell'amica, solidale.
«So cosa intendi.»
*****
Aveva appuntamento con Lauren nel pomeriggio. Si incamminava, tremante, verso il luogo che avevano stabilito. Lo sguardo seguiva i passi che calpestavano l'asfalto vaiolato, mentre i pensieri si spostavano più veloce dalle sue stesse gambe, anticipando la suola. L'attimo impavido che l'aveva permeata il giorno precedente, adesso era scemato e solo una puerile ansia le strutturava le ossa.
Certo che, imprigionare la verità gliele stava slogando, le ossa.
Forse quello era il momento giusto per concedersi di liberarsi da quell'agonia. Momenti. È arrivato il momento, questo è il momento adatto... Camila non credeva in quei detti borghesi, lei professava tutt'altra "religione" e non lasciava niente al caso, non si sottometteva al fatalismo. Lei ordinava i suoi giorni, lei era responsabile delle due scelte, lei non era spasimante del destino, ma bensì autrice della propria vita.
Eppure, quel giorno, mentre percorreva la strada disseminata di turisti esaltati che fotografavano le strade narratrici della sua infanzia, sovvertì completamente i ragionamenti che l'avevano accompagnata fino a lì.
Quello era il momento giusto. Questo le risuonava in testa, infondendole un pungente nervosismo. Era aggrappata solidamente ai suoi principi, alcuni giorni erano le uniche fondamenta che non erano crollate, ma in qualche modo, quando si trattava di Lauren, si ritrovava a edificare tutto dall'inizio ed era estenuante. Era come se, improvvisamente, realizzasse che la sua casa fosse fatta di vetro invece che di cemento.
Si sedette sulla panchina in attesa di Lauren, eluse i minuti mettendosi a contare i rullini in esposizione del negozio, dall'altra parte della strada. Suo padre le aveva tramandato la passione per la fotografia da quando era infante. Ricordava i giorni che le portava a casa una nuova macchina fotografica e lei si divertiva ad esplorare angoli della casa che, attraverso l'obiettivo, apparivano così dissimili dalla proiezione dell'occhio. Ogni volta era come se scoprisse un segreto che fino ad allora aveva vissuto nella sua stessa abitazione, ma non si era mai svelato. E quei segreti restavano scatti impressi nella memoria di Camila che morivano non appena discostava l'obiettivo. Poi era cresciuta, le macchine fotografiche si erano evolute e lei aveva perso il divertimento. Troppi tasti innovativi, troppe funzioni a lei sconosciute. Aveva il timore che la sua passione non fosse in grado di stare al passo con i tempi, che per conformarsi dovesse possedere una maestria che lei non aveva mai imparato. La sua era solo pura passione e per paura di macchiare un bel ricordo, l'aveva stivata in soffitta, in mezzo agli scatoloni che custodivano oggetti inutilizzati, memorie e polvere.
Cinquantasei rullini disposti sugli scaffali. Camila fece un rapido conto mentale.
Valutando che possono contenere dodici, ventiquattro o trentasei pose; la cubana immaginò che la metà fosse dotata della minor capacità, una ventina di quella intermedia e gli ultimi dieci di quella massima. Quindi, se non aveva sgarrato il conto, erano esattamente 1.176 foto.
Camila sorrise e pensò 1.175 foto per Lauren, l'ultima la scatterei a Lucy per farle vedere quanto è brutto il suo cipiglio.
«Ciao.» Una voce familiare interruppe il flusso dei suoi pensieri.
Camila si riscosse dal torpore ed alzò lo sguardo verso Lauren, serrando le palpebre sensibili alla luce del sole che incastonava la figura della corvina.
«Aspetti da molto?» Chiese la corvina, sbrigandosi a sedersi per deviare la traiettoria dell'accecante luce che chiaramente disturbava Camila.
«Solo qualche minuto.» La rassicurò, facendosi più in là sulla panchina per ampliare lo spazio da condividere.
«Stai bene?» Domandò la corvina, allarmata per il messaggio coinciso che aveva ricevuto.
«Sì.» Rispose laconica Camila.
Avrebbe voluto aggiungere altro, ma tutte le parole che le sovvenivano non sembravano opportune. Troppo imponenti, poco efficaci, troppo decise, poco convalidate. Nel suo lessico non trovava una sola parola che potesse imbracciare quel momento. Così tacque.
Lauren catturò il labbro inferiore fra i denti, non mordeva solo la carne, era un modo fisico per impedire alle parole di sgorgare perché lei, al contrario della cubana, ne aveva una quantità smodata che le rigonfiava le guance.
Camila intuì. Lauren era lì per ascoltarla e confortarla, all'occorrenza, ma in tasca portava anche delle incertezze che solo la cubana poteva levigare.
Camila sospirò «Che succede?»
«Dovrei fartela io questa domanda.» Aggrottò le sopracciglia la corvina, lasciando che un tiepido sorriso le accarezzasse le labbra, come se la consapevolezza che qualcuno riuscisse a identificare il suo stato d'animo la rincuorasse e stupisse al contempo.
«Ma te la faccio prima io.» Intervenne prontamente Camila, sostenendo lo sguardo indeciso di Lauren.
La corvina si liberò del peso che l'aveva attanagliata in quei giorni, senza tenere conto che si trovavano lì per consolare Camila e non il contrario. «Lucy è arrabbiata con me perché anche se è stata lei a dire la verità, stavo per farlo io al posto suo. Dice che questa è una mancanza di rispetto per la nostra relazione, che ho commesso un grave errore anche se non l'ho attuato.» Si lamentò Lauren. Era chiaro che fosse persa nei suoi pensieri, vittima dei suoi stessi dubbi. La vertenza con Lucy l'aveva confusa e ora non sapeva più distinguere quale fosse stata la cosa giusta da quella sbagliata. Ma Camila sapeva farlo.
«Lauren, hai agito soltanto secondo la tua etica. Avresti sbagliato se fossi andata contro la tua morale per difendere dei principi che non ti appartengono, ma non l'hai fatto.» Camila abbassò lo sguardo. Avrebbero dovuto parlare di loro, invece ecco che si ritrovavano a discorrere di Lucy. «È ovvio che dall'altra parte non faccia piacere, ma troverai il modo per rappacificarti con lei.» La galvanizzò Camila, sorridendole amichevolmente da quello strato di pelle che non poteva mostrare ciò che realmente mormorava al di sotto.
«Grazie, Camz. Sai sempre cosa dire. Non so come tu faccia. Se fossi stata in te, mi sarei mandata a quel paese tempo fa.» Ironizzò la corvina, ridendo brevemente, non trovando riscontro.
I sensi di colpa le strinsero lo stomaco. Camila l'aveva contattata per rivelarle quello che pareva un problema, ma lei si era messa al centro dell'attenzione, assurgendo i suoi dissapori a quelli dell'amica. Non era brava come la cubana ad empatizzare o semplicemente ad ascoltare, soprattutto quando un disguido le intralciava la strada. Aveva bisogno di sfogarlo, di sentire l'opinione altrui per alleggerirsi, cosa che Camila si asteneva la maggior parte delle volte a fare.
«Scusami, Camz. Che dovevi dirmi?» Chiese Lauren.
Alla cubana non era stato insegnato come essere forte, come interiorizzare tutto e risolverlo da sola, ma tramite la sua esperienza aveva imparato a farlo. E anche quella volta attinse alla sua personalità robusta, ben radicata, per stornare l'argomento.
«Niente d'importante. Mia madre ha scoperto la verità sull'accaduto. Le ho raccontato parzialmente quello che è successo negli ultimi anni e mi ha perdonato.» Sollevò le spalle, minimizzando la cosa, ma Lauren si sporse rapidamente verso di lei e l'abbracciò sussurrandole che era fiera di lei.
«Ehi, perché non andiamo a magiare una pizza?» Domandò Lauren, orientando lo sguardo sulla linea curva delle isole che rifinivano il cielo in lontananza dove il sole stava approdando.
«Solo se offri tu.» Fece la pretenziosa Camila, ammiccando nella direzione dell'amica.
«Perché dovrei offrirla io?» Il tono leggermente acutizzato per via della sorpresa che aveva subito a causa della impreveduta sfrontatezza della cubana.
«Perché tu sei ricca e.. io ho dimenticato il portafogli a casa.» Ammise infine Camila, gemmando le labbra di Lauren con un sorriso autentico.
«Uhm...Ti piace l'ananas sulla pizza?» Domandò Lauren, riducendo gli occhi in due fessure come se stesse prendendo con soverchia importanza l'esito della risposta.
«Oh, Santo cielo! No.» La cubana contrasse i muscoli facciali e storse le labbra per rimarcare il disgusto.
«Ottimo, allora posso offrirtela io.» Sentenziò Lauren, afferrando l'altra sottobraccio.
Camila, quel giorno, capì che aveva sempre avuto ragione.
Il momento giusto non esiste e non arriva. È inutile che restiamo fermi sulla soglia. Il momento giusto o lo creiamo noi, o resteremo sempre affacciati alla porta aspettando un ospite che crediamo essere solo in ritardo, ma che in realtà non si presenterà mai.
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