Capitolo ventiquattro
«Si signore.» Annuì ieratica, congiungendo le mani in grembo.
«Quando è successo?» Domandò, mentre la sua penna scriveva lenta sul foglio e la montatura degli occhiali pencolava sulla punta del naso.
«Ieri mattina.» Rispose prontamente, allungando il collo e spingendo leggermente il mento in alto per mettere in evidenza il livido violaceo che le sfigurava la faccia.
L'uomo alzò per un secondo lo sguardo per esaminare i danni, annuì flebilmente e riassestò le lenti al posto giusto, curvandosi nuovamente per compilare la descrizione fornita dalla ragazza.
«E l'ha colpita senza motivo?» Si accertò ancora una volta, garantendosi uno sbuffo annoiato da parte di Lucy che odiava doversi ripetere.
«Si signore.» Ammise, serrando la mascella quando il preside le rivolse un'occhiata pregna di scetticismo.
L'uomo dovette accorgersi del fastidio provato dalla ragazza perché si affrettò a rendere chiara la sua posizione neutrale, adducendo, però «Trovo solo strano che una studentessa modello come Camila le abbia inferto un colpo senza un perché.»
Lucy inspirò profondamente, tenne a bada i nervi, sapendo che una scenata irosa avrebbe giocato a suo svantaggio e adottò un temperamento bonario, quasi succube degli atti incoscienti della cubana.
«Non so che dirle, signore. Anch'io sono rimasta sconvolta da questa sua uscita, ma se non mi crede due mie amiche erano presenti durante l'accaduto, potrebbero dichiararle le identiche cose che le ho spiegato io oggi.» Alla sua recita aggiunse un tocco drammatico, sfiorandosi appena il punto contuso e contraendo la faccia in un'espressione dolente che non lasciò al preside altra scelta se non svolgere il suo dovere.
«Prenderò presto provvedimenti.» Poi la congedò e la ringraziò per l'avvertimento, ricordandole che quella era una scuola in cui le regole erano uguali per tutti.
*****
Camila era seduta in biblioteca, a consumare il suo sandwich quotidiano e ripassare biologia. Non aveva raccontato a nessuno, neanche a Dinah, cosa le era successo il giorno antecedente, ne tantomeno l'aveva ragguagliata sul gesto increscioso che aveva fatto.
Serrò il pugno e rimirò le nocche ancora arrossate. Si sentì in colpa, per la prima volta, ad aver tirato un pugno a Lucy. Adesso che la rabbia andava scemando le sue azioni le apparivano più limpide e, a tratti, nemmeno lei si riconosceva in ciò che aveva commesso. Questa era una delle cose che aborriva maggiormente in tutta quella storia: Lucy era riuscita a lederla a tal punto da tramutarla in qualcuno che non era mai stata prima d'allora.
I pugni fanno male, è violenza gratuita che non dovrebbe mai essere inflitta, ma anche le parole indossano i guantoni da boxe, anche le parole possono ferire e magari lasciano ematomi non visibili, ma dentro la percossa c'è. Siamo stati dotati di due strumenti di connessione potenti, ma costantemente li utilizziamo nel modo sbagliato tanto che ambedui si sono trasformati in armi. Quando impareremo ad usare le mani per profondere amore e le parole saranno solo un mezzo di giuntura, solo allora potremmo considerarci essere umani degni di tale epiteto.
Schiuse la mano e la poggiò sulle pagine del libro aperto, riprendendo a leggere dal punto in cui si era interrotta.
«Ciao.» Una voce timida la intralciò nel suo intento. Camila voltò la testa per scorgervi Lauren.
La guardò senza dire niente, un rimprovero le sfolgorava negli occhi, le sue labbra si erano irrigidite in una linea avversa. La corvina sospirò, accusando il diffido di Camila nei suoi confronti. La cubana virò nuovamente lo sguardo sul libro, omettendo la presenza dell'altra.
«Camz, non fare così.» Lauren scivolò a sedere sulla sedia dall'altra parte del tavolo, uno sguardo implorante impoveriva il suo viso.
«Lo so che sei arrabbiata, mi dispiace.» Si scusò immediatamente la corvina, ma Camila non la degnò di uno sguardo.
Quando le cose erano precipitate frettolosamente, il giorno precedente, Lauren non si era preoccupata di ascoltare quello che aveva da dire Camila, ma si era caracollata dietro a Lucy e l'aveva raggiunta prima che entrasse in classe.
Avevano parlato, la sua fidanzata le aveva confidato di non essere a conoscenza dell'origine del gesto di Camila, ma Lauren non le aveva creduto neanche per un istante e aveva insistito affinché Lucy pronunciasse la verità. Non erano servite due ore per scalfire la sua rete di menzogne.
Lauren aveva tentato di contattare Camila, ma la cubana l'aveva ignorata tutta la sera, riducendosi a spegnere il telefono per non sentirlo suonare ogni minuto. Non poteva negarlo, un po' era arrabbiata con Lauren, ma quale diritto aveva per esserlo? In fondo aveva solo seguito la sua fidanzata, che cosa c'era di sbagliato? Niente, assolutamente niente... Ma Camila era infastidita lo stesso, perché per un folle istante, mentre varcava la porta d'ingresso, si era illusa che Lauren percorresse i suoi passi.
Quindi la rabbia che esondava dentro di lei, era del tutto inutile e inspiegabile, a momenti anche puerile, ma non riusciva a reprimerla.
«Vorrei solo sapere la verità.» Annunciò Lauren.
Camila lasciò cadere il lapis nell'insenatura del libro, respirò profondamente e, adagia, virò la testa verso Lauren. «Che cosa ti ha detto Lucy?»
La corvina farfugliò qualcosa, contenta che la cubana le avesse rivolto parola. Poi fece mente locale e le riportò parola per parola, ma Camila, durante il racconto, si rese conto che Lucy non le aveva svelato niente di paragonabile alla realtà.
«Non ti ha detto che la nostra amicizia è fondata solo sulla compassione? Non ti ha detto che io non valgo niente e che sono solo una macchina nel vostro gruppo? Non ti ha detto che tutta la scuola ride di me perché sto cercando di emularti?» Domandò retorica, notando il cipiglio che man mano si affossava sempre di più sulla fronte della corvina.
Trascorsero dei secondi di silenzio, poi Lauren scosse, tramortita, la testa e abbassò lo sguardo. Assimilò le informazioni. Ogni istante le offese di Lucy gravavano sulla sua schiena. Perché ferire così tanto Camila? A che scopo?
Avrebbe voluto porgerle quella domanda, ma era talmente stordita dagli eventi che non riuscì ad articolare una frase. Camila, che aveva imparato a conoscerla, percepì i pensieri ingombranti che mitragliavano le facoltà della corvina. Nonostante non le fosse stato fatto alcun quesito, donò requie alla mente affollata dell'amica.
«Mi ha vista uscire dalla tua stanza a capodanno.»
Lauren alzò di scatto la testa, la paura sfumava fra le sue iridi dilatate, ma Camila si affrettò a rasserenarla ancora una volta «No, non le ho detto niente riguardo... riguardo a quello.» Deglutì e stavolta fu lei a dover distogliere lo sguardo. Ancora arrossiva al pensiero di quello che era avvenuto in quella stanza.
«Ti ringrazio.» Spirò la corvina sollevata, allungando una mano sul tavolo per stringere quella di Camila. La cubana inizialmente si ritrasse, ma quando le dita di Lauren sfiorarono le sue non fu capace di sottrarsi alla carezza che le depositò.
«In realtà, volevo parlarti anche di questo.» Ammise Lauren senza preamboli, ancorando i suoi occhi a quelli dell'altra che puntualmente iniziò a farfugliare parole spezzate.
Quando Lauren la guardava in quel modo, tutte le parole divenivano lame taglienti che le fendevano il respiro.
«S-si.. penso che, che sia la, la cosa gi-giusta.» Si adoperò per balbettare, chiudendo gli occhi al termine e inspirando a fondo per recuperare capacità verbali temporaneamente menomate.
«Camz...» Iniziò Lauren, scuotendo la testa, ma la voce stentorea e artificiale del preside, trasmessa mediante gli altoparlanti disseminati per l'istituto, la interruppe. Era richiesta la presenza di Camila nell'ufficio.
La cubana si paralizzò sulla sedia, stritolando, istintivamente, la mano di Lauren nella sua.
Quest'ultima drizzò la testa verso l'origine del suono e ne seguì le note con preoccupata confusione che sul suo viso si esponeva sotto forma di cipiglio.
«Devi portare il certificato?» Domandò Lauren, con lo sguardo ancora fisso sul suono che ondeggiava nell'aria.
«Che, che certificato?» Chiese Camila, allibita dal richiamo che il preside aveva appena mosso nei suoi confronti, spiazzandola.
In quattro anni non aveva mai riscontrato problemi gravi da doversi sottoporre alla ramanzina del direttore.
«Quello per gli svenimenti genetici e la salivazione fuori controllo.» Mimò il gesto la corvina, calandosi in un'interpretazione teatrale che in qualche modo riuscì a smussare la tensione che prosciugava Camila.
«No, Lern, non ci vuole un certificato per quello.» Ridacchiò la cubana, scuotendo flebilmente la testa davanti alla dabbenaggine della corvina.
«Beh, è comunque una malattia che non dovrebbe essere presa sottogamba. Ti impedisce di parlare, che succede se ti capita durante un'interrogazione? Ti mettono l'insufficienza perché non hai fatto parola, ma non è colpa tua se non puoi muovere la lingua. Se avessi un certificato potresti giustificarti.» Spiegò dettagliatamente Lauren. Decisamente lei non la prendeva sottogamba.
Camila dovette mordersi l'interno della guancia per non scoppiare a ridere e nascose il sorriso inequivocabile che le affiorava sulle labbra, abbassando la testa.
Di nuovo il preside fece il suo nome attraverso gli altoparlanti, invitando la signorina Cabello a recarsi subitamente nel suo ufficio.
«Sicura di non dover portare alcun certificato?» Si accertò per l'ennesima volta Lauren, ma Camila non rise. Scosse la testa in segno di diniego e si alzò dalla sedia, respirando.
«Ti accompagno.» Dichiarò la corvina, seguendo le orme dell'amica che con passo celere si avviava verso l'uscita della biblioteca.
Percorsero in silenzio il corridoio affollato: le uniche parole che scortarono Camila verso l'ufficio del preside furono i bisbigli di stolta cattiveria che sussurrano gli alunni. Lauren si accostò alla cubana e le circondò le spalle con il braccio, come a volerla proteggere dalla malevolenza gratuita che riversavano su lei. Con l'altra mano le strinse il braccio, come a volerle dire tacitamente che ora nessuno le avrebbe fatto più male.
Quando sopraggiunsero davanti alla porta dell'ufficio, Lauren sorrise incoraggiante. In quella linea ricurva vi si tramandava la promessa di audacia che la corvina stimava in Camila. Quando la cubana scomparì dietro la porta, Lauren si appoggiò contro lo stipite e attese.
La ragazza entrò solo quando le venne accordato il permesso. In tre anni non aveva visto una singola volta quell'ufficio. Ne aveva affrontate di peggio, ma era sempre timorosa quando non conosceva ciò che stava tenzonando.
L'uomo in giacca e cravatta seduto dall'altra parte della scrivania le fece segno di accomodarsi. Teneva le mani congiunte sul tavolo, un espressione frammista a dispiacere e delusione albergava sul suo volto incartapecorito. Camila prese un bel respiro, afferrò la sedia dallo schienale e la spostò verso di se, sedendosi compostamente.
«Signorina Cabello, come sta procedendo il suo anno scolastico?» Cominciò con voce baritonale, tergiversando.
«Ah bene.. Io, io suppongo bene.» Rispose timidamente la cubana, abbozzando un sorriso che tradì il nervosismo che affluiva in lei.
L'uomo annuì, si sporse leggermente in avanti sul tavolo «Lei sa perché è qui?»
Camila scosse la testa, disorientata.
«Mi risulta che lei abbia colpito una sua compagna, ieri mattina.» Fece una pausa, lasciando che il suo sguardo suggestivo scremasse i ricordi offuscati della cubana.
Camila abbassò lo sguardo sulle sue mani, le nocche erano ancora arrossate. Emise suoni monocorde che avallarono le supposizioni del preside, il quale, con un sospiro rammaricato, si afflosciò contro la poltrona.
«Quindi è vero.» Sentenziò, come se fino a quel momento non avesse creduto in quella che riteneva una diffamazione.
«Signore, io.. io, mi.. mi dispiace.» Balbettò la cubana, cercando di fare ammenda «Lei mi ha, mi ha.. provocato.»
«Non è questa la versione dei fatti che mi è stata riferita da altre tre persone, secondo le quali lei avrebbe agito senza un reale motivo.» Confutò il signor Olmes. Camila scattò sulla difensiva.
«Non è vero! Lei, lei mi.. mi ha insultato. So che la mia reazione è stata sbagliata, io, io lo so... Ma non è vero.» Spiegò la cubana, notando la buona fede del preside che, nonostante le prove a suo sfavore, le diede un'ultima possibilità.
«C'è qualcuno che può confermare la sua dichiarazione?»
«Si c'è..» Iniziò Camila, ma si cucì repentinamente la bocca.
Lauren. Lauren avrebbe potuto sostenere la sua tesi, ma questo avrebbe giocato a svantaggio della sua relazione già precaria con Lucy. Camila rifletté per qualche secondo, ponderando l'idea di fare il nome della corvina, ma in cuor suo aveva già preso la decisione.
Non poteva porre Lauren in quella posizione scomoda e questo Lucy lo sapeva. Nel momento in cui aveva valicato quella porta, era entrata con la consapevole che Camila non avrebbe mai avuto il coraggio di fare il nome di Lauren, ecco perché aveva osato tanta baldanza; perché la sua sicurezza verteva sulla predilezione che Camila nutriva per Lauren.
«No, no non c'è nessuno che abbia assistito oltre alle persone che ha già consultato.» Ammise mormorando Camila, ottenendo da parte del signor Olmes solo un sospiro rassegato che lo indusse a compiere il suo dovere.
Camila aperse con irruenza la porta dell'ufficio, pestando con forza il terreno sotto i suoi piedi. Lauren si distaccò dal muro appena la riconobbe e le corse dietro, mentre la cubana su dirigeva a passo spedito verso l'uscita.
«Ehi, che ti ha detto?» Domandò trafelata quando riuscì a raggiungerla.
Camila teneva lo sguardo fisso davanti a lei, i pugni serrati e un cipiglio scavava la sua fronte, rimarcando il risentimento che la pervadeva.
«Sono stata sospesa.» Affermò recisa, accelerando il passo.
Lauren sgranò gli occhi, con un balzo si interpose nella strada di Camila e arrestò la sua camminata poggiandole le mani sulle spalle «Che cosa? Perché?»
La cubana sorrise sarcastica. Come faceva Lauren ad essere innamorata di una persona che a momenti sembrava nemmeno conoscere? Questo Camila proprio non lo spiegava.
«Non te lo immagini? La tua ragazza ha detto al preside ciò che è successo ieri.. Raccontandogli solo quello che voleva.» Si divincolò dalla presa e sorpassò Lauren.
La corvina non si diede per vinta e l'artigliò per il braccio prima che potesse allontanarsi «Sistemerò le cose.»
«Non c'è niente da sistemare! È già tanto se non perdo l'anno. Ti prego Lauren, non fare niente, Lucy troverebbe il modo di ritorcermelo contro.»
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