Capitolo trentasei
Nei pressi della scuola vi era un piccolo bar dove si erano già incontrate più di una volta per parlare di Lucy, ma adesso lo scenario era diverso. Stesso luogo, stesso tavolo, ma intenzioni mutate. Non si erano riunite per discorrere della tattica da sfruttare per risanare la relazione a brandelli di Lauren, erano lì per confrontarsi su loro stesse.
Pochi mesi prima, Camila non avrebbe mai sospettato tale avvento. Era come salire su un treno, sperando di arrivare in Europa. Lei, quel treno, l'aveva preso per viaggiare attraverso il paese e non si era mai illusa che i binari solcassero l'oceano Atlantico. E ora, eccola lì, a sferragliare a velocità inaudita.
Lauren tenevo lo sguardo basso, fisso sulla tazza di caffè che avevano ordinato entrambe. Più di una volta sembrava sul punto di dire qualcosa, ma ancora nessuna parola era salpata dalle sue labbra, umide a causa dei colpi ripetuti della lingua.
«Lauren.» Iniziò Camila, pressata dal silenzio incombente.
Sapeva che non c'era un modo adatto per affrontare l'argomento, qualcuno doveva pur cominciare. Ma, adesso che gli smeraldi della corvina si erano ancorati su di lei, i suoi pensieri si erano ridotti ad uno schizzo distratto, disegnato da linee curve senza senso.
«Ah.. L'hai, l'hai preso decaffeinato il caffè oppure, oppure no?» Chiese, arricciando il naso per la stupidità della domanda.
Ma perché, Camila? Perché? Ponderò dentro di se, con vivo disappunto.
«I-il caffè? Ah, l'ho preso macchiato.» Rispose la corvina, stupita dalla domanda.
«Si, no, io.. Non volevo chiederti questo, in realtà.» Ammise respirando profondamente, intravedendo un flebile cenno del capo da parte di Lauren prima di abbassare lo sguardo.
Era già tanto se aveva iniziato la conversazione, non si poteva certo pretendere che la continuasse mantenendo un contatto visivo diretto. Gli occhi l'avevano sempre fregata, non era brava a interpretare le persone, ma gli sguardi le avevano sempre rivelato le intenzioni degli altri. Non era capace di comprendere il sentimento specifico, ma era in grado di discernere buono da cattivo. Questo avveniva solo quando imparava a conoscere a fondo una persona e con Lauren non esistevano più difese, quindi era intimorita di scorgervi qualcosa che l'avrebbe fatta ritrattare. E non poteva tirarsi indietro, non proprio adesso.
«Non so cosa dire, onestamente.» Scosse la testa impercettibilmente, abbozzando un sorriso tenue.
«Capisco.» Assentì Lauren, annuendo.
Passarono altri secondi di silenzio, attimi nei quali incettarono le idee e tentarono di articolare un discorso sensato che le aiutasse a fronteggiare la questione, ma se da una parte i sentimenti intralciavano la razionalità, dall'altra era la razionalità a interferire con i sentimenti.
«Camila, quello che abbiamo fatto è sbagliato.» Dichiarò infine la corvina, sospirando subito dopo come se alleggerita da un oneroso peso.
Camila alzò la testa, lentamente. Deglutì, ma trovò anche la giusta spinta per verbalizzare le sue frastornanti idee «È sbagliato o è stato uno sbaglio?»
Lauren aggrottò la fronte, un cipiglio confuso fu la domanda alla sua domanda.
«Cioè..» Si sporse sul tavolo, poggiando i gomiti sul legno, prese a gesticolare sperando che muovere le mani l'aiutasse in qualche modo a disegnare un quadro completo «Che sia sbagliato, è logico. Tu sei fidanzata, quindi ciò che è successo fra di noi è tremendamente ingiusto e sbagliato, ma... Se lo consideri uno sbaglio, è diverso. Se ciò che è successo fra di noi, per te è stato un errore, allora assume tutt'altra forma. È sbagliato, razionalmente, ma se tralasciando la ragione non lo consideri uno sbaglio, allora è diverso.»
«Ah.. Credo di essermi persa.» Compitò, farfugliante, cercando di assimilare l'opinione di Camila, ma il ragionamento sfuggiva alla comprensione.
«Se pensi sia sbagliato per via di Lucy, sono d'accordo, ma se comunque credi che sia uno sbaglio per ciò che hai provato, allora è diverso.» Si strinse nelle spalle, sperando che una spiegazione più basilare servisse per delucidare le agitate idee di Lauren.
La corvina inspirò e annuì, carpendo ciò che Camila stava dicendo.
Sbagliato è quando commettiamo qualcosa che va contro la morale comune o trascende la nostra propria etica. Uno sbaglio è quando ci lasciamo andare, non tenendo di conto le nostre sensazioni e ignorando anche quelle altrui, ferendo così non solo gli altri, ma anche noi stessi.
Ciò che era successo fra di loro era sbagliato, ma poteva essere considerato uno sbaglio se entrambe lo avessero commesso con sentimento?
Ed era questo che Camila le stava implicitamente chiedendo.
Lauren si prese qualche secondo per riflettere. Riesumò l'acida sensazione che le aveva pervaso lo stomaco quando aveva visto Camila in compagnia di Candace, ricordò il momento in teatro quando si era immedesimata nel suo personaggio figurandosi solo la cubana davanti a se; poi le risate dirompenti che le avevano fatto dolere la pancia, il bacio indifferente che aveva rubato a Camila in ascensore: era davvero quello l'unico modo per calmarla o avrebbe potuto fare in altro modo? E il desiderio pulsante che l'aveva travolta a capodanno, simile a quello irrefrenabile che aveva provato in auto. Riportò alla mente tutte quelle sensazioni e la verità ormai era ineludibile, poteva scappare, ignorarla, ma che senso aveva fuggire quando ormai l'aveva già agguantata?
«Non è stato uno sbaglio.» Sentenziò infine, notando come le pupille di Camila si dilatassero al sentire pronunciare quelle parole, e le labbra si dispiegassero in un sorriso autentico.
«No, non è stato uno sbaglio.» Ripeté, più decisa stavolta, come se lo stesse ribadendo alla parte recalcitrante di se stessa che tentava ancora invano di ribellarsi.
Inutile, ormai l'aveva ammesso e tentare di fare retromarcia non era un'opzione valida tantomeno efficace.
Camila, istintivamente, rinnovellata dal sentimento che palpitava dentro di lei, scalpitante nel sorriso radioso, allungò una mano sul tavolo e afferrò quella di Lauren.
«Però è comunque sbagliato.» Terminò la corvina, ritraendo il braccio in grembo.
Camila osservò la sua mano, immota sul tavolo. Non seppe come replicare, come comportarsi. In certi momenti vorresti solo urlare a squarciagola, per disfarti della frustrazione che si ammassa nel petto, oppure scomparire. Diventare eteree, imponderabile, liberarti di ogni peso, ogni incertezza, ogni paura, semplicemente svanendo nel nulla. In quell'attimo Camila desiderò entrambe le cose, gridare a pieni polmoni e dissiparsi nel suo stesso grido.
«Che vuol dire?» Invece mantenne la calma, tentò di agire con maturità e invece di schivare il grumo di sentimenti che la osteggiava, decise sgomitolarli.
«Vuol dire che.. che non posso lasciare Lucy. Le farebbe troppo male e io non voglio ferirla.» Asserì risoluta, convinta che quella fosse la soluzione migliore per tutti.
Ma non per Camila.
«Fammi capire. Non vuoi ferire lei, ma puoi ferire me?» Domandò recisa, con una punta di stizza nel tono incrinato.
«Camz, io e te da quanto ci conosciamo? Tre, forse quattro mesi? Io e Lucy stiamo insieme da sei anni. Sei anni.» Scandì con enfasi, per sottolineare l'importanza di quegli anni, ma Camila continuava a non capire o, meglio, capiva, ma non l'accettava.
«Che cosa c'entra, Lauren? Pensi che Lucy soffrirà di più perché state insieme da più tempo? Non ha senso.» Si passò una mano sui capelli, nervosamente.
Odiava le persone che si discolpavano credendo che il tempo fosse l'unità di misura del dolore.
Ci sono persone che stanno si amano per una vita, ma arrivate ad un certo punto capiscono di dover intraprendere strade diverse, e si separano senza rancore, forse anche contenti della decisione conseguita, perché presa con consapevolezza. Altre persone, invece, condividono assieme solo pochi mesi, ma quando si allontanano è come se li venisse strappato qualcosa e la mancanza è talmente assordante da fare un male atroce. Non sempre è così, ma non possiamo basarci sul tempo per misurare l'amore o il dolore. Nessuno strumento è capace di dare una valutazione esatta, quando si parla di amore, tantomeno qualcosa di così approssimativo come il tempo.
«Camz, io e Lucy abbiamo condiviso tanto..»
«Anche noi.» La interruppe bruscamente Camila che non sopportava di vedere con quanta superficialità Lauren maneggiasse i suoi sentimenti.
«Non stai seguendo.» La riprese Lauren, dondolando la testa al ritmo dei suoi pensieri.
«Sto seguendo benissimo.» Puntualizzò seccata, sfidando la caparbietà ostica di Lauren con il suo sguardo adombrato.
Lauren sospirò profondamente, sistemandosi sulla sedia come se ad un tratto fosse divenuta scomoda. Non era una situazione facile perché, alla fine, avrebbe leso una delle due, compresa se stessa. Era innegabile che la decisione vertesse su di lei, come era inconfutabile che chiunque avesse ferito, Lauren non ne sarebbe rimasta incolume.
«Camz, io sono innamorata di Lucy.»
«E allora perché lo dici con le lacrime agli occhi?» Fece un cenno con il capo nella sua direzione, il tono rimase flemmatico, piatto.
«Perché mi sento in colpa. Ciò che abbiamo fatto è sbagliato.» Scattò sulla difensiva Lauren, animandosi, mentre si affrettava ad asciugare una lacrima che le graffiava la guancia.
«Lo abbiamo capito, ma hai anche detto che non lo ritieni uno sbaglio, quindi non puoi essere innamorata di Lucy.» Sentenziò Camila, sorprendendosi lei stessa della spontaneità diretta con la quale stava dibattendosi.
Arriva un momento in cui le aspettative, decedute, si trasformano in speranza e quando questa non viene appagata, ma continuamente scalfita, quando gli sforzi non vengono apprezzati e perennemente elusi, tutto l'insieme arreca grande frustrazione e non riusciamo a trattenere a lungo quella cascata. Prima o poi la lasciamo sgorgare e non più contro noi stessi, perché ci siamo già abbastanza fustigati, ma contro chi ci ha portati allo sfinimento. È umano.
«Non è vero.» Dissentì Lauren, perentoria.
«Invece si.» Rimbeccò prontamente Camila.
«Perché fai così!?» Sbottò a voce alta la corvina, attirando più di qualche sguardo indiscreto.
«Perché...» Come te lo spiego perché, Lauren?
Silenzio.
La corvina sorseggiò il caffè, ormai raffreddato per essere stato lasciato a lungo dentro la tazza senza essere bevuto. Nel frattempo Camila tentò di immagazzinare tutti i sentimenti che aveva represso fino a quel momento e che improvvisamente sembravano voler saltare fuori tutti insieme.
«Ascolta, Camz, io mi assumo tutte le responsabilità del caso. Ci siamo lasciate andare all'attrazione fisica, che ha comportato il nascere di qualcosa, ma è appena iniziato! Possiamo tornare ad essere amiche e lasciarci tutta questa questione alle spalle.» Disse con entusiasmo Lauren, certa che così avrebbe nuociuto il meno possibile a Camila.
«Non possiamo farlo.» Dichiarò austera Camila, scuotendo la testa con poca energia.
Si sentiva prosciugata, tutto ciò che aveva fatto per Lauren non era stato abbastanza. Non era mai abbastanza. Perché si era illusa che le cose cambiassero? Perché aveva permesso a se stessa di credere che Lauren, inaspettatamente, lasciasse Lucy per stare con lei? Con lei! Quale perfida voce, quale odiosa speranza, aveva scardinato la sua razionalità?
«Perché no?» Chiese esasperata Lauren, confusa da quello che pareva risentimento, di Camila.
«Perché io me lo ricordo!» Proruppe Camila, affannata.
Lauren si corrucciò, con un flebile sorriso intento a sdrammatizzare addusse «Certo, anche io, Camz. Ricordo quello che..»
«Non quello.» La prevenne, con più tranquillità stavolta, ma non meno audacia.
Prese un bel respiro e imitò ciò che Lauren aveva fatto sul palco, perché se la corvina era riuscita a impossessarsi del suo personaggio, liberandosi da ogni pensiero, Camila si impadroniva di se stessa adesso, sgombrando la mente, togliendosi il costume di scena che aveva indossato fino ad ora.
«Me lo sono ricordata tre giorni dopo, non subito...» Esordì.
«Quello che ti ho detto in ascensore, io lo ricordo.»
Lauren dapprima non carpì ciò che le stava cercando di dire, ma poi la confessione la tramortì, inabissandola in uno stato di torpore che le impedì di parlare. Era chiaro ciò che stava ammettendo Camila, ma lo fu ancora di più quando le disse
«È vero Lauren. E tu lo sai da quando hai letto il mio diario.» Pausa. Un flebile cenno del capo. «Sono innamorata di te.»
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