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Capitolo sette



Camila non si era mai sentita così ridicola in vita sua. Lauren le aveva comprato una maglietta all'emporio scolastico, con il cognome di Marnie stampato sul retro.

Molte ragazze ne indossavano una, quindi non era una novità, però la cubana già sapeva che quel cambiamento repentino nel suo abbigliamento sarebbe stato motivo di scherno da parte dei compagni. Perché qualsiasi cosa facessero gli altri non era valutata e soppesata come quando a farlo era Camila.

Usavano due pesi e due misure, ed un po' la cubana si incolpava di questo perché lei non provava nemmeno a difendersi, si era semplicemente adeguata alla situazione, accettando di essere lo zimbello della scuola perché troppo vigliacca per difendersi. Dinah le  aveva ripetuto un centinaio di volte che avrebbe dovuto rispondere a tono, ma non era facile insorgere quando avevi il carattere chiuso e remissivo di Camila.

«Andrai alla grande!» La incoraggiò Lauren, afferrandola per le spalle per spronare il passo incerto con il quale avanzava.

Dinah le passeggiava alla sua destra. Camila aveva ricercato innumerevoli volte il suo sguardo, pregando per un salvataggio dell'ultimo minuto che la polinesiana si rifiutava di offrirle. Secondo lei far vedere alla sua migliore amica le conseguenze delle sue azioni, le sarebbe servito per allontanarsi da Lauren ed evitare un brutto colpo che, prima o poi, sarebbe arrivato.

«Ok, allora.» La istruì Lauren quando arrivarono a metà strada «Marnie è laggiù. Ricordi il piano?» Inclinò leggermente la testa su un lato per intercettare lo sguardo della cubana.

Camila annuì, ma Lauren le ingiunse di ripeterlo ad alta voce. Sosteneva che fosse una tecnica infallibile "verbalizzarlo più volte è un modo tenace per convincersi di qualcosa."

«Le passo davanti, muovo i capelli, mi presento.» Ripeté meccanicamente Camila, sentendo le sue parole risuonare come una tediosa omelia.

Guarda cosa ti sei ridotta a fare per sviare Lauren dalla verità. Si rimproverò, trovando tutta la faccenda assurda.

Avrebbe voluto sottrarsi al volere della corvina, ma quando le aveva proposto l'idea Lauren sembrava così contenta di poter finalmente barattare il favore che Camila stesse le stava facendo. Non se l'era sentita di ricusare davanti a quegli occhi fulgidi che la fissavano.

«Ok, ricordati che noi saremo qui.» Disse Lauren con fare confortante, prima di darle una spinta.

Camila barcollò in avanti, recuperando stabilità solo grazie all'ausilio delle braccia che arrancarono fendendo solo aria. Quando ritrovò l'equilibrio, si voltò verso la corvina e con risentimento le disse «Anche più piano andava bene.»

«Scusa, ho un po' esagerato.» Si pentì la corvina, estendendo le labbra in un sorriso compunto che annientò il livore di Camila.

Poi le fece gesto con le mani di incamminarsi e Camila, come un automa controllato a distanza dal volere e dagli impulsi di Lauren, mosse i primi passi verso Marnie.

La ragazza era seduta su una panchina, un libro di scienze aperto sulle gambe e la fronte aggrottata, concentrata sulla materia di studio.

Torna indietro, è una cazzata. Torna indietro. Si ripeté mentalmente, ma quando provò a girarsi per ripercorrere la strada al contrario e allontanarsi il più possibile, Lauren assunse una posizione austera, alzò il mento nella sua direzione accentuando il suo disaccordo e con un cenno rigido le impose nuovamente di voltarsi e proseguire.

«Mi ringrazierà.» Assunse la corvina quando vide Camila riprendere il tragitto che aveva interrotto.

Dinah le rivolse uno sguardo contraddittorio, lei che era a conoscenza della verità sapeva che l'ultima cosa a cui Camila stava pensando era di ringraziare Lauren.

«Oh, sì. Assolutamente.» Rispose la polinesiana in maniera sorniona, notando il sorriso sulle labbra della corvina espandersi esponenzialmente.

Camila si arrestò davanti a Marnie. La ragazza era talmente focalizzata sulle righe che non si era nemmeno accorta della sua presenza. Prese a giocherellare nervosamente con le dita. Marnie non le sembrava una persona meschina, una di quelle che rideva alle sue spalle, ma dopo che succede una volta non sai mai quando potrà ricapitare.

«C-ciao.» Azzardò infine, sortendo la curiosità da parte della ragazza che alzò di scatto la testa.

Inizialmente sorrise, poi contorse le piccole labbra disorientata «Ci conosciamo?» Domandò con la sua voce baritonale.

«N-no, io...» Prese un bel respiro la cubana, gonfiando il petto di un coraggio fasullo, del tutto evanescente. «Sono Camila.»

Strizzò gli occhi, come se si preparasse ad essere ricoperta di insulti o battute scomode, ma l'unica cosa che ottenne fu una scrollata di spalle che le fece intuire che Marnie non avesse totalmente idea di chi avesse davanti. Quello era un gran sollievo.

«Ehm, ecco... Bella partita.» Commentò la cubana, agitando il pugno in aria in segno di vittoria.

«Quale partita? Non abbiamo ancora giocato.» Rispose confusa la ragazza, affievolendo il già esiguo entusiasmo di Camila.

«Ce-certo... Intendevo dire, per la partita che giocherete.. io non so quando.» Farfugliò, formando una frase senza senso che confuse persino lei stessa.

Marnie si corrucciò, intontita dalle affermazioni sconclusionate di Camila. La cubana la salutò, pronta a correre il più lontano possibile.

«Ehi, aspetta!» La fermò Marnie, alzandosi in piedi.

La sua stazza incombeva sulla figura minuta di Camila che dovette ripiegare il collo all'indietro per guardarla in faccia. Adesso capiva cosa provava sua sorella Sofi quando la guardava e diceva che si sentiva una formica davanti ad un gigante.

«Questa è la mia maglietta, forte! Sei una tifosa della squadra! Forte!» Constatò entusiasta, prendendo l'orlo della maglietta in mano per guardarla meglio.

Camila si sentì tirare con forza dalle grosse mani di Marnie che spostarono facilmente il suo corpo smilzo, rischiando quasi di strapparle la maglietta di netto.

«Già.. Forte.» Scimmiottò la cubana, interdetta su cosa fare.

Passarono dieci minuti a discorrere della squadra di basket, delle regole del basket, dei miglior giocatori di basket e la massima partecipazione che Camila ebbe nella conversazione furono rari cenni d'assenso e sorrisi finti per concordare con le teorie sportive di Marnie. Tutto questo avvenne sotto l'occhio vigile di Lauren e Dinah che non la lasciarono per un attimo, ma continuarono a fissarla da distanza di sicurezza.

Quando finalmente la campanella venne in suo soccorso, Camila si alzò con un balzo e si dileguò con velocità repentina, salutando a malapena Marnie che era intenta a spiegarle le regole del gioco.

Camila si riunì alle due ragazze, le quali, chi per un verso chi per un altro, la spronarono a raccontarle per filo e per segno ciò che si erano dette. Lauren era realmente interessata a capirlo, mentre Dinah voleva solo ironizzare la cosa.

«Ma niente di che.» Gesticolò esageratamente Camila, cercando un aggettivo giusto che riassumesse la loro ridicola conversazione «Sapete... È stata una cosa... Vigorosa.» Trasse infine, confondendo Lauren che non sapeva interpretare bene gli atteggiamenti della cubana a differenza di Dinah che prontamente si sporse verso la corvina e, senza peli lingua, le disse.

«Usa aggettivi casuali quando vuole nascondere che è andata malissimo.» La edusse con un pizzico di ironia, ricevendo un pugno da parte di Camila che avrebbe preferito esulare quella parte.

Lauren l'afferrò per le spalle e la voltò verso di se, puntando i suoi occhi in quelli della cubana. Camila ne rimase stordita per un attimo.

«Che è successo?» Domandò perentoria, fermamente convinta di voler sapere ogni particolare.

Come sempre Camila si arrese allo sguardo penetrante di Lauren e anche per distaccarsi da quel contatto visivo che la faceva impazzire, declamò la verità.

«Uff... Siamo troppo diverse, ok? Non fa altro che parlare di basket e io non ne so niente.» Sintetizzò la cubana, pronta a sottrarsi allo sguardo di Lauren che così ravvicinato le stava confondendo le idee, per di più le sue mani erano ancora poggiate sulle spalle e quella porzione aveva iniziato a bruciarle, come se ci fosse del fuoco a contatto con la sua pelle.

«Allora imparerai qualcosa del basket. Ti aiuterò io.» Si offrì volontaria la corvina, annettendo un sorriso per avvalorare la sua gentilezza.

«No, Lauren.» Rispose acrimoniosa Camila, scuotendo la testa «Non c'è bisogno.»

«Ma perché no?! Basta che impari qualche regola, qualche nome e... e diventerà la Luna della quale parli sempre.» Tentò ancora una volta, ma tutta quella bontà per Camila era solo una lesione in più.

Lauren si stava impegnando tanto per rendere felice la cubana, per avvicinarla a quella che credeva essere la ragazza della quale era innamorata, ma così facendo la feriva soltanto perché la persona che voleva era Lei e nessun altro e gettandola nelle braccia di Marnie le ricordava soltanto che Lauren non la desiderava.

«La mia Luna non sarà mai mia.» Disse stizzosa, divincolandosi con un gesto brusco dalla presa della corvina.

Si incamminò con passo celere verso l'istituto, lasciando la polinesiana e Lauren a confrontarsi da sole. La corvina non capiva proprio perché Camila avesse avuto quella reazione, ma dentro di se sperava che con quella pensata non avesse distrutto l'idea che Camila aveva di Marnie.

«Ho sbagliato qualcosa?» Chiese la corvina rivolgendosi a Dinah, mentre osservava la cubana immettersi nella ressa di persone che si spostavano in massa verso l'entrata.

«Dalle tempo.» Tagliò corto la polinesiana, trovandosi alle perse.


*****

Le ore trascorsero abbastanza lentamente quel giorno. Camila non alzò nemmeno una volta la testa dal libro, anche se non leggeva niente di quello che le scorreva davanti agli occhi, ma si limitava semplicemente a sfogliare pagine per dare l'impressione che stesse studiando.

Una parte di se la rimproverava duramente per come si era rivolta a Lauren, ma l'altra la comprendeva e approvava il suo comportamento, sfociato dalle azioni di Lauren che se volevano essere gentili e amichevoli per Camila era solo un modo involontario di infierire ulteriormente.

Dopo la lezione, la cubana si recò in biblioteca come sempre. Si intrattiene a parlare con Tina che quella mattina sembrava più loquace del solito. Le offrì una caramella della sua riserva personale e poi Camila si congedò, andando a sedersi al suo tavolo.

Quando arrivò, Lauren era già seduta lì.

La cubana inciampò nei suoi stessi passi. Dovette fermarsi un attimo, respirare e poi raggiunse la corvina.

Si sedette di fronte a lei, un'aria frammista a rammarico e mortificazione increspava               l'espressione di Camila.

Restarono in silenzio per qualche minuto, l'unico suono udibile furono i graffi che Lauren incideva sul tavolo con le unghie. Con voce fievole esordì.

«Senti, Camz, mi dispiace. Non avrei dovuto forzarti a fare qualcosa per la quale non ti sentivi pronta. Io volevo solo aiutare, capisci? Tu mi stai dando una mano con Lucy e io volevo in qualche modo fare lo stesso per te.» Disse con voce avvilita, tenendo lo sguardo basso per enfatizzare il dispiacere che provava per aver ecceduto.

«Quando te lo dicevo che non sono brava con queste cose, avevo ragione.» Sdrammatizzò, accennando ad un flebile sorriso un po' compassionevole nei suoi stessi confronti.

«Non vorrei che tu ce l'avessi con me, forse ti ho fatto vedere la realtà troppo presto e ho rovinato l'idea che ti eri fatta di Marnie e m dispiace davvero tanto...»Provò ad affievolire le sue colpe Lauren, rendendosi conto solo attimi dopo che forse non era giusto cercare di riparare al suo errore obliandone le responsabilità.

Ci pensò Camila a rassicurarla, notando l'estrema difficoltà in cui si trovava. Allungò timidamente una mano verso quella della corvina, dovette impiegare tutte le sue forze per poggiare il palmo contro il suo dorso e pretendere di non avvertire quella commozione allo stomaco.

«Non importa.» La scagionò definitivamente dalle sue colpe. Lauren alzò lo sguardo su di lei, rinvigorita e sorrise rincuorata.

«Magari proverò a parlare ancora con lei.» Scrollò le spalle Camila, sotterrando ogni residuo di colpevolezza che poteva risiedere in Lauren.

«Davvero? Non sei più arrabbiata?» Domandò Lauren, fiduciosa.

Camila finse di pensarci per alcuni attimi, tenendola sulle spine, poi tirò fuori dallo zaino i due sacchetti del pranzo che ormai Sinu si era assuefatta a prepararle e disse «Mettiamola così. Non posso essere arrabbiata con te, sennò sarei costretta a mangiarmi due sandwich da sola e scoppierei per tutta la maionese che mia madre ci mette dentro.»

Lauren ridacchiò soddisfatta, le sfilò il pranzo dalla mano e srotolò la carta che conservava la morbidezza del pane, poi addentò il panino. Camila emulò le sue gesta, staccando un morso ingente per saziare la fame che il suo stomaco non si complimentava a rivendicare con imbarazzanti borbottii.

«Tua madre deve assolutamente insegnarmi come si fa. Questi sandwich sono i migliori che abbia mai mangiato.» Masticò il boccone e lo ingoiò, poi addusse «Mi piacerebbe farlo provare a Lucy.»

Camila sospirò, respingendo la sensazione tagliente che le lacerava lo stomaco. Si premurò anche lei di deglutire il boccone prima di aprire bocca e con quanta più naturalezza possibile disse «Potresti venire a casa mia. A mia madre non dispiacerebbe darti lezioni, anzi..»

«Sarebbe grandioso, Camz.» Confermò la corvina, leccandosi le dita sporche di maionese.

Era la seconda volta che la chiamava con quel soprannome. La cubana non poté fare a meno di chiederle «Che razza di nomignolo è Camz

Ad onta dell'espressione sdegnata che indossò, sotto sotto le piaceva quell'acronimo che nessuno aveva mai usato. Le dava l'idea di essere una cosa speciale, perché solo loro.

«Eh? Ah.. Non so, mi è venuto spontaneo.» Non si provò nemmeno a giustificare Lauren, affrettandosi però ad addurre «Se non ti pace posso smetterla di chiamarti così.»

«No, no, no, no!» Disse precipitosamente Camila, strozzandosi quasi con il pezzo di panino che stava ingoiando «Mi piace.»

Entrambe si sorrisero, solo in modo diverso. Per la corvina quello era solo un nomignolo come un altro, per la cubana invece era un modo di distinguere il rapporto che aveva con Lauren da tutto il resto.

«Comunque, Camila, mi dispiace ancora per stamani.» Ribadì Lauren, non avendo terminato il professo di redenzione che era scattato automaticamente dentro di lei.

«Ehi, guarda il lato positivo! Non dovrò indossare questa stupida maglietta per tutto il giorno. Non sai quanto pruda.» Si lamentò la cubana, grattandosi insistentemente la schiena dove il tessuto aveva aderito maggiormente e sfregando contro la pelle le aveva arrossato la zona, aizzando il prurito.

Scoppiarono a ridere, venendo subito redarguire da Tina che non esigeva certi schiamazzi nella sua biblioteca.

«Adesso che abbiamo fatto pace, devo chiederti un consiglio.» Bisbigliò Lauren, attenendosi alle regole intransigenti della bibliotecaria.

Camila annuì, prendendosi solo qualche secondo per fare mente locale, mettere da parte i suoi sentimenti e ascoltare la corvina.

«Lucy vuole dare una festa, sabato sera. Volevo andarci, ma Normani non sarà presente, solo Ally potrà venire. Ora, per quanto bene voglia ad Ally, non mi è esattamente d'aiuto quando sostiene che ogni cosa si risolva con le preghiere.» Disse, suscitando una risatina da parte di Camila.

«Vorrei andarci, per me sarebbe importante, solo che non posso farlo da sola.» Esitò qualche istante prima di dire tutto d'un fiato «Potresti venire tu?»

Camila strabuzzò gli occhi, lieta di aver terminato il sandwich altrimenti si sarebbe strozzata. Lei in casa di Lucy? Con Jamie e tutti gli altri? Lei che non aveva mai partecipato ad una festa?

«Lo stai chiedendo alla persona sbagliata.» Negò la cubana, ma subito Lauren si affrettò a dirle che avrebbe potuto invitare anche Dinah così nessuno si sarebbe permesso di infastidirla, ma Camila sapeva bene che la presenza di un'amica non era abbastanza per proteggerla dagli scherni altrui.

«Non è vero. Non c'è nessuno migliore di te, Camz. Per favore, sarebbe davvero importante per me.» La supplicò Lauren, unendo le mani davanti a se come se stesse pregando.

Camila sospirò rassegnata, lasciando cadere la testa all'indietro. Lauren già conosceva la risposta.

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