Capitolo quattro
«Camila!» Gridò Sinu dal salotto, attirando l'attenzione della figlia che come sempre era intenta a terminare i compiti «Scendi!»
Camila sbuffò rumorosamente, roteando gli occhi al cielo. Non le piaceva essere interrotta durante i momenti di studio, cosa che avveniva spesso quando sua madre era presente. La interpellava per le cose più stupide: da come si chiudessero le pagine pubblicitarie che le si aprivano su internet, a come si rispondeva sui gruppo whatsapp e per finire le chiedeva un aiuto con le faccende domestiche; insomma, pretendeva ottimi risultati dai suoi voti scolastici, ma la interrompeva ogni tre per due quando studiava.
Camila scese frettolosamente le scale, prevenendo sua madre «Se è una cosa lunga, sappi che devo studiare e non ho...» Non terminò la frase perché non si trattava di aiutarla a chiudere qualche pagina sul computer, spolverare i mobili o scrivere un messaggio al telefono, no.
Sua madre era intenta a depositare un pacco a sul divano, sul quale era scritto il nome di Camila con il pennarello indelebile.
«Che cos'è?» Domandò perplessa, rallentando il passo.
«Ah, non lo so. Speravo me lo dicessi tu.» Spiegò la madre, portando le mani sui fianchi.
Guardò il pacco con fare circospetto, preoccupata che fosse un brutto scherzo ideato da qualche alunno dopo la sua capatina in mensa. Non poteva permettere che sua madre lo vedesse. Lei non sapeva niente della situazione scolastica e così doveva rimanere.
Camila si affrettò a interporsi fra sua madre e il pacco, sorrise per smussare i dubbi che poteva nutrire Sinu per il comportamento strambo della figlia.
«È per me.» Disse Camila, sollevando le sopracciglia per far risultare la sua espressione il più rilassata possibile.
«Lo vedo.» Replicò sua madre, portando le braccia conserte come per farle intendere che non si sarebbe allontanata finché Camila non avesse aperto il pacco.
La cubana, arrendevole, sospirò e lasciò cadere la testa indietro. Prese a togliere, cautamente, lo shock che sigillava il pacco, invocando l'aiuto divino affinché non le esplodesse qualche sorta di meccanismo in faccia.
Quando l'ultimo pezzo di scotch venne tolto, Camila socchiuse gli occhi e si ritrasse meccanicamente indietro, aspettandosi di essere investita da panna, cioccolato o forse qualcosa di peggiore, ma l'unica cosa che vi trovò all'interno fu una...
«Una giacca?» Alzò un sopracciglio Sinu, interdetta.
«Eh.. È una, una giacca.» Confermò Camila, estraendo l'oggetto dal pacco nel quale era custodito.
La portò all'altezza degli occhi, squadrandola attentamente. Era simile a quella che indossava Lauren, solo che la sua aveva delle piccole borchie sulle spalle e una cintura rilegata sull'orlo.
Al di sotto vi era un bigliettino. Camila lasciò cadere la giacca di pelle nera sul divano ed afferrò, con massima cautela, il biglietto depositato sul fondo.
Io mantengo sempre le mie promesse, Cabello. Aspetto il mio sandwich.
-Jauregui.
P.s. Non credo sia vero che tu non conosca il mio cognome, ma nel caso...
Lauren.
Camila sorrise, sventolando il foglietto di carta per riaversi. Salì di fretta in camera sua, indossò la giacca, facendola scivolare sulle spalle in maniera che aderisse perfettamente alla rotondità.
Assomigliava molto allo stile di Lauren, per un attimo si preoccupò che a scuola prendessero anche quello come motivo di scherno, deridendola per un disperato tentativo di emulare la ragazza più popolare dell'istituto, ma poi pensò che le sarebbe dispiaciuto maggiormente che Lauren ci restasse male piuttosto che subire qualche inutile dileggio.
Per questo, il giorno dopo, indossò la giacca con ostentata vanità. Non era il fatto di indossare un capo fabbricato dalla madre di Lauren che la inorgogliva, era il regalo in se. Avrebbe potuto farle recapitare anche una molletta per i capelli e lei l'avrebbe sfoggiata con inaudita fierezza.
Si sedette sul muretto, accanto a Dinah che quella mattina si era presentata con inconfutabile puntualità. Le aveva raccontato a grandi linee ciò che aveva Lauren aveva fatto, ma adesso erano entrambe pronte a scambiarsi e ad ascoltare i dettagli.
«Quindi l'ha detto e l'ha fatto.» Contestò Dinah, carezzando la giacca che calzava perfettamente sulle spalle della cubana.
«Già.» Rispose sorridente Camila, abbassando lo sguardo per seguire il movimento della polinesiana.
«Quindi immagino che tu le abbia portato un panino, per ringraziarla.» Ipotizzò Dinah, alludendo chiaramente ad un secondo fine.
«Mi sembra il minimo.» Rispose disinvolta Camila, scrollando le spalle.
«Certo..» Lasciò cadere la mano che finora aveva rimarcato le rifiniture della macchina da cucire «Ricordi quando ti ho detto che ti saresti fatta male? Sbagliavo... Ti farai malissimo.»
Camila fece un gesto lesto, pretendendo di non aver udito l'ennesima predica di Dinah che camuffava argutamente sotto forma di raccomandazione.
Poi la polinesiana le raccontò della sua uscita. Si stava frequentando con un ragazzo del penultimo anno, una cosa appena sbocciata, però sembrava contenta di aver scoperto una persona educata come lui. Le raccontò del gelato che le aveva offerto, della passeggiata nel parco, della rosa che lui aveva comprato per lei e del bacio che si erano scambiati sulla porta di casa. Per quanto smielato fosse, Camila non poté fare a meno di immaginare come sarebbe stato se quella serata fosse stata sua e di Lauren. Già, appunto... Poteva solo immaginarlo.
«Ciao.» Si identificò Lauren «Vedo che ti sta bene la giacca.»
«Molto.» Intervenì Dinah, salutando la ragazza con la mano «Ce ne sarebbe una anche per me?» Chiese sfacciatamente, scaturendo una reazione davvero sorpresa da parte della corvina.
«Dinah!» La rimbeccò Camila, scusandosi da parte della polinesiana che a volte dimenticava davvero cosa significassero le buone maniere.
«Che c'è?! Perché scusa tu l'hai chiesto con più accortezza?» Si schermò la polinesiana, certa che la sua amica non avesse eccelso in quanto a tatto. Non rientrava nelle sue capacità darsi un contegno.
«Con più.. più eleganza direi.» Si atteggiò Camila, passandosi una mano fra i capelli per darsi delle ulteriori arie.
«No, non direi.» Obiettò Lauren, arricciando il naso.
«Ma da che parte stai?» Protestò Camila, ma Dinah irruppe subitamente nella conversazione sostenendo Lauren, solo perché in quel momento le faceva comodo. Cavolo quella giacca le piaceva proprio tanto!
«È pretenziosa, vero?» Suggerì Dinah, dando una gomitata d'intesa a Lauren che scrutò scrupolosamente Camila, annuendo.
«Sfrontata.» Aggiunse Lauren, suscitando un'espressione indispettita da parte di Camila.
«A volte maleducata.» Addusse Dinah, in buona fede ovviamente «Hai visto come mangia?»
«Ah, oh mio Dio! Si sporca con tutta la maionese.» Constatò la corvina e poi il discorso proseguì velocemente in rottura di collisione.
Era una sfida a chi trovava più curiosità peculiari di Camila, ma in fondo Dinah la conosceva molto meglio di Lauren e tutte le informazioni che le stava suggerendo non facevano che fare altro che mettere la cubana in tremendo imbarazzo. Quando la polinesiana sfiorò argomenti che avrebbero fatto impallidire chiunque, Camila scattò in piedi e allontanò le due, repentinamente.
«Ricordati la giacca.» Bisbigliò Dinah, mimando il gesto di indossare giubbotto mentre si distaccava per raggiungere il suo gruppo d'amiche.
Quando restarono sole, Camila nascose le guance arrossate abbassando lo sguardo sulla punta delle scarpe. Lauren si beò di quell'indole timida che caratterizzava Camila, rendendola in qualche modo unica. Non erano molte le ragazze che aveva visto avvampare.
«Allora, calza a perfezione.» Si accertò che la giacca le scivolasse adeguatamente in ogni punto, premurandosi di sistemargliela come meglio credeva.
«Grazie davvero.» Disse Camila, abbozzando un sorriso tiepido che compiacque comunque Lauren.
Intanto gli studenti si riversavano nei corridoi, perché la campanella aveva trillato: era giunta l'ora di recarsi in classe.
Camila sovvenne solo in quel momento che lo spettacolo di Lucy si era tenuto proprio la sera prima e quindi si affrettò a fare domande «Allora, com'è andata la serata?»
Lauren si rabbuiò. La guardò sconsolata, scuotendo flebilmente la testa. Camila inspirò profondamente, percependo istintivamente i sensi di colpa metterle in subbuglio lo stomaco.
«Sto scherzando!» La rincuorò velocemente Lauren, dandole un leggero colpetto sul braccio.
«In realtà è andata bene, meglio del previsto. Ho fatto come hai detto e alla fine della recita sono andata a complimentarmi con Lucy, la quale non si era accorta della mia presenza e quindi ha svolto comunque un ottimo lavoro. Mi ha detto che in fondo non è stato male sapere che ho assistito allo spettacolo, perché l'ha dedicato a me.» Sorrise contenta la corvina, con aria trasognata, mentre si avviavano verso l'ingresso della scuola.
Se Lucy se le faceva increspare le labbra, Camila soffriva il contraccolpo. Lauren era felice che i consigli della cubana avessero fruttato in maniera prosperosa, ma, nonostante fosse davvero contenta per la corvina, una parte di lei veniva pur sempre ferita. L'aveva messo in conto, insomma era abbastanza scontato! Se una parte di lei voleva aiutarla con tutte le forze che possedeva, l'altra desiderava amarla con tutti il respiro che serbava.
«Sono.. contenta.» Si sforzò di dire, ma l'espressione forzata che apparve sul suo viso, diede a intuire tutt'altro.
«Davvero..? Dalla faccia che fai, non si direbbe.» Aguzzò la vista Lauren, riducendo gli occhi in due fessure sottili dalle quali Camila percepì la corvina indagare attentamente su di lei.
«Ma no! Sono solo, solo... sorpresa che abbia funzionato davvero.» Mentì Camila, incespicando nelle parole mentre tentava di impacchettare una bugia.
Lauren sorrise, evidentemente soddisfatta della risposta della cubana.
Stavano salendo le gradinate, il marmo ardesia era appena visibile perché l'Autunno era alle porte e gli alberi avevano iniziato a spogliarsi, riempiendo il cielo di foglie svolazzanti e gli scalini di foglie secche. A Camila piaceva calpestarle, sentirle crepitare sotto le scarpe, le dava una sensazione di appagamento non propriamente definibile.
Mentre percorrevano l'ultima scalinata, finora Camila si era trattenuta dallo schiacciare le foglie e quando era successo, aveva continuato a camminare come se niente fosse, ma i gradini che le si prospettavano davanti ne erano colmi e la tentazione di saltarci sopra fu troppo forte per resistervi.
Con un balzo schiacciò il mucchio di foglie sotto le suole delle scarpe, beandosi del rumore che produssero. Alcune, a causa dell'impatto, volarono penosamente qua e là, depositandosi in punti imprecisi.
Camila rise, continuando a calpestare foglie da ogni parte. Si era dimenticata che l'occhio vigile di Lauren la stava osservando, altrimenti non si sarebbe lasciata andare come una bambina.
«Eh.. Cosa stai facendo esattamente?» Domandò la corvina incuriosita e stranita allo stesso tempo.
Camila si ricompose, sistemò i capelli passandosi le mani a mo' di pettine e sorrise, leggermente in affanno «Stavo... stavo, si insomma... saltando sulle foglie.» Non trovò una scusa plausibile per giustificare il suo comportamento e decise semplicemente di dire la verità.
«Ah.. Ecco.» Rispose sarcastica la corvina, catturando il labbro inferiore fra i denti per reprimere la risata che scalciava contro il suo petto.
Le guance di Camila si colorarono di un rosso vermiglio, la cubana abbassò la testa e riprese a camminare lentamente, imponendosi di spazzare via le foglie, mentre passava, invece che saltarci sopra come una bambina.
Stupida, stupida... Si rimproverò mentalmente, stringendo i pugni dentro le tasche della giacca fino a conficcare le unghie nei palmi per dissimulare la vergogna che si era impossessata delle sue guance.
Entrarono dentro l'istituto, Lauren le propose di percorrere il tragitto insieme, poi davanti alle rispettive classi si sarebbero salutate.
Camila, al fianco della corvina, si sentiva protetta. Non era solo un fatto di "comodo." Sicuramente i ragazzi non la infastidivano quando camminava con Lauren, ma era una sensazione che andava oltre a quello. Si sentiva protetta in tutti i sensi, sentiva che il sentimento per Lauren lo era, come se la sua vicinanza lo riscaldasse e lo ampliasse. Anche se non sarebbe mai stata ricambiata, a Camila andava bene così perché poter provare quelle emozioni, stando fianco fianco alla corvina, era meglio che limitarsi a guardarla da lontano. Almeno così poteva sperare di incidere la vita della corvina. Ecco, a lei sarebbe bastato anche solo quello: essere ricordata. Questo le sembrava possibile essendo amica di Lauren e, in qualche modo, Camila lo classificava come una protezione.
«Le nostre strada si dividono, Cabello.» Dichiarò la corvina, sopraggiunte davanti alla classe di Camila.
La cubana squadrò la porta con timore ed astio; ogni mattina che metteva piede in quell'aula non sapeva mai cosa aspettarsi.
«Ehi, ti ho preparato il sandwich. Anch'io tengo fede alle promesse.» Disse la cubana, facendo scivolare lo zaino su una sola spalla cosicché fosse facilitata ad aprire la cerniera.
Consegnò il sacchetto che sua madre aveva confezionato per Lauren e glielo diede.
La corvina lo afferrò, riconoscente. Aspettò che Camila finisse di richiudere la cartella e distribuire il peso su entrambe le spalle, per poi dirle «Perché non vieni a mangiare con me oggi, in mensa?»
Camila sospirò abbattuta. Le sarebbe piaciuto, non tanto per passare del tempo con Lauren, anche quello aveva un certo peso! Ma la cosa alla quale ambiva di più era trascorrere una giornata semplice, indisturbata, sedersi come gli altri al tavolo della mensa e pranzare assieme a qualcuno, ma non poteva farlo sapendo i rischi a cui andava incontro. Non se la sentiva, le tremavano le ginocchia solo al pensiero di tornare in mensa.
«No. Ti ringrazio, ma preferisco andare in biblioteca... Tu, invece, dovresti proprio mangiare in mensa oggi.» Suggerì la cubana, non volendo intralciare gli usi quotidiani di Lauren.
La corvina annuì, assottigliando le labbra in una linea rassegnata «Sai.. I ragazzi non sono così male, una volta che li hai conosciuti.»
Camila non poté trattenere la risatina che cadde irriflessiva dalle sue labbra, tramortendo la corvina che rimase perplessa dalla reazione della ragazza «Forse non lo sono con te, ma con me sì.»
«Dovresti provare a conoscerli.» Commentò amichevolmente Lauren, tentando di deviare il pensiero di Camila che sembrava improntato solo su ipotesi negative.
«No vedi... Ehm.. Sono loro non interessati a conoscere me.» Sentenziò tristemente Camila, distogliendo lo sguardo.
Ormai aveva riconosciuto la verità, sapeva che i suoi compagni non l'avrebbero mai vista come una coetanea con la quale fare amicizia, ma dirlo ad alta voce non era per niente facile, la imbarazzava ammettere che agli degli altri era diversa e lo sarebbe sempre stata. Ricordava di un appunto scritto sul suo diario.
Sono diversa, mi piace esserlo, perché a me piace essere così. Ma allora, perché agli altri non piace? Dobbiamo essere tutti uguali per stringere amicizia? Vi piacciono i rapporti lineari, statici, oserei dire asettici? Che gusto c'è a conoscere una persona se sai che sarà identica a tutte le altre amicizie che hai? Avete forse paura che la diversità scombini gli equilibri? Non è forse questo il senso della vita: scombinare gli equilibri? Sono diversa, voi non capirete, perché non vi interessa stare ad ascoltare qualcuno che ha un parere diverso dal vostro.
«Secondo me, se ti conoscessero, saresti la ragazza più simpatica di tutta la scuola.» Notificò Lauren, e per quanta fede avesse nelle parole che pronunciò, Camila lo valutò come un tentativo compassionevole di sollevarle il morale.
«Non c'è bisogno che tu... insomma, che tu faccia questo.» Le fece notare con più delicatezza possibile, irritata dal compatimento evidente che Lauren nutriva nei suoi confronti.
«Cosa? Pensi che stia mentendo?» Alzò un sopracciglio esterrefatta, ma quando capì che la cubana aveva seriamente frainteso il suo intento, si affrettò a darle spiegazioni «Camila, non lo sto dicendo per compassione. Lo dico perché lo penso davvero.. Beh, almeno per me sei la ragazza più simpatica di tutta la scuola.»
Passarono alcuni secondi di silenzio, in cui Camila non smise di sorridere nemmeno un attimo. Poi, per non peccare di sarcasmo, Lauren aggiunse «Dopo di me, ovviamente.»
«Ovviamente, Jauregui!» Concesse remissiva la cubana, con aria divertita.
«Ah-ah!» Le puntò il dito contro, come per condannarla «Vedi che conosci il mio cognome?» Un'espressione vanitosa si impresse fra le sue folte sopracciglia, nelle sue labbra carnose, nei suoi grandi occhi verdi.
«Per forza! Era scritto sul biglietto, ricordi?» Le fece presente Camila, sorprendendosi della rapidità con cui aveva escogitato una bugia.
Forse ultimamente passava troppo tempo in compagnia di Dinah.
«Certo, certo..» Cantilenò Lauren, per niente convinta dell'espediente che aveva utilizzato la cubana.
Intanto indietreggiava, dirigendosi verso la sua classe, ma continuando a fissare Camila negli occhi «A me non puoi raccontare fandonie, le capisco subito.»
Ah si, Lauren? Ne sei così sicura? Pensò Camila, sapendo che nel tempo in cui aiutava la corvina a rimettere in sesto la sua relazione, mentiva a se stessa, convincendosi che la loro fosse solo un'amicizia.
Beh, in fondo non era forse così? Per Lauren sarebbero sempre state amiche e nonostante Camila si accontentasse di quello, i sentimenti non potevano farlo. Perché se c'è una cosa che le emozioni non possono essere è solo una: essere accomodanti.
-Spazio autrice-
Ciao a tutti.
Prendo solo un po' di spazio per ringraziare tutti coloro che mi hanno scritto in privato per vari complimenti e anche coloro che si sono preoccupati.
Ci tengo a rassicuravi e a ringraziarvi ancora una volta.
Sono molto contenta che la storia vi stia piacendo e vi aspetto nei prossimi aggiornamenti.
A presto.
Sara.
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