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Capitolo dieci



«Andiamo, esci a farti vedere.» La pregò per l'ennesima volta, scocciata.

«No, Lauren! Sono ridicola!» Protestò Camila dall'interno del camerino, rimirandosi allo specchio con aria insofferente.

La corvina l'aveva trascinata al centro commerciale, in un negozio di fiducia, provare dei vestiti per la cena alla quale doveva prendere parte. Camila detestava quei negozietti dove le commesse si avventavano come avvoltoi appena ti vedevano prendere una maglietta in mano; non le piaceva l'odore pungente che aspergevano nell'ambiente per renderlo più accogliente, era noioso doversi spogliare e rivestire, spogliare e rivestire... Ma Lauren non aveva voluto sentire scuse; Camila necessitava di un bel vestito per la serata e lei si era presa la briga di trovarlo.

«Se non me lo farai vedere, resteremo qui altre due ore. Non è questo quello che vuoi, no?» Domandò sarcastica la corvina, battendo il piede ritmicamente per evidenziare l'impazienza che la pervadeva.

«No, però...» Obiettò fievolmente Camila, venendo interrotta dalla voce stentorea dell'altra.

«E allora basta! Esci, dai.» Le disse ancora una volta, ma la cubana non aveva la ben più che minima intenzione di farsi vedere in pubblico con quel vestito addosso.

«No. Mi vedono tutti.» Ribatté intimidita, inclinando la testa per riuscire a trovare una prospettiva che la convincesse che, in fondo, vestita in quel modo non ci stava così male.

«Okay.» Acconsentì Lauren «Allora entro io.»

Camila sgranò gli occhi, si voltò di scatto però afferrare la tenda e trattenerla prima che Lauren potesse attuare il suo piano, ma fu battuta sul tempo perché la corvina si era già introdotta all'interno del cubicolo e ora le sostava davanti.

Camila si coprì con le braccia, cercando di restituire una parvenza di pudore al suo corpo praticamente nudo. Era un abito elegante, un po' azzardato forse, ma per niente volgare. Era il classico tipo di vestito che avrebbe incantato chiunque, persino Camila, se non fosse stato lei ad indossarlo. Sul suo corpo, secondo la sua opinione, sfigurava. Si sentiva ridicola a sfoggiare un capo così raffinato, non sentendosi all'altezza di portarlo.

Lauren gentilmente le scostò le mani, combattendo con il suo sguardo contro la resistenza vana di Camila che contrasse i muscoli solo finché la corvina non fece scivolare i pollici sulle sue braccia e le carezzò la pelle, come per rassicurarla che andava tutto bene. Si rilassò, ammorbidendo la resistenza che vi aveva opposto e lentamente Lauren fece scivolare le mani lungo le sue braccia, abbassandole del tutto.

Il suo sguardo la ispezionò compiutamente, vagheggiò le sue curve morbide, analizzò ogni dettaglio tramite i suoi rifulgenti smeraldi. Camila si sentì imbarazzata, al che arrossì quando gli occhi di Lauren si fermarono su i suoi.

«È questo, Camz.» Constatò Lauren, con voce leggermente mozzata.

«Dai, ma hai visto? Non mi sta per niente bene. Il rosso non è proprio il mio colore.» Dissentì Camila, scuotendo la testa.

Lauren l'afferrò per i fianchi, la fece voltare verso lo specchio e poggiò il mento sulla sua spalla. Camila avvertì il suo respiro umido sul collo, il suo tocco affabile stringerle il bacino e inevitabilmente venne percossa da una marea di brividi che le aggricciarono la pelle.

«Guardati.» Esordì Lauren sommessamente.

Camila deglutì e si limitò a seguire l'ordine impartito dalla corvina. Quando il suo sguardo si poggiò sullo specchio davanti a lei, incrociò quello di Lauren tramite il riflesso e vide la corvina sorridere, sentendo l'alito caldo sul collo.

«Lo, lo sto fa-facendo.» Farfugliò la cubana, inspirando profondamente per rallentare i battiti del cuore e stabilizzare il respiro esagitato.

«No, te l'ho già detto. Devi farlo con i miei occhi.» Ribadì Lauren, scostandole i capelli su una sola spalla per guardarla meglio.

Camila sentì il petto dell'amica schiacciarsi contro la sua schiena, le dita accarezzarle i fianchi, il sorriso infonderle fiducia e gli occhi, i suoi occhi, le sembrava che la stessero guardando ammaliati.

La cubana non si era mai sentita bella. Da piccola non era certo ricorso il pensiero e quando era cresciuta tutti le avevano fatto credere che non lo fosse, quindi aveva sempre pensato che la bellezza non le appartenesse, ma ora che Lauren la stava guardando, ora sentiva qualcosa nascere dentro di lei, l'affermarsi di una consapevolezza che non avrebbe mai pensato d'avere.
Il suo sguardo insistente e adulatore metteva in risalto la bellezza che lei non aveva mai visto. Ora, guardandosi attraverso gli occhi della corvina, si sentiva esattamente così: bella!

Perché in fondo, se teniamo a qualcuno, basta che siano i suoi occhi a vederci diversamente. Per sentirci belli, non necessitiamo di altro che di uno sguardo da coloro che amiamo, in tutti i sensi che la parola amore può racchiudere.

«Non è così male.» Dichiarò infine Camila, rivalutando il vestito che indossava.

Il sorriso di Lauren si allargò esponenzialmente, le sue braccia avvolsero completamente la vita di Camila, ingabbiandola in un abbraccio. La corvina immerse la testa nella spalla dell'amica, al che anche la cubana si lasciò andare, sopraffatta dalla veemenza del momento. Ripiegò il capo all'indietro, poggiando la guancia contro la fronte di Lauren che la strinse ancora più forte fra le sue braccia.

Camila non aveva mai avuto il presentimento di dover trovare una casa, perché nonostante tutto il dolore che le aveva causato quel posto, lei credeva di appartenergli... Ma adesso che si trovava fra le braccia di Lauren, capì che casa non è mai il luogo dove nasciamo, ma il posto in cui vogliamo essere.

Lauren rialzò lentamente la testa, riposandola sulla spalla della cubana. Entrambe tornarono a guardare dentro lo specchio, scontrando i loro occhi assieme. Camila percepì una strana sensazione invaderla, così, stretta fra le braccia di Lauren e prigioniera dal suo sguardo, una vampata di calore la investì interamente, togliendole il respiro e imporporandole le guance. La sua pelle arrossiva, ma era qualcosa dentro di lei che si commuoveva, che veniva sfiorato da una mano eteree ed invisibile, ma con una mole poderosa. Le smuoveva ogni organo, come se stesse proliferando nel suo sangue come una irreparabile malattia o una irriproducibile medicina. Doveva ancora capirlo. Per ora si godeva solamente quell'emozione senza porsi domande, perché voler attribuire ad un sentimento una spiegazione logica è ciò che lo rovina.

I sentimenti esistono, ma scemano quando vogliamo imporre la ragione su qualcosa di così irrazionale e inspiegabile. Viverli senza paura, senza tempo, senza ragione. È così che Camila sprofondava negli abissi di quella sensazione: vivendola e non spiegandola.

«Adesso che hai trovato il vestito perfetto, dobbiamo pensare alle scarpe.» Istruì Lauren, depositando delle effimere carezze, con il dorso della mano, sulle braccia scoperte di Camila.

«Non pensare che indosserò i tacchi.» Si impose fermamente la cubana, saettando uno sguardo terribilmente intransigente.

«Camz! Non puoi abbinare delle scarpe da ginnastica a questo vestito.» Protestò concitatamente Lauren, opponendosi all'idea inverosimile della cubana.

Camila si voltò verso di lei, portò le braccia conserte e con tutta onestà le disse «Lauren, se vuoi vedermi cadere hai trovato il modo giusto. Guarda, la gonna è abbastanza lunga per coprire le caviglie, quindi non si noterà nemmeno che sto indossando delle scarpe da ginnastica.»

Lauren osservò l'abito, passando il suo sguardo attraverso lo spacco laterale che lasciava intravedere la pelle caramellata di Camila e finendo sulla balza finale che, effettivamente, le nascondeva i piedi. Fece spola fra gli occhi di Camila e l'orlo del vestito, indecisa se concederle o meno la richiesta che aveva avanzato.

«Okay...Ma ad una condizione.» Permise la corvina, alzando il dito indice con rigidità.

Camila, che aveva già tirato un sospiro di sollievo, si trovò a ciondolare la testa in avanti, scoraggiata.

«Dovrai truccarti e pettinarti come dico io.» Disse Lauren, sforzandosi di trattenere una risata per lo sforamento di Camila.

La cubana rialzò la testa e con fare simpatico rispose, acutamente «Almeno ho trovato qualcosa che odio più della scuola.»

«Che cosa? Me?» Domandò Lauren fingendosi offesa.

Camila la colpì sul braccio, scuotendo la testa per divellere i suoi insensati dubbi «Ma, no! I vestiti, le pettinature... Queste cose qui.» Spiegò e dopo una breve pausa in cui respirò profondamente, si concesse di addurre «Non potrei mai odiare te.»

Lauren sorrise flebilmente, innalzando un angolo della bocca «Mh... Dimmelo dopo che ti avrò fatto vedere l'acconciatura che ho in mente per te.» Ammiccò nella sua direzione, tirando la tenda e sparendo dietro il velluto blu prima che Camila potesse farle ulteriori domande.

*****

Il giorno della cena, Dinah venne invitata a prender parte alla scelta della pettinatura. La polinesiana era distesa sul letto della cubana, mentre Camila era seduta su uno sgabello al centro della stanza e Lauren si stava occupando dei suoi capelli.

«Non sapevo fossi brava a pettinare.» Commentò Dinah, squadrando dalla sua confortevole posizione una Lauren indaffarata.

«Vivendo con mia madre ho trascorso molto tempo fra vestiti, trucco e parrucche. Non sono mai stata molto interessata all'abbigliamento, quello che mi piaceva erano le acconciature.» Spiegò sommariamente la corvina, mentre aguzzava la vista per intrecciare due ciocche di capelli fra loro e ripeteva il movimento con una terza.

«Beh, però sei apparsa su molte copertine per case di moda.» Le fece notare la polinesiana, ottenendo una rapida scrollata di spalle da parte di Lauren che per tutta difesa rispose, con tono abbattuto..

«Non l'ho mai chiesto. Però, mia madre ci teneva molto.»

Dinah annuì. Capì che a volte le scelte di Lauren non erano state proprie e vere scelte, quanto più imposizioni. Provò un senso di solidarietà verso la corvina, perché sapeva cosa significava prostrarsi al volere della famiglia. Suo padre era un artigiano di qualità. Per quanto la polinesiana amasse e rispettasse il suo lavoro, non era ciò che voleva intraprendere nella sua vita, ma il padre le aveva sempre detto che era destinata ad ereditare l'attività di famiglia, come fece lui ai suoi tempi. Ogni possibilità di affermarsi nel mondo finanziario era sfumata miseramente davanti alla volontà irreversibile del padre. Le sembrava che anche la madre di Lauren, imponendole di partecipare a servizi fotografici ai quali la corvina si dimostrava indisponente, stesse scegliendo il futuro per sua figlia. Ma tacque, tenendo per se pensieri che avrebbero solamente rovinato l'entusiasmo per la serata.

«Ed ho... finito!» Esultò Lauren, spostandosi di fronte a Camila.

Dal sorriso che sfoggiava, parva soddisfatta del risultato. L'afferrò per le spalle e la fece ruotare sullo sgabello, mostrandole il lavoro finito attraverso lo specchio.

I suoi capelli erano interamente raccolti in una treccia, su un lato. Si gonfiavano vicino alla cute, per poi diminuire di pesantezza sulla spalla. I suoi lineamenti spigolosi erano interamente esposti, le forme leziose del suo viso maggiormente visibili. Per un attimo, Camila pensò che non fosse la pettinatura adatta a lei, ma le bastò dirottare lo sguardo verso gli smeraldi di Lauren per capire quello che tacitamente le stava dicendo.

E per la seconda volta sorrise, sentendosi bella come mai prima d'ora.

Uscirono di casa attorno alle otto. Camila aveva già indossato il suo vestito e anche Lauren si era premurata di portarlo a casa della cubana per non doversi cambiare una volta arrivata alla cerimonia.

La cubana era molto nervosa, aveva il timore di commettere qualche indiscrezione, di atteggiarsi in maniera sbagliata rispetto al contesto. Lauren adocchiò la sua agitazione, semplicemente guardandole le mani, impegnate a giocherellare fra di loro grattandosi via le pellicine attorno alle unghie.

«Andrai benissimo.» La rassicurò Lauren, girando solo un attimo la testa prima di riportare l'attenzione sulla strada.

Camila inspirò profondamente, trattenne il respiro e annuì, sentendo i nervi distendersi quando la voce melliflue di Lauren le carezzò la pelle.

«Uhm, alla fine le all-star non sono state una pessima idea.» Constatò la corvina, cercando di deviare le ubbie nefaste della cubana che la tormentavano.

«Già.» Assentì la cubana, smorzando la tensione dietro un sorriso contraffatto.

Lauren si avvide che le parole avevano avuto un effetto blando, che stemperare l'esagitazione verbalmente non era efficace. Tese la mano verso di lei, poggiandola sulla sua coscia e la strinse appena, come per trasmetterle un po' di coraggio e positività.

Camila fissò la mano della corvina. Inizialmente sorrise allietata da quel gesto, ma poi inevitabilmente le tornò in mente ciò che era accaduto in mensa... La mano di Lucy che stringeva quella di Lauren in un movimento amorevole che Camila non aveva mai sperimentato.

Alcune volte facciamo cose che non vorremo fare, ma che dobbiamo fare per proteggerci. Camila discostò la gamba, con la scusa di doversi girare sul sedile perché le si stavano anchilosando gli arti. Così facendo la mano della corvina ricadde nel vuoto e lei, ignara di tutto, la riportò tranquillamente sul volante.

                                     *****

Camila si era figurata che l'abitazione di Lauren fosse sontuosa, ma l'enorme villa che le si parava davanti era una riproduzione in grande scala di ricchezza e dovizia. Nemmeno il suo pensiero avrebbe potuto figurarsi tanta mondanità.

Lauren passeggiò disinvolta sul viale d'ingresso, costeggiato da entrambi i lati da grossi alberi che muovevano le punte al ritmo del vento, dando l'impressione che fossero pennelli all'opera nel cielo blu notte.

Camila incespicò nei suoi stessi passi, sentendosi schiacciata da quei ridondanti  ornamenti e dalla mastodontica villa stagliata sul fondo. Una formica stava per fare il suo ingresso ad un ricevimento notorio e le opzioni erano due: o che nessuno la notasse, o che qualcuno la calpestasse.

Si fermò a metà strada, arrestando la sua camminata d'improvviso. Qualche sassolino scivolò sotto contro le sue scarpe e, facendo attrito con la suola, fece intendere a Lauren, avanti di qualche metro, che Camila si era fermata.

Si voltò di scatto e vide la sua sagoma sfumata ai contorni a causa del manto della notte che l'avvolgeva fra le sue mani, assottigliando la figura e sformandone i lineamenti.

Aguzzò la vista, strizzando gli occhi per bucare il buio che interferiva con una vista nitida. Non era capace di discernere bene i margini, ma la cosa che catturò subito la sua attenzione furono le mani di Camila. Avevano ripreso a giocherellare nervosamente, segno che le insicurezze avevano preso il sopravvento e ora la stavano divorando proprio come la notte che addentava la sua figura.

«Andiamo.» Disse semplicemente Lauren, allungando la mano verso di lei.

Anche le sue dita vennero inghiottite subito dal buio e dentro di sé la corvina pensò "Perché diavolo abbiamo una fontana all'entrata e nessuno ha pensato a mettere delle luci qui?"

Camila stava per protestare, per tirarsi indietro, ma distinse qualcosa nel buio: la codardia. Se non avesse continuato a camminare, se si fosse lasciata inglobare dalle paure, se avesse permesso alle incertezze inculcate da altri di agguantarla, avrebbe vissuto la sua vita da spettatrice. Chissà quanti rimpianti sarebbero gravati sulle sue spalle, quante occasioni perse avrebbero avvizzito la sua esistenza.

Non poteva più permettere che i giudizi altrui la condizionassero.

Ecco perché fece qualche passo, afferrò la mano di Lauren e continuò a camminare al suo fianco, lasciandosi guidare verso l'ingresso.

Il fatto di sentirsi una formica in mezzo a giganti non svanì quando mise piede in casa, ma almeno era una formica che per garantirsi una briciola di torta sfidava la sorte, dimostrandosi impavida.

Gli invitati riconobbero subito Lauren e tutti si avvicinarono per salutarla, per stringerle la mano, per complimentarsi per quel servizio fotografico e l'altro, per profondere lodi esuberanti per il lavoro svolto dalla madre e in tutto quel tempo Lauren non lasciò nemmeno per un secondo la mano di Camila e si premurò di presentarla a tutti come un'amica.

Quando si sederono a tavola, l'agitazione di Camila si era notevolmente smussata. Non aveva conversato molto, anche se era avvenuto lo scambio di qualche parola, ma ad aver dimezzato l'ansia era stata Lauren che per tutto il tempo le era rimasta accanto, sostenendola.

Se iniziava a balbettare, c'era Lauren pronta ad intervenire per sanare la situazione e affievolire l'imbarazzo. Se dalla gonna erano visibili le scarpe da ginnastica della cubana, la corvina le assestava una gomitata furtiva per indurla a scostare la gonna, per nasconderle. E quando Camila perdeva momentaneamente la calma, perché quando con lo sguardo indugiava su ogni ospite, evidentemente preoccupata per la quantità eccessiva di persone che brulicavano nella stanza, Lauren si affrettava a stringerle la mano per rassicurarla che si trovasse in un ambiente del tutto diverso da quello scolastico.

Dopo cena tutti gli invitati si riversarono in giardino dove una schiera di uomini si suddivise in più categorie quali: gli sportivi, i letterari e i politici. L'unica cosa che li accomunava era lo champagne che ognuno di loro stava consumando. Le donne, invece, si raggrupparono per fiducia. Ovvero, coloro che potevano sparlare delle avventure extraconiugali senza il timore di essere smascherate dalle amiche e coloro che parlavano male delle prime. Queste furono le spiegazioni rapide e spiritose che Lauren fornì a Camila, mentre sorseggiavano un calice di bollicine sulle scalinate.

«Ma non è possibile!» Imprecò una voce dietro di loro, furente «Pure qui?!»

Lauren e Camila si voltarono di scatto. La prima ricambiò lo sguardo rabbioso dell'interlocutore con altrettanto rigore, mentre la seconda aveva già abbassato lo sguardo sul calice e si focalizzava sulle bollicine che scoppiettavano in superficie, per distrarsi.

«C'è qualche problema, Jamie?» Chiese Lauren spavalda, sfidando imperiosa l'alterigia del ragazzo che avrebbe voluto mettere a tacere una volta per tutte.

«Pure qui dovevi portarla?» Ribadì il ragazzo, scendendo lentamente gradino dopo gradino, senza distogliere lo sguardo sprezzante dalla cubana che seppur a capo basso avvertiva i suoi occhi sdegnati calcarla.

«Beh, è casa mia. Perciò se hai qualcosa da ridire, puoi anche andartene.» Lo liquidò sbrigativamente Lauren, credendo che non valesse la pena sprecare del tempo in spiegazioni prolisse.

«Ah, no! Mi hai cacciato dalla festa di Lucy, mi hai costretto a cambiare tavolo a pranzo, ma non mi obbligherai a lasciare anche questo evento!» Ringhiò a denti stretti Jamie, facendo guizzare l'astio attraverso le due fessure sottili alle quali si erano ridotti i suoi occhi, incastrandolo anche nelle parole velenose.

«Nessuno ti sta obbligando.» Spiegò pacatamente la corvina, scrollando le spalle.

«Ma se vuoi rimanere, ricordati di essere ospite a casa mia e qui può entrare chi voglio io.» Spiegò placidamente, azzardando solo ad un pizzico di asperità sul calar della frase.

Jamie osservò Camila, ancora incredulo. Il giorno prima era la ragazza spersa e prostrata che si sottometteva alla sua superiorità e soggiaceva alla sua supponenza... Adesso era la stessa con la quale condivideva il tavolo a pranzo, che indossava vestiti dalla collezione di Clara, la madre di Lauren; che prendeva parte alle feste e che veniva personalmente invitata da Lauren ad un evento di tale importanza. Non gli stava bene che venissero sovvertiti gli ordini gerarchici con tanta facilità. Non gli stava bene.

Un cameriere di passaggio venne fermato dall'irruenza di Jamie che con sgarbo frappose un braccio sul suo petto. Non lo guardò nemmeno, tanto era impegnato a rimirare le due ragazze iracondo, lambiccandosi per trovare una risposta che esaudisse le sue domande. Brandì un calice di champagne e, senza ringraziare, ne bevve un sorso ed oltrepassò Camila dandole una spallata.

«Ignoralo.» Le suggerì Lauren, poggiando le mani sulle sue spalle per incontrare lo sguardo ancora atterrito della cubana.

«Forse ha ragione... For-forse non, non dovrei..» Balbettò, arrossendo visibilmente.

Lauren tentò di arginare la situazione finché era in tempo «No, no, ehi! In una sera sei riuscita a conquistare l'attenzione di tutti. Jamie è solo invidioso.»

Camila scosse la testa, nolente a valutare veritiere le parole della corvina. Non è che Camila non si fidasse di lei, era solo riluttante a credere agli elogi che le venivano fatti.

«D'accordo. Vieni con me.» Disse Lauren, afferrandole la mano e guidandola di nuovo all'interno della villa dove ormai solo poche persone erano ancora comodamente sedute al tavolo a sorseggiare brandy.

Camila rimase perplessa quando Lauren svoltò verso il corridoio laterale e prese a salire le gradinate in marmo, conducendola nella parte superiore dell'abitazione.

«Ehm... Dove andiamo?» Domandò la cubana, guardandosi attorno per identificare ogni nuovo sfarzoso dettaglio che le baluginava davanti.

«Nella mia camera.»

Nella sua...? Oh porco cazzo, porco cazzo!

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