17 - Buried
Qualcosa di freddo e sottile strisciò contro la mia guancia facendomi sobbalzare.
Alzai una mano di scatto per togliermi qualsiasi cosa fosse dalla faccia, ma appena afferrai l'oggetto fra le dita mi resi conto che non si trattava di altro che di una catenella metallica. La strinsi nel palmo. Era buio, ma alla fioca luce che ancora giungeva dall'ufficio seguii il percorso del filo fino al soffitto, dove si collegava a una lampadina nuda. Penzolava dal soffitto come la testa di un impiccato. Spostai lo sguardo lungo il soffitto basso e incontrai le sagome di altri bulbi di vetro, che si alternavano per poi perdersi nel buio.
Il sollievo percorse i muscoli tesi delle mie spalle. Feci per tirare la corda, ma mi bloccai quasi subito mentre un dubbio strisciante si faceva spazio in mezzo alla serenità appena ritrovata. Se avessi acceso la luce Andrew sarebbe venuto a sapere del mio arrivo? Fino a dove si spingevano le lampade? Se davvero si fosse trovato là sotto al vedere la luce sarebbe scappato e io mi sarei ritrovata con un pugno di mosche. Tuttavia, la prospettiva di trovarmi di nuovo circondata dai ratti mi terrorizzava. Potevo quasi sentirli squittire a poca distanza dalle mie caviglie.
Soppesai la catena nella mano sudata e chiusi gli occhi. Mancavano due giorni. Due giorni in cui mi sarei trovata sola e senza motivi per continuare combattere. Non senza Sarah. Non potevo perdere altro tempo.
Decisi di lasciarla andare. L'estremità della catenella si scontrò con la parete più vicina con uno schiocco secco mentre avanzavo a tentoni nel buio, un piede davanti all'altro.
Camminai per quelle che mi parvero ore, nel silenzio completo e senza poter vedere alcunché. Il nero denso che mi circondava stava quasi diventando confortevole per le mie palpebre pesanti. Non incontrai gradini questa volta, ma avevo l'impressione che il pavimento fosse leggermente in pendenza. Dove mi stava portando quel tunnel? Mi sembrava improbabile di trovarmi ancora in casa. Forse ero già sconfinata nel territorio boschivo circostante. L'aria sembrava più umida e l'odore di terra più forte. Continuai a marciare imperterrita. Le mie mani strisciavano sulle pareti in cerca di cambiamenti. Il tunnel si era ristretto visibilmente almeno un chilometro prima, ma da allora non era più cambiato. Le gambe mi dolevano per lo sforzo prolungato, soprattutto dopo essere rimasta chiusa in casa per giorni, oltre che per la ferita infiammata. Stavo ormai trascinando i piedi per puro lavoro meccanico quando alzai la testa dal suolo, i capelli appiccicati al volto dal sudore.
D'un tratto mi fermai. Dovetti strizzare le palpebre per poter vedere meglio, ma alla fine un grido di gioia mi salì prorompente alla gola. Riuscii a fermarlo appena in tempo premendo una mano sulla bocca, mentre con gli occhi spalancati osservavo la mia forse unica possibilità di salvezza. C'era una luce in fondo al tunnel. Era solo un piccolo puntino luminoso, lontano e sfarfallante, ma c'era.
Cominciai a correre, tuttavia mi costrinsi presto a fermarmi. I miei passi facevano troppo rumore sulla pavimentazione, rimbombando fra le pareti vicine, e la gamba contusa mi inviò una fitta di dolore in risposta al gesto avventato. Mi aggrappai alla parete e inspirai profondamente. Percepii il pulsare caldo della pelle intorno alla ferita e un vago senso di nausea alla bocca dello stomaco, ma cercai di ignorare quei sintomi di infezione. Non avevo tempo da perdere.
Quella luce poteva essere di tutto. Poteva indicare un uscita dal tunnel, probabilmente in mezzo al bosco, camuffata da tana di coniglio con foglie e rami, oppure la stanza segreta in cui pensavo Andrew si trovasse e da cui controllava ogni telecamera nella scuola. E se la prima opzione mi riempiva di frenesia e voglia di scappare, il pensiero di Sarah ancora prigioniera e prossima alla morte mi portava inevitabilmente a sperare nella seconda. Trovare Andrew era il fine del gioco. Avrei vinto e salvato sia me che Sarah. Eppure mi sembrava così improbabile. Sembrava troppo semplice, sebbene non lo fosse stato affatto. Forse era soltanto irreale, o così lo percepivo.
Compii qualche passo in avanti. Dovevo mantenere la calma. Non potevo mandare all'aria tutti gli sforzi che avevo fatto con una mossa sbagliata. Tenendomi contro una parete scivolai lentamente più vicino alla fonte di luce, finché non riuscii a delinearne i confini. Una porta. Un arco di mattoni conficcati nel muro di terra compattata faceva da ingresso per una piccola stanza fiocamente illuminata da una luce chiara, rosata. La luce del sole sul punto di tramontare. Doveva esserci una finestra o un'altra porta all'interno, posta in un angolo non visibile dalla mia posizione.
L'eccitazione per la scoperta salì nel mio petto insieme all'agitazione. Se Andrew fosse stato lì? Se non lo fosse stato? Cosa avrei dovuto fare? Sarebbe bastato puntargli un dito contro e reclamare la mia vittoria? Ero giunta fin lì senza un piano, mi resi pian piano conto. Non pensavo di riuscire davvero a trovare qualcosa. Ma non potevo certo arrendermi ora.
Inspirai profondamente un paio di volte, poi mi accostai ulteriormente all'entrata, sempre con le spalle ben premute contro il muro e dalla parte più adombrata del tunnel. La consistenza ruvida della terra mi graffiò la schiena e i palmi delle mani mentre i miei pensieri si alternavano a velocità inaudita nella mia mente esausta. Quando arrivai all'intelaiatura di pietra quasi mi parve impossibile, eppure la consistenza fredda sotto i polpastrelli era inequivocabile. Incastrai le dita nelle fessure del mattone per averne una prova materiale, prima di lasciar andare il respiro. Okay. Ora dovevo solo guardare all'interno. Potevo farcela. Era questione di rapidità e riflessi pronti in caso di pericolo.
Rimasi in ascolto di possibili rumori che segnalassero la presenza di qualcuno all'interno, ma non udii nulla se non un lieve ronzio di macchinari in azione. Mossi un piede più vicino al varco. Il mio corpo seguì il gesto riluttante. Ascoltai ancora, ma niente, Andrew sembrava essere assente. Che ci fosse un'altra uscita? Forse la luce derivava da lì, anche se la possibilità che l'assassino avesse lasciato aperta una via di uscita erano minime o perlomeno sospette.
Un altro passo. Sporsi la testa, un gesto rapido, tanto da non vedere quasi nulla. Tornai nella mia posizione con gli occhi serrati e il respiro mozzo. Mi occorsero alcuni secondi per rielaborare le immagini sfocate che ero stata in grado di catturare. Una stanza squadrata, spoglia, schermi di computer posati a terra e un rettangolo luminoso sul fondo. Una porta. Una porta aperta.
Riaprii gli occhi. Davanti a me il corridoio buio che avevo percorso si dispiegava placido come un serpente addormentato. Sentivo il cuore battere nello stomaco. Una parte di me stava esultando. L'altra parte, invece, mi stava urlando a gran voce di scappare. Che doveva trattarsi di una trappola. Doveva per forza esserlo. Deglutii e respirai piano per calmare il battito impazzito che percepivo tonante fino alle tempie. Un'altra occhiata, mi dissi. Solo una.
Questa volta mi sporsi più lentamente, quasi scivolando all'interno della stanza con metà corpo. La porta era sempre lì ed era aperta. Potevo scorgere un sentiero di terriccio e erbacce portare in salita, come se mi fossi trovata in una caverna infossata. Alcuni rami bassi si stagliavano contro l'unico sprazzo di cielo visibile dalla mia posizione, neri su sfondo arancione. Lasciai lo sguardo vagare sul resto della stanza, sebbene i miei occhi continuassero a spostarsi come calamite sull'uscita. Non avevo mai amato il mondo esterno come in quel momento. Mai nella vita avevo desiderato con una tale intensità di mettere piede sul terreno fangoso del sottobosco.
Mi costrinsi a concentrarmi, tuttavia, sui computer sparsi sul pavimento. Non erano di vecchio modello come quelli dell'istituto. Erano portatili, aperti e sintonizzati ognuno su una determinata frequenza. Assottigliai gli occhi e le mie ipotesi trovarono la loro conferma così come scorsi l'immagine di uno dei corridoi della scuola riempire lo schermo più vicino. Erano collegati alle telecamere. Era da lì che Andrew seguiva ogni nostra mossa, al sicuro, e dove progettava la nostra morte.
L'improvviso desiderio di distruggere quegli strumenti di tortura uno alla volta per poi fuggire dalla porta lasciata aperta mi fece entrare nella stanza prima ancora che potessi rendermi conto dei miei gesti. Volevo solo che finisse. Che tutto tornasse alla normalità, per quanto possibile, e che Slow finisse in prigione, o in una clinica psichiatrica. Qualsiasi posto sarebbe andato bene, purché mi rimanesse lontano. Poi però, ancora una volta, il pensiero di Sarah mi fece fermare. Non potevo fuggire. Anche se avessi trovato qualcuno a cui chiedere aiuto Andrew avrebbe potuto uccidere la mia amica nel frattempo per vendicarsi. O il tempo sarebbe scaduto e l'avrebbe fatto comunque. Era già sera. Avevo così poche ore.
Inoltre, la sensazione che si trattasse di un inganno continuava a strisciarmi sottopelle, motivo per cui decisi di abbassarmi di fronte a uno degli schermi per controllare la situazione in casa. Dopo che avevamo distrutto la maggior parte delle telecamere Slow doveva averne sostituite alcune, perché i video che stavo vedendo erano ben più di quelli che avrebbero dovuto essere. Riconobbi persino da alcune angolature telecamere che avevo rimosso personalmente. Attenta a non spostare lo schermo per non lasciare segni del mio passaggio acuii la vista e cercai di distinguere le immagini in bianco e nero che si susseguivano davanti a me come in un film muto. Non osavo alzare il volume e rischiare di essere scoperta.
Il respiro mi si bloccò in gola all'istante quando mi accorsi di ciò che stavo guardando. Le mani cominciarono a tremarmi mentre le portavo alla bocca per soffocare un gemito disperato. Quello davanti a me era l'ufficio di mio padre. Potevo vedere perfettamente la cornice caduta e la libreria ancora ruotata su se stessa. Mi sentii venir meno, una sensazione gelida che mi percorreva la pelle come dita di un fantasma. C'era la possibilità che Andrew avesse visto tutto e sapesse che io mi trovavo lì, nel suo rifugio. C'era la possibilità che fosse fuggito prima del mio arrivo e che non tornasse più laggiù. E c'era la possibilità che si stesse approfittando della mia lontananza da casa per fare del male a Sarah. Non poteva ucciderla, non ancora, ma ciò non toglieva che potesse pur sempre torturarla come aveva fatto con Charlotte.
Sudore freddo cominciò a colarmi sulla fronte mentre con dita instabili spostavo l'inquadratura, timorosa di ciò che avrei potuto vedere. Una fresca brezza dall'odore silvestre penetrò attraverso la porta, ricordandomi del suo silenzioso invito a fuggire, ma ancora una volta la ignorai. Non sarei scappata, non fino a quando avrei ritrovato Sarah.
Controllai decine di telecamere, decine di stanze vuote e immobili, prima di trovare qualcosa di utile. All'inizio non lo notai, in preda all'agitazione, ma poi un ulteriore movimento catturò le mie pupille stanche, facendomi focalizzare su un dettaglio all'apparenza secondario. La telecamera inquadrava un semplice spaccato del primo piano, il parquet rovinato in bella vista sotto i tappeti e le pareti scolorite. Alcune porte si aprivano alternate a quadri per tutta la lunghezza del corridoio. Sembrava tutto nella norma, almeno fino a quando mi resi conto che una delle porte era aperta, e che quella era la porta della mia vecchia camera, la stessa che condividevo con Sarah.
Guardai con più attenzione e solo allora notai una figura muoversi sulla soglia della stanza. Una chioma di capelli chiari compì un arco nell'aria, come se qualcuno stesse tirando la ragazza in avanti e lei cercasse di divincolarsi. Non avevo dubbi che si trattasse di Sarah. Osservai la scena con gli occhi spalancati, incapace di muovere un muscolo. Pochi secondi e vidi la mia migliore e unica amica sparire all'interno della camera e la porta sbattere alle sue spalle. Cedendo al panico alzai il volume del video al massimo nel tentativo di capire se Andrew le stesse facendo del male. Silenzio. Un vocio leggero in sottofondo mi faceva pizzicare la pelle per l'attesa. Poi un urlo improvviso rimbombò fra le pareti della stanzetta. Mi ritrovai a premere d'impulso entrambe le mani sulle orecchie, ma presto mi costrinsi ad abbassarle per zittire il computer prima che mi facesse scoprire.
Al rinnovato silenzio il pulsare del cuore nel petto tornò a farsi sentire distintamente, scontrandosi con i polmoni e togliendomi il respiro. Continuai a fissare l'inquadratura per minuti, ma nessuno uscì dalla stanza. Sentivo le guance calde e bagnate di lacrime che non mi ero accorta di aver versato e non riuscivo a distogliere lo sguardo dallo schermo. La solita voce nella mia testa mi diceva di scappare, che non c'era più niente da fare, ma l'altra non ne voleva sapere. Sarah era ancora lì. Non poteva essere morta, non fino a mezzanotte. Avevo il tempo di tornare indietro e liberarla. Il problema era Andrew e il fatto che non stesse uscendo dalla camera. Perché non usciva? Cosa stava accadendo?
Il pensiero che ci fosse un'altra uscita segreta all'interno della mia camera, una porta di cui non ero a conoscenza, mi diede i brividi. Chissà quante altre volte quel pazzo l'aveva usata, magari ancora prima che organizzasse il suo folle gioco. La sola idea mi nauseava. Mi lasciai cadere seduta di fronte al computer, con la stessa immagine ferma davanti agli occhi, e tirai le ginocchia al petto. Cosa potevo fare ora? Tornare indietro e affrontare Andrew faccia a faccia? Nascondermi e aspettare che tornasse indietro per attaccarlo? Ma lui sapeva dove mi trovavo. Era ovvio che lo sapesse. Mi guardai intorno ansiosa, gli occhi che continuavano a cadere sulla porta aperta, sul sole che stava calando colorando il cielo di tinte più scure. Tempo, poco tempo. Mi portai le mani al volto e inspirai con forza. Calma. Dovevo stare calma e riflettere.
Tornai a guardare lo schermo. Uscii dalla finestra a schermo intero e aprii altri video, disponendoli su tutta la superficie disponibile in modo da monitorare la situazione. Avevo due opzioni: potevo tornare all'istituto e cercare di liberare Sarah prima della fine del giorno, rischiando di incontrare Andrew e di dover lottare per la nostra vita con le unghie e con i denti, o potevo tentare di cogliere l'assassino di sorpresa. Di certo lui si aspettava da me un gesto avventato, ed era ciò che avrei fatto se non mi fossi trovata alle strette. Non ero il tipo da sotterfugi. Eppure, proprio questa consapevolezza mi portò a ripiegare sulla seconda opzione.
Sospirai e mi alzai lentamente dal pavimento sporco. Mi aspettava molta strada da fare, ma ne sarebbe valsa la pena se fossi riuscita a salvare Sarah. Dovevo solo avere fede nelle mie capacità. Dovevo ingannare il burattinaio con il suo stesso spettacolo. Strinsi la fasciatura sulla gamba con un lamento strozzato e uscii nel corridoio, pronta a recitare l'ultimo atto di quella tragedia. A mezzanotte il sipario sarebbe calato definitivamente. I finali possibili erano soltanto due: la vita o la morte. Non mi importava cosa sarebbe accaduto nei giorni successivi, se Sarah fosse morta. Non avevo motivo di vivere senza nessuno per cui farlo, o almeno era quello che pensavo in quel momento, e ci credevo davvero.
Non potei vedere, mentre riprendevo la mia marcia lungo il tunnel buio, che nel video sgranato la porta della mia stanza si stava lentamente riaprendo, svelando una figura ben diversa da quella che avevo avuto modo di osservare pochi minuti prima. Un sorriso largo si espanse sul suo volto mentre controllava qualcosa sullo schermo del suo cellulare. Poi alzò lo sguardo dritto verso la telecamera e accennò un lento segno di saluto.
Nessuna ragazza, tuttavia, uscì con lui da quella stanza.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro