14 - Past
«Non dice nulla a proposito di omicidi avvenuti in grandi case bianche su questo sito, a meno che - maledizione!»
Sarah si voltò di scatto, fermando improvvisamente le dita sulla tastiera. «È successo anche a te?» si informò abbattuta. Aveva un tono piatto e il viso scarno. Mangiavamo poco o niente da quattro giorni e avevamo dormito anche di meno.
Annuii con un grugnito. Mantenni gli occhi puntati sulla schermata bianca, dove il solito dinosauro nero era accompagnato dalla scritta "offline". Andrew aveva interrotto Internet per l'ennesima volta. Ci lasciava pochi minuti di tempo - sette, per la precisione - dopodiché tagliava il segnale per almeno due ore, le quali potevano anche prolungarsi a suo piacimento. Posai la fronte sul palmo della mano, senza smettere di fissare lo schermo. Erano già le cinque del pomeriggio e tutto ciò che eravamo riuscite a scoprire fino ad allora era una lista di persone uccise in casa propria. Avevamo trovato un centinaio di nomi, ma solo pochi di essi appartenevano a una coppia e praticamente nessuno era stato decapitato per essere utilizzato come articolo di arredamento. Per non parlare dell'uomo dai baffi grigi, di cui dovevamo scoprire la fine, e del bambino, che sembrava introvabile. Più come se le informazioni fossero state eliminate da ogni sito che perché non ci fossero mai state, in realtà. Un caso del genere, se fosse stato reale come immaginavo, non sarebbe certo stato taciuto, a meno che qualcuno non fosse intervenuto a zittire la stampa. O meglio, avesse cancellato ogni prova.
Sarah spostò la sedia vicino a me. Le rotelle strisciarono sul parquet e un sospiro lasciò le sue labbra. «Stiamo facendo l'ennesimo buco nell'acqua, vero?» mormorò.
La guardai attraverso le dita della mano. L'aula informatica era buia, tranne per la luce azzurrognola proveniente dai salvaschermi, e il viso della mia amica sembrava ancora più emaciato di quanto fosse realmente. Sembrava quasi malata. Fissai le sue iridi chiare e lucide e non potei fare a meno di imprecare fra me e me per la situazione in cui avevo condotto tutte loro. Se solo fossi stata più gentile, meno aggressiva e fredda, se solo non avessi discusso con Andrew quella mattina da cui sembravano passati secoli, forse ora saremmo ancora nella nostra camera a studiare e lamentarci dei professori più esigenti. Di certo non ci saremmo trovate davanti a due computer inutilizzabili, nel tentativo di risolvere un indovinello impossibile per salvare la vita di una ragazza innocente. «Se intendi il fatto di cercare "omicidi in case bianche" sì, è un buco nell'acqua.»
Sarah sospirò ancora una volta. Si allontanò i capelli dal volto con un gesto brusco e riprese il file di testo che avevamo compilato con gli scarsi risultati delle nostre ricerche. «Per il momento abbiamo solo due casi che potrebbero condurci sulla strada giusta: i coniugi Shelley, che sono morti in una piccola cittadina del Texas in circostanze misteriose. Non sono specificate le condizioni in cui hanno trovato i corpi, quindi è possibile che siano stati, sì... decapitati» deglutì. «Avevano un figlio, che è stato ritrovato morto poco lontano dalla casa»
«Ma non c'è nessun riferimento all'uomo coi baffi» aggiunsi.
«No» concordò lei. Scese più in basso, verso la fine della lista. «E poi abbiamo i Finnegan. Marito e moglie decapitati in un incidente agricolo. Non ho idea di come sia potuto accadere, quindi immagino si tratti di omicidio. I giornali non ne parlano molto però.»
«Avevano figli?»
Sarah scrollò le spalle. «Non è specificato.»
«Non è specificato nel senso: non ne avevano e i giornalisti non si sono posti il problema di dirlo, o nel senso: qualcuno ha nascosto la loro esistenza?» insinuai. Congiunsi le mani sul ventre e chiusi gli occhi per riflettere. Qualcosa non quadrava in tutta quella faccenda.
«Non vedo come potrei saperlo» rispose Sarah. Sentii la sua voce assumere un tono aspro. Cominciava a covare rancore nei miei confronti, come Charlotte prima di lei. Mi chiedevo soltanto quanto ci avrebbe messo a odiarmi. Sapevo fin dal principio che sarebbe successo, ma dovevo ammettere che faceva più male di quanto pensassi.
Mi risollevai dallo schienale e guardai ancora una volta lo schermo bianco. «Sai, forse non dovremmo affidarci solo a Internet.»
«E dove potremmo cercare degli omicidi avvenuti in tutto il mondo?» mugugnò Sarah esasperata.
Sorrisi. Non c'era nulla di divertente per cui farlo, ma sorrisi comunque. Poi mi alzai dalla sedia e in un attimo raggiunsi la porta del laboratorio. «Nella camera di Andrew.»
Cominciai a percorrere i corridoi con passo veloce, nonostante la caviglia malandata. Percepii i passi di Sarah avvicinarsi alle mie spalle, mentre ansimava nel tentativo di fermarmi. «Kay, ma cosa dici? Non possiamo andare di nuovo lì! Aspettami.»
La guardai da sopra una spalla, ma non smisi di camminare. Rallentai giusto il necessario per non lasciarla indietro. Lei mi affiancò e, affaticata dal fiatone, mi ripropose la stessa domanda. «C'è qualcosa che mi puzza in questa faccenda» le risposi a quel punto.
Sarah aggrottò la fronte. Mi seguì verso il dormitorio maschile. Anche se Andrew non alloggiava lì, la scala per raggiungere la soffitta si trovava da quelle parti. Ricordai con una smorfia lo spiacevole episodio che avevamo vissuto lassù giorni prima, come in un flashback. La ferita sulla mia gamba non si era ancora cicatrizzata del tutto, d'altronde. Avrei dovuto tenerla a riposo perché accadesse. Camminando e fuggendo da quel pazzo continuava a riaprirsi e a sanguinare. «Cosa credi di trovare nella sua stanza? Ci siamo già state ed è stato fallimentare» brontolò lei in quel momento, riportandomi con i piedi per terra.
«Non abbiamo cercato le cose giuste. Ho un sospetto, ma non ho prove per dimostrarlo. Hai ancora a mente i nomi delle due famiglie, giusto?» le domandai. Individuai la scala alla svolta successiva. Cominciammo a salirla senza scambiarci una parola.
«Shelley e Finnegan» mormorò dopo alcuni istanti Sarah. Aveva un tono sconsolato, come se si fosse arresa suo malgrado alla mia intuizione.
Sapevo che in qualità di sua amica avrei dovuto parlarne con lei prima di lanciarmi in quell'impresa. Avrei dovuto ascoltare il suo parere, accettarlo. Ma ormai era fatta, e dopo pochi scalini saremmo arrivate al pianerottolo davanti alla stanza di Andrew. Non era il momento per i ripensamenti. Così non cercai di rassicurarla, ma dissi invece: «Non dimenticarli. Potrebbero tornarci utili.»
Arrivammo a destinazione in pochi secondi. Aprii la porta con attenzione, temendo un possibile attacco, ma non accadde nulla. Lo scricchiolio dei cardini riempì l'aria. La scarsa luce che penetrava dalle finestre rompeva il buio con raggi obliqui, in cui la polvere roteava in mulinelli a causa dello spostamento d'aria. Era tutto come lo avevamo lasciato, compresi gli oggetti rotti sparsi sul pavimento. Calpestai i frammenti di vetro di una lampada. Scricchiolarono sotto la suola della mia scarpa come le osse di Charlotte avevano fatto fra le mani di Andrew. Un brivido mi percorse la schiena, ma non tornai indietro. Notai che il carillon era sparito. Non me ne stupii troppo. Stavo quasi iniziando a considerarlo un'allucinazione. Compariva e scompariva all'improvviso e nessuno sembrava vederlo.
«Quindi? Quale sarebbe questo grande piano che hai ideato?» ironizzò Sarah alle mie spalle. Mi voltai. Era rimasta incollata allo stipite della porta. Non sembrava intenzionata a entrare.
Presi un respiro profondo. Mi avvicinai alla scrivania che era appartenuta al ragazzo e cominciai ad aprirne i cassetti in assoluto silenzio. Mi ritrovai per le mani plichi di scartoffie prive di significato. Erano piene di codici e cifre che non avrei mai potuto comprendere senza l'aiuto di un esperto. Alcuni microchip erano gettati sul fondo, inutilizzati, e una manciata di cavi rossi e blu era incastrata fra il resto degli oggetti. Sembrava non esserci nulla di utile in quel caos, ma quando aprii l'ultimo cassetto trovai delle fotografie. Le estrassi con la fronte corrugata e le portai vicino agli occhi per vederle meglio nella penombra.
«Cosa sono?» sussurrò Sarah. Si era avvicinata al tavolo e ora se ne stava sulle sue accanto alla parete. Mi guardava di traverso.
Le mostrai i rettangoli di carta lucida. Erano quattro, consumati agli angoli. Sembravano essere stati osservati più volte. «Fotografie. E guarda qui: una casa bianca.»
Lei spalancò gli occhi. Si avvicinò rapida e mi strappò la foto incriminata dalle mani per guardarla meglio. «C'è una donna in giardino. Sta potando la siepe di rose, qui nell'angolo. Credi che sia sua madre?»
Feci spallucce. «Potrebbe esserlo. Altrimenti che senso avrebbe tenerla?»
«Non lo so. Andrew è particolare. Ti ricordi la questione di quel ragazzo che ha ucciso? Potrebbe averlo fatto anche con questa donna e poi ha conservato la foto per ricordo.» Sarah gemette. Lasciò cadere le foto sulla scrivania e si sedette a terra, a testa fra le mani. «Oh, Dio, ti rendi conto di cosa sto dicendo? Questa situazione mi sta facendo perdere la testa!» si lamentò.
Mi morsi un labbro, guardandola dare di matto. Riabbassai gli occhi sulle fotografie rimanenti. In una c'erano due bambini, uno biondo e uno moro. Il secondo somigliava terribilmente a Jacob, il ragazzo che Andrew aveva ucciso, mentre il primo poteva essere lo stesso Andrew. Aveva dei capelli più chiari nella foto, e senza occhiali i suoi occhi sembravano diversi, ma avrebbe senz'altro potuto essere lui. Sembrava più giovane rispetto a come l'avevo visto sul giornale online, nell'articolo in cui ammetteva di aver ucciso il suo amico. Aveva tredici anni a quel tempo, nella foto doveva averne otto o nove. Mi inginocchiai accanto a Sarah, che si era rannicchiata su se stessa con le ginocchia tirate al petto. Le passai la foto, facendola strisciare fino a lei sul pavimento, ma la respinse con un piede senza guardarla. «Non voglio saperne niente, Kay. Almeno per altri dieci minuti.»
Sospirai. «Fra un'ora all'incirca i computer dovrebbero riprendere a funzionare. Vuoi andare di sotto ad aspettare?»
«No» borbottò lei. Posò il mento sulle ginocchia e lanciò un'occhiata di sbieco alla foto per terra. «Non voglio restare sola con quel pazzo in casa.»
«Allora ti conviene aiutarmi. Charlotte morirà se non troveremo la soluzione in tempo.»
«Mancano ancora sei ore» protestò, ma si decise comunque a prendere l'immagine fra le dita. Corrugò la fronte. «Questi sono Andrew e Jacob?»
«L'ho pensato anch'io. Quando abbiamo cercato informazioni sulla morte di quel ragazzino ho letto che Jacob abitava in una città qui vicino, mentre il suo assassino non era un residente. Forse erano amici prima che si trasferisse. Forse l'ha ucciso perche lo ha abbandonato?»
«E per quanto riguarda sua madre? Perché l'avrebbe uccisa?»
Scrollai le spalle e passai alla foto successiva. «Non è detto che l'abbia fatto. In questa c'è ancora lei, insieme a un uomo. Potrebbe essere il padre.»
Sarah si voltò verso di me con aria frustrata. «È ovvio che l'abbia fatto. Chi credi che fosse il ragazzino di cui parlava nel suo indovinello? Lui, ecco chi. Ha ucciso sua madre e suo padre e forse pure quell'uomo dai baffi grigi. Ha nominato una casa bianca, ed eccola qui» fece, prendendo la prima foto. «Poi un uomo e una donna» e sollevò la terza. «Infine un misterioso uomo il cui ruolo nella storia non è meglio specificato e che potrebbe essere andato a casa loro per qualsiasi motivo.»
La fissai con serietà, per poi osservare l'ultima foto rimasta. Rappresentava un fiume. Un albero cavo sorgeva su una delle sponde. «E se l'uomo misterioso avesse un ruolo più importante? Perché i due coniugi sono morti proprio dopo il suo arrivo? Andrew avrebbe potuto ucciderli anche prima di allora, o dopo. Perché proprio all'arrivo di quel signore?»
«Dici che sia stato lui a ucciderli?» mormorò Sarah. Stava riguardando tutte le foto come per trovare una risposta nascosta fra le macchie di colore.
«Potrebbe. Magari Andrew ha assistito alla scena ed è rimasto sconvolto. Forse è per questo che è diventato così com'è» azzardai. Era un'ipotesi complessa, ma poteva anche essere veritiera.
Restammo in silenzio per una mezz'ora, ognuna persa nei propri pensieri. Ricontrollai nei cassetti, in caso mi fossi persa qualche foto, ma non trovai nulla di nuovo. Tornai dunque a confrontare gli elementi che avevamo a nostra disposizione, cercando una soluzione che tardava ad arrivare.
«I Finnegan abitavano non molto lontano da qui» sussurrò a un certo punto Sarah. Era seduta con la schiena contro la scrivania e lo sguardo perso di fronte a sé.
Mi voltai verso di lei. «Dove?»
«A nord. Newcastle, mi sembra. A una ventina di chilometri.»
«E a una decina dalla città in cui è stato ucciso Jacob. Dove si era trasferito. Un tredicenne avrebbe potuto tranquillamente attraversare una simile distanza da solo, in pullman o in taxi» riflettei.
Sarah rise, una risata disperata e irrequieta. «Stai ancora pensando a quel fatto? Ciò che dobbiamo trovare accadde prima di allora, ne sono abbastanza certa.»
Mi risollevai da terra con uno sbuffo. «Sto cercando di trovare un collegamento. Perché Andrew ha deciso di attraversare quei pochi chilometri che lo dividevano da Jacob soltanto per ucciderlo? Davvero l'ha fatto perché si è sentito abbandonato? O forse è successo qualcosa, anni prima, che ha covato con rancore finché non si è ritrovato perso, senza genitori e senza casa? Qualcosa che l'ha spinto a fuggire, trovare il suo vecchio amico e togliergli la vita in un parco, per poi confessare il tutto e scappare di nuovo.»
«Ma non l'hai ancora capito, Kay?» sbottò Sarah esasperata. «Quel ragazzo è pazzo. Non ha motivo per fare ciò che fa.»
Scossi la testa. Ero sicura che un motivo dovesse esserci. Nessuno fa niente per niente. Jacob doveva aver fatto qualcosa a Andrew, prima di andarsene. Prima che i genitori del biondo venissero uccisi da quell'uomo coi baffi, così come mi ero convinta fosse accaduto. L'avvenimento doveva aver risvegliato in lui un immotivato istinto omicida nei confronti dell'unica altra persona che conoscesse, ovvero Jacob Ivory. Se la mia tesi fosse stata corretta, quindi, sarebbe servito soltanto scoprire che fine avesse fatto l'assassino. Se Andrew era riuscito a scappare sostanzialmente illeso, l'uomo poteva anche essere stato arrestato prima di portare a termine la strage. O forse il ragazzino era sgattaiolato via di nascosto.
Sospirai. Alzai lo sguardo sulla sveglia digitale caduta a terra, proprio accanto alla mia scarpa, e notai che l'orario indicato dalle cifre verde fosforescente segnava quasi le sette. «Fra poco riavremo l'accesso a Internet» esalai in un soffio.
Sarah annuì. Si alzò dal pavimento, spolverandosi i pantaloni, e uscì dalla stanza. Cominciò a scendere le scale senza aspettarmi e io la seguii in silenzio. Stavo già progettando le future ricerche da svolgere. Prima di tutto, i registri delle prigioni della contea. Newcastle e il paese di Jacob erano entrambi nello stesso distretto, se ben ricordavo. Avrei guardato le foto segnaletiche il più velocemente possibile, nel tentativo di trovare l'uomo dai baffi grigi. Speravo solo non ce ne fossero troppi.
La sala informatica era rimasta la stessa di quando ce ne eravamo andate. Computer in stand-by e sedie discoste dai tavoli. Mossi il mouse e la schermata bianca riapparve. Provai a ricaricare la pagina. Ci mise qualche istante a causa del cattivo segnale, ma alla fine la vecchia pagina di ricerca tornò a lampeggiare davanti ai miei occhi. Cancellai ciò che avevo scritto e digitai la nuova indicazione. Foto segnaletiche, contea di Stepshill. Attesi un paio di minuti, gli occhi fissi sul cerchio grigio del caricamento, poi i risultati cominciarono a comparire uno alla volta. Aprii un registro pubblico, uno di quelli che contiene le foto dei ricercati diffuse fra la popolazione in caso di avvistamento. Cominciai a sfogliarle dall'inizio, mentre Sarah, nella sua postazione, muoveva a caso il puntatore sullo schermo.
Selezionai una decina di foto in totale e le incollai in un file di testo con relative informazioni. Scelsi tutti gli uomini con più di sessant'anni che avessero dei baffi. Non avevo tempo per controllare più a fondo. Mancava solo un minuto quando finii di copiare i dati dei ricercati e solo una decina di secondi quando un'ultima immagine si caricò alla fine dell'elenco. Il mio cuore rallentò, come nel tentativo di fare lo stesso con il tempo. Uomo, baffi grigi. Newcastle. Copiai tutto il più velocemente possibile. La connessione saltò sotto i miei occhi nello stesso momento in cui cliccai sull'opzione corretta.
Tirai un sospiro di sollievo, mentre il cuore ricominciava a battere più velocemente per sopperire alla precedente mancanza.
«Che succede?» mi domandò Sarah perplessa.
La guardai con quella che doveva essere l'aria di una donna sul punto di avere un crollo nervoso. Non era molto dissimile da ciò che mi stava succedendo, a dire il vero. «Forse ho trovato il signore anziano coi baffi di cui parlava Andrew. Vieni a vedere.»
Sarah spostò la sedia accanto a me e cominciammo a spiluccare fra le foto. Alcune dovetti cancellarle, capendo all'istante di aver preso un abbaglio nel selezionarle. Alcuni dei ricercati erano troppo vecchi, altri troppo giovani, altri ancora abitavano troppo distanti da lì e solo per qualche strana coincidenza erano capitati sotto la giurisdizione di Stepshill. Li scartai quasi tutti, finché giunsi all'ultima foto che avevo salvato, quasi per miracolo. «Ecco, guarda questo tizio. Rupert Trenton, sessantotto anni, di Newcastle. La città in cui abitavano i Finnegan» esclamai.
«Mi stai dicendo fra le righe che Andrew non si chiama veramente Slow, ma Finnegan?» mi chiese Sarah dubbiosa.
«Dopo essere scappato potrebbe aver cambiato nome. E comunque la questione del falso incidente non regge, quindi non provare a usarlo come scusa. E guarda il crimine di cui Rupert è accusato» aggiunsi, indicando lo schermo.
Sarah lesse con attenzione. I suoi occhi si spalancarono di colpo e una mano volò a posarsi davanti alla bocca socchiusa. «Ha decapitato due persone a Newcastle. E l'unica coppia decapitata a Newcastle era –»
«I Finnegan, esatto. L'articolo che hai letto sarà stato modificato per impedire a chiunque di risalire a Trenton. E chi conosciamo di tanto bravo da poter hackerare un sito protetto come quello di un giornale?»
«Andrew» mormorò Sarah, questa volta a voce più bassa. Sembrava incredula, ma una nuove luce aveva rianimato i suoi occhi spenti. Mi guardò con una scintilla di speranza a farle splendere il viso. «Pensi davvero che Andrew sia figlio dei Finnegan e che abbia insabbiato l'accaduto per non essere cercato dalla polizia?»
«Sì» dissi certa. Ne ero più convinta che mai. Sentii una scarica di adrenalina infiammarmi i muscoli assopiti. «Non voleva essere trovato da Trenton e per di più aveva in mente di uccidere Jacob già dal principio. Ha senso.»
«Credo» asserì la mia amica. Sospirò e continuò a leggere il testo che avevo copiato. «C'è scritto che le ricerche cominciarono cinque anni fa. I tempi combaciano.»
Stavo per annuire, in preda a una strana soddisfazione, quando il resto del paragrafo mi fece bloccare. Scorsi col puntatore per visualizzare il continuo. «Dice anche che è già stato ritrovato e che il caso è stato chiuso. Ma non è in prigione. Si è ucciso. Impiccato a un albero, vicino al fiume della contea.»
«Come?» esalò Sarah sconvolta.
Mi morsi un labbro. «L'ultima foto di Andrew rappresentava un fiume con un albero. Forse era un indizio.»
Un silenzio denso cadde sulla stanza. Sarah continuò a fissarmi, come in attesa di una risposta definitiva. Solo che non sapevo nemmeno io quale fosse. «È questa quindi? La soluzione all'indovinello? Ce l'abbiamo fatta?»
«Non lo so» sospirai. Mi passai entrambe le mani sul volto e poi fra i capelli sporchi. Avrei voluto farmi una doccia, ma non era certo la mia priorità al momento. «Sembra quadrare tutto.»
«Già» concordò Sarah, ma il suo tono era ancora dubbioso. «Dovremmo riferirlo a Andrew?»
«In teoria sì. Ma sei certa anche tu che sia tutto corretto?»
La rossa si strinse nelle spalle. «Non possiamo esserlo. È questo il senso del gioco. È lui ad avere il coltello dalla parte del manico.»
Era vero. Noi non avevamo il controllo su nulla. Se anche avessimo trovato la risposta giusta lui avrebbe potuto mentire per punirci in ogni caso. Dipendeva solo da lui e dal suo volere. Eravamo pedine mandate in pasto al re. «Va bene, allora» accettai. «Diciamoglielo.»
Sarah si alzo in modo meccanico. Io la imitai di riflesso. «In cantina?»
«In cantina, sì. Almeno siamo sicure di non aver distrutto gli altoparlanti» ironizzai. Non risi alla mia battuta e nemmeno Sarah. Raggiungemmo la cantina senza parlare. Eravamo stanche e abbattute. Abbandonate al nostro destino. Scendemmo le scale, nonostante la mia caviglia non si fosse ancora ripresa del tutto dalla slogatura, e tornammo nello stesso punto che avevamo abbandonato sette ore prima. Era ancora buio, la lampadina spenta. Il ronzio delle casse riempiva l'aria come veleno.
«Andrew» lo chiamai nel silenzio della cantina. Le mie parole rimbombarono cupe fra le pareti ravvicinate.
Un gracchio precedette come sempre il suono odioso della sua voce. «Sei sempre così scortese quando pronunci il mio nome. Non pensi alla povera Charlotte? Ah, già. Dimenticavo. Tu sei egoista fino al midollo.»
«Andrew» ripetei, sforzando un tono gentile che non mi apparteneva. Serrai le palpebre. «Abbiamo la soluzione.»
Una risata divertita esplose dalle casse. «Davvero? Ammirevole. Sei sicura di volermela dire adesso, però? Hai ancora del tempo per riflettere.»
«Non cambierebbe molto, conoscendoti. Preferiamo evitare scherzi.»
«Quelli sono inevitabili, mia cara. Fanno parte del gioco. Ma dimmi. Cosa hai scoperto?» domandò con tono curioso. Per lui quello era davvero un gioco. Che qualcuno morisse o meno per lui non faceva differenza.
Respirai piano per calmarmi. Ero tesa come una corda di violino. «L'uomo era un certo Rupert Trenton. È stato accusato dell'omicidio dei coniugi Finnegan a Newcastle. Si è suicidato prima di essere arrestato.»
«In che modo?» fece Andrew interessato. Come se non sapesse già. Ero certa che stesse sorridendo mentre mi tormentava con i suoi indovinelli macabri.
«Si è impiccato. Hai una foto del luogo del delitto in camera tua.»
«Oh, so che l'hai trovata. Ho delle telecamere anche lì, le avete dimenticate nella vostra opera di distruzione.» Ridacchiò, un suono sgradevole attraverso gli altoparlanti. «E del bambino? Che mi dite?»
«Sei tu» sibilai. «Il bambino sei tu.»
«Uh, centro. Ma non mi hai ancora detto cosa mi è successo.»
Cominciai a tremare. Sapevo dove voleva andare a parare. Cercava di farmi sbagliare per farmi perdere. «Trenton ha ucciso i tuoi genitori, ma tu sei scappato. Sei andato da Jacob Ivory e l'hai ucciso.»
«Ho ucciso Jacob, sì. Non aveva mantenuto una promessa che mi aveva fatto. Ma come sarei scappato, mh?»
Raggelai. Sarah mi guardò allarmata. Avevamo fatto un passo falso. «Tu ci hai chiesto di scoprire che fine hanno fatto il vecchio e il bambino, non cosa è successo durante l'omicidio» balbettai.
«Ma dato che il bambino sono io e c'è un motivo se sono finito per diventare chi sono, voglio sapere da voi come è successo. Nessuno è mai riuscito a capirlo. Tutti quegli psichiatri, persone inutili. Pensavo che tu, Kay, ci saresti arrivata.» Ci fu una pausa, silenzio vibrante. «Vuoi forse dirmi che non è così?»
«Tu -» azzardai, «sei riuscito a non farti notare e –»
«Sai una cosa? Sono stanco di questo gioco. So che non hai la minima idea della verità. Vuoi sapere come è andata davvero? Rupert non ha ucciso la mia famiglia. Avresti dovuto informarti sulla sua professione. Era uno psichiatra. I miei genitori erano preoccupati. Il mio comportamento li spaventava. E dire che avevo solo rotto il braccio di una maestra troppo severa. Era una buona azione ai miei occhi di bambino. In ogni caso, loro chiamarono il caro vecchio Rupert per aiutarmi. Finsi di stare bene per calmarli. La sera venne un temporale e il dottore rimase da noi a dormire. A quel punto decisi di attuare il piano. L'incidente agricolo? Colpa mia. Non sapevo come utilizzare al meglio una falce, a tredici anni. Poi stordii Rupert. Trasportarlo fino al fiume è stato faticoso almeno quanto impiccarlo a quel ramo. Quando credi che abbia fatto quella foto? Ah, bei ricordi» sospirò. Il mio sangue era gelido nelle vene. Sentivo di poter svenire da un momento all'altro. «In ogni caso» riprese Andrew, «avete sbagliato. Mi dispiace. Ora dovrò punirvi.»
«Ti prego» esclamò Sarah disperata. «Non fare del male a Charlotte. Non lo merita.»
«Siete tutte così egoiste. Un po' di sano senso di colpa non vi ucciderà. Sarò io a farlo, semmai.»
«Andrew» ringhiai.
Lui mi ignorò. «Domani riceverete un regalo da parte mia. Spero che vi piacciano i soprammobili» annunciò. Rise. La sua risata si espanse in tutto l'istituto come il crepitare di un fulmine. Poi ci fu il rumore di una lama sguainata. Infine, il nulla.
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