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4. Tutta colpa dei lamponi

《Si, me lo ricordo! Correvi su e giù per la strada, come un ossessa, nemmeno Adrian poteva fermarti》

La vivace risata della signorina Milly fece voltare parecchie delle persone presenti in quella maestosa distesa erbosa, punteggiata da macchioline rosse.

Ero inginocchiata su un morbido ammasso di terreno profumato, i miei levi's macchiati di erba, e di succo di lampone, in più punti, avevo arrotolato la camicetta celestina che a New York usavo per il tempo libero, e tenevo i capelli in una lunga treccia laterale e, insieme con la signorina Milly, rinvangavamo vecchi episodi che avevano come protagonisti principali , me e le mie marachelle.

《Si...in effetti adoravo davvero quei pattini》.

In ogni aneddoto, c'era anche Adrian.

No. Non parlatemi di lui.

Era sempre un po' strano parlarne per me; da quanto ricordo Adrian è sempre stato parte integrante della mia vita, almeno fino ai miei quindici anni.

E ho sempre creduto che io e te fossimo legati dal filo rosso del destino, ma a quanto pare mi sbagliavo.
Gli anni, la lontananza, gli impegni, ci hanno allontanato a tal punto da diventare due completi estranei l'uno per l'altra.
E ci eravamo promessi di restare insieme.

Scuoto la testa per scacciare quei pensieri, di certo averlo visto lì, nel suo locale bello come il sole, non ha aiutato né la mia autostima, né il mio povero cuore.

Sorridimi come allora.
Come un tempo.
Sorridimi e capiró.
Ma non mi hai sorriso...

《Sgnorina Milly, vado a mettere questo cestino pieno sotto il porticato e ne prendo un ...》

Non faccio in tempo ad alzarmi e a voltarmi, che mi ritrovo a gambe all'aria, con un intero cestino di lamponi addosso.

《Ma che diav...?》

《Oh...Mi dispiace! Mi scusi signorina davvero io non volevo...》.

《MICHAEL caro!》

La mia voce, insieme a quella della signorina Milly, e dell'armadio che mi era venuto a sbattere contro, si sovrapposero.

《Ciao zia Mildred, ero venuto a cercarti》.

Nella mia mente risuonava la parola zia più e più volte.

"Milly aveva un nipote?! Da quando?! Come?!"

Mentre la signorina Milly e lo strano uomo, continuavano a parlare io me ne stavo spiaccicata al suolo con un enorme poltiglia di lamponi sopra e sotto di me, facendomi mille domande.

Finché l'armadio, di nome Michale, non si voltò nella mia direzione porgendomi la mano; mi persi un momento a notare i muscoli robusti del braccio gonfiarsi sotto la maglietta di cotone, mentre cercava di sollevarmi, purtroppo per me, la poltiglia di lamponi, insieme all'erba umida crearono un attrito che mi fece rovinare di nuovo al suolo, trascinando con me il povero Michael.

I nostri sguardi si incrociarono, mentre respiravamo i nostri respiri, lo scrutavo più da vicino notando un bel naso diritto, una bocca carnose e due occhioni verdi, che mi osservavano a loro volta.

Si era creata una strana alchimia, finché la signorina Milly non ci rimproveró bonariamente, alzando un po' troppo il tono di voce, facendo voltare una moltitudine di persone nella nostra direzione.

《Oh! Ragazzi, smettetela di fare i bambini e alzatevi immediatamente! Non sta bene che due giovani si rotolino nell'erba sotto gli occhi di tutti,queste cose si fanno in privato》

Schiacció l'occhio in un occhiolino malizioso e si avviò verso la macchina con un cestino sotto braccio.

Le persone continuavano ad osservarci mentre ci alzavamo in modo goffo e impacciato.

Tutti sorridevano, ci indicavano, e sussuravano al nostro passaggio.

E tutto per colpa di qugli stupidi lamponi!

************************************

POV ADRIAN

Mi trovo seduto ai margini del bancone del mio locale, mentre con il naso affondato in inutili scartoffie controllo gli ultimi incassi del Sunflower House.

Mentre scorro l'ultimo mese, noto che il consumo del pesce, sta andando alla grande, sto per chiedere a Theresa, mia dipendente, di prepararmi un caffè, quando il rumore dei campanelli, posti vicino alla porta d'ingresso,attira la mia attenzione.

Un pugno nello stomaco.

Forte.

Intenso.

Doloroso.

Come quelli che tiravo, e prendevo, quando da ragazzino mi azzuffavo.

Continuo a seguire con lo sguardo l'incedere, lento e aggrazziato,della figura appena entrata da quella dannata porta.

Resto sbalordito da quella visione di donna che mi ritrovo dinanzi al mio bel bancone di legno lucido e pregiato.

Ella, mi ricorda qualcuno ormai sepolto nel mio inconscio, qualcuno che probabilmente ho intenzionalmente cancellato per non soffrire.

Il modo in cui si guarda intorno,il modo in cui le sue labbra sensuali si incurvano in un lento sorriso.

Non può essere lei, eppure.

Cerco di capire se è davvero chi credo che sia, ma appena si sistema sullo sgabello con quel suo culetto sodo, fasciato dalla gonna elegante, tutto ciò che riesco a pensare realmente, è la sua figura dalle gambe lunghe, e i capelli riposti dietro alle spalle lasciate nude.

Non appena la sua voce fuoriesce gentile, per rivolgersi a Theresa, qualcosa dentro sussulta.

Che cosa mi sta succedendo?! Mi chiedo mentre mi avvicino in modo automatico, come se fossi calamitato, come se quella forza fosse troppo forte da poter tenere sotto controllo, da potermi ribellare.

《Ciao, vediamo...mmm...credo che per iniziare prenderò solo una tazza di caffè,nero...》

《Lungo,con poco zucchero e una spruzzatina di panna. Noto che il caffè lo prendi sempre allo stesso modo, puoi servirlo Theresa, grazie》.

I suoi occhi incontrano i miei, mentre i capelli strisciano su quella schiena morbida dannatamente sexy.

Li sgrana un po' non appena mi riconosce, si volta completamente verso di me, tenendosi al bancone.

Io cerco di non guardare le sue lunghe gambe tentatrici, puntando gli occhi nei suoi.

《Ciao Adrian! Quanto tempo...ti trovo bene, che coincidenza incontrarti qui》.

Le sorrido, in modo rigido; quella voce. Per intere notti mi è venuta in sogno tormentandomi.

Vorrei sapere perché é tornata.
Vorrei urlarle di andare via.
Vorrei dirle di lasciarmi al vuoto in cui mi ha confinato, con le sue assenze, i suoi silenzi.

《Beh, sai come è, sei nel mio locale》.

La vedo atteggiare quelle labbra morbide in una O perfetta, e appoggio le mani al bancone per evitare di prenderla e baciarla così su due piedi.

E non sai ancora che cazzo di effetto mi fai.
Di come vorrei mordere il labbro inferiore che ora trattieni con i denti.

《Il tuo locale?! Giuro non ne ero a conoscenza, ho appuntamento di lavoro, e mi hanno detto di recarmi qui. Mi piace questo posto. Complimenti 》.

Le sorrido rigido ancora una volta, mentre dentro di me il bisogno di toccarla e quello di urlare contro si danno battaglia.

Chiedimi se ti ho dimenticata.
Dimmi se mi hai dimenticato.
Smentisci di avere avuto altri all'infuori di me.

Non voglio che la conversazione cada, ma sento che devo allontanarmi, o potrei fare o dire qualcosa di cui poi potrei pentirmi.

《Oh, beh non hai visto ancora nulla. Qui la sera diventa tutto più suggestivo. Ma grazie, ora devo andare, mi ha fatto piacere averti rivisto. Il caffè lo offre la casa》.

La vedo agitarsi, mentre il viso le si colora di rosso.

Cazzo se vorrei baciarti!
E mi chiedo che cazzo mi prende!
Ma tu...tu non farmi andar via così.
Chiedimi se ti ho dimenticata.
Dimmi se mi hai dimenticato.
Smentisci di avere avuto altri all'infuori di me.

《Oh, grazie ma non voglio favoritismi...cioè quel che devo pagare,pagherò, ti ringrazio davvero ma... 》

Mi stacco dal bancone dove prima avevo poggiato i palmi, e infilo le mani in tasca resistendo all'insano impulso di poggiarle su quelle dannatissime gambe.

Dannazione a lei, e a quelle sue gambe troppo lunghe, troppo...troppo perfette!

Troppo Mie.
Nonostante il tempo.
Le circostanze.
Gli avvenimenti.
Devo ricordarmi cosa mi ha fatto.
Come sono stato quando lei se ne andata.
L'assenza in cui mi ha costretto a stare, per molto, troppo tempo.
Quando ha infranto le mie sicurezza, le mie certezze.

Sono un uomo ora, Cristo!

《Perché mai dovrei farti favoritismi?! Al SunFlower House, ai nuovi clienti viene offerto il caffè dalla casa. Rilassati Daphne. Buona giornata》.

Sento il suo nome bruciare ancora sulla lingua.

Voglio farti male.
Farti soffrire.
Pugnalare il tuo cuore così forte e così tanto da non permettersi di poter tornare indietro. Di rinascere.

Mi costringo a girare i tacchi e uscire dal locale, combattendo contro la voglia di voltarmi a guardarla ancora.

Fermami.
Non lasciarmi andare.
Chiedimi se ti ho dimenticata.
Dimmi se mi hai dimenticato.
Smentisci di avere avuto altri all'infuori di me.
E poi lo sento, lo percepisco prepotentremente il pensiero che mi dice che tra tutti i demoni del mio passato, che potevano venire a tormentarmi, Lei, è di sicuro il peggiore.

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