18. Sempre con me.
Ieri.
"Sono incinta Adrian"
La conversazione con Olimpia continua a ronzarmi in testa.
<Oh...congratulazioni... Ma io cosa dovrei farci?!>
Si morde le labbra secche, abbassa lo sguardo verde e stanco sulle mani che torce nevosamente.
<É t-tuo Adrian>
Mi volto verso di lei lentamente squadrandola dalla testa ai piedi.
Una rabbia cieca si impossessa di me.
<Credi che io sia stupido? Abbiamo scopato solo una volta e ho usat...>
Le parole muoiono in gola e flashback di quella sera mi tornano in mente.
Da spettatore rivedo tutta la scena da un'altra prospettiva.
"Io che la prendo poco elegantemente per il sedere facendola sbattere sul lavandino incrostato, lei allaccia le gambe al mio bacino e prende a baciarmi il collo.
<Adrian...mmmh>
Faccio scivolare le mani sotto la gonna del vestito viola che indossa e arrivo a stuzzicare il centro del suo piacere.
Comincio con un dito, poi due e pompo fino a quando non la vedo dimenare i fianchi convulsamente.
I suoi gemiti mi rimbombano nelle orecchie e prima che possa concludere senza di me la penetro con forza."
Eccolo il momento che mi ha fottuto.
La guardo torturare la gonna del vestito azzurro che indossa e tutto intorno a me si spegne.
<P-puoi ...insomma...>
Scuote la tesa con violenza il movimento lascia scappare le lacrime che ha trattenuto fino ad ora.
<Ho superato il limite prefissato. Io non lo sapevo, non credevo>.
Scoppia in un pianto isterico. Io rimango di sale non so cosa fare cosa provare come comportarmi.
<Risolveremo la cosa. Non preoccuparti. Ora...ora però ho bisogno di schiarirmi le idee...>
Faccio per allontanarmi ma la sua voce roca di pianto mi richiama.
<Tu torna a casa a riposare, ti chiamo io. Promesso>.
Mi costringo a sorridere aspetto che se ne vada prima di fiondarmi verso il mio pick-up.
In meno di due ore sono arrivato a New York.
Due ore in cui il mio mondo ha ruotato su un unica frase.
"Sono incinta Adrian"
Ho bisogno di vederla. Di parlare con lei. Di sentirle dire che andrà tutto bene.
Il mio taxi arriva sotto casa sua e prima che io possa fare o dire qualcosa il portone si apre, lei esce in tutto il suo splendore.
Era da un anno che non la vedevo, le lunghe gambe sbucano dai pantaloncini gialli a vita alta, il busto fasciato dal top bianco le segna le forme generose e mi manca l'aria.
Era un anno che non la vedevo. Una anno che ho cercato di estirparla dalla mia mente, dalla mia anima.
E ora vederla lì a pochi passi da me mi spiazza.
Faccio per scendere dal taxi ma ancora una volta mi blocco.
La vedo avvicinarsi ad un ragazzo, gli sorride poi lui le mette una mano sulla schiena e insieme si allontanano.
<Allora ragazzo? Che si fa?>
La gola secca. Il cuore in frantumi.
<Mi riporti all'aeroporto>. "
Olly continua con dei lamenti lunghi e dolorosi, sono ore che é chiusa in quella stanza in cui non ho avuto il coraggio di entrare.
Mi passo le mani tra i capelli camminando sù e giù per il corridoio.
Dopo svariati minuti il pianto di un neonato arriva alle mie orecchie.
L'infermiera mi chiama dalla porta, i lamenti di Olly sono cessati.
Entro titubante nella camera, l'aria sa' di disinfettante cerco di non guardare le bende insanguinate punto i miei occhi su Olly, la vedo stanca e sudata, pallida, seguo il suo sguardo e poso gli occhi su un piccolo esserino rosa.
Mi avvicino titubante, timoroso di poter spaventare la quiete che aleggia ora in questa stanza, osservo le mie "ragazze" Olly mi mette in braccio mia figlia, la osservo mentre si avvicina alle labbra sottili la manina chiusa a pugno.
Ed é lì, in quel preciso istante che dopo tanti anni mi innamoro incondizionatamente, perdutamente, totalmente di un'altra persona.
Oggi.
Lo sguardo di Olimpia passa da Adrian a me.
Mi osserva curiosa, poi vedo un lampo attraversarle gli occhi così simili a quelli di Juliet.
Il sorriso sincero sembra morirle dalle labbra carnose.
<Sono venuta a trovare Juliet. Dov'è?>
Tiene ancora gli occhi su di me per un momento, poi torna a guardare suo marito. Mi sento estremamente a disagio, vorrei poter salire in camera mia, ma ci sono già dentro, anzi ci siamo tutti dentro.
<È a casa di Madison.>
Loro continuano con questa sorta di "guerra fredda" fatta di sguardi e io vorrei sprofondare.
Dopo pochi minuti gli occhi verdi di Olimpia tornano su di me.
Le sorrido impacciata e mi affretto ad allungarle una mano per presentarmi.
<Ciao! Io sono...>
<Daphne>
Sorride lei finendo per me, sul mio viso deve per forza esserci una qualche espressione di stupore perché si affretta a continuare.
<Le foto sui muri. Sei ovunque.>
Le sue parole sono come una lama, implicitamente so' che mi sta addossando i problemi della sua infelicità.
<Olimpia smettila.>
Adrian avanza verso di lei che rimane ferma sulla porta.
<Di fare cosa Adrian? Ho solo ammesso l'ovvio.>
<Olly...>
Sospira Adrian stancamente.
Io non so' che fare, non so cosa dire.
E poi ecco che arriva il mio salvagente in questo mare di guai.
<Mamma!>
Juliet le corre incontro e le butta le braccia al collo, sua madre la stringe forte a sé chiudendo gli occhi e tuffandosi nella sua chioma bionda.
<Tesoro mio!>
Nessuna delle due sembra avere l'intenzione di lasciare l'altra, io e Adrian ci scambiano qualche occhiata carica di significato.
<Credo che sarebbe meglio continuare giù in cucina questo vostro idillio.>
Madre e figlia sembrano prendere coscienza della realtà, sciolgono l'abbraccio e senza degnare di uno sguardo o di una parola noi altri, si dirigono in cucina come suggerito da Adrian.
Io sono immobile nello stesso punto in cui Olimpia ci ha sorpresi poco prima, e per l'ennesima volta in questo pomeriggio non so' che dire ne tantomeno cosa fare.
<Allora io...le raggiungo in cucina... Tu....>
<Oh io mi vedo con...Mike! Ehm...credo che resteró a dormire da lui così da non disturbare con la mia presenza... A quanto ho visto Olimpia sa perfettamente chi sono...>
Lo vedo irrigidirsi a man mano che proseguo con il mio monologo.
<Certo. Mike _ mima con delle virgolette_ bene. Perfetto.>
Poi prima di uscire si ferma sulla porta e si volta a guardarmi.
<Sai Daphne, é una buona idea che resti fuori...io e Olimpia non ci vediamo da un po', e sai come vanno queste cose...>
Mi sorride nel solito modo calcolato che fa cosí parte di questo nuovo Adrian, e chiude la porta dietro di sé lasciamdomi intendere perfettamente a cosa si riferisce.
Arriva sempre il momento di dire addio a qualcuno o a qualcosa...
E quindici anni fa credevo fosse arrivato anche il nostro...e invece...quando é che ci liberiamo davvero dei sentimenti che nutriamo verso qualcuno? Basta così poco per disseppellire ciò che avevamo creduto ormai finito?
Faccio una doccia e indosso il mio vestito bianco a metà coscia che lascia la schiena completamente scoperta, indosso dei semplici sandali con il tacco e mi accingo a preparare le poche cose che mi servono per passare la notte da Mike, manca ancora un'ora buona prima del suo arrivo, e stanca di aspettare in camera decido di fare un salto al minimarket dei signori Craweller per comperare ciò che serve per preparargli i miei deliziosi pancake.
Scendo le scalinate che mi dividono dalla porta di ingresso e quando arrivo a metà sento delle voci ovattate, decido di non farci troppo caso e mi fiondo fuori.
Il profumo dei fiori acquistati al festival riempie tutto il porticato di un profumo dolce, sto per scendere i gradini quando noto la figura di Julie accovacciata su uno di essi.
<Ehi, tesoro cosa ci fai qui? Perché non sei dentro?>
Alza i suoi occhioni verdi così simili a quelli di Olimpia e posso leggervi tutta la tristezza che vi racchiudono.
<Papà mi ha detto di aspettare qui mentre loro discutono di cose da grandi...>
Mi siedo accanto a lei stando bene attenta a non macchiare il mio vestito bianco.
E mi scuserei con te, piccina.
Possono errori del passato gravare sulla serenità di un'altra persona? A quanto pare si, siamo adulti anagraficamente parlando, ma dopo tutto questo tempo non siamo ancora riusciti a crescere e ad imparare a tenere fuori le persone che amiamo dai nostri problemi.
E vorrei dirti che mi dispiace, che tu non centri nulla.
Ma come posso fare?
Avvolgo le sue esili spalle con un braccio e poggio la mia testa castana sulla sua.
<Beh tesoro, è normale che gli adulti discutano di cose per conto loro>.
Lei mi guarda con gli occhietti vispi e l'espressione corrucciata.
<Non prendermi in giro anche tu Didi, ho solo undici anni ma queste cose le capisco! Dovete smetterla di trattarmi tutti quanti come fossi una bambina!>
Le accarezzo la guancia morbida.
<Hai ragione Juliet, sei una piccola donna, ma i genitori tendono sempre a vedere i figli come bambini da proteggere...mettiti nei loro panni tesoro.>
Lei punta un'occhiata verso la finestra della cucina da dove fuoriesce un vociare sommesso ma dai toni secchi si capisce che sia un litigio bello e buono.
<Non sanno cosa vuol dire quando tutti vogliono tenerti allo scuro di faccende che ti coinvolgono comunque.>
Sbuffa e i suoi occhioni si riempiono di lacrime.
<Sai Julie tutti gli adulti sono stati bambini, anche il tuo papà e la tua mamma, il problema è che alle volte se ne dimenticano...>
Mi sorride timidamente e io mi sollevo dallo scalino porgendole la mano.
<Io stavo andando a fare la spesa, vieni con me?>
Si asciuga gli occhi con la manica del cardigan lilla che indossa e si tira sú intrecciando la sua mano alla mia.
<Certo! Ho voglia di un mega frullato al cioccolato!>
Sorrido a mia volta e ci avviamo alla mia auto.
<E mega frullato sia, allora!>
___
Al nostro rientro troviamo Olimpia ad aspettarci seduta sui gradini che pochi minuti prima avevano visto me e Juliet.
Julie le corro incontro e si scambiano qualche parola che non sento, poi la piccola sparisce dietro la porta lasciandoci sole.
Decido di salire in camera a prendere il cambio per la serata dato che Mike dovrebbe arrivare a momenti.
Faccio per aprire la porta quando la voce di quella donna mi ferma.
<E così, sei tornata.>
Mi volto scrutandola, rabbia e indignazione attraversano il suo bel viso.
Stringo la maniglia della porta ancora un momento poi mi volto del tutto verso di lei.
<Olimpia, io non avrei mai voluto che Adrian si comportasse come ha fatto. Devi credermi quando ti dico che ero allo scuro di tutto, e anche se non vale niente ti chiedo scusa se i nostri casini hanno in qualche modo influenzato anche la tua vita>.
Si sistema una ciocca color oro dietro l'orecchio e punta il suo sguardo sui fiori che io e Mike abbiamo sistemato sul portico.
<Tu non sai come era diventato. Come potevi? Te ne stavi nella tua grande metropoli, a crearti il futuro che volevi fregandotene di lui. Io invece no, io ci sono stata anche quando lui non mi ha voluto. Anche quando sapevo che una sera si e una no si vedeva con Monique. Anche quando spariva per giorni e prendeva un aereo per New York per venire da te...>
Aggrotto le sopracciglia confusa più che mai, lei sembra aver capito perché non mi lascia il tempo di porre la mia domanda che mi dà già la risposta che cerco.
<É venuto al tuo diploma. Alla tua laurea. Per il tuo ventunesimo compleanno. Ad ogni anniversario della morta di tua madre. Quando tuo padre é rimasto ferito ad un piede in quell'incidente con la metropolitana...o solamente per vederti vagare felice per il campus del tuo prestigioso college...devo continuare?>
Si può morire?
Per tutti questi anni credevo che si fosse dimenticato di me, di noi, delle nostre promesse, e invece...Invece era sempre stato lì, con me.
E io? Cosa ho fatto io? Nulla...mi sono solamente crogiolata nell'angoscia di averlo perso. Mi sono voluta convincere di averlo perso venendo al suo matrimonio di nascosto, vedendolo sorridente sposare una donna che non fossi io.
E siamo stati troppo deboli. Troppo stolti.
Ci siamo amati ma non abbiamo permesso al nostro amore di vincere, schiacciati dal peso di una vita più grande di noi che eravamo solo dei ragazzi.
Ci siamo distrutti.
<I-io...io non ne ero a conoscenza... Non so...non so che cosa dire se non che non era nostra intenzione farti soffrire...domando scusa ancora una volta>
<Le tue scuse non risolvono nulla. E francamente non me ne faccio niente. Voglio dirti solo una cosa. Hai rubato mio marito. Ma non ti darò il consenso di rubare l'amore di mia figlia!>
<Non potrei mai! Lei ti ama! Non potrei mai sostituire sua madre, e non voglio nemmeno farlo!>
Mi sorpassa dandomi una spallata e prima di chiudere la porta dietro di sé mi ammonisce ancora.
<Non te lo permetteró>.
Sono ferma su quel portico per vari minuti i pensieri nella mia testa fanno così tanto rumore che non riesco a focalizzare nulla, poi una molla mi spinge a farmi correre e correre.
Mi precipito lungo la strada che porta al fienile dal rosso sbiadito, la porta é aperta e Adrian è di spalle, indossa i soliti pantaloni sbiaditi e la canottiera bianca che lascia le sue ampie spalle libere e le braccia muscolose e toniche in bella mostra.
Non mi ha ancora notato e passo un minuto buono a squadrarlo dalla testa ai piedi.
I muscoli delle braccia si flettono ogni volta che sposta qualche balla di fieno da una parte all'altra, goccioline di sudore gli colano dalla fronte e scendono giù per il viso come una carezza.
<Adrian...>
Lui si volta colto di sorpresa e mi guarda corrucciando la fronte.
<Daphne...cos?>
Ma stavolta no. Stavolta non gli lascio il tempo di parlare, ne lascio il tempo a me di ragionare.
Mi butto letteralmente tra le sue braccia avvicinando il mio viso al suo e prima che io o lui abbiamo il tempo di realizzare quello che sta accadendo, spingo la mia bocca sulla sua.
E sono a casa.
Sono nell'unico posto al mondo dove dovevo essere.
E niente ha più importanza, il dolore che ci siamo fatti, gli anni che ci hanno diviso e le cose che ci sono successe.
Siamo Didi e Adrian e nulla ha piú importanza.
Per un attimo, solo per un attimo rimane impassibile, fermo.
Poi le sue mani si artigliano su di me, spingono il mio corpo più vicino al suo, la sua lingua non chiede il permesso e mi ritrovo a schiudere le labbra e ad intrecciarla alla mia.
E il tuo sapore esplode nella mia bocca, sulla mia lingua, dentro la mia testa e infine dentro il mio cuore!
Passo le mani tra i suoi capelli umidi mentre lui mi tira sú dal fondoschiena.
Mi ritrovo schiacciata tra il muro del fienile e il suo corpo possente, con le gambe allacciate intorno al suo bacino riesco a percepire la sua erezione gonfia e pulsante.
Le sue mani prendono a seguire la forma della mia gamba intrufolandosi senza pudore sotto il vestito.
Gemo nella sua bocca e lo sento ringhiare di frustrazione quando all'improvviso sentiamo Juliet chiamarci da lontano.
Ci guardiamo negli occhi con i respiri affannati e i capelli arruffati. Mi fa scivolare lungo il suo corpo senza mai distogliere le sue pozze liquide e colme di desiderio dal mio viso.
Mi sfiora le labbra gonfie per i nostri baci e sorride dolcemente, mi regala il solito sorriso con le fossette e io so' per certo che l'universo sta girando nel verso giusto!
<Didi...>
Gli sorrido ancora mentre sento le lacrime pungere all'angolo dei miei occhi.
<Mi...mi hai chiamata Didi...>
Mi guarda sollevando un sopracciglio.
<Non mi hai più chiamato Didi da quando...>
Posa un leggero bacio sulle mie labbra schiuse e prima che possiamo continuare da dove ci siamo fermati, la voce di Julie ci interrompe ancora.
Usciamo dal fienile senza dare nell'occhio, ad un certo punto la vediamo correre trafelata verso di noi.
<Juliet cosa é successo?>
Suo padre la raggiunge preoccupato e le posa le mani sulle spalle.
Lei punta il suo sguardo angosciato su di me.
<Ha chiamato Michael, la signorina Milly é in ospedale>.
E tutto crolla in un istante.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro