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La Bambina che imparò a volare

Betty chiuse la porta e si sedette sul letto, con la testa tra le mani e i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Probabilmente qualche mese prima si sarebbe messa a piangere, ma adesso l'unica cosa che voleva era un po' di silenzio.

Fissava i calzini rosa che aveva ai piedi e ogni tanto sbirciava anche il pavimento di parquet, sperando di trovare qualche dettaglio che il giorno prima non aveva notato. Si focalizzò su una sfumatura più scura del legno, cercando di capire che tipo di colore fosse, o meglio, se fosse ebano, marrone normale o color Pepsi. Scartò subito l'ultima opzione, in quanto il colore del legno era troppo scuro per assomigliare al colore dei capelli della sua migliore amica, Pepsi, da cui derivava appunto il nome.

<<Potrebbe essere ebano...>> sussurrò tra sè e sè, sempre rimanendo concentrata sul pavimento.

<<Umh... no, è troppo chiaro, quindi è marrone normale>> concluse, dopo un'attenta e ultima osservazione. Come ogni volta, associava il colore del parquet al colore che aveva il suo pennarello, e non si era mai chiesta come mai ogni singola mattonella avesse, secondo lei, lo stesso colore.                                                                                                                                                                  <<E' un bel colore, vero?>> chiese a sè stessa, stendendosi di schiena sul letto.

<<Già, ma preferisco il Pepsi>> si rispose, chiedendosi se fosse veramente più carino il Pepsi del normale. Forse no, anzi, probabilmente no, ma le sembrava di fare un torto alla sua amica dichiarando di preferire quello più scuro. A Pepsi il suo colore stava bene, ma Betty non avrebbe mai potuto immaginarselo addosso.

<<La bellezza sta negli occhi di chi guarda>> disse ad alta voce, sentendosi intelligente per aver ripetuto una frase detta da suo padre qualche anno prima, ma anche stupida per essersi ricordata da sola che lei era l'unica interessata a guardare.

<<Meglio così, se gli altri guardassero direbbero che faccio schifo in Pepsi>> concluse senza tanti giri di parole. Aveva sempre desiderato conoscere qualcuno che le facesse dei complimenti, che fossero anche solo "ma che bella bambina" o "guarda che bel fiocco rosa", ma le uniche persone da cui aveva sentito pronunciare queste frasi erano state le mamme delle sue compagne, al parco, o qualche vecchietta sconosciuta. Non lo pensavano davvero, volevano solo essere gentili, di bambine belle come lei ce ne sarebbero state milioni, e quel fiocco rosa a dirla tutta non era poi così spettacolare... quelli non erano il tipo di complimenti che cercava. Volevano che fossero sinceri con lei, ma a nove anni Betty ci aveva perso la speranza.

La bambina si alzò dal letto e, cercando di non fare caso alle urla di sua madre e suo padre in salotto, si arrampicò sulla libreria, raggiunse una copia di La Bambina Che Amava Tom Gordon e scese. Appoggiò il libro sul pavimento e lei si sedette accanto, aprendo con cura il volume e sfogliando le pagine alla ricerca di qualcosa.

Non aveva mai letto quel libro, glielo aveva regalato sua zia per il compleanno ma sua madre aveva detto che era ancora troppo piccola per gli horror, e lo aveva nascosto in alto nella libreria, dove lei non sarebbe potuta arrivare. E invece, appena un anno dopo, Betty era perfettamente in grado di raggiungere lo scaffale, ma non aveva pensato nemmeno per un istante di leggere il libro. Odiava le storie senza lieto fine, e da quanto ne sapeva lei gli horror erano un misto di morte, paura e tristezza, quindi come poteva una cosa simile finire bene? Non poteva, e allora lei preferiva starne alla larga. 

Eppure per qualche strana ragione aveva scelto proprio quel libro così triste per nascondere quello che in non molto tempo sarebbe diventata un'esplosione di allegria.

Finalmente trovò quello che stava cercando, un quaderno con in copertina una ciambella su sfondo rosa, regalatogli da Pepsi per il Natale dell'anno prima. Si alzò ancora e andò a prendere la lattina di Coca Cola che fungeva da porta penne, e che sua madre aveva minacciato più di una volta di voler buttare. Osservò attentamente il contenuto della lattina, quindi alzò di scatto la testa e fissò il soffitto.

<<Meglio azzurro o giallo?>> chiese, forse al lampadario forse a sè stessa.

<<Azzurro, come il cielo>> si rispose qualche secondo dopo, felice della sua scelta.

<<Ok, come vuoi>> mentre lo diceva aveva già afferrato il pennarello azzurro e aveva tolto il tappo, preparandosi a fare il primo segno sul quaderno con la ciambella. Avvicinò lentamente la punta colorata al foglio a quadretti, esitò, quindi decise di tracciare un cerchio e poi, sopra di quello, un altro più piccolo.

<<Sembra un pupazzo di neve!>> escalmò entusiasta, provvedendo ad aggiungere occhi e bocca al cerchio più piccolo. Poi decise che quel povero pupazzo aveva bisogno di gambe e braccia, così tracciò quattro linee sottili che partivano dal cerchio più grande e finivano in aria.

Cominciò a colorare i cerchi e, quando finì, sollevò il foglio davanti a sè per valutare il suo lavoro.

<<Ci manca un pò di rosa>> commentò con occhio critico, quindi prese il pennarello rosa e disegnò un fiocco sulla testa dell'uomo blu. Sollevò di nuovo il foglio, quindi sorrise soddisfatta.

<<Aspetta, ti manca un nome! Ti piace... Roki?>> fissò il disegno in silenzio, asettando una risposta.

<<No, hai ragione, fa schifo... meglio Wilbour>> questa volta non chiese l'opinione di... Wilbour, era convinta che quello fosse il nome ideale per un pupazzo di neve blu.

<<Allora Wilbour, come pensi che mi stiano questi calzini? Sono nuovi, me li ha regalati... no, non me lo ricordo chi, ma ti piacciono?>> chiese sorridente al suo nuovo amico, che continuava a fissarla con i suoi grandi occhi neri senza dire niente.

Passarono due minuti, ma la sottile linea nera che formava la bocca di Wilbour non si era mossa di un millimetro. Betty abbassò la testa e lasciò cadere il foglio sul pavimento, vicino alle sue ginocchia.

<<Avresti almeno potuto dirmi che non ti piaceva!>> urlò, con le lacrime agli occhi, per poi uscire dalla camera sbattendo la porta.

Cinque minuti dopo Betty era nell'auto con sua madre, direzione Toronto, a casa dei nonni. Succedeva spesso che sua madre, dopo un litigio con il marito, se ne tornasse a casa dei suoi genitori, e portava con sè anche Betty. A lei piaceva, trovava che Toronto fosse una bella città, ma quando si fermavano per molto le veniva nostalgia di casa.

<<Quanto stiamo dai nonni?>> chiese con la sua voce infantile, ancora un po' arrabbiata per via di Wilbour. La madre la guardò nello specchietto retrovisore e le sorrise.

<<Non lo so, almeno fino a quando non si sarà calmata la situazione con papà>> Betty appoggiò la testa al finestrino con aria sconsolata. L'ultima volta che lei le aveva risposto in quel modo erano rimaste via per un mese, e non era stato divertente.

Aveva cominciato a chiedersi come mai la mamma non volesse bene a papà come gliene voleva lei. Betty non litigava mai con papà, anzi, piuttosto era sua madre quella che la faceva arrabbiare di più, ma voleva bene ad entrambi nella stessa maniera.

La mamma di Betty tolse una mano dal volante e accese la radio, sperando che il rumore della musica potesse coprire quello dei suoi pensieri. Partì una canzone a lei familiare ma di cui non ricordava il nome. Forse l'aveva sentita come colonna sonora di qualche film... sì, in Titanic, nella scena dove Jack teneva la protagonista femminile, come si chiamava... Rose, mentre entrambi erano felici e guardavano l'orizzonte. Non sapevano che tra poco la nave sarebbe affondata, un po' come lei non sapeva che sarebbe andata a finire in quel modo, quando aveva deciso di sposare Richard, dieci anni prima. E l'iceberg che aveva fatto affondare il loro matrimonio si chiamava Betty.

<<Interrompiamo per qualche istante la trasmissione di questo canale radiofonico per avvisare tutti i cittadini che vivono nei pressi di Toronto della presenza di un'enorme creatura alta probabilmente 5 metri che sta seminando il panico in numerose frazioni. Consigliamo a chiunque viva in uno dei paesi vicino a Toronto non ancora raggiunti dalla creatura di scappare verso sud, mentre chi abita in uno dei paesi già sotto attacco è pregato di mantenere la calma e restare in casa, senza uscire per nessuna ragione. I miltari stanno già intervenendo per fermare la creatura, per tanto tutte le uscite dell'autostrada dirette o provenienti da Toronto verranno chiuse, per evitare traffico che potrebbe ostacolare l'intervento delle Forze Armate...>>

"My Heart Will Go On" la madre di Betty appoggiò la testa al finestrino "La canzone si chiamava My Heart Will Go On" e, mentre lo pensava, si rese conto che forse ci sarebbe stato un altro iceberg nella sua vita, ma molto più alto di Betty.

<<Mamma>> la donna sentì la voce della figlia, per niente spaventata, provenire dal sedile posteriore.

<<Io vado>> aggiunse poco dopo la piccola, aprendo lo sportello dell'auto e uscendo. La madre la vide correre verso la direzione opposta, ma non fece nulla per fermarla.

<<Ho sempre pensato che la fine del mondo sarebbe arrivata prima o poi, ma non pensavo che sarebbe andata così. Morirò io, morirà Richard, morirà Betty, moriremo tutti. Lei ha deciso di andare incontro alla morte, io invece la asptetterò tranquillamente>>. E con queste parole, la donna chiuse gli occhi e cominciò ad aspettare, cullata da My Heart Will Go On.

Betty invece correva.

Faceva lo slalom tra le auto ferme in autostrada e gli uomini che davano di matto, cercando di non perdere nemmeno un secondo. Aveva una sola occasione, e non aveva intenzione di sprecarla.

Raggiunse l'uscita dell'autostrada e la superò, ritrovando l'ambiente familiare che le aveva fatto da casa per molti anni, e si sentì confortata nonostante potesse già intravedere la figura della creatura mentre si scagliava contro alcune case. Si mise a correre ancora più forte, sperando che l'enorme mostro blu e peloso, con un vistoso fiocco rosa in testa, non se ne andasse da dov'era.

Poteva parlargli, convincerlo a fermarsi. Wilbour era intelligente, l'avrebbe ascoltata di sicuro, l'unico problema erano i militari che le ostacolavano la strada. Non avrebbero mai fatto passare una bambina in una zona di così alto pericolo, ma per fortuna Betty ci pensò prima di prendere la strada principale che portava dritta in città.

Non potevano conoscere tanto quanto lei i vicoli del suo paese, quindi le bastò imboccarne uno e poi entrare in un palazzo, salire le scale e uscire sul balcone. Pensò che ci fosse davvero una bella vista da lassù, peccato per le case abbattute e i palazzi distrutti. Appoggiò una mano sul parapetto e allungò l'altra verso Wilbour.

<<Ehi, mi senti?>> urlò più forte che poteva, sperando che lui la sentisse, ma era troppo distante, e impegnato.

<<Sono io, Betty>> urlò ancora, ma senza nessun risultato. Possibile che non la sentisse? Possibile che non la riconoscesse? Non voleva nemmeno pensarci, lei era l'unica persona a potergli parlare.

<<WILBOUR ACCIDENTI, DA QUESTA PARTE!>> Usò tutto il fiato che aveva in corpo, e finalmente vide la creatura fermarsi e girare il capo verso la sua direzione.

Aveva occhi neri e tondi, proprio come quelli che lei gli aveva disegnato, ma da cui scendevano lacrime.

Wilbour si avvicinò lentamente a Betty, quindi allungò una mano nella sua direzione, facendo in modo di toccare quella della bambina.

<<Betty, sei tu...>> mormorò il gigante, per qualche ragione intimidito dalla presenza della bambina.

<<Wilbour... sei diventato enorme!>> Betty fece un grandissimo sorriso, mettendo forse un po' a disagio Wilbour, che sembrava non sapere più cosa fare.

<<E invece tu sei sempre bellissima>> sorrise anche lui, anche se le lacrime stonavano.
Era quello che si aspettava da anni, un complimento sincero. E Wilbour era stato sincero, nessuno sorriderebbe mai mentre piange solo per dire una bugia... o almeno così la pensava lei.

<<Grazie... ma come mai stai distruggendo tutto?>> Wilbour non le rispose, girò la testa verso il terreno e vide i militari con i mitra puntati su di lui. Il gigante afferrò Betty e la appoggiò sulla sua spalla, quindi cominciò a correre verso una zona di campagna, urtando per sbaglio qualche edificio ogni tanto.

Betty non aveva la minima idea di come Wilbour fosse cresciuto così tanto, ma non le importava troppo. Sarebbe stato divertente avere un amico alto, nessuno avrebbe mai osato farle del male per paura che Wilbour la difendesse, anche se forse avrebbe faticato un po' per trovargli un paio di scarpe adatte.

Il vento le sfiorava la pelle, si divertiva, eppure nel suo cuore sapeva che non sarebbe durata troppo a lungo. La gente vedeva in Wilbour un pericolo, e quando la gente è spaventata è fuori di sé.

<<Siamo arrivati>> le sussurrò lui, portandola delicatamente su un prato incolto, mettendosi in ginocchio.
Wilbour continuava a guardarla, e lei ricambiava.

<<Perché piangi?>> gli chiese, aspettando una risposta che però tardò a venire.

<<Vedi... sei stata tu a crearmi, a disegarmi in questo modo. Io sono nato grazie alla tua fantasia, al tuo desiderio di avere un amico sincero, io sono quello che tu hai sognato... eppure non ti ho reso felice>> le disse, dopo un po'.

<<Sono nato per esaudire un desiderio ma ti ho solo resa più triste...E continuerò a farlo, qualunque cosa accada>>

Betty lo fissava, aspettava il seguito, mentre cercava di non far scendere nessuna lacrima sulla sua guancia.

<<Ti stavo cercando, Betty, per chiederti scusa>>. Smise di parlare ma non di piangere. Era strano vedere un gigante piangere, forse perché in una lacrima un umano potrebbe farci il bagno.

<<Non devi farlo, ti ho creato io, quindi se tu sbagli è colpa mia... perché non la smetti di distruggere case e ricominciamo da capo?>>
Betty lo guardò speranzosa, ma non servì a nulla.

<<Non capisci Betty, io sono un errore. Dovrei essere il frutto dei tuoi sogni, ma nessuna bambina sogna la distruzione. Ho ucciso persone solo per trovarti, e non ho nemmeno compiuto il mio dovere. Di solito i sogni come me non prendono vita, ma comunicano con chi li ha desiderati tramite la mente. Tutti i bambini hanno un sogno, e quel sogno li accompagnerà fino al giorno in cui verrà dimenticato, ma per tutto quel tempo avrà provato a diventare realtà. È il nostro compito venire esauditi, e se qualcosa va storto dobbiamo pagare per aver distrutto il sogno di un bambino. Io ero la tua unica possibilità, e ho fallito>>

Wilbour riconobbe il rumore dei carri armati avvicinarsi e i soldati urlare. Rimaneva poco tempo, poi sarebbe diventato anche lui un sogno morto.

Allungò un dito verso Betty e le accarezzò la testa.

<<Volevo solo dirti che secondo me staresti bene anche in Pesi>> le sorrise ancora, ma Betty non ricambiò.

<<E tu sarai qui a ricordarmelo ogni tanto, vero?>> la bambina si arrese e cominciò a piangere. Wilbour non era il suo sogno, era il suo amico.

<<No, purtroppo no>> quindi il gigante si alzò da terra, e si diresse verso i militari. Betty provò a corrergli dietro ma fu tutto inutile.

<<Wilbour hai sbagliato, il mio sogno non è conoscere qualcuno di sincero, è che tu rimanga qui con me!>> ma ormai lui era lontano. Forse la sentì, forse no, ma in ogni caso non si fermò. Continuò ad avanzare per poi fermarsi di colpo.

<<Addio Betty, io ho fallito ma non smettere di sognare>>

Le parole si persero nell'aria, proprio mentre l'imponente figura di Wilbour spariva.

Rimase solo un foglio a terra, un disegno di un pupazzo di neve blu con un fiocco rosa.


beatrixpotter2006 BYE

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